I compagni prigionieri della RAF e della resistenza rivoluzionaria, con altri prigionieri in Germania Occidentale, sono in lotta con lo sciopero della fame dal 1° febbraio contro l’isolamento e per il raggruppamento in grandi gruppi.
Questo sciopero si pone in continuità con gli altri nove che l’hanno preceduto, ma in un contesto qualitativamente diverso, come affermano i compagni prigionieri della RAF nella loro dichiarazione iniziale sullo sciopero.
L’obiettivo di questa lotta oggi è vincere “la strategia imperialista di distruzione lenta dell’identità rivoluzionaria” attraverso l’isolamento in carcere. Strategia che da venti anni trova nello Stato tedesco il suo principale ispiratore e sostenitore, ma che ormai sulla base della esperienza tedesca è diventata una pratica generale ed integrata a livello mondiale.
Pur nelle condizioni difficilissime di totale isolamento, in tutti questi anni i compagni prigionieri della RAF sono riusciti, attraverso la lotta, a contrastare il progetto di disgregazione e annientamento della loro identità rivoluzionaria e a vanificare il tentativo di attaccare la guerriglia attraverso la loro distruzione come soggetto politico.
Tutto ciò è reso possibile anche perché, via via in tutti questi anni, si è sedimentato un processo di organizzazione e di lotta su questa contraddizione in numerose e significative situazioni e realtà del movimento di classe in Germania Occidentale, in prima fila nella lotta antimperialista.
La questione dei “prigionieri politici” è così diventata un terreno stabile del dibattito e della iniziativa all’interno della prospettiva del Fronte Rivoluzionario Combattente in Europa Occidentale. A fianco delle iniziative contro l’intensificazione dello sfruttamento capitalistico, contro la guerra, i missili, il nucleare, le politiche di affamamento degli istituti finanziari sovranazionali, questa lotta ha trovato un suo spazio specifico, perché pur nella sua parzialità questo scontro contiene in sé il senso complessivo della rottura rivoluzionaria, che la guerriglia ha operato nella metropoli agli inizi degli anni settanta.
Questo processo di organizzazione e di lotta ha avuto alcune tappe fondamentali: dalla mobilitazione internazionalista dopo gli assassinii di stato dei compagni a Stammheim fino al sostegno da parte del movimento di classe e rivoluzionario dello sciopero della fame di prigionieri nell’84 e nell’86 in vari paesi europei.
Ma il dato politico dentro cui questa lotta specifica si inscrive – e che in definitiva ne garantisce il respiro strategico – è quello del consolidamento della prospettiva unitaria rivoluzionaria attraverso le campagne dell’85/86 e il tessuto di dibattito e di iniziative rivoluzionarie sviluppatosi intorno alla scadenza contro la riunione del FMI/BM a Berlino Ovest, all’interno della quale la raggiunta unità di azione fra la RAF e le Brigate Rosse costituisce un importante passaggio nell’avanzamento del processo rivoluzionario in Europa Occidentale.
Oggi questa serie di sviluppi in Germania Occidentale e a livello continentale pongono la questione dell’isolamento dei “prigionieri politici” in termini qualitativamente diversi e rendono maturo e vincente il confronto e lo scontro su di essa.
Se è vero che “la ragione di stato” che sta alla base dell’isolamento dei prigionieri è diventata più marcata e di principio per l’imperialismo nel suo insieme – basta vedere l’immediata criminalizzazione dello sciopero della fame in atto come “pratica terroristica a sostegno della RAF” al fine di reprimere direttamente chi lo attua e chiunque lo sostiene attivamente – dall’altro lato oggi è più forte e cosciente l’appoggio del movimento e la solidarietà militante internazionalista.
Questo fa sì che non si realizzi solo un “braccio di ferro” fra stato e prigionieri, ma che viva uno scontro di potere tra movimento rivoluzionario ed imperialismo che rende possibile vincere questo scontro specifico.
La strategia imperialista di distruzione dell’identità rivoluzionaria dei prigionieri si sta sviluppando in modo sempre più integrato in tutto il mondo. In particolare in Europa Occidentale e nell’area mediterranea e medio-orientale.
