Costruire e organizzare i termini attuali della lotta di classe. Corte di Assise di Appello di Genova, processo di appello per associazione sovversiva – Documento agli Atti di Simonetta Giorgieri militante delle BR-Pcc

Nell’84 emergevano, sul piano del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, due dinamiche contrapposte e che si influenzavano reciprocamente. Da una parte le BR per il PCC, aperta la fase della Ritirata Strategica, stavano procedendo, pur tra contraddizioni che erano il portato dell’impatto con la controrivoluzione, nella ridefinizione di alcuni termini dell’impianto politico in particolare, e dimostravano nella prassi rivoluzionaria, e nello specifico con le iniziative combattenti contro Gino Giugni e Leamon Hunt, di essere l’unica forza rivoluzionaria in Italia in grado di ricostruire quanto la controrivoluzione aveva spezzato e disperso, riproponendosi come referente rivoluzionario autorevole per coagulare e ricomporre quelle componenti rivoluzionarie e proletarie non disposte a rinnegare quanto era stato sedimentato in 14 anni di scontro rivoluzionario, né ad arrendersi. D’altra parte lo Stato, dopo la fase più alta di dispiegamento dell’offensiva, stava operando su tutti i piani per assestare i rapporti di forza determinati dalla dinamica controrivoluzionaria. All’interno del dato generale della modificazione del carattere della mediazione politica tra le classi di cui si stavano assestando alcuni passaggi (nello specifico il “patto sociale neocorporativo”), si precisava ed affinava un’attività controguerrigliera tesa essenzialmente a prevenire il ricompattamento delle forze e la loro riorganizzazione attorno alla proposta politica e strategica delle BR, con interventi mirati e selettivi, atti di deterrenza, “ammonimenti” e pressioni di ogni tipo. Due dinamiche parallele, dal momento che il processo di ricompattamento era in corso e dava i suoi frutti, come le iniziative combattenti stanno a testimoniare e, d’altra parte, lo Stato ne era ben consapevole nel tentativo di arginarlo e contrastarlo. L’“inchiesta” su cui si basa questo processo è stata “partorita” in questo contesto, in cui si colloca per quello che è: atto politico a carattere e con finalità controrivoluzionarie. Il salto di qualità maturato successivamente dalle BR con il superamento dell’ottica difensivistica, ha dimostrato nei fatti quanto il tentativo dello Stato fosse velleitario; in particolare il rilancio dei termini complessivi dell’attività rivoluzionaria ha consentito alle BR di “gravare” sullo scontro di classe, determinando un maggiore approfondimento dello scontro rivoluzionario e fornendo la misura della vitalità della proposta politica e strategica delle BR e della loro capacità di ricostruzione e di riproduzione anche nelle condizioni più dure dello scontro. L’attività rivoluzionaria dispiegata dalle BR negli ultimi anni, la quale sostanzia il processo di riadeguamento complessivo fin qui operato e apre prospettive politiche concrete sia sul terreno classe/Stato che sul terreno dell’antimperialismo; la capacità dimostrata di dialettizzarsi (a partire dall’attacco) in termini di costruzione/organizzazione/direzione con le istanze più mature dell’autonomia di classe, e nel contempo di praticare (a partire dall’attività concreta svolta sul terreno dell’antimperialismo) una politica di alleanza con le forze rivoluzionarie che combattono l’imperialismo nell’area geopolitica (Europa Occidentale, Mediterraneo, Medioriente), dando un apporto fattivo alla costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista: questi sono i termini attuali attorno ai quali si definisce oggi il rapporto rivoluzione/controrivoluzione, e si determina lo spostamento in avanti del piano di scontro rivoluzionario.

