In molti abbiamo conosciuto la sua straordinaria ricchezza umana, caratterizzata da una forte determinazione e generosità per la causa proletaria e dalla modestia con cui ha ricoperto fino all’ultimo un ruolo di primo piano nella battaglia politica per il Partito.
Con modestia e generosità ha posto la sua enorme esperienza politica al servizio del movimento comunista, soprattutto in quest’ultimo difficile decennio, in cui il peso del riflusso dei primi anni ’80 ed altri limiti hanno imposto un duro lavoro di resistenza e di paziente ricostruzione di posizione politica e delle condizioni per fare i salti necessari.
Da alcuni articoli apparsi e dai discorsi interessati di qualche area politica, si vorrebbe accreditare una visione pietistica, di umana comprensione per quello che comunque tutti riconoscono come un grande militante comunista ma anche presunto sconfitto, esempio della definitiva deriva di un’esperienza sconfitta che non può chiedere più che un’onorevole resa.
Di questa esperienza non resterebbe più altro che il drammatico protrarsi di stenti e di difficili condizioni di vita per quei militanti che, in prigione o in esilio, sono rimasti coerenti e dignitosi.
Certo, come compagni che fino agli ultimi giorni abbiamo condiviso con lui lo stesso percorso, rivendichiamo orgogliosamente l’appartenenza a questa schiera di militanti che non si sono arresi e che continuano a pagare a caro prezzo l’appartenenza a questa schiera di militanti che non si sono arresi e che continuano a pagare a caro prezzo l’appartenenza alla lotta di classe rivoluzionaria. Prezzo che per noi, come per lui, significa galera, latitanza, precarietà, extralegalità e le immaginabili difficoltà che ne derivano.
Ma non resta solo questo! E soprattutto ci rifiutiamo a che si interessino con “umana comprensione” a queste difficoltà proprio coloro che hanno contribuito a determinarle, coloro che in varia misura hanno partecipato ai successivi attacchi per la disgregazione del movimento comunista, coloro che hanno anteposto meschinamente il loro interesse personale e di gruppo alimentando posizioni dissociative.
Sergio Spazzali, crediamo di poterlo dire senza ombra di dubbio, non era mai stato nella condizione di quell’errante anima in pena che, proprio mentre si accingeva a mettergli termine rientrando finalmente in patria, improvvisamente muore dimenticato da dio e dagli uomini. Crediamo che non si sia mai sentito nella condizione di chi, vittima illustre di un regime repressivo, ottuso e vendicativo, ripara all’estero per mettersi “al sicuro”.
Perché come non ci sembra che egli abbia mai concepito il suo impegno in funzione degli anni di galera che esso avrebbe comportato, così non ci sembra che il suo interesse ultimamente fosse volto alla ricerca di qualche soluzione che gli permettesse di uscire dal “tunnel” in cui per disgrazia si era cacciato.
Questa immagine è propria a una visione rinunciataria del problema posto dalla repressione dello Stato nei confronti delle avanguardie rivoluzionarie, in quanto considera le singole situazioni/condizioni (detenzione, clandestinità, latitanza…) da un punto di vista puramente difensivo (come se si trattasse unicamente di subire o scongiurare la repressione di Stato tralasciando proprio quell’elemento che, in realtà, fa sì che queste situazioni risultino interne allo scontro di classe: il loro carattere offensivo, il fatto cioè che a monte dell’attacco repressivo della borghesia, esiste l’attacco politico dei rivoluzionari e che dunque non esiste condizione materiale (di detenzione, clandestinità, ecc.) che possa essere considerata “in sé” di “ripiegamento”.
Ciò che decide sul carattere offensivo o difensivo di queste condizioni è, allora, l’atteggiamento che si mantiene nei confronti del potere: contrapposizione o patteggiamento, riaccettare con false autocritiche il quadro borghese o proseguire nella progettualità rivoluzionaria dentro lo scontro di classe.
In un momento in cui sono ancora diffusi gli atteggiamenti di patteggiamento da parte di una consistente frangia di ex appartenenti al movimento rivoluzionario, la sua costante presenza rivoluzionaria è uno splendido esempio cui guardare. Ad uno sguardo anche soltanto superficiale, appare evidente come impegno politico di Sergio al servizio della classe proletaria non sia mai stato limitato, parziale, estemporaneo, contingente: questo perché le sue scelte, le sue idee, sono sempre state il risultato di una ricerca basata in primo luogo sulla pratica delle sue convinzioni così come al confronto con quelle altrui, riconoscendo in tal modo il solo metodo e il solo criterio di validità di qualsiasi opinione politica.
Egli cercava, lo ripetiamo, la “verità” nella pratica e nel confronto politico delle idee alla luce di questo metodo si poneva il problema della formazione dell’avanguardia comunista, nella pratica e nel confronto con altri che, con idee diverse, si ponevano lo stesso problema; egli considerava la soluzione di questo problema come determinante e non vincolato ad ipotetiche congiunture favorevoli, come spesso si è sentito blaterare da più parti.
