La nostra posizione deriva dalla nostra identità politica. Identità per un comunista è essenzialmente e innanzitutto partito. Nel processo storico che lo esprime, nel suo programma, nel suo progetto strategico, nella sua linea politica, nella sua prassi, il militante costruisce la sua identità, che ha un senso rivoluzionario in quanto identità di partito, nel senso storico del termine e in quello diretto.
In questo processo, come militante delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente, mi identifico nell’organizzazione, nel disegno politico che ha reso possibile l’attuale salto di qualità, nell’attività di ricostruzione politico-organizzativa svolta in questi anni, che è inseparabile dal “risultato” dell’attuale ripresa di iniziativa; oggi nell’azione contro Ruffilli e nell’attività tra i disoccupati, nella classe operaia industriale, tra i lavoratori dei servizi – in una parola, nel proletariato metropolitano.
La capacità dimostrata concretamente dalle Brigate Rosse di sviluppare il progetto politico guerrigliero nelle attuali condizioni dello scontro di classe, è la dimostrazione della necessità e possibilità della lotta rivoluzionaria, di come la sua esigenza vive nel proletariato, del suo respiro strategico.
Oggi questa non è una tesi: è un fatto.
Il cuore dello Stato è l’asse di intervento strategico che caratterizza la continuità delle Brigate Rosse nella loro storia: l’attacco alle politiche dominanti che nella congiuntura oppongono il proletariato alla borghesia, attacco che mira a rompere gli equilibri politici che fanno marciare i programmi della borghesia imperialista, sviluppandone le contraddizioni. Oggi, il passaggio politico della cosiddetta riforma istituzionale, il progetto politico “demitiano” di riformulazione dei poteri e delle funzioni dello Stato.
Questo si colloca dopo i successi della controffensiva sviluppata dallo Stato nel corso degli anni ’8O, offensiva partita dal presupposto che, senza assestare un duro colpo alla guerriglia, non si sarebbe potuto procedere alle ristrutturazioni economiche che la crisi rendeva impellenti. Questa offensiva ha sviluppato una dinamica che, a partire dall’attacco alla nostra organizzazione ha attraversato orizzontalmente tutto il corpo di classe, costruendo i termini di nuovi rapporti di forza a favore dello Stato.
Il progetto demitiano è inserito nel processo di rifunzionalizzazione dello Stato che ha modificato, sulla base dei nuovi rapporti di forza, il carattere della mediazione politica tra classe e Stato, la funzione degli strumenti e dei soggetti istituzionali con cui lo Stato si rapporta al proletariato, il modo stesso di governare il conflitto di classe: per questo possiamo dire che nella mediazione politica attuale tra classe e Stato vi è incorporato il salto di qualità operato dalla controrivoluzione negli anni ottanta. L’ambizioso progetto politico di riforme istituzionali intende ratificare al meglio questo rapporto di forza favorevole, sancire l’equilibrio tra classe e Stato in favore di quest’ultimo; da questo il suo carattere antirivoluzionario e antiproletario: stabilizzare e rafforzare la dittatura di classe della borghesia.
Legandosi a quel progetto politico che nella Democrazia Cristiana venne prospettato da Aldo Moro come “terza fase” dopo la ricostruzione post-bellica e gli anni del centro-sinistra, è in questi primi anni ottanta che la strategia demitiana ha preso corpo, ricalibrandosi in un contesto politico e sociale assai mutato e si è imposta come baricentro tra le forze politiche, riqualificando la DC come partito-pilota dei nuovi cambiamenti.
Caratteristica essenziale di questo progetto è sviluppare ancora l’accentramento dei poteri nelle mani dell’esecutivo in rapporto alla necessità di ricondurre sempre più il gioco politico alle esigenze della ristrutturazione politica ed economica, allineandosi alle esigenze internazionali del blocco imperialista. L’ossatura del progetto politico demitiano è imperniata sulla formazione di coalizioni che si possano alternare alla guida del governo dandogli così un carattere di forte stabilità, una “maggioranza” forte ed un esecutivo stabile in grado di garantire da un lato risposte in tempo reale ai movimenti dell’economia, dall’altro decisioni consone all’instabilità del quadro politico internazionale.
Non si tratta di un disegno biecamente reazionario, di un blocco reazionario che vuol svuotare parlamento e costituzione, ma di una strategia che punta a fare funzionare al massimo la democrazia formale, adeguandosi ai modelli delle democrazie mature europee.
Di questo progetto il senatore democristiano Ruffilli era uno dei principali protagonisti, l’uomo di punta che in questi anni ha guidato la DC in questo campo, sapendo ricucire, attraverso forzature e mediazioni, tutto l’arco delle forze politiche intorno a questo progetto, comprese le opposizioni istituzionali.
Che questa manovra complessiva non sia certo priva di contraddizioni lo si vede nelle vicende politiche di ogni giorno; che queste contraddizioni siano in realtà solo secondariamente riferite alle forze politiche ed invece ad un quadro politico e sociale del paese niente affatto pacificato lo si è visto con chiarezza anche sotto il colpo portato al cuore dello Stato; dietro le contraddizioni stanno rapporti di produzione, classi sociali, antagonismi inconciliabili ed è a questi che le BR si relazionano, vi traggono forza e prospettiva per lo sviluppo del progetto rivoluzionario.