Come militante delle BR per la costruzione del PCC intendo innanzitutto riaffermare il valore politico e il carattere propulsivo del rilancio dei termini complessivi dell’attività rivoluzionaria operato dalle BR all’interno della fase della Ritirata Strategica che, stante le prospettive politiche che ha aperto sia sul terreno del rapporto classe/Stato sia sul terreno dell’antimperialismo, si è tradotto nell’approfondimento del piano di scontro rivoluzionario. Una dinamica consapevolmente prodotta e calibrata rispetto ai rapporti di forza generali tra le classi e al rapporto imperialismo/antimperialismo, il cui peso politico e incisività concreta si evidenziano nel dispiegamento dell’attività rivoluzionaria, sia per la capacità di attivare, a partire dall’attacco al punto più alto dello scontro di classe, la dialettica con le istanze più mature del proletariato, operando per catalizzare attorno alla strategia, linea politica e programma delle BR, le componenti rivoluzionarie e proletarie vive del paese, organizzandole e dirigendole nello scontro prolungato contro lo Stato, sia sul terreno dell’antimperialismo con il contributo alla costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista, vero e proprio salto di qualità nella lotta proletaria e rivoluzionaria, che, nel praticare una politica di alleanza con le forze rivoluzionarie che combattono l’imperialismo nell’area geopolitica Europa Occidentale/Mediterraneo/Medioriente, pone ad un livello più adeguato e maturo la necessità e la praticabilità dell’attacco all’imperialismo, per indebolirlo e ridimensionarlo nell’area. A questo proposito, in quanto militante delle BR per il PCC, forza rivoluzionaria attivamente operante nel quadro della politica di alleanza del Fronte Combattente Antimperialista, rivendico la recente iniziativa combattente della RAF contro Alfred Herrhausen. L’attacco al “padrone/capo” della Deutsche Bank mira a disarticolare uno dei nodi principali del potere economico e politico assunto dalla banca tedesca, mettendo in evidenza il ruolo che essa ha ricoperto nella gestione/indirizzo dei processi di concentrazione economica e finanziaria in Europa Occidentale; una posizione di potere che è attualmente trampolino di lancio per la penetrazione economica e politica nei paesi dell’Est europeo e nei paesi in via di sviluppo, costretti a sottostare al dettato e alla logica dello sfruttamento capitalistico.

