Come militanti delle Brigate Rosse per la costruzione dei Partito Comunista Combattente e militanti rivoluzionari prigionieri ci rapportiamo a questo processo istruito per “apologia sovversiva” dopo il 1999, nella coscienza che l’incriminazione della nostra identità politica è aspetto secondario e strumentale alla funzione che viene assegnata anche a questa “corte monocratica”, quella di essere parte della “stagione processuale” allestita dallo Stato per affidarle, a ridosso delle operazioni antiguerriglia del 2003, un piano di attacco politico al ruolo di direzione che le BR‑PCC svolgono nello scontro nel quadro dell’attività rivoluzionaria che hanno rilanciato per modificare i rapporti di forza a favore del proletariato.
Questo è il piano ricercato dallo Stato a cui ci rapportiamo soggettivamente riqualificando il profilo politico della militanza affinché sia aderente alla ridefinizione dello scontro di classe generale determinato dal rilancio della strategia della LA e forti di come ha spostato la contraddizione rivoluzione/controrivoluzione per parte rivoluzionaria.
D’altra parte, nel lungo corso del nostro processo rivoluzionario lo Stato ha fatto uso di molte stagioni processuali allestite nei momenti politici ad esso più congeniali spesso correlate alla necessità di massimizzare i vantaggi militari ottenuti con le catture e la dispersione delle strutture politico‑organizzative dell’Organizzazione, per gestire i prigionieri nelle aule di tribunale, nell’intento di ricercare un risultato politico da riversare nello scontro rivoluzionario e di classe. Un uso degli ostaggi che rientra nello specifico terreno antiguerriglia praticato dallo Stato, e che fa dei processi una cassa di risonanza volta a propagandare un messaggio di fondo: chi milita nella lotta armata è soggetto esterno alla realtà politico‑sociale del proletariato, tutt’al più bande male in arnese di scarsa affidabilità visto che si fanno catturare, e questo per presentare come impraticabile la strategia proletaria per la conquista dei potere politico e la sua estraneità alle dinamiche dello scontro (i brigatisti sono sempre “infiltrati”, nelle fabbriche, nei sindacati…).
Tentativi propagandistici tanto velleitari quanto inconsistenti se relazionati all’adeguatezza storica della strategia della LA a misurarsi con le forme di dominio della BI, e soprattutto irrealistici in ragione del radicamento della proposta rivoluzionaria nello scontro di classe, prodotto della giustezza verificata dalla prassi della progettualità definita in rapporto alle peculiarità storico politiche dello scontro di classe in Italia, che ha potuto dare risposta ai bisogni politici dell’autonomia proletaria in ogni fase dello scontro, un’internità politica su cui si è affermata la centralità delle BR nella storia dello scontro di potere tra le classi nel nostro paese.
Ma più in generale ciò che lo Stato vuole negare è che dalla classe subalterna sia sorta e sorga la soggettività rivoluzionaria di classe storicamente affermatasi come BR, che combatte lo Stato e l’imperialismo per trasformare i rapporti di forza e con essi affermare l’autonomia politica proletaria per abbattere lo Stato e conquistare il potere politico, per costruire una società comunista. Dev’essere negato cioè che dallo scontro le migliori avanguardie del proletariato possano, in un processo per salti e rotture, emanciparsi a avanguardie comuniste combattenti, com’è dimostrato dall’apporto che deriva dalla classe nella riproducibìlità, ricambio e selezione delle avanguardie rivoluzionarie che prendono posto nello scontro rivoluzionario contribuendo alla sua prosecuzione e alla costruzione del Partito Comunista Combattente.
