Le origini
Nel corso degli anni Settanta in Italia si acuisce lo scontro sociale e politico. Alla diffusa volontà di trasformazione radicale, in senso comunista, della società, alcuni settori dello Stato rispondono con il terrorismo della strategia della tensione. Bombe e minacce di golpe all’apparenza destabilizzanti, miranti in realtà a stabilizzare un potere che stava perdendo credibilità agli occhi di ampi strati della popolazione. Nel frattempo il Pci, in forte avanzata nelle elezioni amministrative del 1975 e ancor più nelle politiche del 1976, delude le aspettative di una parte del suo elettorato, che considera un tradimento il compromesso storico, la politica di solidarietà nazionale e della difesa delle istituzioni borghesi, gli appelli ai sacrifici e all’austerità.
Negli stessi anni si moltiplicano nel mondo gli esiti vittoriosi delle guerriglie, dei movimenti di liberazione nazionale contro il colonialismo, mentre il drammatico golpe in Cile del 1973 a buona parte della sinistra rivoluzionaria appare come una conferma dell’impossibilità di una via pacifica per la conquista del potere da parte delle masse popolari.
Nella seconda metà del decennio c’è la definitiva dissoluzione dei gruppi extraparlamentari. Lotta continua si scioglie in modo informale nell’autunno 1976. Un numero sempre maggiore di giovani si convince che l’uso della lotta armata sia necessario per concretizzare quell’offensiva che, negli anni precedenti, era stata patrimonio condiviso di tutta la sinistra più radicale, e si esprimeva nella durezza degli slogan gridati nei cortei. Se le Brigate rosse rappresentano l’esempio di organizzazione centralizzata, volta a costruire un partito in linea con la teoria e la prassi marxista leninista, in continuità con la storia del movimento comunista internazionale, altri settori sostengono l’ipotesi di una guerriglia diffusa in stretto contatto con le lotte di massa. Non il partito armato, dunque, ma il movimento armato. Il referente principale è il proletariato metropolitano. Precari, senza casa, lavoratori che la ristrutturazione ha espulso dai cicli produttivi, giovani ghettizzati negli hinterland delle città che rivendicano i propri bisogni. L’«operaio sociale» teorizzato da Toni Negri, fortemente conflittuale nei confronti dell’alleanza Dc-Pci tanto da scontrarsi, anche fisicamente nelle piazze, con le organizzazioni storiche del movimento operaio.
Nasce così un’area formata in primo luogo da militanti usciti da Lotta continua a varie riprese nel 1974, dopo la «svolta legalitaria» dell’anno precedente, con la quale il gruppo rinnegava gli appelli all’organizzazione della violenza rivoluzionaria contro lo Stato. Ad essi si uniscono orfani del disciolto Potere operaio confluiti nell’Autonomia operaia, che diviene una sorta di rifugio delle posizioni più radicali. Comitati di fabbrica, del terziario, di quartiere, che teorizzano l’armamento di massa e attuano pratiche di combattimento diffuso. In questo contesto vengono creati i Comitati comunisti per il Potere operaio e, nel 1975, l’area e la rivista «Senza tregua», che raccoglie chi ha partecipato al Sessantotto e ai gruppi extraparlamentari, ma anche giovanissimi che si avvicinano alla politica, talvolta attratti dal mito della Resistenza tradita. Quest’area si esprime con un doppio livello, legale e clandestino. Mentre sul giornale si discute di armamento di massa, di milizia operaia, di un percorso di organizzazione proletaria in un quadro di guerra civile di lunga durata, ci sono occupazioni, espropri, azioni di autofinanziamento, irruzioni nelle associazioni di industriali, ferimenti di dirigenti di fabbrica.
Nell’ottobre 1976 a Salò, in provincia di Brescia, all’interno di «Senza Tregua» avviene il cosiddetto «golpe dei sergenti». I quadri intermedi, provenienti da Lotta continua, si impadroniscono del gruppo estromettendo gli «intellettuali», ex di Potere operaio, che dirigono la rivista. Dopo un periodo di sospensione, le pubblicazioni riprendono come «Seconda serie».
Nell’ambito dei militanti espulsi si formano le Unità comuniste combattenti (Ucc) e i Comitati comunisti rivoluzionari (Cocori).