Tutti noi sappiamo che la convinzione della validità delle nostre idee non basta a garantire l’impegno di una vita intera, che le alterne vicende della lotta, il suo andamento ciclico, i momenti estremamente difficili che si attraversano, mettono a dura prova anche le acquisizioni più solide, le menti più lucide, le volontà più ferree. In questi momenti, così frequenti in questi anni, si può vacillare paurosamente se non si possiede quella particolare qualità che è la coscienza di classe.
Ebbene, chi ha conosciuto Sergio Spazzali non può non riconoscergli l’acquisizione di questo elemento così importante, egli ha fatto propria la visione proletaria rivoluzionaria dello scontro di classe in tutti gli aspetti della sua vita, ha assunto completamente la difesa degli interessi proletari fino al supremo obiettivo dell’abolizione dell’infame società di classe.
Con questa coscienza di classe, Sergio si è assunto le dure conseguenze della coerenza, tenendo saldamente ferma la convinzione che il terreno da praticare, la prospettiva da alimentare non poteva che essere la lotta di classe finalizzata alla presa del potere politico con le armi, da parte di un proletariato che compia il suo percorso di costituzione in classe indipendente e cosciente di se stessa e delle proprie potenzialità storiche. Atti questi che si pongono come la premessa minima necessaria, unica realistica, per avviare una qualche trasformazione sociale durevole, dentro un vasto processo di transizione socialista al Modo di Produzione Comunista, al Comunismo.
Questo è sempre stato il quadro di massima che l’ha, che ci ha aiutati a orientarci nei percorsi accidentati della lotta politica di questi anni. Lotta politica che, naturalmente, è ben complessa e fatta di passaggi e necessità talvolta molto piccole. Lotta politica che è stata molto oscura ed ingrata perché fatta soprattutto di difesa delle posizioni essenziali e fondanti del movimento comunista, dal fuoco incrociato in cui la politica e la cultura borghese hanno canalizzato le contraddizioni ed i limiti dello stesso movimento, servendosi della grande schiera di traditori, dissociati, “innovatori” e “ripensatori”. Lotta politica cui egli ha partecipato lontano dal vizio classista dei suddetti sempre pronti a ricercare le luci della ribalta ed il tornaconto personale, insomma lontano dalla visione borghese di proprietà privata nel campo intellettuale, bensì saldamente ancorato ad una dimensione modesta e disciplinata del lavoro collettivo.
Lotta politica che nella difesa delle posizioni fondanti – costituzione del proletariato in “classe per sé”, Partito, avvio del processo rivoluzionario fino al passaggio insurrezionale, avvio della transizione socialista – da subito non poteva essere solo difesa, ma anche costruzione delle condizioni per operare politicamente come la Forza Rivoluzionaria del Proletariato.
Quindi, a maggior ragione, si rinforzarono i caratteri di lotta politica improntata ai principi del lavoro collettivo, disciplinato e capace di sostenere l’immancabile pressione della controrivoluzione. Sergio aveva scelto di non accettare le “gratificanti” luci della ribalta della politica e della cultura borghesi in cui tanti “ex” si dibattono come squallidi parvenu; aveva mantenuto il rapporto organico con la classe, affrontando le durezze dei percorsi politici interni alla classe, che avvengono nella strutturale povertà delle nostre sedi e dei nostri mezzi e nella tensione di un costante affrontamento con la controrivoluzione.
Il percorso della classe per costituirsi politicamente in Partito Comunista è sicuramente uno dei percorsi più difficili che si possano immaginare, viste le continue aggressioni borghesi e le tante contraddizioni interne. Ma la realtà è là: di fronte alla violenza e profondità della grande crisi capitalista, aggressioni e contraddizioni perdono peso, il proletariato è spinto a lasciar cadere illusioni riformiste e retaggi del passato perché non ha tante scelte se vuole affrontare la causa sempre più evidente della propria tragica condizione; la Rivoluzione Proletaria torna prepotentemente d’attualità.
Oggi tutto ciò sta riemergendo con forza, si sta diradando la nebbia ammorbante della collaborazione di classe, il pantano della corruzione interclassista: le forze di classe si stanno polarizzando irresistibilmente ed il lavoro politico, la lotta politica dei comunisti riemergono insieme ai rinnovati movimenti di massa, alla nuova vigorosa ripresa di attività delle masse proletarie, come il magma che prima ribolliva sotterraneamente per poi fuoriuscire esplodendo dal vulcano.
Sergio faceva parte di quei militanti che prevedevano ciò e che hanno tenacemente lavorato come il magma, nell’oscurità del sottosuolo. Per questo sono state grandi le sue qualità e grande, molto grande, il suo apporto al movimento comunista.
La serietà e il coraggio delle sue scelte, la coerenza ed il modo con le quali sono state fino alla fine della sua vita perseguite, costituiscono un esempio cui fare costantemente riferimento, fino a quando all’ordine del giorno del movimento comunista vi saranno la conquista del potere per via rivoluzionaria e l’edificazione della società senza classi.
Salutiamo Sergio con grande affetto e con grande riconoscenza rivoluzionaria.
I comunisti all’estero che hanno condiviso l’identità ed il percorso politico di Sergio.
Febbraio 1994.