L’attualità storica dimostra altresì l’inconsistenza di questi inscenamenti processuali e l’aleatorietà degli scopi politici ricercati perché a stabilire ciò che fa testo nella realtà politico‑sociale del paese non è la rappresentazione giudiziaria in cui lo Stato vorrebbe costringerla, ma ciò che avviene fuori da queste aule: a fare testo è l’andamento concreto dello scontro rivoluzionario e di classe nel quale da oltre trent’anni si confrontano la strategia della LA proposta dalle BR alla classe quale risvolto proletario alla crisi e al dominio della BI e la risposta controrivoluzionaria e antiproletaria che lo Stato e la BI attuano per contrastarne l’esistenza e preservare il sistema di potere borghese. E’ questo il nodo che decide dei rapporti di forza e politici tra le classi nella dinamica generale di scontro e con cui lo Stato si è ritrovato a fare i conti a seguito del rilancio della strategia della LA, ed è per questo che ha allestito in gran fretta dopo le operazioni antiguerriglia del 2003 questa stagione processuale che viene assunta dallo Stato a terreno d’elezione dell’attacco politico alle BR‑PCC rispetto a cui nulla è stato trascurato sotto l’attenta regia e coordinamento tra procure e ministero dell’ interno, rivelatrice delle difficoltà dello Stato nel far fronte al riproporsi nello scontro della direzione che le BR‑PCC vi hanno impresso, sapendo per esperienza che a poco serve un mero vantaggio militare se lo scopo è quello di divaricare le istanze di classe dall’opzione rivoluzionaria.
Quello che lo Stato ha di fronte è il peso dominante dei rilancio della strategia della LA nello scontro generale di classe, un peso acquisito perché e in misura di quanto le BR‑PCC hanno inciso sul piano politico dove si ridefiniscono i rapporti tra le classi, per la centralità dei progetti attaccati con le iniziative offensive del ’99 contro M. D’Antona e del 2002 contro M. Biagi mirate ad intervenire nella contraddizione che oppone in questa fase la classe allo Stato, la rimodellazione economico‑sociale e le corrispettive riforme politico‑istituzionale e della forma‑Stato in senso federale; e per la selezione degli obiettivi colpiti in quanto figure garanti sul piano politico-legislativo dell’attuazione delle linee neocorporative proprie a questi progetti; e perciò perno degli equilibri politici a sostegno dell’azione dell’esecutivo, motivo per cui l’attacco ha rotto questi equilibri e, con essi, indebolito gli esecutivi e le loro maggioranze.
Da qui l’incisività nei rapporti di forza delle iniziative offensive con cui le BR‑PCC hanno spostato i rapporti di scontro a favore del proletariato in base a cui hanno potuto svolgere un ruolo di direzione nello scontro generale, in quanto vi hanno fatto pesare gli interessi generali di classe portando su un punto di forza la resistenza proletaria che già si misurava con queste politiche neocorporative, radicalizzando lo scontro e favorendo la tenuta delle sue espressioni di autonomia politica, dandole quel respiro strategico che solo la riproposizione dello scontro sul terreno del potere riesce a caratterizzare, un’incisività politico‑militare che è il prodotto dell’adeguatezza della progettualità e delle linee politico‑programmatiche fatte avanzare dalle BR‑PCC per misurarsi con lo scontro in atto.
Infatti il dato di sostanza che qualifica il rilancio è il suo essere attestazione della risposta rivoluzionaria a quanto la borghesia imperialista e lo Stato avevano conseguito negli anni ’80 e consolidato negli anni ’90 dall’esito del duplice processo controrivoluzionario, tanto come modifica delle condizioni di forza tra Proletariato Internazionale e Borghesia Imperialista (PI/BI) a favore di quest’ultima, per aver conseguito il ridimensionamento del peso della strategia della LA nello scontro di classe e la caduta del Patto di Varsavia che ha ridefinito gli equilibri internazionali a favore della Nato, quanto sul piano interno, per la modifica in senso neocorporativo della mediazione politica tra classe e Stato in base alla strutturazione sul piano politico‑istituzionale del processo di esecutivizzazione, dei “patti sociali” e del maggioritario da cui ne è risultata la mediabilità politica degli interessi proletari solo in quanto parziali e transitori agli interessi della borghesia.
Fattori controrivoluzionari che hanno contrassegnato il mutamento generale della fase storica in rapporto a cui l’avanguardia rivoluzionaria di classe ha costruito le iniziative offensive dei 1999 e dei 2002 misurandosi con i nodi centrali che contrapponevano la classe allo Stato, e affrontando le contraddizioni che questi caratteri dello scontro immettevano nella soggettività rivoluzionaria di classe, anche a fronte della lunga assenza dell’attività combattente delle BR‑PCC. Contesto che si rifletteva in una condizione di difensiva della classe sotto la prolungata offensiva politica degli esecutivi alle condizioni di vita, con il suo portato di arretramento politico della classe e riduzione della tenuta della sua autonomia politica.
