Silvio Antonini
27 maggio 2015
…Che sono cadute nella lotta armata nell’Italia dal post – Sessantotto ai giorni nostri, sarebbe stata l’aggiunta esplicativa da fare al sottotitolo di questa monografia di Paola Staccioli, romana, autrice di pubblicazioni di respiro storico, sovversivistico e di genere. Non avrebbe inficiato, del resto, con la tradizionale canzone socialista citata a titolo, che dice: “Crumiri col padrone son tutti d’ammazzar…”.
Infatti, il volume si presenta come una raccolta di biografie di donne che, a seguito della Contestazione e nella convinzione che fosse giunto il momento di dare quella spinta necessaria per mutare il corso della storia, hanno impugnato le armi, maneggiato esplosivi – o perciò incriminate – lasciandoci la vita. Una convinzione che ha superato gli anni dei movimenti e, pur riguardando segmenti sempre più risicati e minoritari di società, si è protratta sino a tempi recenti – si pensi che l’ultimo smantellamento di un’organizzazione accusata di voler rifondare, per così dire, le Brigate rosse risale al febbraio 2007 – e nessuno può escludere che si riproponga in futuro.
Qui, essendo esaminata l’altra metà della volta celeste, si prende spunto proprio dai pregiudizi riguardanti le donne che hanno invaso territori considerati di pertinenza maschile, come il mestiere delle armi. Una pregiudiziale solitamente espressasi in morbosità, ilarità e scherno che risale, almeno, alle brigantesse, passa per il movimento operaio, per la Resistenza, sino all’epoca nostra, per un argomento di non semplice trattazione come il lottarmatismo.
Dieci sono le vite ricostruite. Si parte da Elena Angeloni, l’attivista Pci saltata in aria dinanzi all’ambasciata statunitense di Atene mentre preparava un attentato per protestare contro il regime dei colonnelli, sino a Diana Blefari Melazzi, la “neo-brigatista” che si toglie la vita in carcere nel 2009. Fra questi due estremi erano, intanto, cambiati l’Italia e il mondo, eppure si era tramandata quella che Giorgio Galli ha definito la “leggenda delle Br”. Si tratta perlopiù, infatti, di brigatiste o comunque appartenenti alla sovversione che si richiamava teoricamente al marxismo – leninismo. Fa eccezione la vicenda di Maria Soledad Rosas, Sole, l’attivista anarchica, finita nelle indagini contro i No Tav, che si uccide mentre è assegnata ai servizi sociali, nel 1998. Un’appendice didascalica che, in realtà, occupa circa la metà del libro, descrive dettagliatamente le formazioni di appartenenza di queste donne.
Solo una storia a lieto fine è inserita, quasi a voler mitigare l’amarezza e quel, per forza di cose spontaneo, ragionare con i se (se avessero fatto altre scelte, preso altre decisioni…): quella di Silvia Baraldini, l’attivista imprigionata per venticinque anni negli Stati Uniti, per la cui scarcerazione sono state condotte tante battaglie negli anni Novanta, e che ora, finalmente libera, ricostruisce qui dei trascorsi che, per quanto si conoscesse il nome, erano rimasti pressoché inediti.
Per il resto, tante giovani vite spezzate in diverse circostanze, alcune va da sé mai chiarite, cadute in scontri a fuoco, in rapine, vittime degli attentati in preparazione o suicide. La Staccioli, con uno stile di scrittura vicino alla giallistica e al noir italiani, ci restituisce queste vite nella loro interezza, in una pubblicazione che indubbiamente inchioda alla lettura e che poggia, oltre che su una solida bibliografia, su corrispondenze e scritture di carattere diaristico. Materiale censurato, rimosso, perché qui a scorrere è un sangue dei vinti, delle vinte nello specifico, per nulla a buon mercato.