Martedì 3 maggio, un nucleo armato della nostra organizzazione ha colpito GINO GIUGNI, culo di pietra dello staff di teste pensanti del “partito della guerra” nel nostro paese. Le nostre intenzioni nei confronti di questo porco erano e sono chiare: LA LIQUIDAZIONE DEL PERSONALE IMPERIALISTA È UN PROBLEMA CHE LA GUERRA DI CLASSE SAPRÀ AFFRONTARE SEMPRE MEGLIO!
Chi è costui e quale progetto rappresenta è presto detto: la sua “Fortuna” in campo nazionale od internazionale se l’è costruita come lucido rappresentante degli interessi della borghesia imperialista nel campo delle diverse strategie di ingabbiamento dell’antagonismo di classe che la borghesia chiama “contrattazione”, ossia conciliabilità (ovviamente dal suo punto di vista!) delle lotte e delle conquiste proletarie dentro un quadro di compatibilità con gli interessi e le esigenze capitalistiche.
Tutto questo nel tentativo di istituzionalizzare e corporativizzare l’antagonismo proletario e ingabbiarlo all’interno della logica sindacale della contrattazione.
Appartenente ai massimi livelli della banda Craxiana, traduttore nella realtà italiana delle politiche imperialiste di ristrutturazione antiproletaria, cervello politico-tecnico al servizio dei vari ministeri economici e più in generale delle politiche economiche dello Stato nei vari governi, rappresenta tutte le tappe, da più di vent’anni a questa parte, percorse dalla borghesia nel tentativo di veicolare secondo le sue esigenze la lotta di classe.
A seconda delle congiunture politico-economiche, infatti, questo “Uomo per tutte le stagioni” ha cavalcato la tigre del movimento operaio, cercando di piegarlo dentro il margine della contrattazione Sindacato-Borghesia.
L’abbiamo visto all’opera negli anni 69/70, quando un formidabile movimento di lotte operaie e proletarie, in nome dell’egualitarismo e dell’autonomia di classe dal revisionismo, incominciava a sganciare gli interessi ed i bisogni delle masse dalle necessità della produzione e dell’accumulazione capitalistica e strappava consistenti conquiste politiche e materiali ad una borghesia ancora in grado di attuare una politica di scelta di consenso nei confronti dell’antagonismo di classe.
Quello che i mass-media poi indicano come il “Padre dello Statuto del Lavoratori” non è altro che il solerte legislatore che registra ed istituzionalizza uno stato dei rapporti di forza tra le classi, in quegli anni a favore del proletariato, tentando di tradurre in norme scritte, quindi concordate, quello che il movimento proletario andava conquistando fuori da ogni contrattazione possibile.
Quello che ha sempre terrorizzato questo losco individuo è proprio la forza non mediabile della lotta di classe e per questo ha sempre lavorato per rendere il conflitto fra le classi un pacato e “democratico” confronto tra i “diversi” rappresentanti in campo, in disaccordo tra loro, ma uniti comunque da un’unica volontà: subordinare gli interessi proletari alle esigenze ed alle scelte del capitale.
Ma se nel 60/70 alla borghesia era ancora possibile attuare una politica riformista per i margini economici e politici che gli erano ancora possibili, (salvo contemporaneamente attaccare direttamente la classe con le stragi e la caccia alle avanguardie), la crisi generale del Modo di Produzione Capitalistico in campo mondiale ha messo completamente in luce la reale natura di classe di tutti i vari progetti riformisti e sindacali che Giugni ha contribuito ad elaborare. Dietro la parola d’ordine “Autonomia del sindacato” a malapena si nasconde la strategia dell’attacco frontale a tutto il Proletariato Metropolitano, alle sue lotte ed ai suoi interessi. Secondo le ferree necessità della ristrutturazione per la guerra imperialista, il proletariato dovrebbe consapevolmente accettare la sconfitta totale della sua Autonomia di Classe e farsi “rappresentante” al tavolo delle trattative nel gioco del confronto fra quelle che chiamano le “Partì”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: gli accordi sulla Cassa Integrazione, quello sulle liquidazioni e sul costo del lavoro.
In particolare l’accordo di Gennaio è la base del progetto di “PATTO SOCIALE” e costituisce un salto di qualità nell’estromissione della classe dalle “contrattazioni” tra forza-lavoro e capitale.
Questo accordo è stato realizzato proprio grazie al livello raggiunto dal progetto di ridefinizione dello Stato e della funzionalizzazione dei partiti e del sindacato al piano dì maggior esecutivizzazione delle scelte generali nel campo della politica economica.
Rappresenta infatti un salto di qualità della tradizionale contrattazione tra forza-lavoro e capitale, In quanto stabilisce un piano decisionale che investe tutto l’arco dei costi della riproduzione sociale e tutta la normativa del salario sociale complessivo (assistenza, sicurezza sociale, ecc.). Questo accordo permette il varo dei licenziamenti di massa, il governo ancora più rigido del mercato della forza-lavoro, la compressione fino all’inverosimile delle spese sociali e dei meccanismi di recupero salariale sull’inflazione, ma soprattutto lo spostamento della contrattazione fuori dalle fabbriche, dal collocamento dai posti di lavoro: è la materializzazione delle scelte recessive della politica economica di guerra che significano l’imposizione al proletariato di lavorare di più, lavorare in pochi, lavorare per poco.
