La lotta dei prigionieri politici del PCE(r) e dei GRAPO è un esempio per tutti i prigionieri comunisti e rivoluzionari nelle carceri dell’Europa Occidentale.
- Il 25 maggio scorso a Madrid è morto il compagno José Manuel Martin, militante prigioniero dei GRAPO. È caduto al 6° mese di sciopero della fame per ottenere il raggruppamento. È morto ucciso dall’alimentazione forzata con cui lo Stato spagnolo vuole stroncare la resistenza collettiva dei prigionieri. Le compagne e i compagni che con lui hanno iniziato questa lotta durissima stanno andando avanti. Sono 58 i prigionieri dei GRAPO, del PCE(r) e libertari che dal novembre ’89 lottano contro la politica della “dispersione” adottata dallo Stato per attaccarli. Dividendoli in 56 carceri sparse in tutto il territorio nazionale e coloniale, il governo Gonzales e i carcerieri della Istitución Penitenciaria erano sicuri di aver creato le condizioni per ottenere un arretramento della militanza, della forza e della coscienza politica dei compagni.
Davanti alla compattezza della loro lotta e alla mobilitazione che essa ha suscitato nel movimento di classe in Spagna e in tutta Europa, a febbraio Gonzales in prima persona ha risolto la contraddizione creata dalla Magistratura di Sorveglianza sul passaggio all’alimentazione forzata. L’esecutivo spagnolo ha imposto la “soluzione coma”, cioè l’alimentazione forzata usata in modo da indurre nei prigionieri uno stato comatoso che li elimini lentamente. Con la “dispersione”, il diktat che si voleva imporre ai prigionieri era: «o carcerazione normalizzata o isolamento»; adesso invece il diktat è «o arresi o morti»!
- La lotta dei compagni spagnoli è politicamente centrale per la situazione dei prigionieri rivoluzionari in tutta Europa. La loro è, sostanzialmente, la nostra lotta, al di là delle specifiche differenze di condizioni, valutazioni o indirizzo politico. La politica infame che li vuole “morti o arresi” è direttamente influenzata da una concertazione e decisione tra gli Stati europei con cui tutti facciamo i conti. Le motivazioni che guidano l’iniziativa contro i compagni spagnoli non sono dissimili da quelle che spingono i governi in Francia e RFT. E sono le stesse che hanno portato all’attacco delle guardie contro i compagni del Blocco B di Novara.
I governi europei oppongono rigidamente la ragione terroristica della “sicurezza di Stato” a qualsiasi attività ed espansione politica dei prigionieri della guerriglia che non possa essere gestita sul terreno della “riconciliazione con lo Stato”. Condizioni di vita, di socialità e di comunicazione che sono minima cosa rispetto agli spazi di libertà concessi a piene mani a tutti i prigionieri che attaccano la lotta armata, suscitano invece uno scontro violentissimo se riguardano compagni che mantengono la loro identità rivoluzionaria. La parola d’ordine imperialista è: «Abolire i prigionieri rivoluzionari come fattore politico». Solamente doverne giustificare l’esistenza come soggetti attivi dopo anni e anni di isolamento, di uccisioni e pestaggi, di soluzioni politiche, è già ammettere una contraddizione irrisolta per i governi. Ancor più inaccettabile è la lotta collettiva perché rilanciando le ragioni generali della lotta per il comunismo nelle metropoli, amplifica un dato che nessuna propaganda borghese riesce a far sparire completamente: le società europee non sono pacificate, ma la crisi che le attraversa è ancora profonda, la rivoluzione proletaria è sempre il nemico politico principale.
Lo scontro nelle carceri è tutto politico e ha come oggetto l’identità collettiva e comunista dei prigionieri!
