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Sergio Spazzali resta un grande comunista, un grande rivoluzionario, una presenza viva dentro il movimento rivoluzionario

In molti abbiamo conosciuto la sua straordinaria ricchezza umana, caratterizzata da una forte determinazione e generosità per la causa proletaria e dalla modestia con cui ha ricoperto fino all’ultimo un ruolo di primo piano nella battaglia politica per il Partito.

Con modestia e generosità ha posto la sua enorme esperienza politica al servizio del movimento comunista, soprattutto in quest’ultimo difficile decennio, in cui il peso del riflusso dei primi anni ’80 ed altri limiti hanno imposto un duro lavoro di resistenza e di paziente ricostruzione di posizione politica e delle condizioni per fare i salti necessari.

Da alcuni articoli apparsi e dai discorsi interessati di qualche area politica, si vorrebbe accreditare una visione pietistica, di umana comprensione per quello che comunque tutti riconoscono come un grande militante comunista ma anche presunto sconfitto, esempio della definitiva deriva di un’esperienza sconfitta che non può chiedere più che un’onorevole resa.

Di questa esperienza non resterebbe più altro che il drammatico protrarsi di stenti e di difficili condizioni di vita per quei militanti che, in prigione o in esilio, sono rimasti coerenti e dignitosi.

Certo, come compagni che fino agli ultimi giorni abbiamo condiviso con lui lo stesso percorso, rivendichiamo orgogliosamente l’appartenenza a questa schiera di militanti che non si sono arresi e che continuano a pagare a caro prezzo l’appartenenza a questa schiera di militanti che non si sono arresi e che continuano a pagare a caro prezzo l’appartenenza alla lotta di classe rivoluzionaria. Prezzo che per noi, come per lui, significa galera, latitanza, precarietà, extralegalità e le immaginabili difficoltà che ne derivano.

Ma non resta solo questo! E soprattutto ci rifiutiamo a che si interessino con “umana comprensione” a queste difficoltà proprio coloro che hanno contribuito a determinarle, coloro che in varia misura hanno partecipato ai successivi attacchi per la disgregazione del movimento comunista, coloro che hanno anteposto meschinamente il loro interesse personale e di gruppo alimentando posizioni dissociative.

Sergio Spazzali, crediamo di poterlo dire senza ombra di dubbio, non era mai stato nella condizione di quell’errante anima in pena che, proprio mentre si accingeva a mettergli termine rientrando finalmente in patria, improvvisamente muore dimenticato da dio e dagli uomini. Crediamo che non si sia mai sentito nella condizione di chi, vittima illustre di un regime repressivo, ottuso e vendicativo, ripara all’estero per mettersi “al sicuro”.

Perché come non ci sembra che egli abbia mai concepito il suo impegno in funzione degli anni di galera che esso avrebbe comportato, così non ci sembra che il suo interesse ultimamente fosse volto alla ricerca di qualche soluzione che gli permettesse di uscire dal “tunnel” in cui per disgrazia si era cacciato.

Questa immagine è propria a una visione rinunciataria del problema posto dalla repressione dello Stato nei confronti delle avanguardie rivoluzionarie, in quanto considera le singole situazioni/condizioni (detenzione, clandestinità, latitanza…) da un punto di vista puramente difensivo (come se si trattasse unicamente di subire o scongiurare la repressione di Stato tralasciando proprio quell’elemento che, in realtà, fa sì che queste situazioni risultino interne allo scontro di classe: il loro carattere offensivo, il fatto cioè che a monte dell’attacco repressivo della borghesia, esiste l’attacco politico dei rivoluzionari e che dunque non esiste condizione materiale (di detenzione, clandestinità, ecc.) che possa essere considerata “in sé” di “ripiegamento”.

Ciò che decide sul carattere offensivo o difensivo di queste condizioni è, allora, l’atteggiamento che si mantiene nei confronti del potere: contrapposizione o patteggiamento, riaccettare con false autocritiche il quadro borghese o proseguire nella progettualità rivoluzionaria dentro lo scontro di classe.

In un momento in cui sono ancora diffusi gli atteggiamenti di patteggiamento da parte di una consistente frangia di ex appartenenti al movimento rivoluzionario, la sua costante presenza rivoluzionaria è uno splendido esempio cui guardare. Ad uno sguardo anche soltanto superficiale, appare evidente come impegno politico di Sergio al servizio della classe proletaria non sia mai stato limitato, parziale, estemporaneo, contingente: questo perché le sue scelte, le sue idee, sono sempre state il risultato di una ricerca basata in primo luogo sulla pratica delle sue convinzioni così come al confronto con quelle altrui, riconoscendo in tal modo il solo metodo e il solo criterio di validità di qualsiasi opinione politica.

Egli cercava, lo ripetiamo, la “verità” nella pratica e nel confronto politico delle idee alla luce di questo metodo si poneva il problema della formazione dell’avanguardia comunista, nella pratica e nel confronto con altri che, con idee diverse, si ponevano lo stesso problema; egli considerava la soluzione di questo problema come determinante e non vincolato ad ipotetiche congiunture favorevoli, come spesso si è sentito blaterare da più parti.

Tutti noi sappiamo che la convinzione della validità delle nostre idee non basta a garantire l’impegno di una vita intera, che le alterne vicende della lotta, il suo andamento ciclico, i momenti estremamente difficili che si attraversano, mettono a dura prova anche le acquisizioni più solide, le menti più lucide, le volontà più ferree. In questi momenti, così frequenti in questi anni, si può vacillare paurosamente se non si possiede quella particolare qualità che è la coscienza di classe.

Ebbene, chi ha conosciuto Sergio Spazzali non può non riconoscergli l’acquisizione di questo elemento così importante, egli ha fatto propria la visione proletaria rivoluzionaria dello scontro di classe in tutti gli aspetti della sua vita, ha assunto completamente la difesa degli interessi proletari fino al supremo obiettivo dell’abolizione dell’infame società di classe.