È attacco diretto all’abbassamento del costo della riproduzione della forza-lavoro, ottenuto per mezzo di vincoli alle spese contrattuali e sociali più in generale che per tre anni e mezzo bloccano gli aumenti salariali dentro il quadro rigido dei “tetti antinflazionistici” stabiliti dal governo-Confindustria-sindacato.
La Lotta Operaia dovrebbe, nei piani di questi signori ridursi a costituire la massa di manovra in un gioco delle parti, in cui gli obiettivi da raggiungere sono già stabiliti in partenza dal quadro di compatibilità con le esigenze dl “governo” del ciclo dell’accumulazione.
È ristrutturazione del mercato del lavoro, tesa a rendere le condizioni di vendita della forza-lavoro idonee a tenerne basso il costo; è sterilizzazione degli automatismi e della scala mobile che rende oggi la capacità di reddito proletario molto al di sotto delle effettive necessità; e differenziazione massima tra categorie contro quello che i padroni chiamano “appiattimento”. È taglio delle spese sociali e loro dirottamento verso quelle militari e di sostegno alle multinazionali.
È, SOPRATTUTTO, ATTACCO POLITICO ALLA CLASSE, PER ANNULLARNE LE CONQUISTE, LA RIGIDITÀ, I LIVELLI D’ORGANIZZAZIONE COSTRUITI IN ANNI DI LOTTE.
Oggi, l’attacco al proletariato metropolitano per mutare il rapporto di forza generale fra le classi a maggior vantaggio della borghesia imperialista, porta ad un peggioramento delle condizioni di vita delle masse e chiude definitivamente ogni velleità capitalista di governare il conflitto di classe, nel senso che l’ambito della mediazione riformista con l’antagonismo, si riduce drasticamente, aprendo una fase di scontro aperto. L’unica possibilità di governabilità è data dall’accettazione da parte del proletariato a farsi compartecipe di un ampio fronte interclassista a sostegno delle necessità di ristrutturazione del capitale multinazionale.
Il sogno di Giugni e dei suoi compari è un proletariato diviso e corporativizzato che si mette in concorrenza ai suo interno per poter essere immesso nel ciclo produttivo al prezzo e alle condizioni dettate dai margini ristretti della crisi.
All’interno della pace contrattuale e delle revisionalità degli obiettivi posti dalle lotte, si apre la contrattazione individuale sull’accesso ai posti di lavoro disponibili, e sulle condizioni dello sfruttamento in fabbrica e in tutti i posti di lavoro.
Ciò che questi accordi sanciscono politicamente è la possibilità da parte della borghesia di sferrare un attacco frontale a tutto il proletariato metropolitano, in presenza di una relativa debolezza del movimento rivoluzionario ed antagonista; ogni accordo infatti è frutto di rapporti di forza precisi tra le classi e un ulteriore passo in avanti per rafforzare la posizione di forza della borghesia. Tutto questo immediatamente ha l’effetto di un peggioramento generale delle condizioni di vita e della contrattazione del prezzo della forza-lavoro; ma soprattutto il senso politico di un attacco liquidatorio all’antagonismo di classe del proletariato e alla sua politica rivoluzionaria; è la strategia dell’annientamento della possibilità storica di trasformare la ristrutturazione per la guerra imperialista in guerra di classe per il COMUNISMO.
I conti in tasca ai vari Giugni, Merloni, Benvenuto, De Mita, Lagorio, tornerebbero solo se il proletariato metropolitano, nel nostro paese, avesse realmente scelto di convivere pacificamente con i suoi sfruttatori e si fosse dissociato dalla lotta dì classe in favore del “patto sociale” e neocorporativo.
Che le cose non stiano esattamente così lo dimostrano le fughe scomposte dei vari sindacalisti da tutte le piazze d’Italia, e i secchi NO alle scelte di politica economica che caratterizzano le lotte più significative di questi ultimi mesi.
Il tentativo di far arretrare il movimento antagonista alle spoglie della resistenza estrema, e il tentativo revisionista di convogliare le tensioni di classe a difesa di condizioni politico generali oggi improponibili, in presenza dei livello raggiunto dalla crisi e quindi dalle scelte obbligate del capitale multinazionale per poter continuare a funzionare come tale. Nel progetto dì liquidazione d’ogni pur minima parvenza di politica proletaria antagonista (per non parlare poi d’ogni progetto rivoluzionario) l’attacco è diretto a ricostruire un quadro di rapporti tra le classi in cui i processi di ristrutturazione per la guerra imperialista siano garantiti dal massimo di pace sociale.
Al proletariato non si concede più nulla. Per il proletariato si prevede solo “il privilegio” di concorrere in una sequela di patteggiamenti continui, a sostenere le scelte della borghesia imperialista, in posizione definitivamente subordinata. Questo è stato possibile con la rottura della rigidità operaia e proletaria allo sfruttamento capitalistico, con l’arretramento dalle posizioni d’autonomia politica conquistate in anni di lotta e d’organizzazione proletaria sul terreno rivoluzionario.
Di fronte all’attacco generalizzato della borghesia, il problema oggi non è quello di attestarsi su posizioni di “estrema difesa”, ma quello di riconquistare le condizioni politiche, i rapporti di forza sempre più favorevoli per lacerare ulteriormente il livello di contraddizioni sul terreno dell’antagonismo dl classe e collocare l’iniziativa rivoluzionaria nel senso contrario ai progetti dì pacificazione tra le classi.
