«… è altrettanto inutile andare a ricercare nelle discussioni il marchio di appartenenza o meno alle nostre formazioni, o stare lì a spiare per scoprire eventuali legami con noi. L’unico risultato è che non si fanno i primi, più semplici passi. …Fronte significa lotte diverse che diventano un’unica lotta grazie al loro fine comune…»
Guerriglia, opposizione e Fronte antimperialista. Documento della RAF, agosto 1982.
Siamo tre compagni da tempo prigionieri. Abbiamo appartenuto alle Brigate Rosse poi al Partito Guerriglia. Da allora militiamo nel proletariato al fine di contribuire a contrastarne il disarmo politico, teorico e militare, quello nostro compreso.
In esso abbiamo riportato, fra l’altro, le nostre critiche, intuizioni, proposte relative al passato come al presente e al futuro della lotta armata per il comunismo in Italia.
In occasione del processo per “insurrezione… guerra civile…” abbiamo trovato modo di incontrarci e di esprimerci uniti. Lo scritto che segue è dunque anche uno sviluppo della nostra militanza nella classe cui apparteniamo.
Il processo che si è aperto a Roma per “insurrezione, ecc.” è, ancora più di quelli che l’hanno preceduto, un calcolato tassello della più ampia controrivoluzione internazionale. Questa, pur con diverse sanguinarie e terroristiche iniziative di guerra, è condotta contro i proletari, gli oppressi di tutto il mondo che affrontano la borghesia imperialista: ossia, la classe di cui anche la magistratura e l’esecutivo italiani, che hanno voluto il processo, sono espressione.
È infatti vitale per il consolidamento dell’imperialismo metropolitano nel mondo la produzione di merci, di plusvalore, di capitale finanziario sul suo stesso territorio. Territorio di cui l’Italia è un decisivo polo. Ma affinché ciò avvenga è ultravitale lo sfruttamento della classe operaia, del proletariato riprodotto ed emigrante nelle metropoli.
D’altronde, lo abbiamo visto in Italia. Quando la borghesia non riesce ad estorcere uno sfruttamento adeguato alle urgenze dell’accumulazione, della concorrenza, del dominio imperialista – inteso in termini generali, essa scende sul terreno della guerra di classe con le stragi nelle banche, sui treni, nelle stazioni, accompagnate dall’assassinio di proletari, di militanti rivoluzionari, dagli arresti di massa, dagli ergastoli, dalle torture.
Il proletariato, i comunisti hanno accettato, accettano e continueranno ad accettare quella guerra; si sono dotati, si dotano e si doteranno di organizzazioni, scopi, fondati sulla lotta armata. E questo al fine di combattere, di non disperdere, bensì per affermare i contenuti propri alle lotte del proletariato; contenuti che invece la borghesia con la guerra sperava e spera di seppellire.
È soprattutto il radicamento della lotta armata nel vivo del contesto delle grandi fabbriche, cioè là dove nasce l’antagonismo fondamentale fra il proletariato e la borghesia, che dà potere – costruito ed esercitato in misura crescente in particolare negli anni recenti – alla classe operaia, al proletariato intero. Certo, potere proletario esercitato nelle fabbriche, nel carcerario, nei quartieri: questo è l’essenziale. Queste sono le radici.
Lo stesso processo iniziato a Roma ha il proprio fondamento nella guerra di classe in Italia, altro che i suoi pretesi 21 “capi d’accusa”, come li chiamano i giudici, chiamati a reggerlo.
Il padrone stesso della Fiat rispetto ai mutati rapporti di potere nella fabbrica e nella società, ebbe a dichiarare: «Eravamo con le spalle al muro». Non siamo riusciti a seppellirlo sotto quel muro assieme alla classe di cui è invidiato mito. Oggi siamo ancora impegnati all’abbattimento di quel muro.
Spiegandoci brevemente, diciamo che nel ’79/80 alla Fiat, e non solo alla Fiat, sotto la spinta della lotta di massa e innanzitutto della sua espressione politico-sociale più completa rappresentata dalla lotta armata condotta dalle Organizzazioni Rivoluzionarie, la critica del lavoro sfruttato, salariato, della proprietà privata dei mezzi di produzione, era giunta ad una nuova e possibile rottura.
La classe proletaria, il potere proletario, le sue Organizzazioni Rivoluzionarie, non ebbero la comprensione complessiva della guerra apertasi al fine di sostenere la lotta per la socializzazione della proprietà , della direzione e degli scopi da dare alla produzione, al consumo, delle loro reali tappe nella rivoluzione proletaria contemporanea.
Qui apriamo un’autocritica. Secondo noi anche l’Organizzazione di cui facevamo parte non colse totalmente la qualità epocale della lotta di classe maturata, in particolare, nelle grandi fabbriche nel biennio ’79/80.