Essa è parte della dottrina della counterinsurgency, che ha nella “guerra al terrorismo internazionale” il modello operativo e il “collante” delle politiche repressive degli stati europei con alla testa la Nato e gli USA.
Il trattamento riservato ai prigionieri, l’isolamento e la desolidarizzazione nelle sue molteplici forme, sono parte integrante di questo scenario controrivoluzionario. Ma proprio questo pone le basi per un terreno unitario di lotta per tutti i prigionieri.
In questo senso c’è un filo rosso che lega le lotte dei prigionieri rivoluzionari in Germania Occidentale, in Francia, in Belgio, in Spagna e in Irlanda del Nord come quelle dei prigionieri baschi, corsi, maghrebini, guadalupeni… fino a quelle dei prigionieri kurdi in Germania e in Turchia, e dei prigionieri palestinesi nelle carceri sioniste in Israele.
Anche i progetti di soluzione politica della lotta armata in atto in vari paesi europei (Italia, Spagna, Portogallo, Germania…) sono un aspetto organico di questa strategia di distruzione della soggettività rivoluzionaria.
E spesso si affiancano e procedono di pari passo alle pratiche di annientamento psico-fisico.
Dall’iniziativa di “dialogo” sponsorizzata dal partito dei Verdi in Germania per la “riconciliazione”, alla liberazione di dissociati in contemporanea ai pestaggi di chi sta lottando in carcere.
In Italia dopo il processo “Moro-ter”, in cui è stato lanciato il progetto di soluzione politica, si cerca con il nuovo processo “BR-Insurrezione armata contro i poteri dello Stato” di porre “l’atto finale per la soluzione finale” spingendosi a processare l’idea stessa della rivoluzione per dichiararla impossibile con la cooptazione e l’opera di falsificazione storica garantita dagli ex-rivoluzionari. Si vuole cioè usare i prigionieri contro lo sviluppo del processo rivoluzionario!
In realtà, lo scontro rivoluzionario iniziato negli anni ’70 in Italia e in Europa Occidentale è tuttora aperto e sta trovando nuovi sviluppi in questi anni. Non è possibile porre la parola “fine” all’esperienza di questi vent’anni per il semplice fatto che il processo rivoluzionario seppur contraddittoriamente, è andato avanti e la guerriglia si è confermata, nella pratica, come l’unica strategia rivoluzionaria possibile di trasformazione sociale ed emancipazione proletaria. È la continuità storica e politica della lotta armata per il comunismo nelle metropoli europee a rendere impossibile ogni soluzione politica in Italia, come in Germania e in tutta Europa. Contro questa continuità si scatena tutta la forza della controrivoluzione.
In questa particolare congiuntura, caratterizzata dalla ripresa dell’iniziativa di classe e dal consolidarsi della pratica unitaria antimperialista nella direzione del Fronte, la lotta dei prigionieri tedeschi contro l’isolamento e per il raggruppamento assume un significato politico che va al di là del suo obiettivo specifico – parziale – ed è un momento di uno scontro più generale che per qualità e durata e per l’esito che ne potrà scaturire investe direttamente tutti i rivoluzionari in Europa Occidentale.
Per questo l’imperialismo cerca di stroncare sul nascere anche questa lotta e si accanisce contro di essa.
Lo sviluppo della solidarietà militante internazionalista a sostegno di questa lotta contribuisce alla costruzione delle condizioni necessarie per uscire vincenti da questo scontro e, contemporaneamente, diventa un fattore di consolidamento dei processi unitari nella lotta contro l’imperialismo.
Alcuni compagni del “Collettivo Comunisti Prigionieri, Wotta Sitta” – Vittorio Bolognese, Salvatore Colonna, Natalia Ligas, Giovanni Senzani
Roma 8 marzo 1989
(Agli atti del processo “BR – Insurrezione armata contro i poteri dello stato”, Seconda Corte di Assise di Roma, in abbinamento alla lettera di Helmut Pohl, a nome dei prigionieri della RAF.)