La qualità del processo di riadeguamento complessivo intrapreso dalle BR è frutto sostanzialmente dell’incontro di due fattori (fermo restando il patrimonio di esperienze radicato nel tessuto proletario che caratterizza l’ambito di riferimento e riproduzione della guerriglia in Italia): da una parte l’aver saputo mantenere con fermezza, senza concessioni al revisionismo, le discriminanti di fondo, l’unità del politico e del militare come principio strategico caratterizzante la guerriglia, riaffermando la necessità e la praticabilità del terreno della guerra e l’attualità della questione del potere; dall’altra l’aver tratto, nell’impatto con la controrivoluzione degli anni ’80 e nella pratica dei primi anni di Ritirata Strategica, quegli insegnamenti relativi al carattere dello scontro rivoluzionario e alla natura delle sue contraddizioni che hanno permesso alle BR di approfondire alcuni termini della guerra di classe di lunga durata, riponendo al centro il suo carattere non lineare, e in seguito chiarificando contenuti, dinamiche e obiettivi della fase rivoluzionaria aperta (precisando, tra l’altro, l’impostazione tattica in termini di disposizione delle forze), e gli obiettivi programmatici nell’attuale fase politica interna e internazionale. La rinnovata capacità di misurarsi con il carattere ed il livello dello scontro rivoluzionario, che la qualità del riadeguamento esprime, si è tradotta nel rilancio dei termini complessivi dell’attività rivoluzionaria. La continuità e la coerenza dimostrate dalle BR nel perseguire le direttrici strategiche non ha niente a che vedere con il meccanico e “irriducibile” continuismo ideologico o dogmatico, ma trae le sue radici essenzialmente dalle ragioni di fondo che presiedono e definiscono la lotta armata come avanzamento e adeguamento della politica rivoluzionaria alle forme di dominio della borghesia imperialista. L’affermarsi della lotta armata come strategia per tutto il proletariato, piano sistematico di azione e di disposizione delle forze che informa e caratterizza dall’inizio alla fine il processo rivoluzionario, è dato dalle condizioni storiche e politiche, economiche e sociali determinatesi con la seconda guerra mondiale. Il livello di maturazione raggiunto dall’imperialismo in quella fase poneva come dominanti nel quadro economico del blocco occidentale, processi di internazionalizzazione e interdipendenza delle economie; un dato che, da una parte, si rifletteva sullo sviluppo di livelli sempre più elevati di integrazione politica e militare tra i paesi della catena imperialista (che al momento si traducevano, tra l’altro, nel dispiegamento della “controrivoluzione imperialista“, atta a “normalizzare” i paesi del blocco occidentale così da renderli idonei a ricoprire il proprio ruolo nella divisione internazionale del lavoro e dei mercati che si andava delineando e a farsi carico degli interessi complessivi della catena); dall’altra vedeva affermarsi una frazione dominante di borghesia imperialista, aggregata al capitale finanziario USA, come punta più avanzata e trainante dei movimenti economici del mondo occidentale e, allo stesso tempo, il proletariato metropolitano, espressione del processo di polarizzazione tra le classi e conseguente proletarizzazione di vasti strati della società. Come riflesso sovrastrutturale al formarsi di frazioni di borghesia imperialista e del proletariato metropolitano (e quindi, in generale, al livello di sviluppo raggiunto dal capitalismo) la democrazia parlamentare moderna assume il ruolo di rappresentare e portare avanti gli interessi e le necessità della borghesia imperialista e della sua frazione dominante in particolare. Dal punto di vista economico si affina (data la conoscenza acquisita) la capacità di gestione e governo dell’economia attraverso politiche economiche di supporto che nella fase della crisi generale (di valorizzazione) assumono carattere controtendenziale, intervenendo per attutire gli effetti negativi della crisi dal momento che non possono agire sulle sue cause (che sono strutturali). Dal punto di vista politico ancora di più si esalta il ruolo che lo Stato assume in riferimento all’antagonismo inconciliabile tra le classi. A partire dai rapporti di forza generali tra le classi che caratterizzavano il quadro di scontro nel dopoguerra (dopo le rotture operate dalla controrivoluzione imperialista), la “democrazia rappresentativa” si organizza in modo tale da farsi carico del controllo e del governo del conflitto di classe, superando il carattere essenzialmente repressivo che aveva informato, ad esempio, lo Stato fascista anteguerra, per servirsi delle istituzioni democratiche come ambito politico in cui convogliare e compatibilizzare le spinte e le tensioni antagoniste che si producono nel paese, le quali, incanalate dentro le “gabbie istituzionali” vengono svuotate di ogni contenuto destabilizzante. Partiti, sindacati, organismi politici vengono delegati a “rappresentare” la classe e diventano l’unica “controparte” legittima in quanto strutturale e lealista alle istituzioni democratiche e quindi sensibile e rispettosa degli interessi della borghesia imperialista. Il controllo e il governo del conflitto di classe passa quindi per la sua “istituzionalizzazione” al fine di prevenire l’incontro tra l’antagonismo proletario e la progettualità rivoluzionaria. Risulta allora evidente il senso concreto della controrivoluzione preventiva, anima della democrazia rappresentativa e ad essa strutturalmente connessa; politica continua e costante propria degli Stati a capitalismo maturo, insita negli strumenti e negli organismi “democratici”, indipendentemente dalla presenza o meno di un processo rivoluzionario. Il carattere della mediazione politica che si afferma incorpora i termini di controrivoluzione preventiva maturati e assestati nel rapporto di scontro tra le classi. Non si tratta di un dato statico ma dinamico che si ridetermina in relazione (oltre che al dato strutturale e cioè ai livelli di sviluppo dell’imperialismo e alle necessità che da essi conseguono) alle modificazioni dei termini dello scontro ed in particolare del rapporto rivoluzione/controrivoluzione. Questo salto di qualità chiarisce la natura politica dello scontro di classe nei paesi a capitalismo maturo e il suo grado di approfondimento e pone il fattore dell’aumentato peso della soggettività come una questione da cui non si può prescindere se si vuole intervenire nelle dinamiche dello scontro. Per parte proletaria e rivoluzionaria, incidere sul quadro di scontro generale affermatosi nel dopoguerra comporta necessariamente un riadeguamento sostanziale della strategia per la presa del potere. Il dato della controrivoluzione preventiva, infatti, rende superata, impraticabile, inefficace, la “politica dei due tempi” che ha portato al potere il proletariato sovietico nell’ottobre del 1917 e che la Terza Internazionale aveva posto alla base della strategia rivoluzionaria. Non è più dato, cioè, un processo di accumulo di forze sul terreno politico da impiegare in termini militari contro lo Stato quando saranno mature tutte le condizioni, oggettive e soggettive, per l’insurrezione. Il processo rivoluzionario riprende concretezza e ridiventa praticabile, invece, nella misura in cui la conduzione dello scontro avviene globalmente, che significa intervenire da subito (anche in una situazione non rivoluzionaria) su tutti i termini dello scontro operando su entrambi i piani, politico e militare, contemporaneamente. La strategia della lotta armata rende dunque esplicito il rapporto di guerra che vige nello scontro di classe. Una guerra che manifesta caratteristiche particolari e le cui leggi generali fanno riferimento al suo carattere di classe che coinvolge le due classi antagoniste: la borghesia vi interviene per mantenere il potere ma non può distruggere il proletariato, chiave di volta del modo di produzione capitalistico in quanto fattore unico di creazione di plusvalore; il proletariato rivoluzionario, al contrario, vi interviene per prendere il potere e questo processo vive e si sviluppa nell’obiettivo di annientare la borghesia in quanto classe. In questo contesto le dinamiche del rapporto di guerra non possono prescindere dalle peculiarità politiche della guerra stessa, cioè dal livello definito della mediazione politica classe/Stato. Posto in questo quadro, seppure come aspetto “eccezionale” (nel senso che non è la regola) e limitato nel tempo, l’intervento controrivoluzionario dello Stato, come abbiamo potuto constatare nella prima metà degli anni ’80, risulta essere mirato e selettivo, non viene massificato né prolungato oltre una certa soglia. L’indirizzo che persegue è colpire a livello d’avanguardia per poi ribaltare e dispiegare gli effetti politici su tutta la classe, rompere la dinamica di crescita e radicamento messa in moto dalla guerriglia e isolarla dal suo terreno di riproduzione, allontanare la classe dal punto di riferimento politico-militare di direzione dello scontro rivoluzionario. Imporre in definitiva un clima politico in termini di rapporti di forza che consenta allo Stato di assestare in suo favore un differente quadro del rapporto classe/Stato, modificando il carattere stesso della mediazione politica tra le classi, così da ripristinare il controllo delle dinamiche antagoniste e conformare il governo del conflitto ai nuovi termini posti dal livello di sviluppo e approfondimento della crisi del modo di produzione capitalistico (governo dell’economia).