- Gli Stati europei si avvalgono di politiche e strumenti comunemente elaborati per ottenere con ogni mezzo la frantumazione dei collettivi dei prigionieri rivoluzionari. È un obiettivo che rientra nella necessità di controllo delle specifiche situazioni nazionali e che ha, allo stesso tempo, un peso non marginale in vista del salto all’integrazione politica ed economica verso cui preme la grande borghesia industriale e finanziaria europea. La linea principale di intervento contro i prigionieri elaborata negli organismi di coordinamento continentale della counterinsurgency è quella del condizionamento progressivo. Del logoramento attraverso una pressione continua esercitata con l’uso flessibile dell’isolamento, così da impedire qualsiasi pratica politica e piegare l’identità comunista. È questa linea che informa in specifiche modalità il trattamento dei prigionieri rivoluzionari in Francia, in RFT, in Spagna, in Belgio… Ed è sempre essa che regola in ogni loro variegata sfumatura qui in Italia le sezioni speciali per piccoli gruppi di Novara, di Cuneo, di Trani, di Ascoli, nonché quella di Latina per le compagne; ed anche la prigionia dei combattenti arabi e palestinesi. In sua funzione il blitz di Novara, o le minacce e provocazioni contro singoli compagni, o il controllo diretto esercitato dai servizi di sicurezza (attraverso l’ufficio V del Ministero di Grazia e Giustizia) sulla corrispondenza e sui colloqui. Una linea generale che si traduce in un obiettivo più immediato: i prigionieri non devono svolgere alcun ruolo attivo nello scontro rivoluzionario in Europa. I vari “specialisti della sicurezza” hanno da tempo raggiunto la convinzione che “staccare la spina” ai prigionieri sia molto utile per contrastare il rafforzamento e l’evoluzione unitaria delle lotte rivoluzionarie in Europa. Ai primi di dicembre ’89 in RFT, alla riunione dell’“Immenauschuss” (Commissione Interni, comitato cui partecipano i ministri di Interno e giustizia, funzionari ed esperti di sicurezza dei diversi partiti), subito dopo l’azione della RAF contro Herrhausen il ministro degli interni rimarcò l’influenza sicuramente avuta dai prigionieri e quindi la necessità di ulteriori misure per limitarne l’attività politica, non mancando di inquadrare nel suo mirino quei prigionieri che dall’Italia discutono coi prigionieri tedeschi. Del resto, già nell’85/86 la Procura Federale aveva incriminato per “Associazione Terroristica Internazionale” i prigionieri spagnoli che avevano solidarizzato con lo sciopero della fame dei prigionieri RAF e Resistenza. Nei mesi scorsi a più riprese le compagne e i compagni prigionieri della RAF sono stati ulteriormente isolati per non “essersi dissociati dall’azione contro Herrhausen”; la loro comunicazione con l’esterno bloccata per aver lottato a fianco dei prigionieri spagnoli. Lo Stato tedesco con il suo consolidato apparato controrivoluzionario si pone sempre alla guida nell’iniziativa contro i prigionieri nei paesi europei; come tutti sanno è sua la matrice della “soluzione coma” contro i prigionieri che lottano con lo sciopero della fame.
Lottare uniti per obiettivi di fondo comuni è un passo che è davanti a tutti i prigionieri che in Europa non vogliono far passare la loro identità nel tritacarne del “reinserimento nella società borghese”.
L’azzeramento della attività ed identità politica dei prigionieri è un obiettivo importante per i governi europei e non si può pensare di contrastarlo su un terreno di iniziativa parziale. Meno che mai ci si può illudere di aggirarlo non sviluppando iniziative.
Bisogna invece riflettere seriamente sui significati che sta acquistando oggi, in questa fase storica, la questione dei prigionieri della guerriglia.
L’interesse che spinge l’azione degli apparati controrivoluzionari ha travalicato i dispositivi antiguerriglia di attacco immediato a specifiche organizzazioni con l’uso dei prigionieri come ostaggi, nel senso che non c’è più solo questo. L’attacco alla soggettività politica dei prigionieri assume una valenza più ampia se inquadrato dentro l’opera di lobotomia della prospettiva comunista e antimperialista che la borghesia multinazionale sta perseguendo come elemento essenziale di governo della crisi del suo sistema politico e economico.
Nelle carceri dei paesi del “Blocco Europeo” ci sono centinaia di militanti che “coprono” tutto l’arco delle esperienze rivoluzionarie ed antimperialiste di questi venti anni. Della guerriglia per il comunismo e dei movimenti di liberazione di tutta l’area europea e mediterranea.
È la prospettiva che essi, nel loro insieme hanno aperto, la nostra posta in gioco.
La sua continuità è il cuore dello scontro.
Le campagne di guerra psicologica in cui l’anticomunismo storico si integra volutamente col modello “lotta al terrorismo internazionale” hanno un carattere preventivo. Perché esse puntano ad impedire che la continuità della lotta rivoluzionaria si saldi ai conflitti che le necessità di ridispiegamento imperialista fanno nascere in tutta Europa come nel tricontinente del Sud. In questo c’è la ragione e la condizione dell’accentuato accanimento e della scientificità con cui i vari apparati si stanno dedicando al logoramento dei prigionieri militanti.
Il blocco europeo in formazione stringe i tempi su tutti i piani e si sente già così forte da tirare fuori la sua faccia totalitaria antiproletaria e razzista, e da proiettarla a livello planetario.
La percezione di questa qualità di scontro a livello europeo, nel movimento si é manifestata nella continuità con cui la solidarietà coi prigionieri si é tradotta in iniziative politicamente centrate di contenuto antimperialista e internazionalista.
