Firenze, processo di primo grado “Lando Conti”. Dichiarazione finale di Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli, Daniele Bencini, Marco Venturini

Il rito che si è consumato in quest’aula ha messo in evidenza i tentativi di demonizzare l’attività rivoluzionaria delle BR. Una demonizzazione che si serve delle formule processuali per costruire la verità giuridica con cui lo Stato, per mezzo del processo, cerca di negare quello che i prigionieri qui rappresentano: lo scontro rivoluzionario, la sua prospettiva di potere per il proletariato metropolitano di questo paese. Un tentativo sterile e velleitario perché nessuna formula giuridica, nessun pronunciamento di tribunale, né i secoli di galera che da sempre vengono comminati ai comunisti possono mutare la questione centrale posta nel processo: la prassi combattente delle BR e, nello specifico, l’iniziativa politico-militare contro Lando Conti che colpisce un esponente repubblicano che aveva un preciso attivismo intorno a quanto caldeggiava l’allora Ministro della Guerra Spadolini. Allora il PRI spingeva infatti per un maggior impegno e coinvolgimento dell’Italia rispetto alla “politica delle cannoniere” americana, ci riferiamo alle forzature militari USA nella regione mediterranea-mediorientale, tese ad innescare determinate condizioni per la maturazione dello scontro bellico, e che avevano anche la funzione di operare un coinvolgimento degli alleati che, per tempi diversi della crisi, non erano ancora allineati completamente sulla scelta guerrafondaia.

È di allora il bombardamento americano su Tripoli e Bengasi che, peraltro, ha usufruito dell’appoggio logistico, dato in modo informale dall’Italia, mentre ufficialmente essa, ma anche gli altri Stati europei, si sono ricomposti con la politica terroristica degli USA operando sul piano politico/diplomatico la ricucitura e l’assestamento di quanto gli USA avevano conseguito sul piano militare. Questo modo di operare dell’imperialismo rispondeva agli allora equilibri internazionali tra Est ed Ovest, ed era parte della politica imperialista capeggiata dagli USA per acquisire margini nei rapporti di forza internazionali tra i due blocchi.

È dentro questo quadro di riferimento che il PRI si faceva promotore delle posizioni più oltranziste a livello filoatlantico affinché l’Italia assumesse un ruolo maggiormente attivo nel fianco Sud della Nato, in questo solco lo specifico attivismo di Lando Conti all’interno delle posizioni del PRI di spalleggiamento aperto della politica reaganiana soprattutto riferita al riarmo col progetto SDI “guerre stellari”.

Attaccare i portatori di questa politica guerrafondaia ha significato per le BR dare continuità alla prassi antimperialista da esse messa in campo sin dall’82 con la cattura del generale NATO Dozier e in seguito con l’azione Hunt. Una pratica che ha individuato nella NATO, nelle politiche centrali dell’imperialismo, in specifico quelle guerrafondaie e di annientamento dei popoli, gli obiettivi principali su cui sviluppare l’antimperialismo e caratterizzare l’internazionalismo proletario oggi, su cui cioè la guerriglia in Europa in primo luogo e le forze rivoluzionarie da tempo già si confrontavano.

Con l’iniziativa Lando Conti le BR precisano anche l’analisi sulla fase dell’imperialismo, definiscono l’area geopolitica europea-mediorientale-mediterranea come area di massima crisi del mondo, che per le sue caratteristiche storiche e politiche può essere il possibile detonatore di un conflitto allargato. Per altro verso si misurano con la proposta del Fronte Combattente Antimperialista contribuendo alla sua costruzione con un apporto fattivo definendo il proprio specifico punto di vista riguardo al Fronte come politica di alleanze contro il nemico comune da praticarsi, nell’attacco all’imperialismo, sia con la guerriglia in Europa che con le forze rivoluzionarie della regione mediterranea-mediorientale.

La promozione del Fronte Combattente Antimperialista marcia, per le BR, in unità programmatica con l’attacco al cuore dello Stato che in questa fase politica è rappresentato dalle politiche di riadeguamento dello Stato che in parte già contengono i presupposti per cambiamenti decisivi nel quadro complessivo delle relazioni politiche e sociali tra le classi e nelle forme di potere che vogliono essere istituite.

Nelle modalità con cui nel paese si stanno maturando i passaggi verso la Seconda Repubblica, al cui interno la stabilità cerca di imporsi avvalendosi, nel governo delle contraddizioni di classe, di politiche marcatamente coercitive e di risposte repressive, quali termini più evidenti della loro natura antiproletaria e controrivoluzionaria, si esprime al massimo grado l’instabilità critica dei reali equilibri nel paese, dove l’impronta data dagli strumenti messi in campo per rafforzare lo Stato, e la forma che viene ad assumere in un paese a capitalismo avanzato quale è l’Italia, mette a nudo la debolezza storica su cui poggia il dominio della borghesia imperialista italiana, che scaturisce dalle condizioni politiche generali di uno scontro di classe storicamente in grado di esprimersi ai più alti livelli e di porre costantemente l’ipoteca del risvolto proletario e rivoluzionario alla crisi dell’imperialismo.

Dentro ai caratteri attuali dello scontro di classe nel nostro paese è più che mai attuale lo sviluppo necessario e possibile dell’aggregazione ed organizzazione delle istanze più avanzate che esprime l’autonomia di classe, sul terreno della lotta armata. Un processo questo che si è configurato da oltre 20 anni come il solo in grado di ricomporre, unificare e far avanzare il processo di lotta ed organizzazione delle avanguardie proletarie sul terreno del potere, nella necessaria dialettica guerriglia-autonomia di classe quale naturale terreno di sviluppo di quest’ultima, così come si è andato definendo in tutto il corso dello scontro rivoluzionario.

È la dinamica complessiva attacco/distruzione, costruzione/nuovo attacco che consente di organizzare le forze sul terreno della Lotta Armata, costruendo i passaggi dello sviluppo della guerra di classe, uno sviluppo organizzato e diretto dalle BR a partire dalla concretizzazione dei suoi termini di programma e cioè: attacco allo Stato, alle sue politiche dominanti che lo oppongono alla classe nella congiuntura; attacco all’imperialismo, ai suoi progetti centrali, promuovendo in questo il rafforzamento del Fronte Combattente Antimperialista.

Per concludere, come militanti delle BR e militanti rivoluzionari prigionieri dichiariamo di non riconoscere nessuna legittimità a questo tribunale a processarci, consapevoli come siamo che questo processo è solo un momento, seppure particolare, del più generale rapporto tra rivoluzione e controrivoluzione che vive fuori da quest’aula, nello scontro di classe, riproducendosi pure qui dentro nei suoi stessi riti formali il rapporto di guerra esistente tra la guerriglia e lo Stato.

È d’altra parte impossibile processare lo scontro rivoluzionario, al contrario la legittimità politica e storica del proletariato a prendere il potere tramite l’unica strategia possibile, quella della lotta armata, mette costantemente sotto accusa la barbarie del dominio della borghesia imperialista e dello Stato che la rappresenta, che offre solamente crisi e guerra. Dei nostri atti politici come della nostra militanza rispondiamo solo alle BR e con esse al proletariato di cui sono l’avanguardia rivoluzionaria.

Per noi e meglio di noi parla la guerriglia in attività, le BR.

Non intendiamo presenziare alla lettura della sentenza.

 

Firenze, 21 maggio 1992

 

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli. I militanti rivoluzionari: Daniele Bencini, Marco Venturini

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