Rivendicazione congiunta con la RAF dell’azione contro Hans Tietmeyer

Le Brigate Rosse per il P.C.C. rivendicano congiuntamente alla RAF l’attacco a Hans Tietmeyer sottosegretario alle finanze della RFT e uomo-chiave delle decisioni politiche e degli indirizzi economici concertati dai paesi imperialisti dell’Europa occidentale.

L’offensiva portata su base politica unitaria contro le politiche di coesione dell’Europa occ. esprime l’avanzamento compiuto dalle B.R. e dalla RAF nella costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista ed apre in termini concreti una nuova fase di sviluppo della strategia rivoluzionaria in quanto sostanzialmente qualifica un più maturo carattere dell’internazionalismo proletario. La “politica di alleanze” attesta le Forze Rivoluzionarie antimperialiste su un piano più adeguato ad impattare con l’imperialismo; i passaggi realizzati dalla RAF e dalle B.R. pongono basi più mature per l’ulteriore sviluppo di una proposta politico/militare/organizzativa che unifichi in una linea di attacco comune contro l’imperialismo le Forze Rivoluzionarie combattenti antimperialiste.

La proposta politica del Fronte nasce e si sviluppa a partire dall’unità d’intenti delle Forze Rivoluzionarie dell’Europa occ., e questo sia per la rilevanza strategica che l’Europa assume negli interessi dell’imperialismo, sia per le contraddizioni che, a partire dal cuore del sistema imperialista, investono in forma diversa tutta la catena. Obbiettivo generale perseguito all’interno di una “politica di Fronte” è l’indebolimento e il ridimensionamento dell’imperialismo.

L’interesse generale delle Forze Rivoluzionarie che combattono l’Imperialismo è favorire rotture rivoluzionarie, siano esse di rivoluzione proletaria o di liberazione nazionale. Infatti, il grado raggiunto di integrazione e interdipendenza economica dei paesi della catena imperialista, esprime i livelli di coesione politica e militare che si sono attestati, rendono vitale per l’imperialismo ogni angolo del mondo, tanto da rendere impraticabile il distacco di un anello della catena al di fuori di una condizione generale di instabilità e debolezza del sistema imperialista nel suo complesso.

Questo interesse comune tra tutte le Forze Rivoluzionarie antimperialiste è dato oggettivo ancor prima che soggettivo e pone le condizioni politiche per proporre e praticare una “politica di alleanze”.

Per le B.R. per il P.C.C. la costruzione e il consolidamento del F.C.A. si pone all’interno di una più ampia politica antimperialista praticata, costituendone altresì un livello più avanzato nell’affermazione concreta di un salto avvenuto in termini qualitativi nella lotta proletaria e rivoluzionaria. I temi centrali della pratica antimperialista non possono che ruotare a questo livello di maturazione raggiunto dall’imperialismo, intorno al rafforzamento di una “politica di alleanze” che tenda a costruire, con le Forze antimperialiste combattenti in quest’area geopolitica (Europea, Mediorientale, Mediterranea) la forza politica e pratica per attaccare il nemico comune.

Lo sviluppo del F.C.A. deve tendere all’obbiettivo irrinunciabile di realizzare offensive comuni contro le politiche centrali dell’imperialismo. Il raggiungimento dell’obbiettivo si consegue attraverso la costruzione di successivi momenti di unità. L’attività di attacco all’Imperialismo non può che seguire il criterio politico secondo cui la “politica di Fronte” non deve essere impedita dalle particolarità di analisi o dalla concezione politica delle diverse forze che vi contribuiscono. Non si tratta di fondere ciascuna Organizzazione in un’unica organizzazione, ma di stringere l’unità raggiungibile nell’attacco pratico nell’interesse e negli obbiettivi comuni. È quindi chiaro che i percorsi specifici di ogni Forza Rivoluzionaria antimperialista non devono essere posti come discriminanti all’agire del Fronte.