All’interno del rapporto esistente tra processo rivoluzionario diretto dalla guerriglia e controrivoluzione dello Stato, la controrivoluzione degli anni ’80 va letta come portato e approfondimento del processo rivoluzionario, nonché delle condizioni generali dei rapporti politici tra le classi. Per i tempi e le modalità con cui si è dispiegata, per le proporzioni raggiunte ed i termini impiegati, è stata la manifestazione della consapevolezza raggiunta dallo Stato del valore strategico e del peso politico della lotta armata, risposta conseguente all’avanzamento del piano di scontro rivoluzionario e, al tempo stesso, causa del suo ulteriore approfondimento. D’altra parte il quadro dei rapporti politici tra le classi viene rideterminato e il carattere della controrivoluzione preventiva che si afferma incorpora e cristallizza la sostanza della controrivoluzione dispiegata in quegli anni, attraverso passaggi successivi ognuno dei quali è ad un tempo tappa di assestamento “istituzionale” (in termini quindi costanti e integrati al modo di governare il conflitto di classe) dei rapporti di forza generali raggiunti e punto di partenza per successive forzature nei rapporti politici tra le classi. Il “patto sociale neocorporativo”, le modifiche istituzionali fin qui operate, tendenti ad un maggiore accentramento dei poteri nell’esecutivo e il più generale progetto di rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti dello Stato in cui si inseriscono, sono altrettanti momenti di questo processo, altrettante ratifiche dei rapporti di forza generali prodotti dalla controrivoluzione. Non si tratta, dunque, di un’involuzione del sistema democratico, di un indietreggiamento verso la restaurazione dello “Stato autoritario”, ma al contrario di passaggi verso un sensibile approfondimento della democrazia rappresentativa, della sua capacità di governo del conflitto di classe e gestione dell’economia. Una dinamica che muove verso il massimo della democrazia formale, fuori e contro il contesto di classe del paese, dove le scelte dell’esecutivo, nel rispondere alle esigenze della frazione dominante di borghesia imperialista (detentrice del potere reale, sostanziale), devono affermarsi in tempi reali, svincolate al massimo grado dalle spinte antagoniste che si producono nel tessuto proletario. Questo processo, tendente ad allineare la democrazia italiana alle più mature democrazie europee, ha però chiaramente un andamento discontinuo, dovendo sempre fare i conti con le resistenze espresse dalla classe e con la capacità della guerriglia di farsi carico del livello raggiunto dallo scontro (oltre che con l’incalzare delle scadenze poste dall’evoluzione/crisi dell’imperialismo, ragione strutturale del riassetto degli Stati). Per parte della guerriglia, la controrivoluzione degli anni ’80 ha rappresentato la verifica materiale del carattere non lineare della guerra di classe, soggetta per la sua stessa natura ad avanzate e ritirate, spezzando bruscamente le ali ad ogni concezione meccanicista e semplicistica del processo rivoluzionario, segnando la fine di tutte quelle forze e organizzazioni combattenti che non hanno saputo leggere il carattere e il senso concreto delle dinamiche in corso e le cui risposte quindi sono risultate inadeguate (quando non si è trattato di una vera e propria resa incondizionata). Sole le BR per il PCC sono state in grado di misurarsi con le leggi dello scontro controrivoluzionario e, aprendo la fase della Ritirata Strategica, di dare l’unica risposta possibile e positiva alla situazione che si stava determinando. L’impatto con la controrivoluzione ha aperto la strada (e fornito alcuni termini) alla comprensione del carattere dello scontro rivoluzionario, facendo giustizia dello schematismo con cui nella fase precedente veniva condotto lo scontro e definite le fasi rivoluzionarie. Si trattava di un’impostazione, portato della giovinezza ed esperienza guerrigliera, che riduceva il processo rivoluzionario ad una fase di accumulo lineare di capitale rivoluzionario, di forze genericamente disponibili alla lotta armata, che nella fase successiva sarebbero state dispiegate nella guerra civile. Da una parte veniva meno, di fatto, il carattere di lunga durata della guerra di classe, con tutto quello che comporta in termini di assestamento delle forze per il loro rilancio; dall’altra parte ne deriva una visione schematica dello Stato come una sommatoria di apparati separati tra loro e messi sullo stesso piano.