Il proletariato metropolitano non ha nulla da difendere se non la possibilità d’espressione della sua politica rivoluzionaria, come condizione per spezzare i tentativi di ricacciarlo nell’ambito del pacifismo imbelle e ribaltarli nel suo opposto; per liberarsi definitivamente dalla catena revisionista che lavora alla sconfitta della sua autonomia di classe e poter far arretrare significativamente i progetti di ristrutturazione per la guerra imperialista nel suo percorso di liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato.
La funzione dello stato in questa fase è la sua assunzione di nuovi compiti sul terreno della politica economica, della politica controrivoluzionaria e della politica estera, la sua maggiore funzionalizzazione alle esigenze della ristrutturazione, staglia con maggior chiarezza il ruolo dello stato come interprete al massimo livello degli interessi della borghesia imperialista.
La fine dell’assistenzialismo ridefinisce lo stato non più come regolatore del conflitto tra le classi, ma come esplicita espressione del dominio della borghesia; come garante in termini politici, economici, militari, e ideologici della ristrutturazione per la guerra imperialista.
Tutto ciò porta con sé l’accelerarsi dell’individuazione da parte proletaria della natura politica dello scontro, svelando contemporaneamente l’inconsistenza di ogni proposta che punta alla difesa delle condizioni politiche generali proprie della fase passata. La capacità di ricostruire la rigidità operaia e proletaria ai progetti di guerra della borghesia imperialista, è legata alla lacerazione rivoluzionaria del quadro politico attuale ed alla ridefinizione del nuovo carattere dell’autonomia di classe.
Questo è reso possibile anche dalla crescente difficoltà per i revisionisti di avere la benché minima credibilità per poter continuare a “rappresentare” gli interessi, anche quelli immediati, del proletariato metropolitano.
La politica revisionista è compressa oggi tra due forze contrapposte: da una parte la borghesia imperialista che tende a subordinarla completamente ai suoi progetti; dall’altra il proletariato metropolitano che la “obbliga” a garantire in qualche modo la difesa dei suoi interessi. Questo “vaso di coccio” non potrà che frantumarsi fragorosamente, e con lui tutti i tentativi di subordinare l’antagonismo proletario ai progetti della borghesia imperialista.
Se la ristrutturazione per la guerra imperialista apre ed acuisce le contraddizioni tra interessi materiali e politici del proletariato e sua “rappresentanza storica”, gettandola in una crisi di ruolo senza rappresentanza, le forze rivoluzionarie devono favorire questa crisi. Solo dallo sgretolamento di queste gabbie è possibile liberare tutte le nuove forze proletarie prodotte dall’antagonismo alla ristrutturazione per la guerra. Si tratta di favorire la demistificazione dei contenuti e delle proposte che impediscono l’espressione della classe proprio nel momento in cui mostrano la corda e la loro debolezza si evidenzia di fronte al progetto di fase della borghesia imperialista. Si tratta di aiutare a far emergere ogni elemento che si afferma nella lotta contro il progetto guidato dal “Partito della guerra” di appoggiare, sostenere i contenuti più avanzati delle lotte del proletariato metropolitano e ricomporre la classe sul terreno rivoluzionario, attaccando nel contempo chi tenta di ingabbiarla in schemi vecchi e perdenti.
I contenuti politici più avanzati emersi dalle lotte contro la guerra, contro lo stato della tortura, contro la politica economica del governo, contro il progetto della resa e della desolidarizzazione, hanno evidenziato ancora una volta la capacità del proletariato metropolitano, in particolare della classe operaia, nel nostro paese, nonostante la controrivoluzione scatenata e g1i errori delle forze rivoluzionarie, di essere in grado di tener testa ai progetti guerrafondai della borghesia.
Questo già mette in luce le modificazioni avvenute (e soprattutto quelle future) dell’attività generale delle masse contro lo stato e il suo progetto di fase.
Contro la ristrutturazione dello stato per la guerra imperialista, la spontaneità proletaria si oppone nei modi in cui riesce ad esprimersi; ma questa resistenza rischia di attestarsi ad una difesa passiva e senza sbocco. Questa resistenza deve essere invece diretta a trasformarsi in senso rivoluzionario per opporsi in modo vincente alla prospettiva della guerra, sviluppando i contenuti dell’antagonismo proletario e l’attività generale delle masse, in partecipazione cosciente allo scontro imposto dalla borghesia. Si tratta quindi di dotarsi della POLITICA RIVOLUZIONARIA adeguata ad operare su tutto l’arco delle contraddizioni che i piani del nemico di classe scatenano all’interno del proletariato metropolitano, indirizzando le lotte e il combattimento proletario contro le articolazioni progettuali, nelle diverse congiunture, della borghesia e dotare i programmi del piano strategico rivoluzionario, puntando al raggiungimento dell’obiettivo politico di fase: la distruzione del progetto di ristrutturazione per la guerra imperialista con la conquista del potere politico del proletariato metropolitano.
Quest’obiettivo deve vivere e guidare fin da oggi l’attività di direzione delle lotte e del combattimento proletario, nel senso che i programmi delle varie congiunture sono legati alla conquista di rapporti di forza sempre più favorevoli al proletariato, nel percorso per tappe della liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato.
La possibilità di vittoria è legata alla capacità dell’avanguardia comunista di identificare chiaramente gli obiettivi che si intendono perseguire in rapporto ai reali e concreti livelli di coscienza e di organizzazione delle masse.
