Documento di Carla Biano allegato agli atti del processo in Corte d’Assise d’Appello di Firenze
Come militante rivoluzionaria prigioniera, intendo ribadire il mio rapporto con questa “giustizia”, espressione del potere della borghesia e, nel contempo, riaffermare il carattere della prassi rivoluzionaria.
Questa posizione quindi non può che rispecchiare il rapporto esistente tra il proletariato e la guerriglia nei confronti dello Stato. Guerriglia che in Italia, nel processo rivoluzionario condotto dalle Brigate Rosse, fa del piano classe/Stato e del piano internazionale inserito nella proposta di costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista, i due ambiti di intervento su cui agire, in stretta dialettica con le istanze proletarie e rivoluzionarie volte all’abbattimento di questo stato di cose.
Ogni singolo paese della catena imperialista ha caratteristiche, contraddizioni, dinamiche politiche proprie pur mantenendo una politica conforme ai dettami ed alla logica imperialisti.
L’Italia è parte integrante del progetto imperialista di dominio globale; progetto nel quale l’Europa, centro della ridefinizione degli equilibri internazionali, si colloca come protagonista con un sistema politico, economico e militare nuovi. Per essere parte attiva ed inserito a pieno titolo nelle nuove dinamiche internazionali che tendono alla ridefinizione del “Nuovo Ordine Mondiale”, lo Stato italiano necessita di far fronte ad una forte crisi interna; crisi che scarica i pesanti costi economici e sociali sul proletariato.
L’accordo sul costo del lavoro del 31 luglio siglato da governo, sindacati e confindustria con cui si sanciva la soppressione della scala mobile, il blocco della contrattazione aziendale e dei contratti del pubblico impiego, fino ad arrivare all’estesa manovra economica con i tagli alla sanità, alle pensioni, all’occupazione, al diritto allo studio, ai servizi, ecc., sono il prezzo che lo Stato imperialista impone per cercare di uscire da una forte crisi interna, di carattere economico e politico, e di integrarsi nel sistema politico, economico europeo.
Ai costi della crisi, agli effetti della riforma dei poteri dello Stato, fa fronte un’ampia resistenza operaia e proletaria, un’ampia conflittualità politica e sociale che si esprime con forme di lotta e di organizzazione che attraversano molteplici settori di classe; lotte che sono qualificate da una forte critica ai sindacati di regime che hanno perso ogni credibilità e legittimità da parte dei lavoratori.
Le espressioni di forte preoccupazione con cui il governo è attento al montare delle mobilitazioni, sono la necessità e la pretesa di reprimere e frenare preventivamente l’esplosione, l’espandersi di un conflitto sociale causato dalle politiche forcaiole della borghesia tendenti ad operare una pacificazione forzata e ad imbavagliare le tensioni politiche e sociali che si producono, con interventi orientati all’azzeramento delle precedenti conquiste operaie e proletarie frutto di vent’anni di lotte, dentro un clima di criminalizzazione diffuso e di attacco alle lotte. Da qui l’attacco e la criminalizzazione di qualsiasi forma di antagonismo all’operato del governo, che interviene con metodi terroristici contro i processi di aggregazione autonoma, tentando di risolvere i problemi posti dalla crisi attraverso intimidazioni, all’interno di un attacco ampio che si avvale di metodi di controguerriglia come tattica preventiva per sgonfiare, scomporre il montare delle istanze di lotta, puntando a racchiudere, trattenere le istanze antagoniste che si producono sul campo proletario.
In sintesi, gli apparati dello Stato pongono in essere il piano antiguerriglia capovolgendolo, rivolgendolo sull’intero campo proletario ed antagonista, con finalità di deterrenza e criminalizzazione di ogni antagonismo. In questo contesto va inserita la campagna contro la criminalità, dalla militarizzazione del territorio, alla riapertura di Pianosa e dell’Asinara, ai trasferimenti di numerosi prigionieri nei carceri a circuito speciale, al liberticida “decreto antimafia”. Tutto per oscurare, nascondere la vera campagna criminale, cioè quella che sta portando avanti l’esecutivo contro la classe: precettazioni, blitz militari nelle università, negazione del diritto di sciopero, chiusura di spazi di agibilità fisici e politici, ecc.
Viene usato ogni mezzo per convergere, far rifluire il movimento di classe nell’associazione delle rappresentanze istituzionali, con strumenti che vertono sia al contenimento, ingabbiamento delle spinte della lotta di classe, sia al loro convogliamento nei meccanismi della democrazia rappresentativa.