È questa consapevolezza che ha consentito alla R.A.F. e alle B.R. di costruire i presupposti per un salto in avanti, sia nella costruzione/consolidamento del F.C.A. sia per una definizione maggiormente adeguata della proposta politica che il Fronte incarna, così da uscire dalle secche del genericismo. La svolta decisiva è l’approdo ad un testo comune che individua nelle (…) direttrici principali, le linee di attacco su cui attualmente si realizza la politica di Fronte.

È stata l’attività concreta e pratica a sostanziare il salto di qualità avvenuto, sono gli obbiettivi individuati e il realismo nell’impostazione della “politica di Fronte” a qualificare il valore della proposta, il suo portato strategico che va oltre l’unità momentaneamente raggiunta: essa apre nuove prospettive di sviluppo al F.C.A. L’intento è favorire il più vasto schieramento combattente contro l’imperialismo al fine di ricomporre nell’attacco comune l’unità che già esiste sul piano oggettivo tra cui le lotte del centro imperialista e i movimenti di liberazione nella periferia.

Le direttrici principali su cui il Fronte articola l’attività antimperialista combattente fanno riferimento alle politiche di coesione tese a compattare i paesi dell’Europa occ. all’interno degli interessi del blocco. Questo costituisce il cuore dei progetti dell’imperialismo, passaggio essenziale della più generale strategia imperialista che tende alla realizzazione di un maggior grado di compattamento e di responsabilizzazione dei vari paesi della catena.

Una strategia che nasce si approfondisce in relazione all’acutizzarsi dalla crisi economica che è il prodotto di successive forzature e del collimare del reciproco interesse generale della catena imperialista dentro un quadro politico internazionale che vede una polarizzazione di interessi e campi contrapposti.

Le politiche di coesione si dispiegano su tre fronti principali: sul piano delle politiche economiche, sul piano politico-diplomatico, sul piano controrivoluzionario.

– Il piano delle politiche economiche comprende la concertazione in ambiti sovranazionali (FMI, BM, CEE, ecc.) dei termini generali di governo dell’economia. Misure concertate di supporto all’ambito capitalistico, di sostegno alle formazioni monopolistiche e al movimento finanziario vengono elaborate come risposte controtendenziali agli effetti della crisi economica.

Il principale piano controtendenziale che si afferma a fronte della recessione generalizzata è, ad un certo stadio della crisi, il ricorso allo speciale stimolo del riarmo. Il ricorso a questo “stimolo economico” è il reale indicatore dell’avanzamento della tendenza alla guerra. Si caratterizza cioè lo stadio economico più vicino allo sbocco bellico. Infatti, per le caratteristiche economiche che racchiude, ha in sé tutte le condizioni per provocare una bancarotta finanziaria; la sua efficacia temporanea é relativa al solo immobilizzo di ingenti quote di capitale finanziario eccedenti che trovano impiego nella ricerca sulle nuove tecnologie da applicare nel campo militare.

Sono gli USA che, in quanto polo economico e finanziario dominante, hanno imboccato la scelta del riarmo come “volano” dell’economia. Il grado di integrazione economica esistente tra i paesi della catena imperialista fa sì che ogni movimento economico di rilievo si ripercuote e condiziona le scelte dei paesi della catena. Per questo le scelte degli USA tendono a configurarsi come il piano controtendenziale della catena imperialista.

In Europa occidentale il riarmo non è ancora una politica economica affermata, stante il grado di profondità raggiunto dalla crisi economica e quindi la possibilità di mettere in atto diverse politiche controtendenziali; ma si prefigura già come tendenza. I passaggi di maturazione della tendenza al riarmo in Europa occ. si stanno realizzando non tanto a livello nazionale, dei singoli paesi, quanto su un piano di concertazione e cooperazione europea causa il livello finanziario necessario. Questo dato prefigura un più elevato e maturo livello di coesione politica ed economica centralizzato in sede NATO. Ed è proprio questo l’elemento più importante. L’accresciuta importanza della NATO come momento di concertazione politica multilaterale che implica un maggiore impegno europeo tutto in chiave filo-atlantica, cioè strettamente vincolato agli USA e sotto le sue direttive generali.