La nascita
È difficile stabilire un punto preciso di inizio. La denominazione Prima linea compare il 30 novembre 1976 a rivendicare l’irruzione a Torino nella sede del Gruppo dirigenti per prelevare gli schedari dell’associazione. Nel volantino è scritto tra l’altro: Prima linea non è un nuovo nucleo combattente comunista, ma l’aggregazione di vari nuclei guerriglieri che finora hanno agito con sigle diverse. Prima linea non è l’emanazione di altre organizzazioni armate come Br e Nap. L’unica direzione che riconosciamo sono i cortei interni, gli scioperi selvaggi, i sabotaggi, gli invalidamenti degli agenti nemici, l’esuberanza spontanea, la conflittualità extralegale.
Il corpo militante attivo negli anni precedenti con varie sigle è quello che fa riferimento a «Senza Tregua». Fra il 1976 e il 1977 vari membri del futuro vertice politico-militare dell’organizzazione finiscono temporaneamente in carcere. A questa fase, poi chiamata pre-Prima linea, è stato attribuito, tra l’altro, l’agguato mortale al consigliere provinciale del Msi Enrico Pedenovi, in risposta all’omicidio da parte dei neofascisti di Gaetano Amoroso, il 27 aprile 1976 a Milano. Un’azione che riceve il consenso di larghi settori della sinistra rivoluzionaria.
Prima linea viene costituita ufficialmente in un congresso a San Michele a Torri, nei pressi di Scandicci, nell’aprile 1977. Ci sono una trentina di rappresentanti di Milano, Bergamo, Torino, Firenze, Napoli. Il nucleo promotore proviene in buona parte da Sesto San Giovanni. Stalingrado d’Italia, era chiamata. Per il suo contributo alla Resistenza, poi alle lotte di fabbrica. Forti sono le realtà bergamasca e torinese. Uno Statuto di 31 articoli enuncia i principi di quella che è definita una «organizzazione volontaria di combattenti per il comunismo». Caratterizzata da due livelli distinti. Il primo è una rete di appoggio e di stimolo ai comportamenti illegali e al combattimento proletario, costituita da Ronde e Squadre, che assumono diverse denominazioni (Squadre armate proletarie, territoriali, operaie) ed effettuano sabotaggi, incendi, espropri, attacchi a capi reparto. Il secondo è una struttura centralizzata alla cui guida c’è un Comando nazionale che deve rispondere del proprio operato alla Conferenza di organizzazione.
Gli inizi, nel movimento
Prima linea muove i passi iniziali in un percorso legato all’eterogeneo movimento del Settantasette, puntando a innalzarne i livelli di conflittualità. Già nel nome sono specificate queste caratteristiche. La prima linea è infatti quella dei servizi d’ordine dei cortei. L’organizzazione vuole essere alla testa delle forme di critica radicale del sistema. In un documento datato 1977 si legge: Le giornate di marzo sono state una grande lezione: da condizioni oggettive che massificavano bisogni e caratteri politici del proletariato si è passati alla lotta di massa contro lo Stato. In essa si sono esplicitate le diverse ipotesi politiche che vivono nell’area rivoluzionaria tra le organizzazioni combattenti. […] La domanda politica sviluppata in questi mesi, la ricerca di una chiarezza, di un progetto lucido di prospettiva e di organizzazione, impone di rompere tutte le nozioni di area: da quella autonoma a quella armata, di scatenare la battaglia politica, riconfrontare proposte politiche con la tensione rivoluzionaria che vive nel proletariato e nella classe operaia.