L’attacco a Giugni è per noi il primo momento del rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria che identifica il programma delle B.R. contro il cuore dello stato in questa congiuntura, come ATTACCO MULTIFORME DI TUTTO IL PROLETARIATO METROPOLITANO CONTRO IL “PATTO SOCIALE”, TAPPA FONDAMENTALE DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA PER L’ATTUAZIONE DEL SUO PROGETTO DI LIQUIDAZIONE DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA.
L’attacco portato si inserisce al livello più alto delle contraddizioni tra proletariato metropolitano e stato in questa congiuntura, e per questo costituisce un poderoso passo in avanti nella ridefinizione del rapporto tra avanguardia comunista e masse proletarie, che va nel senso della necessità di: CONQUISTARE L’ANTAGONISMO PROLETARIO AL PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO!
CONQUISTARE ED ORGANIZZARE LE AVANGUARDIE SULLA STRATEGIA DELLA LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!
L’attuale congiuntura politica internazionale è caratterizzata da una marcata accelerazione alla preparazione delle condizioni politiche e materiali per il dispiegamento della guerra interimperialistica. Est ed Ovest accelerano tale processo ristrutturando i propri apparati politici, economici, militari ed ideologici col fine dichiarato che la risoluzione dei problemi creati dall’attuale crisi possono essere risolti solo con un conflitto armato che ridisegna complessivamente il volto del mondo.
I motivi che scatenano la dinamica conflittuale tra i due blocchi imperialisti sono quelli relativi al venir meno delle condizioni della riproduzione del capitale su scala internazionale. La modificazione della posizione di ciascun paese all’interno della divisione internazionale del lavoro, i termini sempre più aspri della concorrenza in un mercato mondiale non più in grado dì espandersi, le difficoltà d’accesso alle fonti di energia e di materie prime dovute all’incrinarsi del complesso delle relazioni tra i paesi, sono le cause che condurranno la barbarie imperialista a scatenare il genocidio dei proletari, alla distruzione dì beni e mezzi di produzione, per una nuova spartizione del mondo e per un maggior sfruttamento dei popoli.
Questa tendenza, oggi dominante, non è data né da un fatale destino, né da una mente occulta che elabora piani e strategie, ma è la naturale conseguenza di scelte in materia di politica economica, finanziaria, e militare, operate dalle frazioni di capitali più forti per ritagliare la propria quota di mercato, per aumentare i profitti e per accrescere il proprio capitale a scapito di quelli più deboli. Il movimento di questi capitali, modifica e ridefinisce rispetto alle proprie esigenze, le condizioni generali di tutta la formazione economica e sociale, nonché i rapporti tra le classi, polarizzando i rispettivi interessi. Questo processo e le sue finalità, al di là delle differenze specifiche in ciascun paese, essendo informato da grandi fattori comuni trova compatta tutta la borghesia imperialista occidentale.
Ciò è dimostrato per un verso dal processo di rinsaldamento delle alleanze e dei vincoli tra paesi della stessa area e creazioni di nuove alleanze ai fini dello schieramento finale per l’altro, dal porre in essere processi di ristrutturazione degli Stati nazionali, cercando di renderli fortemente esecutivizzati e diretti da una frazione politica, che chiamiamo “Partito della guerra”, in grado di rappresentare gli interessi di classe (borghese) entro quelli più generali dì tutta l’area.
L’ipotesi di guerra tra le due maggiori superpotenze è discussa apertamente sui mass-media, accompagnata da sintomi inequivocabili d’imbarbarimento politico, come la propaganda tesa a mostrificare il nemico potenziale. Se il terreno più reclamizzato è quello delle trattative sulla riduzione degli armamenti strategici, questo è anche il meno rappresentativo dei reali rapporti in maturazione, perché teatro di continue iniziative propagandistiche, di miglioramento dell’immagine internazionale dei protagonisti. In ogni epoca tutte le dichiarazioni di guerra hanno sorpreso gli ambasciatori seduti intorno al tavolo delle trattative, o quasi!
La misura reale dei rapporti interimperialistici è data invece da un complesso di decisioni economico-politico-militari che i due blocchi imperialisti, stanno attuando, che dimostrano senza equivoci una volontà di riarmo colossale in tempi brevi. Per l’occidente, con l’avvento di Reagan, la politica estera americana punta al ripristino della supremazia USA a livello planetario, assumendosi il “carico” di difendere ed allargare i propri interessi vitali in ogni parte del mondo.
“Noi viviamo in un’epoca in cui un colpo di stato, uno sciopero di grandi dimensioni, un attentato terroristico o una guerra tra paesi vicini, anche se lontana dalle nostre frontiere, possono, come mai prima d’ora, scatenare le conseguenze su scala mondiale che colpirebbero il nostro benessere nazionale e la nostra sicurezza. È necessaria per noi un’ampia visione strategica che inserisca i problemi regionali in un quadro globale” (D. Jones capo di stato maggiore USA.)
La politica dell’amministrazione Reagan intende rilanciare la politica internazionale americana nel tentativo di recuperare tutte le sconfitte degli ultimi anni, dal Vietnam all’Angola, dal Nicaragua all’Iran.
Una politica imperialista, dunque che punta al ripristino del rapporto di forza generale USA-URSS che sia decisamente favorevole agli americani e che dissuada l’URSS da una politica d’espansione in aree pericolose per la “sicurezza” degli USA, cioè in ogni parte del mondo!