– È sul piano politico-diplomatico che si esprime l’aspetto principale della coesione politica in Europa occ. La funzione della “diplomazia europea” si svolge nell’ambito dell’area geopolitica Mediterranea-Mediorientale con l’intento di ricucire e sancire le forzature operate dagli USA nella fase precedente. Nel passato le forzature militari operate hanno definito l’indirizzo politico su cui doveva vertere il riallineamento delle politiche europee all’interno della più complessa strategia NATO nell’area, ridefinendo ruoli, compiti e responsabilità.

L’attività politico-diplomatica europea non si pone in alternativa ai bombardamenti e alle invasioni militari operate dagli USA e da Israele, ma è complementare, e tesa a “normalizzare” la regione Mediorientale con iniziative di ricucitura e di supporto al piano generale di stabilizzazione di rapporti di forza più favorevoli al blocco imperialista. La “stabilizzazione” è prodotto di una necessità politica generale di chiudere i conflitti regionali per ridefinire, dentro il quadro internazionale mutato, l’egemonia politico-militare dei paesi imperialisti, imponendo rapporti di preminenza e di forza negli equilibri Est/Ovest.

Il piano Schultz/Shamir corrisponde a questa necessità in quanto progetto politico complessivo tendente a dare soluzione al conflitto arabo-israeliano. È il pilastro-base attorno al quale ruotano tutte le altre proposte e suggerimenti che indicano i diversi tempi e modi di approccio alla questione, per arrivare comunque alla trasformazione dello scenario mediorientale in chiave filo-occidentale. La frenetica attività diplomatica europea sì coagula in definitiva intorno a due questioni: appoggio incondizionato al piano Schultz/Shamir come appoggio ad una strategia globale che, aldilà delle formule diplomatiche, prefigura già l’assetto futuro dell’area come passaggio nei rapporti di forza tra i due blocchi; ricerca e definizione di un piano funzionale a perseguire operativamente quei passaggi politici possibili che assestino, su diversi livelli, piani di stabilità politica ed economica col mondo arabo, in funzione della più totale “normalizzazione” dell’area.

Il Piano Marshall per il Medioriente proposto dalla CEE si pone dentro questo quadro generale ricercando una maggiore integrazione tra i paesi Mediterraneo/Mediorientali e l’Europa; ponendo anche qui l’accento sulla necessità di passare da rapporti bilaterali Nord/Sud a rapporti multilaterali, nei quali Israele verrebbe ad assumere un ruolo di riferimento per il mondo arabo. Questo come punto di arrivo di un percorso che veda parallelamente la trasformazione di Israele da manipolo di occupanti a “Stato di diritto” su stile europeo, rispettoso dei diritti dell’uomo e in grado di controllare e regolare le contraddizioni tramite gli strumenti della mediazione politica e diplomatica.

Il piano controrivoluzionario è teso principalmente a contrastare l’attività antimperialista del Fronte delle Forze Rivoluzionarie. Non si tratta solo di coordinare interventi repressivi sul piano internazionale con la collaborazione tra le forze antiguerriglia di ogni paese europeo ma avvalersi di progetti politici controrivoluzionari: i progetti di “soluzione politica” per la guerriglia, che se pure con particolari sfumature vengono portati avanti in diversi paesi imperialisti europei, ne sono un esempio. Misure coordinate sul piano politico che influiscono sulla connotazione del rapporto Imperialismo/Antimperialismo, rivoluzione/controrivoluzione nell’Europa occidentale.

Il bipolarismo, la divisione del mondo in due blocchi, è la contraddizione dominante che influenza e sovrasta i rapporti internazionali. Gli equilibri sanciti a Yalta hanno definito le aree di influenza nel mondo, la nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati uscita dalla seconda guerra mondiale. A fronte della crisi economica generale (di valorizzazione) che attanaglia l’imperialismo questi equilibri vengono attualmente messi in discussione.