A fianco dei compagni della RAF e Resistenza, dei compagni di AD, oggi dei compagni spagnoli, in Danimarca, Spagna, Olanda, RFT, Belgio e Svizzera, Grecia e in parte anche in Italia, azioni offensive e mobilitazioni di massa hanno espresso la consapevolezza che sconfiggere le politiche di isolamento non si determina come “difesa” da episodi di repressione, ma interamente dentro (come parte importante) l’avanzamento come prospettiva strategica di lotta del proletariato internazionale contro il capitalismo e il suo sviluppo distruttivo.
Un movimento e una coscienza che vanno rafforzati.
Per questo nella nostra solidarietà ai compagni dei GRAPO, e ieri ai compagni di AD e RAF, c’è anche questa determinazione politica: che l’unità tra i prigionieri sia un contributo affinché aumentino i momenti e i terreni di unità tra i rivoluzionari in Europa.
- La necessità di guardare al processo rivoluzionario con un’ottica sempre più continentale e mediterranea, come parte di uno scontro mondiale, non nasce oggi e non nasce certo attorno alla lotta dei prigionieri.
In questo decennio le organizzazioni che hanno contribuito alla proposta del Fronte hanno concretamente già posto le basi affinché questo importante sviluppo si traduca in coscienza e prassi rivoluzionaria stabile.
È attorno a queste basi che si sono moltiplicate le esperienze perché è maturata la valutazione che i principali problemi di prospettiva rivoluzionaria, sono comuni a tutti. Non solo, ma che la loro qualità richiede che essi siano affrontati insieme!
La lotta rivoluzionaria per il comunismo a tutti i livelli in cui si esprime deve puntare ad un concentramento di prospettiva comune.
Oggi poi, gli sviluppi susseguitisi in campo rivoluzionario si trovano a misurarsi con gli innumerevoli cambiamenti economici e politici, venuti a compimento nel sistema capitalistico, nella sua configurazione ormai pienamente mondiale; perché essi premono sui rapporti di potere nelle singole nazioni e nello scontro mondiale.
Una situazione complessa all’interno della quale l’avanzamento della prospettiva comunista ed antimperialista deve alimentarsi di un confronto ad ampio raggio che non esclude nessuna soggettività rivoluzionaria esistente, compresi i collettivi dei prigionieri militanti.
Il capitalismo USA-EUR-GIAP pretende di celebrare chissà quali trionfi planetari, mentre mai come ora è indebolito da fenomeni disgregativi. Quelli che spaccia per successi sono il prodotto spesso inevitabile di una lunga e insuperata crisi globale del sistema che ha il suo vorticoso “buco nero” negli USA che vedono incrinata la loro centralità sul piano economico e politico.
Se è già dalla fine dell’800 che si può parlare di mercato mondiale capitalistico oggi ciò ha un significato pieno. Un significato che riflette l’accelerazione nei processi di integrazione geografica (regionale e mondiale), produttiva, finanziaria e politica, nell’economia capitalistica avutasi in questi venti anni!
Processi che si portano dentro evidenti trasformazioni qualitative su tutti i piani della formazione sociale, ma che non hanno risolto le principali contraddizioni della crisi apertasi nei primi anni ’70.
Al contrario, l’insieme delle risposte imperialiste alla crisi comincia a generarne di nuove riversandosi sui rapporti sociali, sullo spazio territoriale che di questo è prodotto e luogo, in modo ancor più distruttivo.
A livello planetario come nel singolo territorio per le classi dominanti è sempre più difficile governare le contraddizioni economiche, politiche, sociali che i loro stessi interessi contribuiscono ad esasperare. La realtà della interdipendenza nel mercato mondiale (il fatto che nessuna economia possa starne fuori, qualsiasi sia il suo grado di sviluppo) su cui la borghesia imperialista ha fondato il potere di non far precipitare la crisi, riversandone i costi maggiori verso i continenti del sud e recentemente verso l’est, oltre che sul proletariato dei paesi del centro, comincia ad agire come centro moltiplicatore delle contraddizioni.
La qualità politica attraverso cui l’imperialismo dei paesi forti impone al proletariato i suoi interessi a livello globale e di singolo territorio è la stessa. Questo è un elemento determinante che permette ai rivoluzionari di lottare oggi con una visione unitaria dello scontro. Di affermare una strategia complessiva e non parziale attorno a cui ricomporre le diverse spinte rivoluzionarie in una fase di così veloci cambiamenti.
Lo scontro rivoluzione/imperialismo, da tempo non può più seguire i confini Est/Ovest e traccia invece nuove discriminanti e nuove unità a livello mondiale. Oggi le necessità di stretta integrazione, divenute dominanti in molti paesi che sono stati “socialisti” o di “democrazia popolare”, agiscono in senso controrivoluzionario. Le linee di costruzione della soggettività proletaria e comunista in questa dimensione storica, hanno, nell’affermazione del terreno di connessione strategica tra lotta anticapitalista e lotta antimperialista nelle metropoli europee e in quelle del Tricontinente, uno dei tracciati centrali.