L’installazione degli euromissili nello sviluppo di questa strategia è essenziale in quanto è in Europa e nel Mediterraneo che i blocchi si confrontano direttamente. Non solo. Questa strategia vuole assumere forza ed aggressività superando il concetto di “reciproca deterrenza”, cioè l’impossibilità (non convenienza) concreta di un conflitto nucleare limitato ma diretto tra NATO e Patto di Varsavia in aree come l’Europa e il Mediterraneo. Questa politica, nell’attuale contesto di crisi determina negli USA e in Europa una situazione nuova sul piano interno ed in tutta l‘area occidentale rispetto ai decenni passati.
Se prima gli aumenti della spesa sociale marciavano parallelamente in termini crescenti (seppure con differenti volumi) a quelli delle spese militari, oggi esiste un apporto rigido tra queste due voci e la crescita dell’una va a scapito dell’altra.
Questa situazione fa sì che la politica militare, diretta dagli USA in tutta l’area occidentale, trovi l’opposizione e la resistenza di vasti movimenti di massa composti da tutti quegli strati sociali che vengono attaccati da una politica di tagli alla spesa sociale che per la sua valenza “interna” si collocano oggettivamente in termini antimperialisti così come lo sono soggettivamente i movimenti contro la guerra.
Questa politica costituisce una scelta obbligata per l’imperialismo, determinata da un contesto internazionale caratterizzato da una recessione economica generalizzata che si avvia a permanere per il terzo anno consecutivo in cui tutte le misure e controtendenze messe in atto non possono costituire altro che un freno temporaneo alla tendenza dominante.
La “gestione controllata” della recessione costituisce attualmente il “credo” della maggioranza dei paesi a capitalismo avanzato e l’aspetto fenomenico che assume il processo in atto in tutto l’occidente che chiamiamo “ristrutturazione per la guerra imperialista”. Le scelte in materia di politica economica e monetaria operate dai singoli paesi, pur essendo omogenee con gli indirizzi generali e le prospettive di fondo, sviluppano grosse contraddizioni a livello economico tra i paesi dello stesso blocco, come ad esempio in Europa, tra Europa e USA, USA e Giappone ed Europa e Giappone.
Da questo punto dì vista, l’esigenza di rafforzamento dei vincoli politico-militari non è riconducibile ad esigenze specifiche di singoli paesi, ma alla necessità del sistema imperialista nel suo complesso di superare la crisi avviandosi al confronto con il blocco avversario.
Il capitalismo allo stadio dell’imperialismo delle multinazionali, ha creato un sistema di rapporti talmente integrato che il suo sviluppo può avvenire solo accrescendo tanto le dimensioni, quanto la forza dì coesione dell’interdipendenza.
L’Italia, essendo parte organica del sistema di relazione (catena imperialista) dell’occidente, i caratteri generali delle crisi non si discostano da quelli dell’area di cui fa parte, e si identificano nella recessione produttiva, nell’inflazione, nella disoccupazione, ecc… Il carattere specifico è dato invece dalla particolare acutezza e gravità di questi fenomeni, e che portano a confermare il ruolo di “anello debole della catena imperialista”.
Il capitalismo italiano, più ancora di altri paesi, vede restringersi il ventaglio delle scelte possibili dentro un sistema di equilibri in cui il recupero di un ruolo competitivo è reso maggiormente vincolato dall’aggravarsi della crisi.
Accade così che i fattori che hanno concorso ad aggravare localmente i fenomeni critici comuni a tutto il sistema imperialista, si presentano oggi come facenti parte della fisiologia stessa della società italiana, e al tempo stesso, come i principali ostacoli al recupero “in tempo utile” della competitività commerciale.
IL PIU’ POTENTE DI QUESTI OSTACOLI È COSTITUITO OGGI DALLA CAPACITÀ DELLA CLASSE OPERAIA E DEL PROLETARIATO METROPOLITANO DI STABILIRE RAPPORTI DI FORZA GENERALI TALI DA PESARE SULLA DETERMINAZIONE DELLE SCELTE CAPITALISTICHE, PER CUI LA SCONFITTA POLITICA DELLA CLASSE DIVENTA UNO DEI PRINCIPALI OBIETTIVI DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA, INSIEME ALLA RIDEFINIZIONE DELLA FISIONOMIA SOCIALE DEL SISTEMA DEI PARTITI E DELLO STATO.
Compagni, proletari,
la strategia della lotta armata come aspetto più avanzato della politica rivoluzionaria deve saper conquistare i diversi e differenziati livelli dell’antagonismo proletario al PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO che può essere sintetizzato, come programma di tutto il proletariato metropolitano nella congiuntura; solo dentro una dialettica concreta con i movimenti di massa esistenti sul terreno della lotta antimperialista e con i contenuti delle lotte espresse dalla classe operaia.
Conquistare l’antagonismo proletario al programma rivoluzionario, vuol dire orientare e dirigere le forme e contenuti delle lotte espresse dai vari settori del proletariato metropolitano entro la strategia della conquista del POTERE POLITICO. Vuol dire riunificare e generalizzare i contenuti politici più avanzati delle lotte che accomunano le condizioni e le esigenze di tutto il proletariato contro i progetti di ristrutturazione antiproletari della borghesia. Gli interessi proletari trovano in tutta Europa lo stesso antagonista al di là delle differenze esistenti tra i movimenti che si mobilitano e i contenuti che questi agitano e che costituiscono un complesso d’antagonismo proletario che investe non solo le scelte che l’imperialismo sta facendo, ma la stessa sostanza dell’organizzazione capitalistica del lavoro e della società.
