Dichiarazione di Mario Mereu e Pietro Coccone

Ciò che sostanzialmente distingue questo processo da tutti quelli che lo stato ha celebrato fino ad oggi contro i militanti rivoluzionari e della guerriglia è il suo carattere dichiaratamente politico.

Per la prima volta da quando la lotta armata ha fatto la sua comparsa in questo paese la borghesia si costringe a riconoscere la valenza politica e sociale del processo rivoluzionario sviluppatosi all’inizio degli anni ’70.

E il fatto che questo “riconoscimento” arrivi all’apice di una restaurazione complessiva della società che è anche politica e culturale, proprio quando la lotta armata in Italia, riflettendo le difficoltà attuali di tutto il movimento di classe, conosce una fase difficilissima di recupero politico ed operativo, non contraddice il senso e la funzionalità dell’operazione.

Sono questi rapporti di forza, infatti, questa congiuntura politica sfavorevole al movimento rivoluzionario che, nelle intenzioni della borghesia, dovrebbero consentire una dichiarazione formale di morte almeno presunta della lotta armata per il comunismo, l’ultimo passo cioè verso la “soluzione finale del problema”. Si parte dal presupposto, che è poi un assunto, secondo cui le Brigate Rosse sono state vinte. Su questa base si dovranno dimostrare non soltanto la solidità dei rapporti sociali esistenti ma anche, e probabilmente e soprattutto, l’improponibilità storica e sociale della rivoluzione.

È la rivoluzione infatti che deve andare sotto processo, l’idea stessa della sua praticabilità oggi, persino il suo futuro. Ma per farlo è necessario presupporla, rileggere in modo “politico” la memoria e ammetterla come tentativo già consumato. E così lo stato delega al tribunale, già sede e laboratorio di depoliticizzazione della iniziativa rivoluzionaria, il compito inedito di raccontare una insurrezione armata contro i suoi poteri, che è fallita semplicemente perché non esistevano allora, né ovviamente esistono oggi, le condizioni sociali per portarla a compimento.

A questo proposito nulla di nuovo potrà aggiungere l’esito giuridico del processo, dato che la sua inconsistenza politica traspare tutta evidente nella premessa su cui si fonda: le Brigate Rosse infatti esistono!

Sedersi intorno al loro cadavere per “ricordarle”, per mistificarne la memoria o per dichiararle vinte non è possibile. E permangono, più autorevoli di questo tribunale, le condizioni economiche, politiche, sociali e culturali che rendono possibile e motivano la rivoluzione. Si è intensificata inoltre l’interconnessione mondiale delle contraddizioni di classe e, nell’identificazione di un comune terreno di scontro, l’antimperialismo militante combattente; si è aperta nell’area del Mediterraneo e nell’Europa Occidentale una nuova epoca di internazionalismo rivoluzionario già ricca di risultati politici rilevanti.

In questo contesto generale di lotta e di crescita, il movimento rivoluzionario sardo riqualifica la sua militanza attuale e ritrova su basi mutate una nuova dislocazione dentro lo scontro di classe. Qui il terreno di crescita della militanza rivoluzionaria ha una specifica dimensione, dato il rapporto coloniale che lega la Sardegna all’imperialismo italiano ed internazionale, e ruota intorno a una prospettiva ancora da definire di liberazione nazionale di classe.

L’orizzonte più vicino è la fondazione di un soggetto politico rivoluzionario dotato di autonomia teorica e progettuale, capace di orientare positivamente il confronto in atto e di dirigere, organizzandole, le tensioni all’indipendenza ancora spontanee, eppure visibilmente attive, che muovono dal proletariato sardo.

Il fine in altre parole è la costituzione di una identità rivoluzionaria sarda forte e aperta al dialogo con tutte quelle realtà rivoluzionarie e guerrigliere che in Europa Occidentale e nell’area del Mediterraneo combattono l’imperialismo. Qui noi stabiliamo la nostra militanza, in questo sforzo e in questa prospettiva. Da qui andiamo avanti con la nostra classe, con il nostro popolo. Con questa coscienza siamo venuti qui!

Ribadiamo infine il nostro sostegno rivoluzionario all’iniziativa politico-militare del 18 marzo contro la Prefettura di Nuoro.

Revochiamo quindi il mandato al nostro difensore di fiducia e diffidiamo chiunque voglia prendere la parola a nome nostro. Quello che farà o deciderà questa Corte non ci riguarda.

 

La lotta armata non si processa.

Costruire e consolidare la rivoluzione in Sardegna.

Al fianco del popolo palestinese e della sua lotta di liberazione.

Con i compagni prigionieri della RAF e della resistenza che, nelle carceri della RFT, lottano per riaffermare la loro identità contro le strategie di annientamento dell’imperialismo.

Rendiamo onore ai nostri compagni caduti.

 

Mario Mereu, Pietro Coccone

 

Roma, 18 maggio 1989

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