Nella primavera del 1977 il clima in Italia è rovente. Il livello di violenza nelle piazze altissimo. I manifestanti usano armi da fuoco e ci sono caduti da entrambe le parti. L’11 marzo a Bologna viene assassinato da un carabiniere Francesco Lorusso, militante di Lotta continua. Il giorno successivo a Roma e Bologna scoppiano duri scontri. Nelle stesse ore a Torino è ucciso per rappresaglia il brigadiere dell’Ufficio politico della Questura Giuseppe Ciotta. Compagni, non è più tempo di azioni esemplari e di propaganda. La dichiarazione di guerra dello Stato va raccolta. Sul terreno della guerra dispiegata si devono verificare oggi, subito, le formazioni combattenti: chi sottrae a questa pratica la propria organizzazione non ha diritto di parola nell’area combattente. La rivendicazione è delle Brigate comuniste combattenti, area Prima linea. Il 21 aprile a Roma e il 14 maggio a Milano nel corso di cortei rimangono uccisi due poliziotti. Il 12 maggio a Roma muore una manifestante, Giorgiana Masi, colpita da agenti in borghese. Nell’autunno inizia il riflusso del movimento. Molti giovani vanno ad alimentare le fila delle organizzazioni armate. Nei primi tempi Pl agisce prevalentemente in un’ottica di supporto alla lotta nelle fabbriche e al combattimento proletario, con incendi, ferimenti di capi reparto e dirigenti, ma effettua anche azioni nel sociale, contro il lavoro nero e il carovita, e di attacco alla Democrazia cristiana e alle forze di polizia. I militanti, tra cui molti giovanissimi, conducono spesso una doppia vita. Sono semiclandestini, con un ambito di lavoro politico pubblico e uno illegale. Non hanno basi, tengono le armi in casa e le esibiscono nei cortei.
La lotta armata viene considerata transitoria, reversibile, una forzatura necessaria in alcuni momenti storici per indurre le masse a un’offensiva contro le varie articolazioni del comando capitalistico. Si ritiene fondamentale un rapporto diretto tra masse e organizzazione, perché nella classe si sviluppi parallelamente il dibattito sull’organizzazione combattente proletaria e sul partito […]. Il processo di costruzione dell’esercito proletario in un paese a capitalismo avanzato passa per l’intreccio tra organizzazione combattente e istituti di potere della classe.
Contro il comando capitalistico
Secondo Prima linea lo Stato non ha un solo «cuore». L’obiettivo quindi non è la presa del potere, ma una sua progressiva disarticolazione e dissoluzione e la creazione di un contropotere radicato e diffuso. Nel 1977 l’organizzazione scrive: Se lo Stato rappresenta l’assunzione centrale della regolamentazione dei rapporti di produzione capitalistici, ogni cosa è parte dello Stato, tutta la vita sociale si fa Stato, amministrazione violenta delle necessità del capitale. La socializzazione del comando è la fonte di legittimità per il comando stesso. […] La classe operaia comincia proprio in questi mesi ad esprimere lotte orientate esplicitamente contro il comando capitalistico e contro la produzione come strumento di comando. […] Questo salto politico è fondamentale poiché permette una generalizzazione di indicazioni politiche di combattimento, di iniziativa di lotta, dall’organizzazione combattente al quadro combattente proletario e agli istituti della lotta di massa.
I membri di Pl trasgrediscono spesso le regole di una formazione clandestina. Alcuni sono gruppi di amici che si incontrano nelle osterie con le famiglie, si identificano con i fuorilegge rivoluzionari dei film western, tanto da autodefinirsi Mucchio selvaggio. Nel luglio 1977 si trovano a fare i conti con il primo lutto. Romano Tognini viene colpito a morte durante un esproprio in un’armeria di Tradate, successivamente danneggiata con esplosivo per rappresaglia.
Il 2 dicembre 1977 una Squadra, supportata da Pl, ferisce nel suo studio l’«elettricista di Collegno», il medico del manicomio, rimasto impunito pur essendo stato condannato per le torture contro gli internati. In molti plaudono all’azione.
La vigilia di Natale Prima linea attacca il penitenziario Le Vallette ancora in costruzione. Il carcere, la repressione, la liberazione dei prigionieri hanno un ruolo centrale in tutta la storia del gruppo. Evasioni tentate e riuscite, ferimenti e uccisioni di magistrati, tecnici, agenti di custodia, esplosivo contro istituti di pena. All’inizio del 1978 viene creato un comando unificato delle due principali organizzazioni armate «movimentiste», Prima linea e le Formazioni comuniste combattenti (Fcc), nate nell’estate del 1977 da una scissione delle Brigate comuniste, operanti nell’area illegale costituita intorno alla rivista «Rosso». L’esperienza dura pochi mesi, durante i quali vengono effettuati alcuni ferimenti e una esercitazione militare in Francia organizzata dai baschi di Eta. Nel marzo dello stesso anno, le Brigate rosse rapiscono Aldo Moro. Prima linea non approva l’azione, che considera disarticolante nei confronti del movimento oltre che dello Stato. In quel periodo innalza comunque il proprio livello di scontro militare, anche grazie a un rifornimento di armi pesanti provenienti dal Libano.