La Ritirata Strategica, atto dovuto e necessario, ha portato con sè un primo piano di riconoscimento di errori e contraddizioni, recuperando tra l’altro la centralità programmatica dell’attacco al cuore dello Stato, centralità che discende dal fatto che il piano classe/Stato è asse principale su cui si costruiscono i termini della guerra di classe (essendo lo Stato la sede politica dei rapporti tra borghesia e proletariato) e, d’altra parte, che lo Stato centralizza sul piano politico la funzionalità dei suoi apparati. Ma la valenza politica determinante della Ritirata Strategica risiede nel suo senso concreto di legge fondamentale della guerra rivoluzionaria, espressione del carattere non lineare della guerra stessa, e cioè di ripiegamento da posizioni che di fatto si dimostrano inadeguate e non realmente avanzate, come risposta necessaria a fronte dell’impossibilità di misurarsi “alla pari” con il nemico di classe. Legge dinamica, dunque, che apre una fase generale non risolvibile unicamente nella ricollocazione di un corpo di tesi, ma che investe, oltre all’adeguamento dell’impianto organizzativo, soprattutto il modo in cui si costruiscono i termini politico-militari della guerra stessa. La Ritirata Strategica, portato del carattere e del livello dello scontro rivoluzionario, ne determina nel contempo l’approfondimento, nella misura in cui colloca correttamente il rovescio subito in termini di sconfitta tattica ed apre una fase rivoluzionaria incentrata, nelle sue finalità e nella disposizione tattica delle forze conseguente, attorno al problema di costruire le condizioni politico-militari necessarie per invertire lo stato attuale dei rapporti di forza.