Va affermandosi la consapevolezza, nel proletariato, che al di là di ogni possibile soluzione la borghesia possa escogitare per far fronte alla crisi, il suo futuro entro questo modo di produzione non può non essere che di maggior sfruttamento e miseria a fronte, paradossalmente, di uno sviluppo della ricchezza sociale disponibile solo a settori di classe sempre più ristretti. Le prospettive sono abbastanza chiare: cicli produttivi sempre più automatizzati che riducono l’occupazione, aumento dello sfruttamento della forza-lavoro rimasta occupata ecc., tutto ciò in funzione di una riduzione dei costi di produzione delle merci per favorire la quota d’esportazione verso mercati esterni, ad un grado direttamente proporzionale all’immiserimento delle condizioni di vita delle masse proletarie interne.
L’antagonismo che questa consapevolezza sviluppa nel proletariato metropolitano, va sintetizzato nei suoi aspetti politici più avanzati in programma rivoluzionario dalle avanguardie comuniste e organizzato e diretto in scontro politico per il potere.
Entro questo processo va ricercata la riunificazione delle avanguardie attorno al progetto politico rivoluzionario e sue forme organizzative (sistema di potere proletario armato) che diriga lo scontro di classe costruendo una progettualità rivoluzionaria in grado di porre in ogni fase le direttrici e gli obiettivi da conseguire per conquistare il potere politico, instaurare la dittatura operaia e proletaria come condizione per il dispiegamento della Transizione al Comunismo.
Il modo di porsi del progetto della Lotta Armata entro la Politica Rivoluzionaria condotta da milioni di proletari, oggi si ridefinisce ponendo al centro della sua teoria-prassi i contenuti politici più avanzati e generalizzati come espressione degli interessi generali del proletariato metropolitano che nella congiuntura trovano il massimo di collisione con progetti di ristrutturazione posti in atto dal “partito della guerra”.
Ciò permetterà di costruire le condizioni politiche e i rapporti di forza favorevoli al proletariato metropolitano per affrontare i problemi dell’attacco controrivoluzionario non solo dal punto di vista delle avanguardie combattenti, ma di tutta la classe.
Tutte le pratiche rivoluzionarie condotte dalle avanguardie che vengono informate da questi presupposti politici, pensiamo che costituiscano reali punti di riferimento per la costruzione del PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE in quanto, non esprimono semplicemente una “espressione”, “rappresentanza” degli interessi del proletariato metropolitano, ma una sua componente di avanguardia ad esso interna posta sotto la sua costante critica e verifica, attraverso la cui direzione il proletariato metropolitano può e deve costituirsi come CLASSE DOMINANTE.
Compagni,
le difficoltà, gli errori e le deviazioni nel movimento rivoluzionario, hanno messo in luce accanto all’enorme possibilità di rilancio della proposta rivoluzionaria nel nostro paese, anche tutta la sua debolezza.
L’attacco della borghesia alle avanguardie combattenti, la messa in atto dei piani controrivoluzionari della dissociazione e della resa, il tentativo di isolare i comunisti dal movimento di classe, ha costretto anche i più restii a riflettere sugli errori commessi che tanto hanno favorito i progetti del nemico.
Oggi pilotate e amplificate dai mass-media, si assiste alle più svariate prese di posizione che sotto l’etichetta di “processo autocritico” puntano alla proclamazione del fallimento della Strategia della Lotta Armata magari per bocca di qualche “illustre protagonista”. Al di là delle differenze di impostazioni evidenziatesi, che sono terreno di dibattito e battaglia politica tra rivoluzionari, ci interessa chiarire che le autocritiche di cui sono capaci i comunisti sono tutt’altra cosa delle teorizzazioni che nulla hanno a che fare con i reali problemi del movimento rivoluzionario.
Chi oggi, nascondendosi dietro eleganti elucubrazioni sulle novità dello scontro, rinnega la funzione dell’arma della politica rivoluzionaria, la necessità della costruzione del partito, la strategia della Lotta Armata per il comunismo come unica politica proletaria per la conquista del potere politico, rappresenta il puntello teorico più pericoloso alla liquidazione del patrimonio più prezioso di questi ultimi anni, che pur tra incertezze ed errori, ha potentemente favorito la maturazione del movimento proletario più forte d’Europa.
Intendiamo dire che i difficili compiti di questa fase lasciano poco spazio ad una convivenza pacifica tra le diverse posizioni che sono maturate nei movimento rivoluzionario.
Occorre oggi portare a fondo una battaglia politica che sia in grado di sconfiggere politicamente dentro il proletariato metropolitano tutta l’influenza nefasta di tesi che puntano coscientemente alla liquidazione di oltre un decennio di progettualità rivoluzionaria nel nostro paese.
Non si tratta più di convivere con i teorici dell’antimarxismo viscerale, con chi ripercorre la stratificazione di classe esaltandone i comportamenti trasgressivi di gruppo o addirittura individuali, con le analisi di stampo sociologico in cui sparisce ogni carattere di classe; ma capire a fondo tutta l’influenza disgregatrice che hanno nei confronti del proletariato metropolitano, denunciarne l’ultra soggettivismo insito in dichiarazioni di guerra a cui la classe non sta partecipando e i vagheggiamenti radical-chic di chi, a seconda del vento che tira, fa e disfà progetti politici a sua immagine e somiglianza.