Con questa coscienza di classe, Sergio si è assunto le dure conseguenze della coerenza, tenendo saldamente ferma la convinzione che il terreno da praticare, la prospettiva da alimentare non poteva che essere la lotta di classe finalizzata alla presa del potere politico con le armi, da parte di un proletariato che compia il suo percorso di costituzione in classe indipendente e cosciente di se stessa e delle proprie potenzialità storiche. Atti questi che si pongono come la premessa minima necessaria, unica realistica, per avviare una qualche trasformazione sociale durevole, dentro un vasto processo di transizione socialista al Modo di Produzione Comunista, al Comunismo.

Questo è sempre stato il quadro di massima che l’ha, che ci ha aiutati a orientarci nei percorsi accidentati della lotta politica di questi anni. Lotta politica che, naturalmente, è ben complessa e fatta di passaggi e necessità talvolta molto piccole. Lotta politica che è stata molto oscura ed ingrata perché fatta soprattutto di difesa delle posizioni essenziali e fondanti del movimento comunista, dal fuoco incrociato in cui la politica e la cultura borghese hanno canalizzato le contraddizioni ed i limiti dello stesso movimento, servendosi della grande schiera di traditori, dissociati, “innovatori” e “ripensatori”. Lotta politica cui egli ha partecipato lontano dal vizio classista dei suddetti sempre pronti a ricercare le luci della ribalta ed il tornaconto personale, insomma lontano dalla visione borghese di proprietà privata nel campo intellettuale, bensì saldamente ancorato ad una dimensione modesta e disciplinata del lavoro collettivo.

Lotta politica che nella difesa delle posizioni fondanti – costituzione del proletariato in “classe per sé”, Partito, avvio del processo rivoluzionario fino al passaggio insurrezionale, avvio della transizione socialista – da subito non poteva essere solo difesa, ma anche costruzione delle condizioni per operare politicamente come la Forza Rivoluzionaria del Proletariato.

Quindi, a maggior ragione, si rinforzarono i caratteri di lotta politica improntata ai principi del lavoro collettivo, disciplinato e capace di sostenere l’immancabile pressione della controrivoluzione. Sergio aveva scelto di non accettare le “gratificanti” luci della ribalta della politica e della cultura borghesi in cui tanti “ex” si dibattono come squallidi parvenu; aveva mantenuto il rapporto organico con la classe, affrontando le durezze dei percorsi politici interni alla classe, che avvengono nella strutturale povertà delle nostre sedi e dei nostri mezzi e nella tensione di un costante affrontamento con la controrivoluzione.

Il percorso della classe per costituirsi politicamente in Partito Comunista è sicuramente uno dei percorsi più difficili che si possano immaginare, viste le continue aggressioni borghesi e le tante contraddizioni interne. Ma la realtà è là: di fronte alla violenza e profondità della grande crisi capitalista, aggressioni e contraddizioni perdono peso, il proletariato è spinto a lasciar cadere illusioni riformiste e retaggi del passato perché non ha tante scelte se vuole affrontare la causa sempre più evidente della propria tragica condizione; la Rivoluzione Proletaria torna prepotentemente d’attualità.

Oggi tutto ciò sta riemergendo con forza, si sta diradando la nebbia ammorbante della collaborazione di classe, il pantano della corruzione interclassista: le forze di classe si stanno polarizzando irresistibilmente ed il lavoro politico, la lotta politica dei comunisti riemergono insieme ai rinnovati movimenti di massa, alla nuova vigorosa ripresa di attività delle masse proletarie, come il magma che prima ribolliva sotterraneamente per poi fuoriuscire esplodendo dal vulcano.

Sergio faceva parte di quei militanti che prevedevano ciò e che hanno tenacemente lavorato come il magma, nell’oscurità del sottosuolo. Per questo sono state grandi le sue qualità e grande, molto grande, il suo apporto al movimento comunista.

La serietà e il coraggio delle sue scelte, la coerenza ed il modo con le quali sono state fino alla fine della sua vita perseguite, costituiscono un esempio cui fare costantemente riferimento, fino a quando all’ordine del giorno del movimento comunista vi saranno la conquista del potere per via rivoluzionaria e l’edificazione della società senza classi.

Salutiamo Sergio con grande affetto e con grande riconoscenza rivoluzionaria.

 

I comunisti all’estero che hanno condiviso l’identità ed il percorso politico di Sergio.

 

Febbraio 1994.

Per il processo rivoluzionario di classe. Costituire il Partito Comunista nell’unità del politico-militare!

La crisi è finita? Di nuovo il capitalismo tira fuori dal cappello una sorprendente soluzione? La “nuova economia” apre una nuova frontiera e, superando vecchi e rigidi vincoli contrattuali, inventa un modo nuovo di lavorare e vivere? Le guerre sono diventate “pulite”, “umanitarie”, e i prepotenti storici diventano commossi soccorritori di popoli sventurati?

Quello che noi vediamo è una capacità di menzogna decuplicata, sconfinante in veri e propri deliri: Goebbels ha partorito Bush e Berlusconi!

E vediamo una sfilza di attacchi alle condizioni di vita popolari.

L’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è una picconata alle residue barriere a un modello di sfruttamento selvaggio, all’americana, dove il lavoratore sarà sballottato nella giungla del mercato senza più la minima garanzia contrattuale collettiva, “libero nella libera concorrenza”.

Il legittimo e ancestrale bisogno di sicurezza dei lavoratori (e parliamo ancora di quei bisogni vitali di sicurezza dell’avvenire, contro la malattia, gli infortuni, la vecchiaia, base delle prime grandi conquiste operaie…) viene denigrato come rigidità, corporativismo, conservatorismo, per non parlare dell’oscena contrapposizione dell’egoismo degli occupati agli esclusi, ai precari. Disgustoso argomento in bocca ai parassiti di questa società, ai borghesoni miliardari!