Un processo dinamico ad andamento discontinuo e contraddittorio, che nella fase iniziale ha potuto fare i conti con i segni lasciati dall’offensiva dello Stato: l’incomprensione del reale livello di scontro prodottosi, alimentava un piano di contraddizione che riduceva di fatto la Ritirata Strategica ad atto difensivo e portava di conseguenza a subire l’iniziativa dello Stato e al logoramento delle forze, la cui disposizione non adeguata ne limitava la funzionalità rispetto alle necessità dettate dalla fase rivoluzionaria stessa. La logica difensivistica, cioè, si dimostrava incapace, di fronte alle necessità poste dal livello di scontro, impantanandosi nel possibile, inteso limitatamente alle condizioni materiali del momento. In questa dinamica hanno trovato spazio posizioni che, quando si sono chiaramente delineate nel dibattito interno, sono state espulse dall’Organizzazione per quelle che erano: posizioni liquidazioniste che, “interiorizzando” la sconfitta e portando all’estremo la logica difensivistica, “buttavano il bambino con l’acqua sporca”, revisionavano cioè la lotta armata fino a ridurla a strumento di lotta, sottraendosi perciò al livello dello scontro. Il superamento dell’ottica difensivistica, maturato dalle BR nella prassi rivoluzionaria, ha segnato una tappa importante per lo sviluppo della fase di Ritirata Strategica, poiché ha significato cogliere e superare una contraddizione che portava ad eludere alcune leggi della guerra rivoluzionaria e a non disporsi nello scontro adeguatamente al suo livello. Questo passaggio si è tradotto in un salto in avanti nella misura in cui si è riflesso in una prassi rivoluzionaria che dava risposta alle aspettative poste dall’attuale rapporto politico tra le classi, sia sul piano classe/Stato che sul terreno dell’antimperialismo, consentendo di fare così fronte alle scadenze politiche. Il recupero del senso politico profondo della Ritirata Strategica come legge dinamica della guerriglia e la misura acquisita delle necessità che si evidenziano al suo interno, ha permesso alle BR di mettere a fuoco i termini e gli obiettivi dell’attuale fase rivoluzionaria, individuata come «fase di ricostruzione delle forze proletarie e rivoluzionarie e di costruzione degli strumenti politici e organizzativi atti ad attrezzare il campo proletario nello scontro prolungato contro lo Stato». Obiettivi che vengono perseguiti in dialettica con (e a partire da) l’iniziativa combattente sugli altri punti di programma. Si tratta di una fase interna a quella più generale di Ritirata Strategica, dal cui carattere è condizionata, ma che per modi, sostanza e tempi politici, non può essere considerata come un momento congiunturale, ma come una vera e propria fase rivoluzionaria finalizzata a modificare e spostare in avanti il piano rivoluzionario e, di conseguenza, le posizioni di forza del campo proletario. Per un altro verso, con il riconoscimento della condizione generale in cui vive la guerriglia nei paesi a capitalismo maturo come condizione di accerchiamento strategico, in cui non possono esistere “zone liberate” dove ripiegare e da dove partire per lanciare le offensive, con la consapevolezza, ad un livello più maturo, del fatto che la guerriglia vive ed opera in territorio nemico, fianco a fianco col nemico di classe, e ferma restando la natura essenzialmente politica dello scontro di classe, si sono meglio precisate le implicazioni che sorgono dall’operare nell’unità del politico e del militare, in relazione a tutti i termini dello scontro di classe. Affermare che la conduzione dello scontro avviene globalmente e che l’unità dei due piani si riproduce in ogni aspetto dell’attività rivoluzionaria delle BR, significa concretamente che lo Stato viene colpito nei suoi aspetti politici centrali attraverso l’azione militare; il quadro di scontro che viene così aperto presenta un vantaggio momentaneo favorevole al campo proletario, vantaggio che per non essere riassorbito e disperso dalle misure che lo Stato mette in campo per recuperare il terreno perso, si deve tradurre in organizzazione di classe sul terreno della lotta armata, calibrata nelle forme e nei modi alla fase rivoluzionaria e al livello dello scontro. Questo è il senso concreto di “lavoro di massa” all’interno della strategia della lotta armata come proposta politica per tutta la classe; in questo modo è possibile attrezzare il campo proletario allo scontro prolungato contro lo Stato. Ciò significa, ancora più concretamente, organizzare gli spezzoni più maturi dell’autonomia di classe, attivizzati dall’intervento rivoluzionario che incide sull’equilibrio tra le classi, in organismi armati e clandestini della classe. In queste strutture politico-militari i compagni rivoluzionari vengono organizzati secondo gli stessi criteri fondamentali e il metodo di lavoro che informano e regolano l’Organizzazione nel suo complesso, tenendo conto evidentemente delle diverse funzioni e ruoli che hanno nello