La durezza delle condizioni dello scontro oggi mette a nudo le discriminanti politiche tra chi sta lavorando alla riconquista di un impianto strategico adeguato alla fase e chi consapevolmente punta alla distruzione di ogni capacità proletaria di organizzarsi come classe contro lo stato. Contro ogni ipotesi, più o meno mascherata di trovare la causa di tutti i mali nell’aver lottato e combattuto in questi anni, guidati dalle armi del marxismo-leninismo, si erge potente una ripresa del movimento rivoluzionarlo che, materialisticamente e fuori dall’idealismo dell’ultra-soggettivismo, si sta ponendo ben altri problemi: esattamente quelli relativi alla costruzione della teoria rivoluzionaria nelle metropoli imperialiste e degli strumenti politici, teorici, e militari adatti a sostenere una guerra di classe contro la borghesia imperialista.
È in riferimento a queste forze che le BR hanno lavorato in quest’anno nelle proposte dell’autocritica e della ricostruzione dei primi elementi di programma politico.
È con queste forze che intendiamo trovare gli elementi d’unità sul piano strategico dell’attacco al progetto dominante della borghesia, come espressione della capacità di direzione del movimento antagonista secondo i criteri dell’agire da partito per costruire il partito.
In questo lavoro politico, non ultimo è il problema di combattere accanto alle tesi apertamente di resa della piccola borghesia impaurita di non trovarsi più in cattedra, anche tutto il coacervo di tesi e di posizioni ultrarivoluzionarie a parole che, alle prime avvisaglie dell’indurimento dello scontro, hanno già dimostrato tutta l’inconsistenza e l’erroneità.
Se il movimento di classe in Italia ha dovuto assistere fin dentro la Banca di Torino al fallimento dei fautori dell’offensiva a tutti i costi, questo ha messo in luce l’estraneità dei soggettivismo trasgressivo ai reali problemi dello scontro tra le classi.
Al contrario pensiamo che la ripresa del movimento rivoluzionario e la possibilità di vittoria siano legate alla capacità dei Comunisti di avviare un percorso di confronto e di battaglia politica che, pur nelle diversità, punti alla rivisitazione critica dei limiti di analisi che ci hanno caratterizzato in questi ultimi anni. Gli errori commessi nel valutare le forme e i contenuti delle lotte espresse da grandi masse sul terreno del nucleare, della guerra, della politica economica di guerra; la sottovalutazione dell’elemento cosciente e un rapporto sbagliato con la classe, ha fatto dipingere questi movimenti come sul punto di scendere sul terreno della lotta armata ed ha ridotto la politica rivoluzionaria da una parte alla proposta armata, dall’altra ad “inascoltati” appelli alle masse ad organizzarsi immediatamente sul terreno politico-militare.
Ciò che ha favorito errori di questo tipo va ricercato nella carenza di progettualità, di programma, di teoria rivoluzionaria che sintetizzi in ogni congiuntura i passaggi necessari da operare e gli obiettivi da realizzare che i contenuti delle lotte operaie e proletarie, ovvero i rapporti di forza, rendono possibile.
Va aggiunto che in mancanza di ciò, ne deriva inevitabilmente una dispersione dell‘iniziativa combattente che non polarizzandosi attorno all’elemento centrale del programma nella congiuntura, si frammenta e ripiega su se stessa endemizzando lo scontro a livello puramente militare con la controrivoluzione, fino alla sua sconfitta.
L’autocritica deve servire a rafforzare la strategia della lotta armata per il Comunismo epurando dall’impianto rivoluzionario tutte le impostazioni soggettiviste che ci hanno fatto perdere di vista le reali condizioni dello scontro e ci hanno impedito di collocare la nostra iniziativa in un rapporto corretto col movimento antagonista, che pur lanciava messaggi significativi sul terreno rivoluzionario. Aver ridotto le indicazioni d’avanguardia al solo terreno di combattimento, dando già per scontata l’esistenza di un sistema di potere armato dispiegato sul terreno della guerra di classe, ci ha impedito di cogliere i reali contenuti di potere espressi da ben più ampie espressioni dell’antagonismo proletario contro i progetti della borghesia imperialista. Questo ha significato l’esclusione dell’attività generale delle masse dai nostri programmi riducendo le nostre capacità propositive al ristretto ambito delle avanguardie.
L’errore non sta nell’aver voluto agire da partito, ma esattamente il suo opposto: nel non aver saputo materializzare la funzione di direzione che un partito rivoluzionario deve esercitare nei confronti delle lotte e del combattimento di milioni di proletari sul terreno della trasformazione rivoluzionaria della società. Questa funzione non è sempre uguale a se stessa ma deve trasformarsi a seconda delle diverse tappe del percorso rivoluzionario.
Non aver compreso i nuovi compiti di direzione alla chiusura della fase della propaganda armata, aver continuato a riferirci e livelli d’avanguardie, vagheggiando un movimento di massa rivoluzionario sorto spontaneamente dalla crisi del modo di produzione capitalistico che bastava indirizzare contro gangli periferici del dominio capitalistico, non solo ci ha separato politicamente dal movimento di classe, ma soprattutto ci ha relegato a sua retroguardia.