Le risposte e risoluzioni prodotte dall’avanguardia rivoluzionaria di classe al quadro di scontro interno e al gravare su di esso dei mutati rapporti tra PI e BI hanno confermato l’adeguatezza della strategia della LA a misurarsi anche con le più dure condizioni di scontro, in forza del principio offensivo che fa della guerriglia il fattore principale di mutamento dei rapporti di forza ed elemento che dinamicizza le potenzialità politiche del proletariato e delle sue istanze autonome, favorendo le rotture soggettive delle avanguardie di classe sulla lotta armata. L’avanguardia rivoluzionaria di classe ha dunque operato alla ricostruzione delle forze per l’offensiva a partire da uno stadio aggregativo delle forze per intervenire offensivamente sui nodi dello scontro, forte dell’assunzione degli avanzamenti prodotti dalle BR‑PCC col riadeguamento che si è dato nella fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie interna alla Ritirata Strategica, a partire cioè dal rapporto con il livello della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione per com’è stata approfondita per parte rivoluzionaria con il riadeguamento. È ben dentro questa condizione, e in un processo che per salti e rotture ha selezionato le forze militanti complessive del soggetto organizzato che ha agito da Partito per costruire il Partito, che l’avanguardia rivoluzionaria ha affermato nello scontro la dinamica di attacco‑costruzione‑nuovo attacco che ha inficiato gli equilibri politici a sostegno dei progetti neocorporativi centralmente contrapposti alla classe, e precisato gli indirizzi della fase di Ricostruzione con la definizione dello Stadio Aggregativo.
Rilancio delle iniziative offensive in dialettica con la resistenza di classe che ha costituito il solo, reale ostacolo ai processi di riorganizzazione delle relazioni tra le classi facenti perno sulla generalizzazione della flessibilità del mercato dei lavoro e della forza‑lavoro funzionale ai livelli di sfruttamento relativi al modello produttivo flessibile, quale terreno che punta a sterilizzare a monte il formarsi del conflitto per il recupero dei profitti e per sostenere l’accumulazione del capitale monopolistico nella dimensione internazionalizzata dei mercati e della concorrenza, e nel contempo per stabilizzare la subalternità del proletariato quale sostanza della “democrazia governante”, atta a garantire quella base politica interna affinché lo Stato assuma ruolo sul piano internazionale, oggi dentro le linee guerrafondaie e controrivoluzionarie capeggiate dagli USA.
L’intervento sul piano della guerra delle BR‑PCC su questo nodo dello scontro classe/Stato è ciò che ha aperto un varco offensivo nella difensiva di classe, costituendo il baricentro che influenza i movimenti reali che nella classe maturano la resistenza che si oppone allo Stato e alla borghesia per contrastare le politiche di impoverimento e sfruttamento che vengono imposte dalle linee neocorporative. Al contempo, sul terreno della costruzione che segue l’attacco indirizza e organizza sul principio della centralizzazione politica la disposizione delle forze militanti, dentro l’affrontamento della contraddizione costruzione/formazione, sugli obiettivi programmatici e sui compiti di fase, nonché sviluppa e organizza il rapporto con le avanguardie di classe che si sono fatte carico dello scontro con lo Stato e l’imperialismo sul terreno strategico della LA.
Un esercizio di direzione che trae la sua forza e ruolo generale nello scontro di classe da come il rilancio ha modificato la contraddizione rivoluzione/controrivoluzione per parte rivoluzionaria, attestando l’avanzamento allo scontro in atto della progettualità complessiva dell’impianto politico e strategico operato in continuità‑critica-sviluppo con il patrimonio storico delle BR. Attestazioni che nella complessa trasformazione dello scontro di classe in guerra di classe hanno contribuito sostanzialmente alla costruzione del PCC.
