Come militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente siamo qui unicamente per rivendicare la giustezza dell’attività rivoluzionaria svolta dalle BR in questi venti anni, in stretta dialettica con i contenuti più avanzati dell’autonomia politica di classe; conseguentemente ribadiamo la validità dell’impianto politico-organizzativo delle BR e il complesso degli avanzamenti teorico-pratici maturati nel vivo dello scontro in specifico durante il processo di riadeguamento iniziato con l’apertura della Ritirata Strategica.
È all’interno della Ritirata Strategica, nel quadro della relativa difensiva nelle posizioni di classe e rivoluzionarie, che le BR hanno posto le basi della Ricostruzione come una fase rivoluzionaria in cui l’agire della guerriglia, a partire dal combattimento sulle contraddizioni centrali tra classe e Stato, è volto alla ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie e delle condizioni politico-militari per attrezzare il campo proletario allo scontro prolungato contro lo Stato.
Su questa direttrice di movimento le BR hanno intrapreso il processo di riadeguamento per potersi misurare con i mutati caratteri assunti dallo scontro, in primo luogo con l’approfondimento del rapporto tra rivoluzione e controrivoluzione. Malgrado la durezza delle condizioni di scontro e il ripiegamento avvenuto, le BR hanno potuto portare l’attacco allo Stato e all’imperialismo, colpendone i progetti centrali contrapposti al proletariato, contribuendo al loro relativo inceppamento e, conseguentemente, contribuendo alla tenuta del campo proletario dentro al confronto con le politiche antiproletarie e controrivoluzionarie attuate dallo Stato.
In questo processo materiale effettuato dalle BR per intero nel vivo dello scontro in stretta relazione a quanto espresso dal campo proletario, si sono dati i margini politici necessari per l’avanzamento del processo rivoluzionario, ovvero nella capacità di valorizzare e riproporre in avanti nella pratica tutto il percorso rivoluzionario messo in campo a partire dagli assi strategici fondamentali e cioè: l’unità del politico e del militare, la strategia della lotta armata, la guerra di classe di lunga durata, la costruzione del Partito Comunista Combattente, l’attacco al cuore dello Stato, l’internazionalismo e l’antimperialismo come impostazione stessa del processo rivoluzionario, la clandestinità e la compartimentazione come principi offensivi dell’agire della guerriglia e dell’organizzazione di classe sulla lotta armata.
In questo modo le BR hanno potuto acquisire gli ulteriori insegnamenti che consentono di precisare meglio modalità e leggi di movimento relativi alla conduzione della guerra di classe nella metropoli, ma soprattutto hanno posto i termini concreti e prospettici per costruire lo sviluppo in avanti del processo rivoluzionario.
Uno sviluppo in avanti del processo rivoluzionario che proprio nel contesto delle attuali condizioni di scontro, a fronte dell’acutizzarsi di tutti i fattori di crisi della borghesia imperialista si riafferma più che mai necessario e possibile, dato che solo la lotta armata è in grado di riportare sul terreno del potere le istanze più mature che produce l’antagonismo di classe, organizzandole e ricomponendole sul piano più avanzato posto dallo scontro; la strategia della lotta armata, cioè, si impone continuamente come la discriminante su cui si coagulano, in un processo necessario di rotture soggettive, le avanguardie che intendono effettivamente misurarsi con i nodi posti dal terreno rivoluzionario, più precisamente l’assunzione soggettiva di questo terreno deve necessariamente relazionarsi ai contenuti maturati dalla prassi rivoluzionaria sviluppata dalle BR come solo modo di essere adeguati a misurarsi con lo scontro in atto, in particolare a misurarsi con i compiti che sono emersi con la fase di Ricostruzione, in quanto passaggio ineludibile su cui si dà avanzamento e rilancio alla guerra di classe di lunga durata e che per questo è obiettivamente il quadro entro cui vengono a collocarsi quelle avanguardie che intendono confrontarsi con il rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria.
All’interno di questa condizione generale sosteniamo l’iniziativa dei Nuclei Comunisti Combattenti fatta a Roma il 18/10/’92 alla sede della Confindustria «Contro il patto Governo-Confindustria-Sindacato, concretizzatosi con l’accordo sul costo del lavoro del 31 luglio», «Come un primo momento del più generale e complesso rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria che le avanguardie comuniste combattenti devono saper operare all’interno del processo di guerra di classe di lunga durata aperta a suo tempo con la proposta a tutta la classe della strategia della lotta armata».
La necessità del rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria è perciò posta all’ordine del giorno proprio dallo stesso andamento dello scontro perché è già dimostrato che è il solo modo per il proletariato di attrezzarsi per sostenerlo e confrontarsi con il livello di offensiva statale in atto. Un’offensiva che sulla base degli attuali rapporti di forza in favore della borghesia imperialista cerca di far passare, decreto dopo decreto, l’impoverimento generalizzato e la compressione delle conquiste politiche e materiali del proletariato col fine di garantire ai gruppi dominanti del capitale monopolistico i margini di recupero dei profitti e della competitività sui mercati internazionali. Tutto ciò mentre si va concretizzando l’attuale delicato passaggio di rifunzionalizzazione dei poteri dello Stato, passaggio che ha nei lavori della bicamerale la sua sede istituzionale di rappresentazione politica, ma nello scontro di classe il terreno concreto che ne determina la fattibilità. Da qui il clima politico intimidatorio suscitato dall’Esecutivo, fatto di veri e propri attacchi politici e materiali al proletariato e di rafforzamento degli strumenti coercitivi e repressivi quali elementi da far pesare sulle relazioni politiche classe/Stato, relazioni dalle quali dipendono in ultima istanza i reali equilibri per la materializzazione o meno della svolta alla Seconda Repubblica.