Quello che è tragico è che la difesa contro questo gravissimo attacco è ancora nelle mani, per il momento, della sinistra borghese, cioè di quell’altra frazione della borghesia che ha governato fino all’altro giorno, portando avanti lo stesso tipo di provvedimenti e di linea di assoggettamento del mondo del lavoro al capitale, vecchio, e nuovo. Semplicemente usando metodi e tempi un po’ differenti, spesso più efficaci (come dice il signor Agnelli).

 

E intendiamoci, non tratta di restare alla difesa delle storiche conquiste operaie, perché restano anche e comunque un’impalcatura attorno alla condizione di Classe sfruttata, e che in quanto tale tende a protrarne l’esistenza.

Le conquiste dello Statuto del lavoratori non sono nulla di ideale, sono semplicemente l’espressione del rapporto di forza che la Classe Operaia ha imposto nella fase alta del ciclo di lotte dei ’70.

Attestarsi sulla difesa di queste posizioni non solo è irrealistico e, alla lunga, perdente (come tante altre battaglie dei ’80/’90, i vari “questo non si tocca, quell’altro neppure”…) ma per di più sfalsa quello che è lo scontro oggi e nell’avvenire.

Questo scontro porta in sé, oggettivamente, l’orizzonte dell’abolizione di capitale, obiettivi, forme di lotta e organizzazione in quello che è il vissuto delle masse, dei loro movimenti. E dentro alla strategia di Partito.

Orizzonte utopista solo all’apparenza, in realtà ben più realista di tutti i riformismi, che rivelano puntualmente la loro inefficacia e subalternità alle regole sociali dettate dal capitale (è tutta la storia delle svendite e tradimenti della socialdemocrazia, fino alla attuale tragica parodia).

Molte esperienze storiche insegnano che quando i margini di tolleranza capitalistica si contraggono, tutte le riforme e conquiste vengono sconvolte, riviste o soppresse. Oltre una certa soglia di scontro di classe, o si fa il salto al piano strategico di lotta per il potere, o c’è sconfitta.

La crisi capitalistica, quand’è generale e di portata storica come l’attuale impone uno sconvolgimento sociale violento: in tutti i casi capitale e borghesia imperialista impongono il loro, ristrutturando da capo a piedi la società; il proletariato può imporre il proprio solo attraverso il processo rivoluzionario di presa del potere. Coniugare difesa e attacco, con l’attacco come prospettiva: per questo le mezze misure, la “piccola” contrattazione sulle condizioni sociali è cortocircuitata dalla questione del potere.

E con il potere si aprono ben altre prospettive: abolizione di capitale e lavoro salariato! Per cominciare.

 

Prendiamo l’altro aspetto connesso a questo attacco contro l’art. 18, la dilagante precarizzazione dei rapporti di lavoro. Si sta configurando un vero modello europeo, calcato sul predecessore, quello americano. Tutte le invenzioni e modifiche sono buone pur di ridurre le garanzie e la stabilità del posto di lavoro. È tutta una strategia tesa all’indebolimento della Classe Operaia, della sua capacità di resistenza e di lotta, immettendo il veleno della concorrenza tra i lavoratori. Il lavoro interinale in particolare costituisce un “ritorno” alle origini del capitalismo, al tristemente famoso “caporalato”. Tutto ciò ha delle conseguenze più vaste e profonde sull’esistenza proletaria: è il rapporto stesso al lavoro, il quotidiano, i rapporti sociali, la cultura operaia. Vengono ancora una volta sconvolti e spinti verso forme accentuate di alienazione da mercificazione. Nulla di nuovo, per carità, Solo gli intellettuali alla moda o gli “antimondialisti” piccolo – borghesi possono scoprire scandalizzati che siamo diventati merci: per la Classe Operaia questa realtà è nata col capitalismo!

Ma indubbiamente gli attuali passaggi costituiscono un approfondimento, una ulteriore degradazione della condizione proletaria e di ampi settori popolari. Processo di degradazione che va avanti dagli anni ’80 e fa tutt’uno con i processi di ristrutturazione capitalistica che subiscono periodicamente brutali accelerazioni, gruppi imperialisti decidono di attaccare violentemente ora un settore economico ora un paese intero, un’area intera. Oggi è il turno, di nuovo, dell’Argentina e dell’America Latina più generalmente.

Anche qui il salto nella brutalità é evidente: si tratta di un vero e proprio taglieggiamento/rapina su un popolo intero da parte dell’oligarchia finanziaria internazionale, i circoli della borghesia imperialista, attraverso i loro esecutori FMI-banca mondiale e i governanti argentini.

Al di là della sacrosanta solidarietà di classe, parliamo dell’Argentina perché è sintomatica dello stato di salute reale del capitalismo internazionale. Una tale brutalità è significativa dello “stato di necessità” dei gruppi imperialisti nella ricerca esasperata di profitti, è significativa cioè non solo dell’avidità devastante del sistema, ma anche del fatto che esso non riesce ad uscire dalla crisi di valorizzazione del capitale, che da anni spinge ai peggiori crimini. Sì, crimini! Perché bisogna pensare al filo conduttore che attraversa i massacri in Medio Oriente, in Europa dell’Est, in Africa, in Asia, in America Latina, dove gli imperialisti strozzano le popolazioni, le affamano, le violentano, devastano, e tutto ciò per strapparsi di mano l’un l’altro le fonti di materie prime, le riserve di mano d’opera, il controllo “geostrategico” delle aree del mondo etc.

Avrebbero bisogno di essere così feroci se i loro affari fossero più sicuri? Se il loro ciclo di valorizzazione/accumulazione fosse davvero prospero e garantito nel futuro? Per quanto siano canaglie, ne dubitiamo.