L’imperialismo tende alla riformulazione di una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati e nuovi equilibri politici, un quadro di insieme che necessariamente passa per il ridimensionamento del blocco sovietico. L’internazionalizzazione della produzione e dei mercati ha segnato un passaggio di sviluppo dell’imperialismo nel dopoguerra, rendendo oggi improbabile un conflitto interimperialista. Al contrario il blocco sovietico non solo si pone al di fuori delle sfere di influenza politica ed economica occidentale, ma rappresenta per l’imperialismo un ambito sufficientemente sviluppato sul piano industriale e delle infrastrutture, oggettivamente recettivo e complementare al livello di sviluppo dell’imperialismo. In secondo luogo l’impatto con il blocco sovietico ha un significato politico, teso al ridimensionamento del modello di sviluppo dei paesi socialisti.

La necessità di impattare con il blocco dei paesi socialisti emerge in relazione allo stadio di maturazione raggiunto dall’imperialismo che, per fuoriuscire dalla crisi generale di sovrapproduzione di capitali, deve necessariamente ampliare la sua area di influenza e la sua base produttiva a scapito di chi è sconfitto e distruggere capitali e mezzi di lavoro eccedenti, così da riprendere per un periodo relativamente lungo il ciclo economico espansivo.

Quindi la tendenza alla guerra si presenta come portato dell’accumularsi critico di tutte le contraddizioni capitalistiche. I passaggi di maturazione ai questa tendenza si manifestano in una acutizzazione delle contraddizioni tra le classi e tra sviluppo e sottosviluppo e, in particolare in una maggiore polarizzazione all’interno della contraddizione dominante Est/Ovest.

Nel quadro di insieme l’area geopolitica Europea-Mediorientale-Mediterranea assume un significato particolare, e viene a definirsi come area di massima crisi oggi nel mondo proprio per il convergere di tre linee di demarcazione che delineano i diversi piani di contraddizione: dal piano dominante Est/Ovest, al piano Nord/Sud, al piano principale Proletariato/Borghesia.

In base a questi dati possiamo ipotizzare che il possibile teatro di guerra sarà ancora una volta l’Europa. Inoltre la regione Mediterranea-Mediorientale non è stata coinvolta nella definizione delle zone di influenza nell’immediato dopoguerra e, al tempo stesso, l’Europa ha, per motivi essenzialmente geografici, in quest’area la sua “naturale” zona di influenza. Per queste ragioni si presenta come il possibile punto di partenza, il “detonatore” per un conflitto allargato.

I conflitti che si determinano nella regione assumono un peso politico particolare in relazione da un lato alla loro posizione politica e di equilibrio all’interno della contraddizione Est/Ovest, dall’altro al grado di sviluppo delle guerre rivoluzionarie (di liberazione nazionale). I conflitti regionali si collocano oggettivamente all’interno del quadro degli equilibri bipolari di conseguenza sono il terreno di modifica di questi equilibri, di acquisizione e assestamento di posizioni di forza. I popoli progressisti e le Forze Rivoluzionarie, indipendentemente dai fattori ideologici e dagli obbiettivi che perseguono, si impegnano in conflitti che assumono un carattere antimperialista, trovandosi ad impattare con gli interventi imperialisti nel contesto dei loro interessi generali. Da ciò ne consegue che le Forze Rivoluzionarie in questione si pongono oggettivamente ancor prima che soggettivamente dentro la progettualità complessiva del Fronte Combattente Antimperialista.

Con l’attacco all’imperialismo vive, in unità di programma, l’attacco al cuore dello Stato. La questione dello Stato è questione ineludibile per i comunisti. Lo Stato è sede dei rapporti politici tra le classi nonché l’organo della dittatura borghese; il piano Classe/Stato, quindi, è l’asse principale su cui si articola lo svolgimento dello scontro; l’attacco ai progetti dominanti, al cuore congiunturale dello Stato assume carattere strategico fondamentale.