Alzare il tiro
L’11 ottobre 1978 per la prima volta Pl rivendica ufficialmente un’uccisione. La vittima è Alfredo Paolella, docente di diritto criminale all’Università di Napoli, consulente del Ministero di Grazia e giustizia incaricato dell’osservazione criminologica nel carcere di Poggioreale.
Ma l’azione che crea più clamore è compiuta il 29 gennaio 1979, quando a Milano viene colpito a morte Emilio Alessandrini. È un giudice considerato democratico, ha indirizzato verso i neofascisti le indagini sulla strage di piazza Fontana, mettendo in luce il ruolo dei servizi segreti e le coperture istituzionali. Per Prima linea Alessandrini rappresenta una punta avanzata della controrivoluzione. Appartiene al settore di magistrati interni a quella sinistra che si è «fatta Stato», gestisce le leggi di emergenza, razionalizza gli apparati di giustizia per ridare credibilità ed efficienza alla struttura di potere. Alessandrini stava indagando sui movimenti e le organizzazioni armate, doveva assumere la direzione di una sezione dell’Antiterrorismo nel tribunale milanese, realizzare una banca dati e coordinare una ricerca sulla violenza politica. È un periodo di forti lacerazioni nella sinistra. Pochi giorni prima le Brigate rosse hanno colpito il sindacalista del Partito comunista Guido Rossa. Molti militanti sono disorientati.
Il Pci, da parte sua, collabora attivamente con lo Stato, anche con un proprio lavoro investigativo. Nel febbraio 1979 a Torino lancia un questionario antiterrorismo che suscita perplessità in vari ambienti. Prima linea decide di dare una risposta. Il 28 febbraio, in seguito a una segnalazione, il commando viene sorpreso in un bar da alcuni poliziotti. C’è una colluttazione, spari, raffiche di mitra. Rimangono uccisi due militanti, Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi. Ai funerali partecipano molti settori di movimento. L’emozione è forte, come il desiderio di vendetta.
Prima linea effettua due azioni di rappresaglia. Il 9 marzo tende un agguato a una volante. Nel conflitto a fuoco muore accidentalmente un giovane passante. Il 18 luglio viene colpito il barista Carmine Civitate, in base all’errata convinzione che sia il responsabile dell’intervento della polizia.
Questa tragica catena di eventi provoca un lungo dibattito interno. Nella Conferenza di organizzazione del settembre 1979, a Bordighera, in provincia di Imperia, si sviluppa una battaglia politica fra due posizioni. C’è chi ritiene necessario tornare a radicarsi nel territorio e praticare il combattimento diffuso e chi intende invece verticalizzare lo scontro con gli apparati istituzionali. Il nodo non viene sciolto. Si decide una ristrutturazione organizzativa, con la creazione di un Esecutivo nazionale, ma si verifica anche la prima scissione. Alcuni militanti, convinti che la situazione esiga una ritirata, costituiscono il gruppo Per il comunismo. Presto si rifugiano in Francia, dove vengono arrestati ed estradati.
L’organizzazione lancia una campagna centrata sulla fabbrica, oggetto di pesanti ristrutturazioni. La parola d’ordine è Colpire il comando d’impresa. Nel settembre 1979 Prima linea uccide a Torino Carlo Ghiglieno, ingegnere responsabile del Settore pianificazione e presidente del Comitato guida del settore logistico della Fiat. In risposta ai ripetuti attacchi operati dai vari gruppi combattenti contro dirigenti e alla solidarietà di cui godono fra gli operai le organizzazioni armate, l’azienda adotta una linea dura. A ottobre, dopo consultazioni con i sindacati, vengono licenziati 61 operai, a cui l’azienda contesta un comportamento «eversivo». La successiva mobilitazione di massa è forte e decisa. L’anno successivo la Fiat annuncia quasi quindicimila licenziamenti, poi trasformati in cassa integrazione per circa ventitremila lavoratori. Dopo 35 giorni di lotta, il 14 ottobre si svolge la cosiddetta «marcia dei quarantamila». Dipendenti Fiat, colletti bianchi, quadri, capi reparto che chiedono la fine del blocco delle fabbriche e la possibilità di tornare al lavoro. Il sindacato accetta una resa senza condizioni.