Basta guardare alla storia e constatare che la loro ferocia è proporzionale alle difficoltà che incontrano a soddisfare la sete di profitto.

Basta guardare allo stato interno delle economie imperialiste per rendersene conto: l’Argentina non è così lontana quando si pensa al disastro Enron in USA. Un’intera popolazione di salariati e pensionati truffati e taglieggiati, masse rovinate da un giorno all’altro! (se non altro un buon avvertimento a chi si illude sui fondi-pensione e altre amenità della “partecipazione al capitalismo”).

I processi di privatizzazione e “compartecipazione” dei lavoratori alle imprese capitaliste sono sempre sul filo del processo di precarizzazione/divisione/concorrenzialità che abbiamo descritto prima. E sono del peggiore augurio: trasmettere, aizzare istinti della giungla tra i poveri, gli sfruttati.

 

LA CRISI PORTA ALLA GUERRA IMPERIALISTA

La Germania è in recessione, il Giappone non esce dal marasma economico-finanziario da anni, gli USA si mantengono a galla soprattutto in virtù del primato nella rapina imperialista perpetrata al seguito del 300,000 militari che occupano i quattro angoli del mondo. Questa è la situazione essenziale dei tre principali imperialismi concorrenti, all’origine delle due guerre mondiali, mentre nuovi imperialismi famelici, come quello cinese, si fanno avanti. In Afghanistan si sviluppa quell’asse di penetrazione ad est che denunciamo dai tempi della deflagrazione della Jugoslavia. Anche adesso si intravvedono le linee di tensione e concorrenza interimperialista (in particolare lo schiaffo alla Francia confinata con le sue truppe nella base uzbeka, in attesa di autorizzazione per entrare in Afghanistan) attorno ai futuri oleodotti-gasdotti dei giacimenti del Caspio. Ma non è che una tappa con lo sbarco delle truppe imperialiste nelle steppe ex-sovietiche ci si può attendere al peggio, Russia e Cina sono attaccate nel loro cortile di casa.

I due fenomeni si intrecciano e si alimentano: la crisi generale storica da sovraproduzione di capitale attizza la tendenza alla guerra di rapina contro i popoli oppressi e alla guerra contro i banditi imperialisti.

Qual è la nostra prospettiva? Come posso pensare la Classe Operaia, il Proletariato di affrontare questa situazione? Come difendersi? Come immaginare un altro mondo possibile e come lottare per arrivarci?

Resistere! Per cominciare. Come diceva Marx “una classe che non sa battersi per le piccole cose della sua condizione immediata non può imparare a lottare per un’altra società”. Dunque organizzarsi, sempre e comunque, sulla base delle lotte immediate: ciò che vuol dire tante cose, come superare il fatalismo, le paure, le divisioni, saper battagliare contro gli agenti del capitale nelle nostre fila, ecc. Numerose sono le lotte oggi in Italia e in Europa che fanno vivere la volontà di rivolta del proletariato, la sua capacità di critica pratica del capitalismo, la sua ricchezza di espressioni.

Bisogna collegarsi a queste lotte, valorizzarle, sostenerle nel loro percorso affinché diventino autentici momenti di autonomia di classe.

Percorso non dato, non immediato, ma che richiede maturazione, esperienza, battaglia politica interna alle stesse istanze di lotta per isolare ed espellere via via le posizioni conciliatorie, collaborazioniste, le varie posizioni che portano al suicidio “riformista”. Percorso difficile ma possibile e che può prendere rapidamente consistenza, massificandosi. Abbiamo visto con quale potenza in altri cicli di lotta.

Ma, come dicevamo prima, questo percorso non è esente dalla dialettica con l’espressione politico-militare di classe, con l’organizzazione che agisce da Partito, che tende a costituirsi in Partito. Questa dialettica è essenziale per tanti motivi, e per uno su tutti: senza la prospettiva dello scontro per il potere, qualsiasi istanza di trasformazione sociale (per quanto forte e massificata essa sia), qualsiasi ciclo di lotta va a sbattere contro questo muro, il potere! Il grande ciclo degli anni ’70 ha dimostrato in modo inequivocabile che vi erano due vie: o l’inganno parlamentare dei revisionisti o il processo rivoluzionario guidato dalle B.R.

Nonostante gli errori e le immaturità di questo nuovo processo rivoluzionario, esso resta fondamentalmente valido, ancor più se si pensa che ha ridato concretezza alla Rivoluzione nel cuore di un paese imperialista, nel cuore del capitalismo internazionale, là dove é decisivo vincere.

Senza costruire in questo senso, nel senso dell’organizzazione politico-militare di lotta per il potere, non solo non si può pensare di costruire le condizioni per vincere, ma nemmeno di difendersi, di rinforzare le nostre lotte immediate, perché da tempo la borghesia é riuscita a tagliarci l’erba sotto i piedi, a disgregare il tessuto di classe, il tipo di ciclo produttivo che sosteneva la nostra organizzazione di massa. La borghesia è riuscita a “sfasare” il livello di scontro, a usare contro le lotte la mondializzazione, il potere che ha di muoversi su tanti paesi e possibilità di sfruttamento. In questo contesto, la lotta economica, immediata trova difficoltà a mordere, ad incidere, è preda del reticolo politico-istituzionale predisposto al suo recupero e/o repressione.

Proprio per supplire a queste carenze, per poter fare noi, come Classe, il salto al livello necessario per lottare, affrontare la borghesia imperialista e sopratutto rispetto ai tempi a venire di tendenza alla guerra, è necessaria, decisiva la costituzione in Partito sulla base dell’unità politico – militare. Ciò che significa tradurre in pratica, nella pratica di una strategia e di una linea politica la tendenza di lotta per il potere che si vuole affermare. È il fatto di essere conseguenti con quella che è la natura della lotta di classe, con quelle che sono le finalità, gli obiettivi ultimi di Classe, che impone la relazione tra la natura del Partito e la strategia. La scelta della clandestinità e dell’utilizzo delle armi nella lotta politica sono la necessaria concretizzazione di tutto ciò.