In tutto ciò si sente sempre più la necessità di consolidare e rafforzare l’unità di classe su contenuti proletari e rivoluzionari.
Questa fase di crisi economica e politica della borghesia costituisce sempre più la condizione concreta favorevole alla ripresa dell’offensiva di classe, apre un ulteriore spazio alla prassi rivoluzionaria e la lotta armata preserva in toto la sua validità.
Lo Stato è il risultato dell’inconciliabilità di interessi fra due classi in totale opposizione e la strategia della lotta armata, inserita in un processo rivoluzionario basato sullo sviluppo della guerra di classe di lunga durata, è la sola strategia attuabile, possibile nell’attuale sviluppo imperialista, in quanto è l’azione offensiva della guerriglia la sola possibilità di fare arretrare i piani fondamentali, vitali dello Stato mirati al suo rafforzamento.
La guerriglia, oggi, è il terreno primario dell’organizzazione di classe, costruita nel rapporto classe/Stato, che qualifica lo scontro acquisito sul piano rivoluzionario basato sull’approfondimento del rapporto classe/Stato, rivoluzione/controrivoluzione, proletariato internazionale/borghesia imperialista. Certo, c’è stata e c’è discontinuità nello scontro, è normale in ogni processo rivoluzionario; una strada che si apre è sempre ingombra di pietre che scorticano i piedi, rallentano il passo ma non ne arrestano la marcia.
Il processo rivoluzionario, affermatosi e radicatosi in Italia con vent’anni di attività politico-militare della guerriglia, ha sempre avuto carattere antimperialista e internazionalista; carattere che si è attestato e verificato nella prassi concreta.
Uno dei cardini principali su cui, negli anni ’80, si sono collocati il programma, il lavoro politico-militare delle organizzazioni rivoluzionarie, della guerriglia in Europa Occidentale, è stato l’opera di costruzione di una strategia unitaria antimperialista. Gli accordi dell’85 AD-RAF e più tardi RAF-BR nell’88 con il testo comune concretizzatosi con l’azione della RAF contro Tietmeyer, hanno avviato il processo di sviluppo di una prassi unitaria antimperialista che vive nella proposta del Fronte.
Processo questo ancora più determinante oggi dove l’imperialismo, da una parte, è sottoposto ad una sempre più acuta e pressante crisi ormai strutturale, congiunturale ed irreversibile, dall’altra tende sempre più a rafforzare il proprio dominio, la propria supremazia su territori sempre più vasti, con regole ferree dettate dalla violenza, dalla ineguaglianza.
La tendenza imperialista alla guerra è dovuta in larga parte alla crisi di un sistema economico e politico che deve ricorrere alla forza militare, all’annientamento, per sopravvivere. A riprova di questo sono gli USA che, in piena recessione economica, con una profonda crisi interna, tendono sempre più ad uno scontro bellico per ribadire, riconfermare con forza il loro potere egemonico sulla catena imperialista stessa. Un esempio per tutti, l’aggressione all’Iraq, dove l’Europa Occidentale ha dimostrato, da un lato, un’operatività, un’efficacia politico-militare nuova con la quale valersi per un’influenza più determinante ed incisiva sulle scelte future, d’altro lato, con il suo allineamento alle direttive USA, che i processi di congruenza europei sono interni al rafforzamento dell’alleanza e riconfermano il ruolo di leadership statunitense.
L’aggressione imperialista all’Iraq è stata la scusa, il cavillo per affermare il controllo a livello politico, economico e militare di un’area di importanza strategica sia per il controllo delle rotte tra i continenti che per le risorse energetiche e finanziarie mondiali; inoltre doveva servire come mezzo di deterrenza nei confronti dei popoli arabi che lottano per liberarsi dal giogo imperialista-sionista ed imporre così la tanto auspicata pax imperialista.
Sia l’aggressione al popolo iracheno che il conseguente monito ai popoli arabi, continuano oggi in modo sempre più pressante e criminale. L’embargo, le continue provocazioni, la divisione dell’Iraq in tre parti, rientrano nel disegno delle grandi potenze imperialiste di dissolvere, annientare tutti quei paesi sui quali non riescono ad avere il controllo.
La regolamentazione imperialista dell’area, nei propositi occidentali, vorrebbe l’entità sionista come tutore della stabilizzazione e sicurezza, sottoponendo a questo ruolo soluzioni politiche del conflitto arabo/sionista/palestinese.