L’11 dicembre 1979 un gruppo di Pl occupa militarmente a Torino la Scuola di formazione aziendale della Fiat, dove si formano i nuovi manager. Quasi duecento studenti vengono riuniti nell’auditorium, dove una militante spiega che l’istituto è stato attaccato in quanto centro nevralgico nella struttura del comando di impresa. L’irruzione si conclude con il ferimento alle gambe di cinque professori, dirigenti Olivetti, e cinque studenti. Tre giorni dopo, il 14 dicembre 1979, un nucleo dell’organizzazione viene sorpreso mentre sta preparando un attentato contro una fabbrica di Rivoli. In uno scontro a fuoco i carabinieri uccidono il giovane militante Roberto Pautasso.
Il 5 febbraio 1980, in una campagna sulla qualità della vita e la salute, a Monza è colpito a morte l’ingegnere Paolo Paoletti, considerato tra i responsabili del disastro avvenuto a Seveso nel 1976, quando dall’azienda chimica Icmesa si sprigionò una nube di diossina altamente tossica.
Il 19 marzo 1980 viene ucciso il giudice Guido Galli, docente, membro della commissione del Ministero di Grazia e giustizia per la riforma del Codice penale e collaboratore dell’Istituto di Prevenzione e difesa. Appartiene alla frazione riformista dei magistrati milanesi, individuata come strumento di repressione dell’antagonismo. Continua la campagna delle organizzazioni comuniste di disarticolazione del potere giudiziario e con essa del progetto di riorganizzazione di elementi di comando nel nostro paese. […] Si tratta di produrre un intervento per cui lo schieramento capitalista esca da questa fase pesantemente indebolito, destabilizzato, e su questo si costituisca stabilmente lo schieramento proletario rivoluzionario.
I pentiti e il crollo
Agli inizi del 1980 Prima linea si trova a fare i conti con la delazione, un problema che poco dopo contribuirà in modo decisivo alla rapida fine del gruppo. William Waccher, un giovane della rete dell’organizzazione, inseguito da un mandato di cattura, si consegna agli inquirenti e collabora con i magistrati. Il suo ruolo e le sue dichiarazioni sono marginali, ma è la prima volta che accade e il fatto appare inaccettabile. Viene colpito mortalmente da un nucleo dell’Esecutivo nazionale il 7 febbraio in un campo alla periferia di Milano. Le indicazioni di Waccher avrebbero permesso l’identificazione del «comandante Alberto», ovvero Marco Donat Cattin, ma rimangono prive di conseguenze. È Patrizio Peci, pentito delle Br, a svelare poco dopo l’identità del figlio del senatore democristiano, che riesce a espatriare in Francia. Le polemiche provocate dalla vicenda costringono il potente uomo politico a dimettersi dalla carica di vice segretario del partito. Lo stesso Peci fa il nome di Roberto Sandalo che, appena arrestato, inizia una confessione fiume. Accusato di alcuni omicidi, dopo due anni di carcere esce in base alla legge sui pentiti, approvata nel maggio 1982. È di nuovo arrestato nel 2002 per rapina e nel 2008 per attentati a moschee e centri culturali islamici.
Prima linea prosegue le azioni. Il 2 maggio 1980 viene gravemente ferito Sergio Lenci, docente universitario e architetto, autore del progetto di ristrutturazione del carcere di Rebibbia, definito «tecnico dell’antiguerriglia urbana». Il 26 giugno è effettuata una spettacolare iniziativa di propaganda sul treno Susa-Torino, con la distribuzione di volantini che incitano alla lotta armata e alla guerra civile.
Nell’agosto 1980 il vertice di Prima linea discute della nuova condizione, caratterizzata dagli arresti a catena e dalla rottura della solidarietà interna, con l’estendersi del pentitismo. Non si raggiunge un accordo e poco dopo alcuni militanti escono dall’organizzazione. A ottobre viene catturato Michele Viscardi. Inizia subito a parlare accompagnando i carabinieri in giro per l’Italia. Si mette in moto una catena che porta velocemente allo smantellamento dell’organizzazione.
Nell’aprile 1981 viene ratificato il superamento di Prima linea e la formazione di un Polo organizzato, punto di riferimento per i militanti ricercati. Dalle ceneri dell’organizzazione nel 1981 nascono i Comunisti organizzati per la liberazione proletaria (Colp) e il Nucleo di comunisti messo in piedi dal latitante Sergio Segio, il «comandante Sirio».