In questo progetto tra attacco al cuore dello Stato e la parola d’ordine del Fronte antimperialista combattente vi è la più stretta unità, che caratterizza la linea politica della nostra organizzazione e che parte dalla comprensione di come lo sviluppo del processo rivoluzionario qui è indissolubilmente legato alla lotta generale tra imperialismo e rivoluzione nel mondo, e in modo particolare nella nostra area. L’attuale ristrutturazione dello Stato, la centralizzazione dei poteri nelle mani dell’esecutivo è direttamente in rapporto al ruolo e alle ambizioni sovranazionali dello Stato imperialista italiano; gli sviluppi concreti del ruolo dell’Italia sulla scena internazionale, nel mondo arabo e nel conflitto mediorientale in questi anni stanno a dimostrarlo.
Sviluppare il processo rivoluzionario significa dunque indebolimento politico-militare dell’imperialismo nell’area, della sua presenza, dei suoi progetti. Ed è proprio a partire da una visione materialista e classista, dalla lettura marxista dell’imperialismo e delle sue leggi, dei conflitti internazionali e di classe, che la politica delle alleanze che ci riguarda si può relazionare con forze rivoluzionarie antimperialiste che possono essere caratterizzate da criteri e finalità anche diversi dalla conquista proletaria del potere: l’unità politica nell’alleanza è data dalla lotta al comune nemico e la sua concretizzazione nei livelli di unità e cooperazione raggiungibili. La nostra organizzazione lavora alla costruzione di alleanze antimperialiste per rafforzare e consolidare il Fronte antimperialista combattente nella nostra area e assume la parola d’ordine di sostenere la guerra del popolo palestinese e libanese contro l’aggressione imperialista e sionista.
Su questi elementi qui molto sommariamente accennati e sull’insieme più ampio e compiuto del bilancio dell’esperienza di questi anni e dell’elaborazione del progetto guerrigliero per la fase che abbiamo davanti che la nostra organizzazione ha prodotto, le Brigate Rosse lavorano oggi per rafforzare il campo proletario, per attrezzarlo allo scontro contro lo Stato; per proseguire nella costruzione del partito comunista combattente non solo accumulando le forze che si dispongono spontaneamente sul terreno, ma creando una direzione che tenga conto di tutti i fattori in gioco, interni e internazionali.
Infine, come aspetto particolare e del tutto secondario dell’iniziativa combattente, vi è il pieno smascheramento nei fatti della natura controrivoluzionaria dell’operazione di “soluzione politica” avviata con grandi velleità di eliminare il problema BR nel quadro ben più generale della riforma istituzionale. La diretta continuità tra il pentitismo nato nelle caserme, la dissociazione prodotta dalla politica penitenziaria antiguerriglia e il progetto di soluzione politica elaborato dallo Stato nei suoi massimi vertici politici, è emersa con la limpida chiarezza che viene dagli avvenimenti e dalle cose, dalla collocazione che ognuno ha trovato e occupato nei confronti dei fatti.
Questa operazione, tra l’altro, intendeva spacciare la lotta armata come una questione ormai di prigionieri; l’identificazione delle BR con il carcere è funzionale e subordinata ai piani dello Stato, è una mistificazione controrivoluzionaria tesa a negare il processo storico in atto: il fatto che è nello scontro di classe, e oggi, che vive la guerriglia.
Le BR sono fuori! Vive, organizzate, combattenti, in uno sviluppo lungo diciotto anni di storia e di lotte.
Qui in carcere ci sono dei militanti; ostaggi nelle mani del nemico, isolati rispetto alla complessiva realtà sociale, nelle sezioni di massima sicurezza, nei carceri speciali. In questa situazione e in queste condizioni la militanza rivoluzionaria è sostanzialmente tenuta dell’identità. Identità che è restituita al grado di integrità concretamente possibile solo per mezzo e attraverso la dimensione di partito, la coscienza e la responsabilità di appartenere a un processo collettivo, a un organismo in movimento nel suo insieme, attraverso la centralizzazione politica e strategica con la guerriglia. Centralizzazione che deve essere perseguita e conquistata imparando dallo sviluppo della lotta reale fuori. In ciò ci può essere, e relativamente, dati i limiti e i condizionamenti che la prigionia strutturalmente comporta, una crescita in rapporto al processo storico nel suo insieme. Tenuta, e sviluppo dell’identità politica in questa disciplina: questo consiste in una lotta, e la lotta qui è questa. Il resto è aria fritta, dove all’incapacità di una condotta coerente si sopperisce con pensieri e parole che a quel punto rimbalzano tra loro.
La comprensione dell’estrema parzialità della condizione di prigionia e dunque della centralità della dimensione di partito, da un lato è nella tradizione del movimento comunista internazionale, nell’esperienza di innumerevoli movimenti rivoluzionari in tutto il mondo, e ha carattere generale, dall’altro è anche il risultato dell’esperienza che abbiamo fatto nel confronto diretto con la controrivoluzione e la sua attività antiguerriglia in carcere, quello che abbiamo imparato in un percorso storico-pratico di anni.
Il senso dunque anche di questa dichiarazione è questo: identità. Per noi e meglio di noi, come altre volte abbiamo detto e come è nella logica della rivoluzione, parla la guerriglia, la nostra organizzazione, le Brigate Rosse.
– Attaccare, disarticolare il progetto politico demitiano di riformulazione dei poteri e delle funzioni dello Stato!
– Organizzare le forze attorno alla costruzione del partito comunista combattente per attrezzare e dirigere il campo proletario nello scontro prolungato contro lo Stato per il potere!
– Costruire alleanze antimperialiste per rafforzare e consolidare il Fronte antimperialista combattente nell’area!
– Sostenere la guerra del popolo palestinese e libanese contro l’oppressione imperialista e sionista!
Su questi termini di programma costruire l’unità dei comunisti per la costruzione del partito comunista combattente.
Cesare Di Lenardo, militante delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente
Venezia, 1 giugno 1988