Ci chiudemmo in parte dentro l’Organizzazione, dove più di una volta il liberalismo, il soggettivismo presero il sopravvento sulla giusta formazione dei suoi militanti, sul corretto rapporto fra comunisti, fra questi e il proletariato. Cosa poteva la classe con le sole iniziative di massa se pur grandiose come gli scioperi, le occupazioni, i presidi? Quando lo scontro si elevava politicamente, socialmente e militarmente?
Abbiamo discusso i limiti in gran parte sopraggiunti anche per le difficoltà che, a nostro parere, il proletariato e le sue Organizzazioni Rivoluzionarie hanno avuto nel trovare il riferimento, la storia, da cui trarre forza, alimento ulteriore in vista degli immensi fini da affermare. I quali, oltre a quelli già visti, consistono nell’organizzazione del proletariato per la conquista del potere nella società, per condurre questa fuori dal capitalismo verso il comunismo.
Siamo fra coloro che sostengono che la lotta armata in questo paese deve continuare; che oggi essa, in condizioni politiche generali e di lotta di massa difficilissime, tiene e deve tenere aperta la prospettiva rivoluzionaria. In questo facciamo riferimento alla pratica delle BR-PCC, ai riflessi delle proposte generali della RAF, di Action Directe (compresa l’esperienza sul terreno della grande fabbrica), dell’ETA, del Grapo, dell’IRA e di ogni altro piccolo nucleo di guerriglia in Italia e in Europa, della guerriglia proletaria nell’area mediorientale.
In specifico sosteniamo che lo sviluppo della lotta armata, adeguato alle condizioni della lotta di classe nella metropoli, avviene radicandola nelle grandi fabbriche europee, avviene nell’esprimere sul piano politico nazionale ed internazionale l’antagonismo, la critica proletaria contro le condizioni di vita mercificate ed alienate.
Secondo noi, infine, è nell’attaccare i grandi gruppi multinazionali attivi in Europa che si combattono gli stati e l’Europa imperialista, che si trova l’unità con tutti coloro che in tutto il mondo combattono l’imperialismo e il capitalismo.
È anche questo un modo concreto per contrastare la manipolazione, la falsificazione della natura della lotta armata in Italia passata e presente, cui ovviamente il processo in corso a Roma, come quelli che l’hanno preceduto ma con maggiori pretese e presunzioni, disperatamente mira.
Non deve accadere ciò che è accaduto all’Organizzazione, alla lotta e al pensiero del proletariato rivoluzionario, che hanno preceduto la prassi rivoluzionaria degli anni ’60, la nostra stessa. La loro storia e memoria sono state infatti cinicamente squartate e dissanguate.
Un simile tentativo vuole prendere corpo anche oggi. Vi lavorano, pur fra diversi accenti, i partiti borghesi, dalla DC al PCI, gli organi della manipolazione, dal TG1 al manifesto, agli apparati dello stato come il Ministero delle carceri. Tutti combattono la lotta armata che comunque è una realtà irreversibile. Cercano di farlo, oggi, attraverso l’eterno logoro rituale di contrapporre il “buon” passato al “cattivo” presente; trescano per dividere i rivoluzionari, per dividere i prigionieri comunisti dalle lotte del proletariato. Un gioco infame a cui prende parte anche chi si integra con lo stato, chi abbandona la lotta armata e il proletariato.
Attraverso questi ultimi la borghesia tenta di riscrivere gli eventi adattandoli alle proprie necessità politiche attuali e future. C’è il tentativo di ubriacare il proletariato con mulini di stupide parole, di iniziative tragicomiche. Il fine è sempre il solito: tenere il proletariato al carro del pacifismo, della subordinazione, del predominio dei rapporti sociali borghesi.
Non riusciranno a stravolgere la natura della lotta armata. Non raggiungeranno tale scopo neppure i giudici, con il loro allucinante procedere, con la loro funzione di riduzione e distruzione attraverso l’adeguamento della realtà storica della rivoluzione proletaria, e non solo di quella, al codice penale.
Nonostante le uccisioni, le carcerazioni con le loro devastazioni psicologiche ed affettive, i processi, le sconfitte, le falsificazioni, i tradimenti, la rivoluzione proletaria, anche in questo paese, riemergerà sospinta e rafforzata dalla sua essenza più profonda: la lotta armata per il comunismo.
Tutto ciò, assieme alla ricerca di unità, di collettività anche nelle prigioni, oggi, ci appartiene.
Solidarietà con tutti i prigionieri che dall’Europa all’America Latina, dal Medio Oriente al Sud-est Asiatico, dal Sudafrica agli USA, lottano contro il carcere imperialista.
Per l’unità dei rivoluzionari e di tutti i popoli che lottano contro l’imperialismo.
Per l’unità della classe operaia e del proletariato nella lotta armata contro la borghesia imperialista.
Vivono nelle lotte i compagni e le compagne e tutti i combattenti caduti nella guerra all’imperialismo.
Mario Fracasso, Maurizio Ferrari, Mario Mirra
Carcere di Rebibbia, 3 aprile 1989