I criteri centrali che debbono guidare la scelta dell’obbiettivo per trarre il massimo del vantaggio politico e materiale sono: la centralità, la selezione e il calibramento dell’attacco.

La centralità dell’attacco sta nella capacità politica di individuare la contraddizione dominante che oppone le classi nella congiuntura. La selezione dell’attacco vive nella capacità di individuare il personale politico che concorre alla realizzazione del programma congiunturale della politica dominante della Borghesia Imperialista e svolge un ruolo determinante di ricerca di equilibrio tra le forze che a tale progetto partecipano. Il calibramento deve vivere in relazione al grado di approfondimento dello scontro, allo stato di assestamento delle forze proletarie e rivoluzionarie e allo stato dei rapporti di forza generali nel paese e presenti nell’equilibrio internazionale tra Imperialismo e Antimperialismo.

Il progetto politico demitiano di riformulazione dei poteri e degli apparati dello Stato è attualmente il perno centrale attorno al quale lo Stato da una parte sancisce gli equilibri politici in grado di sostenere e far avanzare gli interessi e i programmi della frazione dominante di borghesia imperialista: dall’altra assesta e ratifica i rapporti di forza generali a proprio favore evidenziando così il carattere antiproletario e controrivoluzionario. Il progetto demitiano, va precisato, non ha carattere “reazionario”, al contrario tende alla realizzazione di una “democrazia governante”, compiuta, come forma di dominio adeguata alla fase matura dell’imperialismo. In termini generali si inserisce nella tendenza attuale di ridefinizione e riadeguamento di tutte le funzioni e istituzioni dello Stato ai nuovi termini di sviluppo dell’Imperialismo e ai corrispettivi termini nel governo del conflitto di classe. Una tendenza perseguita passaggi successivi a modifica del carattere della mediazione politica tra le classi.

Questo ha maturato nello sviluppo storico dell’imperialismo una complessificazione del suo ruolo nell’intervento nei processi economici sia nella capacità di governare il conflitto e riqualificando il carattere della controrivoluzione preventiva quale politica costante per contenere la lotta di classe.

I caratteri della mediazione politica, ovvero il modo con cui si governa il conflitto di classe, si affermano in relazione alla modificazione degli strumenti e degli organismi istituzionali atti a mantenere l’antagonismo della classe dentro gli ambiti compatibili, vere gabbie istituzionali, così da non farlo collimare con la proposta rivoluzionaria. Le trasformazioni dei caratteri della mediazione politica sono il risultato sia dei livelli di sviluppo economico e di crisi conseguente, sia dei rapporti di forza generali che si instaurano tra le classi in interrelazione reciproca, il carattere di governo del conflitto di classe che si afferma è quindi sintesi del modo in cui si è attestato lo scontro di classe e al tempo stesso punto di partenza per i passaggi successivi.

La coscienza acquisita in 19 anni di prassi rivoluzionaria e gli insegnamenti di questi anni di Ritirata Strategica consentono alle B.R. per il P.C.C. di affermare la necessità e la praticabilità del terreno della guerra di classe di lunga durata, nonché l’attualità della questione del rilancio della proposta della Lotta Armata per il Comunismo come strategia politico-militare per tutto il proletariato, è nato nella capacità, maturata all’interno della ritirata strategica di dialettizzarsi correttamente con i compiti posti dallo scontro di classe.

Un’acquisizione che si traduce nel sapere organizzare e dirigere adeguatamente le forze che si dispongono sul terreno della L.A., e incidere da una parte sui rapporti di forza generali tra le classi, sviluppando un attacco che colga il cuore congiunturale della contraddizione Classe/Stato; dall’altra nelle dinamiche dello scontro tra Imperialismo e Antimperialismo, apportando il contributo qualitativo alla costruzione del F.C.A.