Qui in Europa abbiamo davanti a noi il processo di strutturazione del Mercato Unico e dell’unità politica tra gli Stati. Il cosiddetto “Blocco Europeo”. Un processo che, visto nell’ampiezza delle sue determinazioni politiche e per i riflessi che ha per il proletariato in Europa, nel Mediterraneo e nel Sud del mondo, sintetizza l’insieme delle risposte imperialiste alla crisi e ne costituisce uno dei punti di svolta. Un processo che condizionerà sempre di più la lotta di classe in ogni paese e su cui si misureranno le possibilità di sviluppo rivoluzionario.
- In tutte le sezioni speciali in cui sono tenuti in isolamento per piccoli gruppi i prigionieri comunisti in Italia, c’è stata in febbraio un’iniziativa collettiva di lotta, attuata dalla maggioranza di essi contro l’attacco delle guardie ai compagni del Blocco B di Novara di fine gennaio.
Più recentemente in molti ci siamo attivati a fianco della lotta dei prigionieri spagnoli.
L’attacco ai compagni di Novara ha chiarito una volta di più che la politica dello Stato contro i prigionieri non è un “residuo emergenziale”. Essa persegue sempre i suoi obiettivi distruttivi. Lo staff di esperti e di carabinieri installati al Ministero di Giustizia, che sovrintendono concretamente al trattamento dei prigionieri, utilizza tutti i dispositivi e tutti i metodi più o meno scientifici sperimentati in questi anni, in funzione della situazione politica di oggi. Bisogna valutare le forme attuali di applicazione dell’isolamento rispetto ai suoi obiettivi. Cioè azzerare progressivamente i livelli di vita e organizzazione collettiva mantenuti dai prigionieri in anni di lotta, per impedire che essi siano parte attiva del movimento: individualizzare e spoliticizzare. Più in generale, differenziare e tenere sotto pressione tutti quei prigionieri, comunisti e no, che non rientrano nei meccanismi della cosiddetta “risocializzazione”. Questo è un dato inconfutabile che pone una volta di più la necessità politica di collocare stabilmente la resistenza dei prigionieri nella lotta rivoluzionaria di questo paese.
La mobilitazione che c’è stata in vari poli metropolitani di gruppi di compagni e situazioni di lotta a fianco dei prigionieri di Novara e oggi in sostegno dei compagni spagnoli, segna un passaggio importante.
Nella maggior parte di questi momenti di mobilitazione è emersa la consapevolezza che la situazione e la lotta dei prigionieri in Europa va affrontata nel suo insieme. Separare le diverse situazioni significherebbe ridurle ad una parzialità senza sbocco. Solo nel quadro generale di avanzamento della prospettiva rivoluzionaria in Europa e nel Mediterraneo si sblocca realmente la politica di annientamento contro i prigionieri.
Qui in Italia, il movimento rivoluzionario si scontra con la volontà dello Stato di stabilire un rapporto di forze schiacciante contro ogni lotta proletaria accerchiandola, depotenziandola, tagliando le gambe a qualsiasi sviluppo. Le campagne d’ordine di Gava, Andreotti e Craxi proteggono i margini di profitto e la rifondazione istituzionale indispensabile alla grande borghesia italiana per competere nella unificazione europea. Segnando comunque una forte involuzione della realtà italiana comune a quella di tutte le società metropolitane.
Nessuna semplificazione è possibile.
I compagni prigionieri e i collettivi rivoluzionari che hanno la consapevolezza che la situazione attuale nelle carceri non è di “equilibrio”, ma di iniziativa dello Stato per ottenere un arretramento della soggettività dei prigionieri, devono individuare insieme i passaggi per ottenere un mutamento.
Prima di ciò bisogna stabilire con chiarezza il terreno politico su cui è possibile realisticamente contrastare la politica statale e ricomporre la necessaria dialettica tra i prigionieri rivoluzionari e le molteplici soggettività dell’autonomia di classe.
È l’esperienza concreta che evidenzia quale è questo terreno: affrontare le diverse situazioni di isolamento imposte dagli Stati europei nel loro insieme e nel significato che assumono dentro la formazione del blocco imperialista europeo, come lotta unitaria dei prigionieri e del movimento rivoluzionario in Europa.
In questa dimensione e qualità può vivere tutto lo spessore della lotta per il comunismo nella metropoli: l’unità internazionalista per una prospettiva rivoluzionaria comune.
Abbracciamo i compagni prigionieri in Spagna, in Francia, in RFT e sosterremo la loro lotta per il raggruppamento.
José Manuel Sevillano Martin è nel nostro cuore e nella nostra rabbia.
Lottare insieme
Alcuni compagni del carcere di Trani
Giugno 1990