scontro e del quadro di coscienza espresso. All’interno delle istanze rivoluzionarie e delle stesse reti proletarie si riproduce organizzazione e, a partire da questo elemento di fondo e nella pratica concreta del lavoro politico rivoluzionario necessario, le forze vengono formate ed attrezzate a sostenere lo scontro. Al tempo stesso queste strutture politico-militari così organizzate sono disposte e dirette dall’Organizzazione nello scontro in funzione dell’attività rivoluzionaria complessiva delle BR, che ad un tempo le attivizza indicando i confini ed i termini del loro lavoro politico rivoluzionario e ne centralizza ogni aspetto della loro attività. L’asse strategico cui aderiscono e di cui riproducono i termini è incompatibile con una concezione della formazione delle forze tipo “scuola quadri” o simili; non può che trattarsi invece di organismi politico-militari che si rendono da subito funzionali al piano di lavoro generale nella misura in cui la loro attività è da una parte centralizzata dall’Organizzazione, dall’altra informata all’attività complessiva dell’Organizzazione. In sintesi la formazione/organizzazione delle forze avviene all’interno e a partire da un ambito organizzato, clandestino e compartimentato, calibrato nelle forme che assume e nelle modalità in cui interagisce con lo scontro alla fase rivoluzionaria e ai rapporti di forza generali; avviene nel lavoro rivoluzionario concreto e calibrato al livello di coscienza espresso e al ruolo della struttura nell’insieme del piano generale di disposizione delle forze messe in campo dall’organizzazione; lavoro necessario e funzionale all’attività complessiva, centralizzato a partire dalle indicazioni e sotto la direzione dell’Organizzazione. Questa attività di formazione/organizzazione delle forze muove parallelamente al processo di ricostruzione, nell’ambito operaio e proletario, delle condizioni politiche e materiali danneggiate e disperse dalla controrivoluzione, per un equilibrio politico e di forze favorevole al campo proletario; un processo che matura in riferimento all’iniziativa della guerriglia tesa a rompere gli equilibri politici generali che si formano tra classe e Stato, al cui interno si evidenzia e si afferma la contraddizione dominante in antagonismo tra la classe e lo Stato. L’intervento su questo piano, con l’attacco al punto più alto dello scontro, pesa sugli equilibri dello scontro stesso e si ripercuote, di conseguenza, su tutto l’arco dei rapporti tra le classi, fino al piano capitale/lavoro, mettendo in moto dinamiche nel tessuto proletario e nelle componenti più mature dell’autonomia di classe in particolare, da cui è possibile “liberare” energia proletaria che deve essere adeguatamente formata, organizzata e disposta per essere in grado di sostenere il livello di scontro e rendersi funzionale all’approfondimento della guerra di classe. Ricostruzione e formazione/organizzazione è il binario su cui si concretizza la necessaria dialettica guerriglia/autonomia di classe. Perseguire questa dialettica comporta misurarsi con le condizioni politiche generali del rapporto classe/Stato, e cioè riferirsi nel definire l’attacco e tutta l’attività rivoluzionaria al carattere della mediazione politica che si afferma e che si assesta; al progetto politico che emerge come dominante in una data congiuntura interna (riferimento alle esigenze della borghesia imperialista nostrana) e internazionale (riferimento al ruolo dell’Italia nel contesto della catena imperialista e in particolare in Europa Occidentale); al livello di approfondimento del piano di scontro attestato a fronte delle dinamiche rivoluzione/controrivoluzione. Riguardo a quest’ultimo aspetto si evidenzia, in sintesi, l’intervento costante e complessivo di un apparato antiguerriglia le cui finalità, essenzialmente politiche, puntano a contrastare gli effetti e la valenza della proposta politica delle BR, tenendo sotto pressione e intervenendo in termini di deterrenza sulle componenti proletarie e rivoluzionarie che esprimono antagonismo contro lo Stato. Questo aspetto si compenetra con il carattere della mediazione politica tra le classi, dando vita ad un reticolo di atti politici e materiali che contrastano l’ambito stesso di formazione delle avanguardie nel tentativo di impedire all’autonomia di classe di esprimersi. La dialettica guerriglia/autonomia di classe che a partire da questo quadro di scontro è possibile e necessario sviluppare, presuppone la formazione e organizzazione delle forze militanti in un modulo politico organizzativo organico che sia non solo coerente con il principio dell’unità del politico e del militare, ma all’interno del quale i quadri militanti si formino e si dispongano tatticamente così da essere in grado di esprimere l’adeguata direzione e organizzazione delle forze, a partire dal duplice binario di ricostruzione/formazione, all’interno della progettualità attuale e in sintonia con gli obiettivi della fase rivoluzionaria.