Il processo di riadeguamento e rilancio ha tratto e trae la sua linfa vitale dal radicamento della proposta strategica della L.A. nel tessuto proletario e, in particolare, dal riconoscimento da parte delle istanze più mature della lotta di classe, del peso politico assunto dalle BR per il P.C.C. nello scontro.

La Ritirata Strategica ha consentito alle B.R. di approfondire alcuni termini della guerra di classe, costringendole a misurarsi con le peculiarità che regolano lo scontro nelle metropoli imperialiste.

È stata acquisita la consapevolezza della complessità delle dinamiche che regolano la guerra di classe di lunga durata, in particolare la comprensione del carattere non lineare della guerra rivoluzionaria che, a partire dalla dinamica rivoluzione/controrivoluzione si afferma attraverso un percorso fatto di avanzamenti e arretramenti, ripiegamenti ed offensive.

Il principio su cui si fonda la strategia della L.A., l’unità del politico e del militare, nasce dall’adeguamento della politica rivoluzionaria alle forme di dominio della Borghesia Imperialista, dalla consapevolezza che non é possibile accumulare forza politica da riversare sul piano militare contro lo Stato. Da qui la necessità di tradurre l’attacco allo Stato, al suo cuore congiunturale in organizzazione di classe sul terreno della L.A., calibrando ciò alle diverse fasi dello scontro.

Lo sviluppo maturato nella dialettica prassi-teoria-prassi ha portato ad affermare che non è sufficiente accumulare le forze disponibili sul terreno della L.A.: la direzione dello scontro implica necessariamente la formazione e la disposizione delle forze, concentrandole sugli obbiettivi della fase rivoluzionaria. Il Compito delle B.R., quale Avanguardia Rivoluzionaria, è di organizzare le forze intorno alla costruzione del P.C.C., al fine di attrezzare il campo proletario nello scontro prolungato contro lo Stato per il potere.

L’approfondirsi del rapporto rivoluzione/controrivoluzione maturato negli anni ‘80, ha chiarificato il carattere eminentemente politico in cui opera la guerriglia negli Stati del centro imperialista. La capacità assunta dallo Stato di contenere le contraddizioni che si esprimono nel rapporto di classe è di elaborare interventi politici diversificati, calibrati alle singole fasi che si susseguono. Gli interventi politico-militari operati Sull’Avanguardia Rivoluzionaria si pongono in questo contesto e vengono fatti pesare sul corpo proletario per approfondire la separazione tra la classe e la sua Avanguardia Rivoluzionaria. L’esperienza acquisita nell’approfondimento della dinamica rivoluzione/controrivoluzione ha precisato maggiormente il carattere immanente dello scontro rivoluzionario: l’accerchiamento strategico.

L’accerchiamento strategico riflette un dato essenziale della guerra di classe di lunga durata ossia che la guerra rivoluzionaria viene condotta all’interno di rapporti di forza generali favorevoli alla Borghesia Imperialista, nell’impossibilità di avere retrovie di alcun genere. Al tempo stesso è una guerra che, facendo riferimento ad un nemico “assoluto”, non ha per definizione un fronte. Infatti quello che è in gioco è il dominio della classe dominante.

Nello scontro la borghesia e lo Stato non hanno la possibilità di annientare la controparte mentre il processo rivoluzionario può vivere e sviluppare un movimento di trasformazione che abbatta la borghesia e il suo potere politico.

Lo Stato a fronte di questa consapevolezza affina la capacità di impedire la congiunzione tra spontaneità proletaria e progetto rivoluzionario. I caratteri politici generali che hanno dominato la controrivoluzione degli anni 80 sono stati successivamente incorporati e stabilizzati nell’attività controguerrigliera, e hanno modificato i caratteri dello scontro.

Si è affermata la logica politica secondo cui il problema guerriglia va affrontato in termini incisivi politico-militari, da una parte ricercando i punti deboli che si manifestano nelle Forze Rivoluzionarie, per trasformarli in vittorie militari cospicue da far pesare nello scontro di classe, dall’altra approfondendo il carattere della controrivoluzione preventiva presente nei progetti e negli interventi dello Stato.

