Le carceri
Nelle carceri del regime sono oggi rinchiusi molti militanti tutti accomunati dalla stessa generica accusa: Brigate Rosse. I compagni delle BR, per neutralizzare le manovre del potere contro altri compagni ingiustamente incarcerati ed estranei all’organizzazione, sono stati autorizzati ad assumere pubblicamente la propria identità politica.
Il trattamento dei nostri compagni nelle carceri ha attraversato due fasi: prima dell’assalto al carcere di Casale, dopo l’assalto.
Prima: i nostri militanti sono stati dispersi nei diversi carceri giudiziari periferici allo scopo di evitare che potessero svolgere attività politica tra le masse carcerate degli istituti maggiori.
Si è voluto cioè evitare, formalmente, un isolamento di tipo tedesco che avrebbe dato spunto ai compagni incarcerati per un movimento di lotta dannoso al regime.
Nei carceri periferici ogni nostro militante è stato sottoposto ad un regime di “sorveglianza speciale.” Ciò è accaduto anche per Curcio, tanto a Novara che a Casale. Se nonostante ciò egli è stato liberato è perché il nucleo di liberazione ha realizzato un progetto scientifico, concentrando forze sufficienti e ben addestrate al combattimento.
Dopo: i nostri militanti sono stati trasferiti in “istituti penali” (Porto Azzurro, Saluzzo ecc.) e ciò nonostante essi rimangano a tutti gli effetti “in attesa di giudizio.” Ciò vuol dire che il giudizio è già stato dato: senza bisogno di processo. Inoltre gravissime provocazioni sono state inscenate contro alcuni militanti mentre altri sono stati ridotti ad un regime di assoluto isolamento che non ha giustificazioni.
Dobbiamo credere che queste misure, evidentemente persecutorie, siano volute dal ministro di polizia e di giustizia (si fa per dire) oltre che dal solito generale e dal solito procuratore.
Rappresaglia? A rappresaglia, rappresaglia!
I processi
I militanti delle BR rifiutano e rifiuteranno ogni tentativo di frantumare l’insieme dell’iniziativa politica dell’organizzazione in mille episodi separati, che staccati dal loro contesto vengono presentati all’opinione pubblica come “reati comuni,” “fatti criminali.”
L’obiettivo del regime è quello di dividere uno dall’altro i nostri compagni per pesarli e giudicarli separatamente. Noi non accettiamo questo modo di procedere […]. Pertanto s’ha da fare un unico processo. Nessun compagno, che sia stato catturato o meno, ha responsabilità più grande o più piccola di fronte al nemico di classe perché ognuno ha posto, secondo le direttive dell’organizzazione, la sua tessera nel grande mosaico della rivoluzione proletaria.
La liberazione dei compagni detenuti politici è un punto irrinunciabile del nostro programma!
Niente resterà impunito! Costruire il potere proletario! Lotta armata per il comunismo!
Brigate Rosse
11 Aprile 1975
Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Milano, Feltrinelli 1976
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