La “conferenza di pace” rientra tutta in questo progetto; da un lato si tenta di delegittimare la lotta del popolo palestinese, portando sul tavolo imperialista, strappandola dalle strade dove è nata e vive, l’Intifada, dall’altro lato si tende al riconoscimento di “Israele” da parte dei paesi arabi. Riconoscimento che sancirebbe la presenza, l’egemonia, il controllo sulla vita dei popoli arabi, della piovra imperialista, USA in testa.
Ma la “pax” auspicata dall’imperialismo è ben lontana dall’essere realizzata e sempre valido è l’insegnamento di Che Guevara: «la coesistenza pacifica tra nazioni non comporta la coesistenza tra sfruttatori e sfruttati, tra oppressori ed oppressi». I massacri che il popolo palestinese ha subito lungo tutta la sua storia non hanno spezzato, azzerato la sua identità, come ne sono segno la sua forte determinazione, la vitalità dell’Intifada, la resistenza del popolo arabo, l’incisività delle sue avanguardie.
La tanto sbandierata collaborazione fra i popoli con cui l’imperialismo tenta di fare perno per imporre la propria pacificazione, il proprio “ordine”, non è altro che affamamento per milioni di proletari. Sulla “caduta” del muro di Berlino, sulla “guerra del Golfo”, sulla rovina economica, sociale e politica dell’URSS, sulla crisi yugoslava, si inscrive il “Nuovo Ordine Mondiale”, imposto attraverso la sottomissione dell’uomo ai tornaconti del capitale, in quanto è la società capitalista che oggettivizza l’individuo e, nella persona, soggettivizza la cosa; è la società capitalista che riduce il tutto a feticcio merce.
Venti di resistenza ed opposizione all’indifferenza, alla discriminazione, all’ineguaglianza, allo sfruttamento prodotti dall’imperialismo per i suoi profitti, soffiano sempre più forti in ogni parte del mondo. La rivolta di Los Angeles come le ampie mobilitazioni in Grecia, Spagna, Italia, Francia, Inghilterra, ecc., dimostrano che gli operai, i proletari, non accettano e non sono disposti ad essere merce di scambio per la realizzazione del “Nuovo Ordine Mondiale” decretato dai “grandi” della terra.
Già dall’aggressione all’Iraq si è visto che i progetti guerrafondai dell’imperialismo hanno trovato sulla loro strada una forte e determinata mobilitazione proletaria e combattente al Centro come nella Periferia, sintomo di un rinnovato internazionalismo proletario che ha posto in primo piano, nella prassi, il terreno unificante tra i processi rivoluzionari della Periferia, e la guerra di classe nella metropoli imperialista, dimostrando che esiste un elevato livello di unità tra i vari processi rivoluzionari.
Da qui la possibilità concreta di ricostruire prassi rivoluzionaria e di operare fattivamente alla proposta di costruzione-consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista nell’area geopolitica Europa Occidentale, Mediterraneo, Medio Oriente; Fronte Combattente Antimperialista inteso come processo che verte verso la costruzione di successivi momenti di unità, che pone le basi per una effettiva politica di alleanze tra le forze rivoluzionarie di tutta l’area geopolitica.
È in questo intreccio che si esprime l’attività del processo rivoluzionario condotto, in Italia, dalla guerriglia, dalle Brigate Rosse; attività che ha conseguito piena legittimità, validità in vent’anni di prassi rivoluzionaria.
È in riferimento a questo processo rivoluzionario, alla guerriglia con il suo patrimonio storico, che si colloca la mia esperienza politica e la mia identità di militante rivoluzionaria.
Con tutto ciò intendo confermare, come militante rivoluzionaria prigioniera, il mio atteggiamento davanti a questo tribunale al quale non riconosco alcuna legittimità ed autorità.
– Attaccare le politiche, i progetti antiproletari e controrivoluzionari dello Stato volti al rafforzamento del suo potere.
– Lavorare alla costruzione-consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista.
– A fianco del popolo palestinese nella lotta contro il sionismo.
– Onore a tutti i rivoluzionari caduti combattendo nella lotta per il comunismo.
Firenze, 5 novembre 1992
La militante rivoluzionaria prigioniera Biano Carla
Fonte: senza censura.org
Un pensiero su “«In una società in cui sussistono le classi, la lotta di classe non può finire»”