Solo in questo modo si può essere credibili agli occhi della Classe, sviluppare un processo di accumulo di forze, nella misura in cui si offrono gli strumenti per incidere politicamente nel vivo dello scontro di classe (è il grande insegnamento della storia delle B.R. rispetto ai partitini m-l tanto pretenziosi quanto platonici).

È in conseguenza della strategia rivoluzionaria per la presa del potere che il Partito è costretto dallo sviluppo storico della contraddizione tra Rivoluzione e Controrivoluzione a operare la scelta della clandestinità.

Coloro che oggi, nella crisi generale dell’epoca imperialista del capitalismo, considerano di lavorare alla costruzione del Partito ma non si pongono il problema della sua natura clandestina, nelle intenzioni e nei fatti non si pongono nelle condizioni di percorrere la via rivoluzionaria. Non pongono al centro del lavoro di costruzione la strategia da adottare e sviluppare per la presa del potere. Non considerano di costruire il Partito sulla base di questa strategia. Il più delle volte sono afflitti da opportunismo e scivolano nel revisionismo.

Coloro che si pongono il problema della natura clandestina ma non la concepiscono come condizione per lo sviluppo della strategia rivoluzionaria (oggi basata sull’unità del politico – militare) distaccano la forma dal contenuto, lo sviluppo dall’organizzazione dal processo concreto del perseguimento del suo obiettivo strategico. Sono afflitti anch’essi da un misto di opportunismo e dogmatismo e scivolano nel revisionismo.

Il revisionismo è il riflesso dell’imperialismo nel movimento operaio e proletario. È la sua capacità di influenzarlo per deviarlo dal suo compito storico di sviluppare la Rivoluzione Proletaria mondiale, come processo che pone fine al dominio della borghesia, instaura la dittatura del proletariato per distruggere e superare il modo di produzione capitalistico, basato sul profitto dei capitalisti e lo sfruttamento dei lavoratori.

La strategia rivoluzionaria del movimento comunista internazionale e dei suoi partiti è quella strategia che si sviluppa nella lotta contro il revisionismo e ristabilisce il corso della storia di Classe (che è rivoluzionaria o non esiste). Questa è la sua forza e per questo ha già vinto e può vincere ancora, fino alla vittoria finale contro la borghesia imperialista contro il capitalismo!

 

CONTRO LA CRISI CAPITALISTA E LA GUERRA IMPERIALISTA

SVILUPPARE L’AUTONOMIA DI CLASSE

COSTITUIRE IL PARTITO COMUNISTA POLITICO – MILITARE

RILANCIARE IL PROCESSO RIVOLUZIONARIO NELL’UNITA’ DEL POLITICO – MILITARE STRATEGIA VERSO LA GUERRA POPOLARE PER LA PRESA DEL POTERE

INSTAURAZIONE DEL SOCIALISMO, SVILUPPO DELLA GUERRA ANTIIMPERIALISTA

DEI POPOLI OPPRESSI E DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE

 

(Nota: la proposta di una nuova categoria, così carica di implicazioni – il PCP-M è solo una proposta da sottoporre al dibattito. La scelta dei termini programmatici fondamentali non può essere azzardata o “emotiva”.

Evidentemente l’idea è interessante e frutto di riflessioni: rispetto al classico PCC caratterizza meglio l’unità degli elementi, è più parlante e costituirebbe un’innovazione. Può darsi si potrebbe anche solo sperimentare in alcune prime uscite. Comunque tutto da discutere).

 

Gennaio 2002

(Primo documento unitario del progetto Partito comunista politico-militare)

 

Circolare campagna propaganda

Alzare la bandiera della ricostruzione del partito tra gli operai e i proletari

Dopo una campagna organizzazione che ha ottenuto risultati parziali (vedi bilancio) diamo avvio ad una nuova campagna propaganda in una situazione in cui per quanto riguarda l’aspetto interno, la nostra soggettività, abbiamo fatto la prima fusione organizzativa tra forze soggettive con storia e provenienza diverse. Abbiamo inoltre raggiunto una comprensione maggiore dei problemi logistici e organizzativi che dobbiamo affrontare sia a livello centrale che a livello locale. E abbiamo verificato la costruzione di una soglia logistica minima anche nelle situazioni in cui non esistiamo ancora compiutamente con ambiti collettivi d’organizzazione. La gran parte di questo lavoro è ancora allo stadio di comprensione e impostazione preliminare e pertanto dovrà essere proseguito e sviluppato nei prossimi mesi nel lavoro ordinario.