I due gruppi si limitano a qualche rapina di finanziamento, ad azioni contro la repressione e per la liberazione dei prigionieri. Il 3 gennaio 1982, in collaborazione, effettuano un’operazione eclatante. Un commando guidato da Sergio Segio fa evadere dal carcere di Rovigo quattro detenute, tra cui la sua compagna Susanna Ronconi. Per infarto, muore incidentalmente un passante, un pensionato iscritto al Pci. Pochi giorni dopo Lucio Di Giacomo, uno dei partecipanti all’evasione, viene ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri. Il Nucleo e i Colp sono presto smembrati dagli arresti.
Lo scioglimento e la dissociazione
Nel 1982 inizia la stagione dei maxiprocessi. Prima linea è l’organizzazione armata italiana con il maggior numero di inquisiti: 923, tra cui 201 donne. A Pl e alle strutture collegate sono riferibili centinaia di azioni. 23 con conseguenze mortali, oltre a un agente ucciso da un gruppo di fuoriusciti. 11 sono morti accidentali, non premeditate.
La definitiva chiusura dell’esperienza, dopo un percorso di discussione fra i militanti detenuti, è annunciata durante un’udienza a Torino nel giugno 1983. Nel documento Sarà che nella testa avete un maledetto muro, scritto nel carcere Le Vallette e considerato l’ultimo di Prima linea, si dichiara delegittimata socialmente la pratica di lotta armata per il comunismo in Italia.
Viene quindi criticata la dissociazione degli imputati del 7 aprile rinchiusi a Rebibbia, basata su un’«ablazione di memoria» e sulla «negazione di responsabilità» e l’«irriducibilismo continuista» di chi non ritiene conclusa l’esperienza combattente.
Formalizzato lo scioglimento, quasi tutti gli ex militanti di Prima linea avviano il percorso della dissociazione, del reinserimento sociale, della trattativa con lo Stato, creando le cosiddette Aree omogenee in alcune sezioni maschili e femminili dei grandi giudiziari metropolitani. Posizioni che contribuiscono a rompere la solidarietà, lacerare la comunità dei prigionieri politici, sottoposti in quegli anni a dure condizioni detentive con l’applicazione dell’art. 90 della riforma del 1975, che sospendeva il normale regime carcerario lasciando spazio a divieti, limitazioni, colloqui con vetri e citofoni. Gli effetti disgreganti della dissociazione si inseriscono in un clima che nelle carceri speciali era già stato reso molto pesante dal fenomeno del pentitismo e aveva portato nel dicembre 1981 e nel luglio 1982 all’uccisione da parte di detenuti di area brigatista di Giorgio Soldati, ex militante di Pl, e del Br Ennio Di Rocco, ritenuti delatori. Lo scontro fra dissociati e prigionieri che rifiutano il dialogo con lo Stato è duro.
Anche una parte della sinistra antagonista esterna al carcere conduce un’aspra battaglia contro la dissociazione, considerandola liquidazionista dell’intera lotta di classe, oltre che della pratica combattente. Per motivi opposti, ovvero la persistenza del «pericolo terrorista», settori consistenti dello Stato e della magistratura si oppongono allo smantellamento dell’impianto giuridico dell’emergenza, del regime di trattamento duro nelle carceri speciali, e all’allargamento per i dissociati della legislazione premiale prevista per i pentiti.
I detenuti delle Aree omogenee proseguono il dialogo con le istituzioni, in un percorso che definiscono di «mediazione conflittuale». Nel giugno 1984 Prima linea consegna le armi che le sono rimaste al cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, mostratosi aperto al tema della riconciliazione sociale.
Nel 1986 viene approvata la legge n. 663, la cosiddetta Legge Gozzini, che prevede misure alternative alla detenzione introducendo una logica basata sul binomio premio-punizione in funzione del comportamento del recluso. Nel febbraio 1987 arriva a compimento il lungo iter della legge n. 34, che concede sconti di pena a chi si dissocia dalla lotta armata. Queste due leggi, combinate, consentono ai dissociati di lasciare progressivamente il carcere, mentre i prigionieri che rifiutano ogni forma di dissociazione e soluzione politica, etichettati come «irriducibili», rimarranno ancora a lungo nelle carceri speciali.
Scheda tratta da: Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, Roma, DeriveApprodi 2015.