Una svolta che è il progetto centrale su cui lo Stato punta per far fronte alla grave crisi in cui la borghesia ha precipitato il paese e che nelle sue velleità dovrebbe dare soluzione all’instabilità politica, economica e sociale. È questa instabilità che mette a nudo una volta di più i limiti politici della borghesia imperialista e del suo Stato a gestire la crisi, poiché approfondisce la divaricazione degli interessi di classe contrapposti e accentua i caratteri controrivoluzionari dello Stato borghese, a malapena mascherati dalle campagne ideologiche orchestrate di volta in volta per spostare dal reale portato delle contraddizioni in campo e dalle conseguenze delle scelte antiproletarie, controrivoluzionarie e guerrafondaie operate in questa fase.
Così dietro la lotta alla “criminalità” e ai decreti liberticidi che l’accompagnano si creano i presupposti per la restrizione delle libertà generali come strada per la criminalizzazione dello scontro di classe; dietro alle mistificanti “operazioni umanitarie” si organizzano i preparativi di guerra, nell’attiva partecipazione alle aggressioni imperialiste. In questo senso l’occupazione della Somalia, prima ancora che una spedizione alla “riconquista d’Africa” segna un ulteriore passaggio di quella progressione bellica che dal dopo Iraq è necessaria alla maturazione delle condizioni politico-militari per sfondare la barriera yugoslava. È questo infatti il vero banco di prova della catena imperialista, USA in testa, per lo sbocco di guerra sulla direttrice Est-Ovest, e su cui anche la borghesia imperialista nostrana punta maggiormente, nelle sue velleità revansciste e guerrafondaie.
L’attuale quadro di crisi economica, politica e istituzionale nel paese definisce le scelte della borghesia imperialista e, tra queste, la stesa preparazione alla guerra si impone all’ordine del giorno. Scelte queste che riversandosi nello scontro non possono che complessificarne i caratteri odierni, tenuto conto che questi caratteri sono anche il risultato dei mutamenti avvenuti nell’ultimo decennio segnati in modo principale, per parte dello Stato, dai sostanziali passaggi nell’accentramento dei poteri all’Esecutivo, nell’ambito di una ridefinizione avvenuta su tutti i piani, delle relazioni classe/Stato in senso fortemente antiproletario e controrivoluzionario; ma, il recupero nei rapporti di forza a favore della borghesia imperialista, non ha comunque consentito a tutt’oggi di saldare stabilmente gli equilibri generali tra le classi in suo favore, questo per la difficoltà di governare le contraddizioni di classe e di neutralizzarne l’istanza rivoluzionaria, nella impossibilità di istituzionalizzare il conflitto dentro ai reticoli della democrazia rappresentativa borghese, se non in modo puramente formale e divaricato dallo scontro reale. Questo nonostante la “pacificazione” che lo Stato ha perseguito con la controffensiva degli anni ’80 contro la guerriglia e il movimento di classe, ma che lontano dalle sue velleità non ha potuto sradicare il portato strategico della lotta armata, né azzerare le espressioni di autonomia politica di classe, risolvendosi piuttosto nell’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione. Si è cioè dimostrata l’impossibilità di rimuovere dai caratteri dello scontro quello che la prassi combattente vi ha immesso in venti anni di processo rivoluzionario aperto e sviluppato sulla strategia della lotta armata e questo nonostante i colpi militari inferti dallo Stato alla guerriglia. Una prassi rivoluzionaria che inserendosi sempre al punto più alto dei momenti di scontro succedutisi nel paese ha potuto praticare gli interessi generali del proletariato, una prassi rivoluzionaria che, proprio perché è in grado di pesare sui termini dello scontro, si è sedimentata nelle condizioni politiche generali tra classe e Stato e tra rivoluzione e controrivoluzione fino a maturare un vero e proprio punto di non ritorno; questo per la capacità della guerriglia di incidere sul terreno dei rapporti di forza a partire dall’attacco ai progetti dominanti della borghesia imperialista, sui criteri di centralità, selezione e calibramento dell’attacco, e sullo spazio aperto dalla disarticolazione, disponendo e organizzando le forze rivoluzionarie e proletarie sul terreno della lotta armata in ogni fase dello scontro. Se questi sono gli elementi specifici di radicamento della lotta armata in Italia, la sua valenza generale e strategica risiede nell’essersi imposta come l’adeguamento della politica rivoluzionaria alle mutate condizioni storiche dello scontro nella metropoli imperialista e che, nel confronto che si è determinato tra rivoluzione e controrivoluzione, imperialismo e antimperialismo si è affermata come il grado più avanzato della scienza proletaria della rivoluzione possibile e necessaria per abbattere lo Stato, instaurare la dittatura proletaria e costruire una società comunista.
Rispetto a questa sede di tribunale, coerentemente con la nostra identità politica il nostro atteggiamento non può non tenere conto del reale rapporto che intercorre tra noi militanti delle BR prigionieri e questa sede giuridica, perché anche qui si riproduce pur in forma particolare il rapporto di guerra stabilitosi tra la guerriglia e lo Stato nel corso del processo rivoluzionario. Per questa ragione non riconosciamo nessuna legittimità a questo rito giuridico e dei nostri atti politici rispondiamo solo alle BR e con esse al proletariato di cui sono l’avanguardia rivoluzionaria.
18/1/1993
I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: Maria Cappello, Fabio Ravalli.
Fonte: senzacensura.org
Un pensiero su “Firenze, processo alla Brigata “Luca Mantini” – Comunicato letto in aula da Maria Cappello e Fabio Ravalli”