Il modulo politico-organizzativo che storicamente si è dimostrato come il più adeguato, è quello a cui fa riferimento lo statuto delle BR (D.S. n° 2) e la sua mancanza non può che provocare un impoverimento e indebolimento del corpo militante, privato del mezzo e del modo per intervenire nello scontro all’altezza delle necessità. Riproporlo nei suoi principi generali ha costituito un punto di forza del processo di riadeguamento, ad un tempo momento di attestazione del processo in corso e strumento politico-militare per dargli nuovo slancio, perché consente di elevare le forze rivoluzionarie al livello politico necessario, facendo vivere e sfruttando al massimo la capacità dei singoli nel collettivo. Tale modulo ha, nei suoi criteri generali, carattere strategico e non muta col mutare delle fasi rivoluzionarie. Esso si basa sul criterio del centralismo democratico, per cui le forze vengono strutturate in istanze superiori e istanze inferiori; tutto il lavoro rivoluzionario viene centralizzato e si colloca dentro il piano di lavoro generale elaborato dall’istanza dirigente. Va da sé che esso opera dentro i principi strategici di clandestinità e compartimentazione, principi-base che rispecchiano l’unità del politico e del militare e informano ogni aspetto dell’attività rivoluzionaria; rispondono alle leggi della guerra rivoluzionaria, in quanto consentono di esplicare il carattere offensivo della guerriglia limitando al tempo stesso le perdite (comunque sempre alte nella guerriglia); principi che attraversano orizzontalmente e verticalmente tutta l’Organizzazione e le forze da essa organizzate e disposte. In particolare la clandestinità si manifesta come una scelta offensiva a carattere strategico che consente ai rivoluzionari di disporsi nello scontro nelle condizioni migliori (uniche adeguate) per portare l’attacco e approfondire la guerra di classe. La strutturazione per cellule, unità di base del modulo politico-organizzativo delle BR, consente in termini generali la riproduzione dell’organizzazione nella misura in cui al suo interno si riproducono sia i criteri generali del modulo che il patrimonio politico dell’Organizzazione. A partire dal piano di disposizione generale delle forze interne all’Organizzazione, si precisa tatticamente in funzione degli obiettivi della fase rivoluzionaria la disposizione delle strutture politico-militari stesse (delle cellule, quindi) che, in questa fase, deve essere funzionale alla costruzione/organizzazione/direzione delle forze, facendo vivere la dialettica guerriglia/autonomia di classe e centralizzate nella loro attività al perseguimento delle linee di attacco (obiettivi di programma). Ferma restando la matrice strategica, cioè, l’atteggiamento tattico muta a seconda delle fasi rivoluzionarie per rispondere alle sue finalità (della fase) e influisce sulla disposizione tattica delle forze in campo (che ha comunque sempre carattere dinamico in riferimento alle peculiarità politiche dello scontro). Tutte le forze così organizzate e dirette diventano funzionali all’attacco in modo da incidere al massimo grado e assestarsi adeguatamente nello scontro. In questo processo di costruzione/organizzazione/direzione le BR si costruiscono come partito precisando e praticando il ruolo di direzione dello scontro: le BR, forza rivoluzionaria che agisce come un “esercito rivoluzionario”, si pongono quindi nella prassi come nucleo fondante il partito, e a partire da questo fatto lavorano per concretizzare la parola d’ordine dell’unità dei comunisti. In conclusione le tappe del riadeguamento percorse fino ad oggi ed il rilancio ad esse connesso, costituiscono il dato politico centrale nell’attuale dialettica rivoluzione/controrivoluzione. Le misure che lo Stato ha ridefinito nel rapportarsi a questo dato e che informano l’attività della controguerriglia direttamente orientata dall’Esecutivo, puntano soprattutto a “raffreddare” le aspettative create dall’intervento rivoluzionario nel corpo di classe; ad esempio gli attacchi alla guerriglia (aspetto ovviamente intrinseco ad un contesto di guerra rivoluzionaria) vengono fatti pesare sul tessuto proletario dove sono spacciati per l’esaurimento delle condizioni del processo rivoluzionario. Ma se è ovvio che l’approfondimento delle condizioni in cui si svolge il processo rivoluzionario influenza l’andamento dell’attuale fase di ricostruzione, ciò che influisce in maniera centrale sulle prospettive della fase rivoluzionaria è la sua collocazione in una fase politica generale gravida di contraddizioni e, al tempo stesso (ma non come conseguenza meccanica), di potenzialità favorevoli all’approfondimento della guerra di classe. Dal lato del campo proletario, infatti, non è data di fatto la “sterilizzazione” del tessuto di lotte operaio e proletario, l’annullamento delle dinamiche riproducenti autonomia di classe, ma al contrario si manifesta, come elemento costante, una vasta resistenza operaia e proletaria ai costi della crisi e agli effetti della riforma dei poteri dello Stato, da cui emergono in particolare lotte che tendono a rompere le gabbie e i filtri delle relazioni industriali, riflesso sul piano capitale/lavoro delle modificazioni degli equilibri politici generali, sancite a livello istituzionale nelle nuove “regole del gioco” della democrazia rappresentativa, per esprimere istanze di lotta autonome. In forme e modi che risentono del mutato quadro dei rapporti politici tra le classi, esse rappresentano tuttavia la continuità con la tradizione di autonomia di classe storicamente determinatasi in Italia. D’altra parte, e parallelamente, il piano di intervento complessivo nello scontro che la guerriglia ha maturato e le prospettive politiche aperte sul terreno classe/Stato e sul terreno dell’antimperialismo (e fermo restando il patrimonio che vent’anni di prassi rivoluzionaria hanno sedimentato nel tessuto proletario, e che sostanzia quel filo organico che tutt’oggi lega le BR a questo tessuto), consente alle BR di agire nello scontro in sintonia con le scadenze politiche dettate dalle condizioni politiche generali del rapporto classe/Stato. Nella misura in cui l’iniziativa guerrigliera incide sugli steccati e filtri della mediazione politica, emerge, a partire dai livelli di aggregazione operaia e proletaria suddetti, energia rivoluzionaria che può e deve essere organizzata, formata e diretta sul terreno della guerra rivoluzionaria per il suo avanzamento. Quindi, pur tenendo nel dovuto conto l’approfondimento del piano di scontro rivoluzionario attuale, è alle dinamiche che si sviluppano a partire dalla dialettica tra questi due fattori, guerriglia e autonomia di classe, che le BR fanno riferimento nel procedere alla ricostruzione delle forze/costruzione degli strumenti politici e organizzativi per attrezzare il campo proletario a sostenere lo scontro e nel perseguire le linee di attacco inerenti ai punti di programma.

– Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di riforma dei poteri dello Stato.

– Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.

– Attaccare le linee centrali della coesione politica dell’Europa Occidentale nello specifico i progetti imperialisti di normalizzazione dell’area mediorientale che passano sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.

– Lavorare alle alleanze necessarie per la costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista per indebolire e ridimensionare l’imperialismo nell’area geopolitica (Europa Occidentale/Mediterraneo/Medio Oriente).

– Onore al compagno Umberto Catabiani “Andrea” ucciso nel maggio 1982; onore a tutti i compagni rivoluzionari antimperialisti caduti.

 

Simonetta Giorgieri militante delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente

 

Genova, 15 febbraio 1990

 

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