Diamo avvio a questa campagna in una situazione generale caratterizzata dall’incessante sviluppo della guerra imperialista condotta dagli USA nella forma dell’occupazione militare permanente dell’IRAQ. Una guerra che vede coinvolta direttamente anche la borghesia imperialista italiana rappresentata politicamente dalla banda Berlusconi asservita completamente agli interessi americani. Questo coinvolgimento ha già portato l’esercito italiano a collaborare all’oppressione militare del popolo iracheno e di conseguenza ad essere bersaglio degli attacchi della resistenza all’occupazione come nel caso di Nassyria. La guerra in IRAQ è solo l’episodio principale della terza guerra mondiale strisciante che il principale gruppo imperialista sta conducendo per dettare le proprie condizioni nel processo di rispartizione del mondo. Una questione di vita o di morte per i diversi gruppi imperialisti in questa fase della crisi generale del capitalismo. Una rispartizione resa necessaria dal definitivo superamento dell’assetto bipolare sancito dalla seconda guerra mondiale a causa del crollo dei regimi revisionisti nei paesi socialisti, dalla costituzione del polo imperialista europeo sull’asse franco-tedesco, dall’emergere della potenza cinese e dalla ricostruzione un imperialismo russo. Una rispartizione che ha come centro il controllo mondiale del settore energetico e quindi delle possibilità di ipotecare lo sviluppo e di imporre dividendi imperialisti alle economie delle diverse formazioni sociali sia delle nazioni oppresse che delle potenze imperialiste. Il possesso della risorsa strategica petrolifera è l’arma principale di questa guerra. Il petrolio infatti non è semplicemente la materia prima del contendere per la soddisfazione di una esigenza di approvvigionamento o di un’autonomia strategica in campo energetico, cosa che potrebbe essere soddisfatta con il ricorso ad altre fonti, ma è principalmente il coltello che afferrato per il manico può essere puntato alla gola di tutti quelli le cui economie ne hanno assoluto bisogno. E cioè con buona pace dei teorici del superimperialismo e della sua variante ipertecnologica, della maggior parte delle economie del mondo per i prossimi 50 anni. Una rispartizione resa impellente dall’approfondirsi in un processo a spirale della crisi generale del capitalismo. I diversi gruppi imperialisti si scontrano con la consapevolezza che la carestia di profitti, che ad ogni tornante della spirale diventa più acuta, possono affrontarla solo con la logica della “morte tua, vita mea”. In questo contesto il gruppo imperialista dominante USA ha elaborato la strategia della guerra preventiva, che non è guerra preventiva al terrorismo, ma guerra preventiva alle condizioni di sviluppo di altri gruppi imperialisti che possono mettere in discussione il suo primato. È uno scontro che si sviluppa lungo la linea di penetrazione imperialista che va dal medioriente all’Asia Centrale investendo territori che racchiudono la stragrande maggioranza di riserve di petrolio attualmente censite. Questa guerra oltre a registrare l’acutizzarsi delle contraddizioni interimperialiste, registra anche necessariamente l’acutizzarsi della contraddizione imperialismo-nazioni oppresse e si rovescia nello sviluppo di un sistema di guerre popolari di liberazione di lungo periodo dall’Intifada palestinese alla resistenza irachena a quella afgana. Questa guerra crea una situazione nuova anche nei paesi imperialisti come il nostro dove rende imprescindibile la necessità di schierarsi o a fianco degli imperialisti USA o a fianco della resistenza armata contro l’occupazione. Un’alternativa che toglie spazio alle mistificazioni e ambiguità revisioniste, riformiste o pacifiste della sinistra borghese. Si genera una spinta verso la saldatura del movimento contro la guerra con il movimento della classe operaia in difesa delle conquiste e contro le cosiddette riforme (mercato del lavoro, pensioni) e per migliori condizioni di vita e di lavoro. Questo in una situazione caratterizzata dall’inasprirsi del conflitto di classe come mostra il caso della lotta dei lavoratori dei trasporti pubblici. Il loro è nei fatti un grande esempio di autonomia di classe sul piano rivendicativo dopo un ventennio. Una lotta che ha il grande merito di portare un grande contributo alla ricostruzione di un rapporto di forza favorevole alla classe estendendo la mobilitazione successivamente e contro lo stesso accordo sottoscritto dai sindacati di regime. Una lotta che, a prescindere dall’esito, ha già posto alcune questioni fondamentali come quella della riapertura della questione salario contro lo scellerato patto corporativo per la diminuzione del costo del lavoro, o quella delle forme di lotta mettendo in campo forme che siamo paradossalmente indotti a definire radicali come lo sciopero senza preavviso o lo sciopero in presenza della precettazione. Questa lotta è la dimostrazione più chiara che la fascistizzazione dei rapporti sociali, la cooptazione corporativa delle organizzazioni sindacali, la limitazione e negazione coercitiva del diritto di sciopero non possono fermare lo sviluppo della lotta di classe che trova alimento nell’acutizzarsi delle contraddizioni determinate dalla crisi generale del capitalismo e dalle misure che il governo borghese è costretto a prendere per farvi fronte. È la stessa crisi che determina uno stato di stagnazione generalizzato. Una situazione in cui la spirale della crisi è un susseguirsi di fasi di recessione intercalate da piccole riprese dovute principalmente all’economia di guerra. Una situazione in cui ad ogni tornante della spirale non solo si approfondisce lo sfruttamento della classe operaia e delle masse popolari, non solo si soffoca maggiormente la fascia delle piccole attività economiche del settore concorrenziale ma si verifica anche il crollo di grandi imprese monopolistiche come mostrano i casi più eclatanti della Enron, della Wordcom o quello che riguarda più da vicino della Parmalat. Non si tratta di speculazioni sbagliate o di ruberie particolarmente fameliche, sono semplicemente effetti della crisi di valorizzazione e dei maldestri tentativi di aggirarla con artifizi finanziari. Tutto questo compone a livello mondiale un quadro generale in cui si apre potenzialmente un grande spazio rivoluzionario.