È in relazione a questo quadro di scontro ridefinito dalla prassi combattente e all’indiscutibile influenza politica che ha il peso del rilancio nei rapporti di classe che si pone allo Stato un problema di adeguamento della sua risposta controrivoluzionaria volta a divaricare la classe dalla proposta rivoluzionaria, nonostante l’esperienza indichi che un vantaggio militare e l’utilizzo del solo piano antiguerriglia non possono tradursi in un inficiamento politico dell’opzione rivoluzionaria e della sua riproducibilità. Un adeguamento alla contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, quello dello Stato, a tutt’oggi palesemente contraddittorio e che, nella difficoltà di avvalersi di un piano politico più ampio per neutralizzare le spinte antagoniste, sbocca nella scelta repressiva attivata per criminalizzare e accerchiare la resistenza di classe con il pieno coinvolgimento dei sindacati confederali sulla linea del ministero dell’ interno. Una scelta di breve respiro a fronte di un contesto politico che risente della crisi delle relazioni neocorporative, lacerate dalle iniziative offensive delle BR‑PCC, relazioni che perciò stentano a supportare il ruolo del sindacato confederale nell’opera antiproletaria di composizione corporativa del conflitto, opera resa ancor più difficoltosa dalla crisi di rappresentatività in cui versano i vertici del sindacato confederale, tenuto conto di come nell’acutizzarsi della crisi economica si siano ampiamente ridotti i margini di negoziazione su cui si formano gli equilibri sociali a sostegno di quelli politico‑istituzionali e su cui il sindacato confederale svolge il suo ruolo di affiancamento dell’azione dell’esecutivo e della politica dello Stato in generale, a partire dagli interventi tesi a depotenziare i momenti di politicizzazione dello scontro per accerchiare l’autonomia di classe e ricondurre il conflitto entro i canali neocorporativi legittimanti la democrazia governante.
Ciò che oggi prevale, cioè, è l’attacco criminalizzante a carattere preventivo anche del dissenso di classe, per indurre il proletariato ad arretrare e a retrocedere dalle sue istanze di resistenza, stante anche le spinte all’innalzamento dello scontro operate in questa fase dall’esecutivo di centrodestra, che forza il conflitto avvalendosi delle dinamiche proprie a una mediazione politica neocorporativa che incanala il proletariato e le sue istanze nella composizione di interessi transitori e particolari su quelli generali della borghesia imperialista per sostenere il governo dell’economia e del conflitto. Una mediabilità però sempre più ridotta nei suoi margini per la scelta dell’esecutivo Berlusconi di legiferare a colpi di maggioranza, pressato dalle spinte della borghesia per far marciare i programmi antiproletari nonché per la partecipazione dell’Italia alle campagne di guerra e controrivoluzione capeggiate dagli anglo‑americani.
Nel contesto di questa acclarata difficoltà dello Stato ad avvalersi di interventi complessivi tesi ad inibire la coniugazione delle istanze di classe con la proposta rivoluzionaria, e del dato che di fronte alla strategia della LA lo Stato è sempre in difensiva, esso intende fare di questa stagione processuale il principale terreno di attacco politico al ruolo di direzione delle BR‑PCC, dandogli una specifica valenza nella linea antiguerriglia sviluppata dagli anni ’90, una scelta velleitaria che presupporrebbe la possibilità di poter gravare in termini di demoralizzazione sulla classe e sulle sue avanguardie attraverso l’azione deterrente operata nelle aule “di giustizia”!
A questo fine ha voluto utilizzare l’insieme dei prigionieri ostaggi nelle sue mani, portando nuovamente “alla sbarra” anche i prigionieri “storici” che si sono schierati col rilancio rivendicandolo e sostenendo l’Organizzazione, per esporli come una sorta di contrappeso a quanto subito sul piano della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione. Un inscenamento processuale nel quale lo Stato vuole evidenziare la ripuntualizzazione dei termini di scontro con i prigionieri politici, rispetto ai quali ostenta, appena mascherato dalle forme giuridiche, il rapporto di guerra che vuole far corrispondere al livello di scontro modificato dall’attività rivoluzionaria, esplicitando e rivendicando il trattamento dei prigionieri per la loro identità politica, di militanti rivoluzionari e di Partito, e non per i reati contestati loro, irrilevanti allo scopo di far risaltare il potere sanzionatorio dello Stato. Sotto questo profilo i processi ai prigionieri recentemente catturati e quelli istruiti per i prigionieri “storici” hanno per lo Stato la stessa funzione e la medesima valenza, e dunque anche quello celebrato in quest’aula si colloca a pieno titolo sulla linea antiguerriglia stabilita dallo Stato, interna al più generale terreno controrivoluzionario che matura nei rapporti di scontro.