La Ritirata Strategica, scelta soggettiva, è stata applicata a fronte di condizioni dello scontro che evidenziano la impossibilità di sostenere posizioni politiche avanzate, al fine di ricostruire i termini per nuove offensive. Il ripiegamento è legge dinamica della guerra: al contrario se considerata come atto difensivo nega l’essenza stessa della guerriglia, la sottopone al logoramento del nemico e quindi di fatto all’arretramento.

La Ritirata strategica apre una fase rivoluzionaria a carattere generale all’interno della quale è maturata la fase attuale, la quale si precisa essenzialmente per gli obbiettivi da perseguire, ossia: ricostruzione delle forze proletarie e rivoluzionarie e costruzione degli strumenti politico-organizzativi idonei ad attrezzare il campo proletario nello scontro prolungato contro lo Stato al fine di modificare i rapporti di forza attuali.

Gli obiettivi della fase di ricostruzione precisano i termini di conduzione della guerra, l’atteggiamento tattico, la disposizione e organizzazione delle forze.

L’applicazione della tattica è elemento dinamico che concretizza e riempie la strategia.

La Strategia definisce il carattere generale della disposizione delle forze sulla lotta Armata; la tattica, informata dai criteri generali della strategia precisa la direzione delle forze in riferimento agli obbiettivi programmatici che di volta in volta maturano.

La fase rivoluzionaria attuale si presenta come fase di transizione, pur mantenendo un carattere generale dove i passaggi necessari per operare a tutti i livelli un adeguamento del campo proletario e rivoluzionario ai termini dello scontro sono funzionali alla ricostruzione delle condizioni di nuove offensive, e costituiscono le fondamenta su cui invertire la condizione attuale nei rapporti di forza. Nello sviluppo di questi passaggi si è inserito l’attacco controrivoluzionario di settembre, infliggendo perdite che approfondiscono il carattere generale della fase di ricostruzione/costruzione.

Il rovescio subito a settembre, quindi, é una sconfitta parziale e temporanea, collocata nel quadro naturale della guerra di classe di lunga durata: non nega la giustezza dell’impianto politico, ma, paradossalmente, lo riafferma e lo arricchisce. Infatti evidenzia i punti deboli nell’attuazione della linea politica senza mettere in discussione gli strumenti politici per farvi fronte. Al tempo stesso mette in luce ancor più chiaramente il carattere non lineare della guerra rivoluzionaria, nel corso della quale si infliggono e si subiscono perdite.

La guerra ha il suo prezzo: il problema di limitare le perdite trova soluzione “relativa” nella stretta applicazione dei principi strategici della guerriglia (clandestinità e compartimentazione), nonché del “modulo guerrigliero”, nel suo complesso.

ATTACCARE E DISARTICOLARE IL PROGE1TO ANTIPROLETARIO E CONTRORIVOLUZIONARIO DEMITIANO DI “RIFORMA” DELLO STATO.

COSTRUIRE E ORGANIZZARE I TERMINI ATTUALI DELLA GUERRA DI CLASSE.

ATTACCARE LE LINEE CENTRALI DELLA COESIONE POLITICA DELL’EUROPA OCCIDENTALE E I PROGETTI IMPERIALISTI DI “NORMALIZZAZIONE” DELL’AREA MEDIORIENTALE CHE PASSANO SULLA PELLE DEI POPOLI PALESTINESE E LIBANESE.

LAVORARE ALLE ALLEANZE NECESSARIE PER LA COSTRUZIONE/CONSOLIDAMENTO DEL FRONTE COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA, PER INDEBOLIRE E RIDIMENSIONARE L’IMPERIALISMO NELL’AREA GEOPOLITICA.

ONORE AI RIVOLUZIONARI ANTIMPERIALISTI CADUTI.

16/3/1989

per il Comunismo
BRIGATE ROSSE
per la costruzione del P.C.C.

 

Fonte: bibliotecamarxista.org

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