L’assolutizzazione della forma del combattimento ci ha portato a disarmare politicamente la nostra proposta politica ed a non mettere al centro della possibilità di trasformazione rivoluzionaria la complessità di livelli e diversità di contenuti del movimento antagonista, da orientare sul piano della partecipazione cosciente delle masse organizzate contro la borghesia imperialista e il suo stato.
In questo senso i nostri programmi hanno assunto o il carattere idealistico di ogni Comunismo alluso o quello economicista e praticone delle conquiste immediate di tutti quei bisogni definiti “irriducibilmente inconciliabili” con l’esigenza dell’accumulazione capitalistica.
Viene così teorizzata l’irrecuperabilità delle lotte contro la ristrutturazione senza mai entrare nel merito dei contenuti e delle forme in cui tali lotte si esprimono, che sono gli elementi che consentono di approssimare punti di programma e linea politica-rivoluzionaria. Questa presunta “irrecuperabilità” è la base su cui si è costruito tutto il barocco edificio del “sistema dei programmi” con la conseguente frammentazione della pratica politico-militare.
Secondo noi si dà scontro di potere quando gli interessi generali della classe entrano in contrasto non mediabile con gli interessi della borghesia, ed intorno a questi interessi generali della classe, entrati in contrasto non mediabile, si mobilita un movimento di classe di vaste proporzioni, costituito dalla lotta di milioni di proletari su obiettivi che, in quanto generali, comuni a tutta la classe, sono politici perché antagonizzano ai padroni ed allo stato una massa di proletari che tendono oggettivamente (ed a livelli diversi, anche soggettivamente) a fare come classe “per sé”, come classe cosciente.
Ma anche questo movimento antagonista, che già tende ad uscire fuori dalla capacità di controllo sindacale e revisionista, non è di per sé “irrecuperabile” ma costituisce unicamente la base reale su cui può svilupparsi un processo di organizzazione rivoluzionario della classe.
Passaggio questo non scontato, che non è un “portato oggettivo dell’accentuarsi della crisi” ma percorso cosciente di massa che scaturisce dalla dialettica tra movimento antagonista ed avanguardie rivoluzionarie.
Il concetto stesso di “irrecuperabilità” è frutto dell’idealismo dato che l’esperienza storica insegna che l’unica cosa irrecuperabile per la borghesia è la perdita del potere politico e l’edificazione della società comunista.
Il programma nasce dunque dallo scontro tra l’attività generale delle masse ed il progetto dominante della borghesia.
È QUINDI PROGRAMMA DI TUTTO IL PROLETARIATO METROPOLITANO.
Il Partito deve leggere i contenuti generali che percorrono in modo diversificato tutti i settori della classe, deve analizzare le possibili tappe che lo scontro può percorrere e raggiungere nella direzione dello sviluppo del processo rivoluzionario in una direzione: LA CONQUISTA DEL POTERE POLITICO.
La generalizzazione dei contenuti più avanzati, il miglioramento del livello di organizzazione e delle forme di lotta, la sempre più chiara identificazione del nemico principale da abbattere, sono la concretizzazione della politica rivoluzionaria come attività complessa ed articolata del SISTEMA DI POTERE PROLETARIO ARMATO IN COSTRUZIONE, che deve trovare nelle diverse congiunture il Partito, e gli organismi rivoluzionari delle masse in grado di identificare correttamente i compiti sempre nuovi, nella diversità degli obiettivi da raggiungere in relazione al reale livello di coscienza ed organizzazione delle masse.
In questo senso il programma, nato dai livelli di massima concentrazione dello scontro tra le classi e sintetizzato dal Partito, deve ritornare come piano unitario nelle lotte, nella mobilitazione e nel combattimento di tutto il proletariato metropolitano, contro tutte le articolazioni progettuali del nemico nelle diverse congiunture.
Questo programma, in dialettica con i bisogni immediati ma soprattutto con quelli generali del proletariato metropolitano, si dà dentro le leggi della guerra: non c’è conquista permanente da parte del proletariato metropolitano, c’è però la possibilità di conquistare non questo o quel bisogno, ma TUTTO IL PROPRIO DESTINO!!
GUERRA AL “PATTO SOCIALE”, ARTICOLAZIONE CONGIUNTURALE DEL PROGETTO DI ANNIENTAMENTO DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA DEL PROLETARIATO METROPOLITANO!
GUERRA ALLA GUERRA IMPERIALISTA! GUERRA ALLA NATO!
GUERRA AL “PARTITO DELLA GUERRA”!
SVILUPPARE L’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO CONTRO LE SCELTE DI GUERRA DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA!
COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE!
COSTRUIRE IL SISTEMA DI POTERE PROLETARIO ARMATO PER LA CONQUISTA DEL POTERE POLITICO!
LIQUIDARE I PROGETTI DELLA RESA E DELLA DISSOCIAZIONE DALLA LOTTA DI CLASSE!
BATTERE LE LINEE SBAGLIATE NEL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO!
ONORE A UMBERTO CATABIANI “ANDREA” E A TUTTI I COMPAGNI CADUTI COMBATTENDO PER IL COMUNISMO!
Maggio 1983
Per il Comunismo
BRIGATE ROSSE
per la costruzione del P.C.C.
Un pensiero su “Volantino rivendicazione azione contro Gino Giugni”