Questa mattina un gruppo di fuoco dell’Organizzazione Comunista Prima Linea composto di sole compagne ha colpito una sorvegliante della sezione femminile delle Nuove Rossella Napolitano che si è particolarmente distinta per zelo e solerzia nel compiere il suo sporco mestiere di spia e di guardiana e che fa parte di quel personale non direttamente militarizzato che non si sporca le mani con le torture o i pestaggi che vengono invece delegati alle solite figure come Cotugno e Lorusso, anche per le sezioni femminili, quando i ricatti delle sorveglianti e delle suore non bastano più a mantenere la normalità.
Il personale che gestisce le sezioni femminili ha solo una funzione di controllo, di assopimento delle tensioni, di riproposizione alle proletarie detenute dei modelli che da sempre garantiscono la soggezione delle donne: il lavoro domestico, la preghiera, l’asservimento alle gerarchie, la passività. Queste “dame di carità” bigotte e riformiste come la signora Cabrini dovrebbero essere nella mente del potere il nostro esempio di virtù. Le sorveglianti, le suore, le assistenti sociali che all’interno di un progetto complessivo si prestano a gestire le sezioni femminili come momento di ricatto e di divisione e come anello debole dentro al processo di socializzazione e di organizzazione del proletario detenuto, devono cominciare a stare attente: le lotte all’interno del carcere hanno identificato il loro ruolo e posto questi personaggi nel mirino dei proletari e dei loro reparti organizzati.
L’attacco contro di loro sarà calibrato alle loro responsabilità: morte ai torturatori, ai delatori, al personale strategico e direttivo: disarticolazione dei collaboratori, di chi accetta di servire lo stato “per un piatto di lenticchie” a prescindere se uomo o donna. Da tre mesi a Torino la sezione femminile delle Nuove è in lotta e da tre mesi le compagne si riprendono spazi di libertà e di socializzazione imponendo alla direzione e al personale di guardia di accettare quello che il movimento dei proletari prigionieri si è ormai preso ovunque. L’elemento che rende questa lotta esemplare non sta solo nell’aver ribaltato i rapporti di forza esistenti finora nelle sezioni femminili facendo propria l’indicazione emessa dal lager di Messina ma soprattutto nell’essere riuscita a coinvolgere le proletarie detenute e a porre nei fatti un processo di ricomposizione.
L’invalidamento della spia Napolitano è la risposta ai trasferimenti con cui ora la direzione cerca di attaccare i livelli organizzati nati da questa lotta ed è un avvertimento a questo personale ricordandogli che il fatto di essere donna non gli garantisce l’immunità. Solo la collaborazione con i detenuti in lotta può garantirgli la sopravvivenza, chi invece si fa strumento delle repressioni e serve lo Stato con “onestà e efficienza” verrà colpito secondo le sue responsabilità. Il livello strategico delle lotte dei proletari prigionieri è indicazione per tutto il proletario delle forme di lotta generali su cui assestare l’attacco al comando: è quindi ampia indicazione rispetto al movimento delle donne su come debba essere affrontato il rapporto con le proletarie detenute perché non rimanga ancora una volta un generico discorso di solidarietà che cade inevitabilmente o nell’intellettualismo dei “gruppi di studio” o nel movimento militante. La lotta di Messina e delle Nuove ha definitivamente fatto chiarezza su cosa si debba intendere per autonomia: lotta contro la propria condizione specifica che si fa solo all’interno della pratica di programma su cui si fonda l’esercizio del contro potere proletario e non pratica separata che ripropone anziché distruggere la subalternità della condizione della donna.
La qualità comunista delle lotte di questi anni, l’antagonismo espresso dai bisogni proletari e le contraddizioni materiali della crisi che si abbattono in prima persona sulle donne, costringendole a confrontarsi con i reali livelli di comando, hanno infatti sancito la fine del movimento femminista come movimento generico, ricco ma contraddittorio, hanno definitivamente rotto la falsa unità che nascondeva condizioni materiali differenti e punti di vista assolutamente inconciliabili. Chi oggi pretende ancora di riproporre una pratica separata e di mantenere su questa una falsa ideologia femminista si pone oggettivamente al di fuori del movimento rivoluzionario e finisce con il legittimare chi in questo movimento ha una funzione di delazione e controllo. La legge di liberazione dell’aborto è stata la risposta istituzionale ad una giusta esigenza delle donne e come tale è stata usata dai cosiddetti partiti di sinistra e dalle loro sezioni femminili per penetrare nel movimento: ma questa operazione è stata possibile grazie alle ambiguità che hanno caratterizzato sempre il movimento femminista. Questo significa che oggi, sul territorio delle donne proletarie si contrappone un apparato di controllo, che nasconde dietro una apparente partecipazione popolare, la realtà della pianificazione scientifica antiproletaria: la funzione dei consultori, degli asili, delle unità sanitarie locali, gestite nell’ambito del decentramento amministrativo, è la schedatura e il controllo capillare del corpo proletario. Ma lo sporco gioco di questi infiltrati è già stato smascherato dai percorsi reali, misurati sui bisogni complessivi, sia materiali che politici, che le donne più che mai si danno e che possono riproporre anche momenti di organizzazione parziali e specifici per la pratica di questi bisogni. Nelle fabbriche, nei territori, ovunque esiste proletariato femminile riconoscersi come soggetto politico per la lotta può voler dire infatti la costruzione di propri momenti organizzati, per i quali però non c’è possibilità di esistenza al di fuori dell’esercizio complessivo di contro potere proletario.
Oggi infatti autonomia femminista non può significare altro che il ribaltamento della propria condizione subalterna e pratica di liberazione all’interno di un programma comunista.
Tutto questo vuol dire porre nei fatti il superamento della propria specificità organizzativa da parte delle donne, è la capacità dei reparti avanzati di classe e delle sue forme di milizia di esprimersi su questa contraddizione fondamentale.
L’opportunismo con cui il movimento rivoluzionario ha sempre rifiutato di assumersi questa contraddizione, lasciando che a gestirla fossero solo le donne, ha finito per avallare l’ideologia del ghetto: oppure, quando ha cercato di assumerla, non ha saputo uscire da una logica terzainternazionalista, in cui il problema della ricomposizione di classe viene affrontato in termini di “fronte” e di alleanza tra vari settori del proletariato. Il gruppo di fuoco composto di sole compagne che ha colpito oggi Raffaella Napolitano è una scelta tattica con cui Prima Linea ha inteso affrontare il problema per imporre nel movimento la discussione su esso; per togliere le ambiguità che ancora persistono, per indicare una pratica corretta. Non c’è quindi nessun tentativo di fondare stereotipe “sezioni femminili” che appunto rimandano ad una teoria di pratica frontista che non ci appartiene ma volontà politica di assumere anche questa contraddizione dentro un’ottica complessiva di potere, per ribaltarla in una logica di guerra e di attacco al comando nemico.
Organizzazione combattente
“Prima Linea”
Febbraio 1979