Ma la storia dimostra che avvalersi del fianco debole della guerriglia ‑ la sua parte caduta ‑ è un piano intrinsecamente fallimentare e perciò stesso destinato a ridursi a effimera manifestazione di autolegittimazione del potere della borghesia tramite le corti dei suoi tribunali, a causa della contraddizione propria all’uso dei prigionieri, infatti se è vero che sono ostaggi nelle sue mani, allo stesso tempo sono, nel mantenimento dell’identità politica, figure pubbliche della rivoluzione, e dunque la presenza dei militanti rivoluzionari e di Partito ai processi è rivendicazione dei contenuti rivoluzionari sviluppati dalla prassi combattente, è riconduzione nelle aule processuali dei termini reali dello scontro rivoluzionario e di classe, è negazione della formalità del rito, specie nella funzione tendente alla neutralizzazione della politicità dei prigionieri e dell’oggetto del processo, è infine non riconoscimento della legittimità dello Stato tramite le sue corti a giudicare i militanti della guerriglia e con essi il processo rivoluzionario.
È questo il riflesso nei processi politici del carattere offensivo della strategia della LA, che ha portato a superamento la “difesa politica” della fase storica passata. Da qui la contraddittorietà per lo Stato nel gestire i processi politici, in quanto l’espressione dell’identità politica dei militanti della guerriglia prigionieri impone il capovolgimento delle parti in causa quale portato della rappresentazione del contenuto di potere che le BR‑PCC fanno vivere in ogni momento dello scontro come risvolto dello sviluppo della prassi rivoluzionaria nell’unità del politico e del militare, un contenuto che ribalta nel suo contrario la funzione affidata al processo penale di tribuna legittimante il potere sanzionatorio dello Stato. Ed essendo il processo un momento, seppur particolare, dello scontro che si gioca fuori da quelle aule, per i militanti della guerriglia prigionieri si tratta di affermare il senso storico‑concreto della linea politico‑programmatica della prassi combattente, nonché la prefigurazione della finalità strategica che lo scontro di potere va costruendo: l’abbattimento dello Stato della borghesia e la conquista del potere politico proletario per costruire una società comunista.
Per questa ragione come militanti rivoluzionari e militanti d’Organizzazione non riconosciamo a questo tribunale alcuna legittimità a giudicarci, delle nostre azioni rispondiamo alle BR‑PCC e al proletariato di cui sono la direzione rivoluzionaria. Di conseguenza, non avendo nulla da cui difenderci, revochiamo il mandato ai difensori di fiducia e diffidiamo chiunque altro a “difenderci” al loro posto.
‑ LA RIVOLUZIONE NON SI PROCESSA!
‑ W LA STRATEGIA DELLA LOTTA ARMATA!
‑ W LA RESISTENZA NAZIONALE IRAQENA, PALESTINESE E LIBANESE!
– ONORE AL COMPAGNO MARIO GALESI, CADUTO COMBATTENDO PER IL COMUNISMO!
– ONORE A TUTTI 1 RIVOLUZIONARI E ANTIMPERIALISTI CADUTI!
– PROLETARI DI TUTTO IL MONDO, UNIAMOCI!
Trani, 22 febbraio 2005
I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Rossella Lupo, Fabio Ravalli
La militante rivoluzionaria Vincenza Vaccaro
Un pensiero su “Tribunale di Trani, udienza del 22/2/2005. Documento di Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Rossella Lupo, Fabio Ravalli, Vincenza Vaccaro allegato agli atti del processo davanti al giudice monocratico”