Una situazione rivoluzionaria in sviluppo che se la rinascita del movimento comunista riesce ad affermarsi e a interpretarla, apre la possibilità di una nuova ondata della rivoluzione proletaria mondiale paragonabile a quella che ha contraddistinto la prima parte del ’900. La guerra imperialista e il suo possibile sviluppo orientato dalle contraddizioni interimperialiste in particolare determina una fase rivoluzionaria negli stessi paesi imperialisti. Ricrea anche qui le condizioni per la rottura rivoluzionaria come storicamente è già avvenuto nei casi della guerra franco-tedesca con la Comune di Parigi e delle due guerre mondiali con la Rivoluzione d’Ottobre, la Resistenza al nazifascismo e l’estensione del campo Socialista. Il fatto che in paesi imperialisti come il nostro la fase rivoluzionaria partorisca un effettivo processo rivoluzionario è una conseguenza della drammatica acutizzazione delle contraddizioni che si genera nell’ambito di una guerra interimperialista e della volontà della classe operaia di porsi alla testa del movimento delle masse popolari nella ricerca di una via rivoluzionaria di uscita dal baratro di distruzione e morte cui le costringe l’imperialismo. Questa via può essere solo quella della rivoluzione socialista. È una via che la classe può percorrere solo costruendo il suo strumento per la presa del potere, il suo partito comunista. Tutte le condizioni oggettive lavorano in questo senso ma il partito ci sarà solo se la classe vorrà costruirlo. Su questa volontà si gioca il nostro lavoro nel prossimo periodo. Da qui la centralità della propaganda della necessità della ricostruzione del partito. Questa nuova campagna propaganda la promuoviamo proprio per alzare la bandiera della ricostruzione del partito comunista tra le masse popolari e in particolare tra gli operai e i proletari con la consapevolezza che solo se la parte più avanzata della nostra classe si investirà in questo processo sarà possibile raggiungere questo obiettivo.

L’obiettivo principale della campagna è quindi “formarci e formare compagni in grado di propagandare tra gli operai e i proletari la necessità della costruzione del partito comunista della classe operaia”.

La costruzione del partito è un processo che passa attraverso la sconfitta del revisionismo come riflesso dell’imperialismo all’interno del movimento politico della classe operaia. Questa sconfitta ha delle condizioni oggettive e delle condizioni soggettive. Per quanto riguarda quelle oggettive la crisi e la guerra stanno facendo il loro lavoro. Per quanto riguarda quelle soggettive in questa fase hanno a che fare con un quadro capace di trovare le forme e i contenuti per propagandare la necessità della ricostruzione del partito della rivoluzione proletaria in tutti gli ambiti in cui trova espressione la classe operaia e il proletariato e in primo luogo i momenti di mobilitazione, i movimenti e le situazioni di lotta. È chiaro che solo scontrandoci con il revisionismo potremo liberare ambiti dove si può realizzare la raccolta delle forze operaie rivoluzionarie per la costruzione del partito. Solo combattendo i suoi luoghi comuni come la concezione del superimperialismo che fanno da pendant all’opportunismo pacifista; solo combattendo la concezione del “sono onnipotenti e senza contraddizioni e si può solo chiedere loro di essere più buoni” possiamo affermare la linea giusta dell’appoggiare la resistenza nel suo processo di trasformazione in guerra popolare prolungata contro l’imperialismo in ogni parte del mondo e in primo luogo nel nostro paese. Solo isolando ed espellendo dai ranghi della nostra classe gli agenti della resa agli interessi del capitale riusciremo a bonificare il terreno per la crescita di una nuova determinazione politica rivoluzionaria della classe. Un’attenzione particolare va riservata alla lotta all’opportunismo dentro le situazioni operaie. Alla cultura della delega coltivata per decenni dai revisionisti per la quale gli operai non si investono in prima persona nella politica di difesa dei loro interessi ma hanno bisogno di esperti che lo facciano al posto loro. Possiamo fare questo unendoci agli operai che sono determinati a difendere radicalmente i loro interessi, essi sono la sinistra che può conquistare il centro e isolare la destra. La loro esperienza concreta e la propaganda per il partito li porterà a diventare comunisti perché solo così potranno sviluppare strategicamente la loro giusta e corretta tensione.

Dobbiamo anche combattere l’opportunismo dentro le situazioni di movimento. Esso è il riflesso dell’influenza che esercita il revisionismo tra coloro che vorrebbero cambiare la società. Questa influenza si manifesta nella forma del pacifismo, della non violenza, ma anche del movimentismo, dell’eclettismo, del rifiuto di porsi la questione della presa del potere. Possiamo fare questo unendoci con chi è risolutamente determinato a contrapporsi allo sviluppo della guerra imperialista, non distingue opportunisticamente tra intifada palestinese e resistenza irachena ma coglie l’importanza strategica di unirsi alle guerre popolari di liberazione sviluppando il vero internazionalismo proletario che è in primo luogo sviluppare il movimento rivoluzionario nel nostro paese. Dobbiamo dare battaglia anche al soggettivismo che considera determinante solo l’azione dell’avanguardia, sia nella forma di iniziativa d’attacco che in quella di azione diretta per ribadire invece la concezione che la rivoluzione come la lotta di classe la fanno le masse mentre il partito, l’organizzazione dei comunisti, la dirige. Come d’altra parte dobbiamo dare battaglia alle posizioni oggettiviste che in realtà sono il peggiore opportunismo. L’opportunismo di chi aspetta che il processo di accumulazione delle forze rivoluzionarie si determini da solo oppure si dia solo ed essenzialmente sul piano dell’adesione ideologica. Dobbiamo ribadire invece che l’esperienza storica del movimento comunista internazionale ci porta a concludere che, anche nei paesi imperialisti, il processo rivoluzionario può nascere e svilupparsi solo se l’azione di partito ne traccia il solco sviluppando la sua linea di attacco sulla base della strategia della guerra popolare di lunga durata. I contenuti della campagna propaganda “Alzare la bandiera della ricostruzione del partito comunista tra gli operai e i proletari” sono:

Per le strutture centrali

  • la ripresa delle produzione del foglio (red)
  • sistemazione logistica del lavoro redazionale (red)
  • l’organizzazione della sua distribuzione e spedizione (red)
  • bilancio, rinnovo e rilancio com.prop. (com.prop.)
  • impostazione seminario per propagandisti (com.prop.)
  • impostazione ed esecuzione di una iniziativa di PA (red+com.pol.)
  • sviluppo di una linea di propaganda tra gli operai e nel movimento rivoluzionario per la costruzione di organismi di partito. (resp.camp)

Per le strutture locali e situazioni in sviluppo

  • discussione degli articoli del foglio
  • sistemazione logistica per diffusione locale
  • diffusione locale
  • produzione di corrispondenze operaie
  • inchiesta sulla possibilità di costruzione di organismi di fabbrica
  • altre forme di propaganda che mettano al centro la necessità del partito (scritte, affissioni, altro)

I nostri organismi locali sono invitati a riflettere sui termini generali della campagna, stendere un piano che definisca gli obiettivi e i contenuti locali e nominare un responsabile incaricato di dirigerne l’esecuzione.

I compagni delle situazioni in sviluppo sono invitati alla stessa riflessione generale e a dare avvio a soglie iniziali di propaganda di partito nelle loro zone. Il termine della campagna, salvo modifiche nel corso del lavoro, è fissato per il periodo estivo quando svolgeremo il lavoro di bilancio.

 

Note per le situazioni locali

1) Con l’uscita del prossimo numero rimettiamo in campo gli insegnamenti e il lavoro svolto nella scorsa campagna propaganda. È l’occasione quindi per rivedere le liste dei lettori e rifare il punto. Inoltre possiamo mettere in campo le iniziative di diffusione di massa preparate ma non svolte (andranno ripreparati i piani).

2) I punti che riguardano il lavoro sugli operai sono particolarmente importanti perché ci permettono di trarre importanti insegnamenti su come sviluppare la propaganda per il partito tra la classe e tradurla in organizzazione. Allo scopo i compagni possono trarre elementi e svilupparli dal breve allegato 1.

 

Allegato 1

Per svolgere il lavoro di inchiesta tra la classe operaia diamo alcune semplici indicazioni sulle forme percorribili.

  • innanzitutto individuare i referenti. Essi andranno trovati tra gli operai più combattivi, tra quelli che si sono distinti come avanguardie nella lotta, che si pongono realmente il problema della difesa degli interessi di classe e che in nome di questi non delegano a nessuno, tanto meno ai sindacati, la direzione della lotta. Questo tipo di operai scaturiscono spontaneamente dalla lotta economica ed hanno la caratteristica positiva di incarnare profondamente la pratica della lotta operaia. Da loro potremo raccogliere preziosi elementi per lo sviluppo della linea di massa, per la lotta concreta al revisionismo e possiamo capire meglio come tradurre in linee specifiche la nostra linea generale.

Altri andranno trovati tra coloro che già si definiscono comunisti. Se non nel caso di operai appartenenti a gruppi di orientamento ML rispetto ai quali va condotta una inchiesta sulla loro organizzazione prima di aprire il confronto con loro, in maggioranza la loro identità deriva dal movimento comunista che è degenerato nel riformismo e nel revisionismo. Di loro dobbiamo recuperarne l’identità comunista e ricollocarla sul piano rivoluzionario spiegando loro cosa sono e come si organizzano i comunisti. Dobbiamo allo stesso tempo avere la capacità di combattere le idee sbagliate che i riformisti e i revisionisti hanno inculcato nelle loro teste.

  • Possiamo individuare tre forme di incontro per svolgere questa inchiesta:

– incontri di basso livello con singoli o gruppi di operai per spiegare cosa pensiamo e per capire se è possibile un lavoro in comune (manteniamo uno stile verbale senza cose scritte). I temi riguarderanno principalmente la lotta sindacale e l’organizzazione sindacale in fabbrica e secondariamente la problematica dello sbocco delle lotte.

– incontri di medio livello con singoli per consegnare il giornale e trarne le impressioni e/o l’adesione ideologica (va valutata la forma per non esporsi troppo). I temi riguarderanno principalmente lo sbocco politico delle lotte, quale prospettiva vincente per la classe operaia e secondariamente le forme organizzative:

– incontri avanzati con singoli per curarne la formazione in vista dell’adesione organizzativa ricorrendo al seminario sul partito. I temi riguarderanno principalmente le forme organizzative, il tipo di partito e la sua strategia.

Queste semplici indicazioni servono per dare uno schema al lavoro pertanto non vanno eseguite alla lettera ma vanno arricchite dalla creatività e dallo slancio dei compagni che svolgono il lavoro. Nel bilancio finale della campagna dedicheremo uno spazio specifico a questo lavoro nei termini di:

1) quanto ci siamo formati come propagandisti tra la classe operaia;

2) con quanti operai abbiamo svolto questo lavoro e che risultati ne abbiamo tratto;

 

Allegato 2

Abbiamo deciso di promuovere questa campagna propaganda per alzare la bandiera della ricostruzione del partito tra la classe operaia e le masse popolari.

Non per questo ci dimentichiamo di valorizzare un importante passo fatto nella scorsa campagna che consiste nella riuscita del primo tentativo di fusione di forze rivoluzionarie presenti nel nostro paese. Questo importante passo avanti nel processo di ricostruzione del partito va necessariamente valorizzato e propagandato tra tutti i compagni dell’organizzazione, tra i candidati e tra gli stretti e fidati collaboratori. Valutiamo per il momento di non propagandare all’esterno (e cioè tra le forze soggettive) questo passo. Da una parte questo passaggio necessita di un periodo di verifica e consolidamento nel lavoro dei prossimi mesi, dall’altra occorre sviluppare il lavoro di inchiesta sulle forze soggettive seriamente intenzionate a sviluppare il lavoro di ricostruzione del partito così come lo abbiamo impostato. Quest’ultimo sarà uno degli impegni del lavoro ordinario che il comitato politico e la redazione del giornale esamineranno. Pertanto invitiamo gli organismi locali e i compagni dell’organizzazione a centralizzare suggerimenti e proposte in merito.

Organizzazione per il Partito comunista politico-militare.

Organizzazione per il Partito Comunista politico militare

gennaio 2004