Archivi categoria: Brigate rosse

Campagna D’Urso, Comunicato N.1

Venerdì 12 dicembre, un nucleo armato delle Brigate rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo il boia, aguzzino di migliaia di proletari, Giovanni D’Urso, magistrato di Cassazione, direttore dell’ufficio III della Direzione generale degli Istituti di prevenzione e di pena del ministero di Grazia e Giustizia. Ciò significa che questo porco è il massimo responsabile per tutto ciò che concerne il trattamento di tutti i proletari prigionieri sia nei carceri normali sia nei carceri speciali. Tutto ciò che, in esecuzione delle direttive impartite dalle centrali imperialiste, riguarda il trattamento generale e particolare dei prigionieri, la differenziazione fra le carceri, i trasferimenti, le pratiche di tortura e di annientamento politico-psichico-fisico passa per le sue mani.

O meglio passava, perché ora è in un carcere del popolo e verrà sottoposto al giudizio del proletariato, che il porco credeva di poter massacrare impunemente.

Chiariamo subito che il processo a cui verrà sottoposto non ha nulla a che spartire con i riti ed i codici della giustizia borghese, ma ha i suoi ferrei riferimenti nel profondo senso di giustizia, che nelle sue lotte il proletariato non manca mai di manifestare con puntuale ed inesorabile fermezza. Ai criteri della giustizia proletaria ci atterremo nell’emettere il giudizio.

Compagni, la crisi strutturale in cui lo Stato imperialista delle multinazionali si dibatte si fa di giorno in giorno più profonda e lacerante. Essa nasce e si nutre nel meccanismo stesso dell’accumulazione capitalistica e investe inesorabilmente alle radici il modo di produzione. A nulla valgono le ricette miracolose ed i piani economici che la borghesia inventa per risolvere problemi che trovano la loro vera origine nel carattere superato dei rapporti sociali di produzione. Solo producendo per distruggere, distruggendo per poter produrre il capitale multinazionale può sperare di ritardare la sua fine. La crisi del modo di produzione capitalistico si traduce così in offensiva generalizzata della borghesia imperialista contro il proletariato metropolitano. Questa offensiva nel suo divenire assume sempre più i caratteri della controrivoluzione preventiva, di una strategia il cui aspetto dominante è la tendenza alla guerra imperialista ed alla ristrutturazione sul piano interno. Ciò significa che su ogni strato proletario si abbatte la repressione, che le conquiste di un decennio di lotte operaie vengono rimangiate ad una ad una. Il “nuovo modo di produrre” oggi, non può essere altro che quello che Agnelli ha prepotentemente indicato a tutti: la ristrutturazione in Fiat è passata, in un anno, dalla decimazione delle avanguardie iniziata con i licenziamenti alla espulsione in massa dalla fabbrica nel tentativo di far pagare tutti interi gli enormi costi della crisi alla classe operaia e di distruggere ogni sua capacità di lotta e di organizzazione.

Licenziamenti, mobilità, nocività e militarizzazione sono le medicine del padrone per la fabbrica ammalata. Il progetto padronale è all’interno di una strategia complessiva della borghesia imperialista, che trova nell’annientamento di ogni antagonismo di classe l’unica politica valida che, nell’attuale situazione, gli permetta di tenere in piedi il suo sistema di potere. Ma se per i capitalisti crisi significa guerra imperialista e controrivoluzione preventiva per i proletari vuol dire rivoluzione proletaria!!!

Al progetto della borghesia imperialista si oppone infatti un vasto movimento di resistenza proletaria che vive e combatte per una società comunista.

Nelle fabbriche, nei quartieri, nelle carceri questo movimento si esprime in mille forme di lotta e dimostra la sua reale maturità costruendo i livelli di mobilitazione e riorganizzazione sotterranea in grado di estendersi continuamente anche in presenza di un’offensiva controrivoluzionaria sempre più feroce. Lo scontro affrontato questo autunno dalla classe operaia Fiat non lascia dubbi in proposito per quanto ha saputo realizzare in termini di mobilitazione autonoma, di chiarezza e coscienza dei suoi nemici, e per questo ha saputo sedimentare nella prospettiva vincente di riorganizzarsi in modo nuovo. Anche la borghesia non si fa illusione ed è evidente il suo tentativo di arginare questa crescita adottando l’unica soluzione possibile: la strategia di guerra in mano ai militari. Cioè la guerra al proletariato su tutti i fronti e con tutti i mezzi a partire dai punti più alti dello scontro di classe: la Fiat e le carceri.

Compagni, il carcere è al centro della strategia di guerra dell’imperialismo. Il carcere non è un bubbone di questa società ma la risposta della borghesia all’attuale livello della lotta di classe. La strategia differenziata non è svincolata dalla ristrutturazione nelle fabbriche ma parte integrante di essa: il momento più alto di annientamento delle forze rivoluzionarie.

Ma il carcere non è solo l’altra faccia della fabbrica per chi lotta e combatte, è anche il luogo “abituale” di vita del proletariato extralegale, cioè di quello strato di classe che vive come determinazione degli strati disgregati del proletariato metropolitano che subiscono fino in fondo il costo della crisi e il peso della ristrutturazione produttiva. Nel movimento dei proletari prigionieri si sono storicamente incontrate e si incontrano queste due determinazioni del proletariato metropolitano in un programma di lotta rivoluzionaria e di costruzione del potere proletario.

La strategia differenziata nel carcere è il mezzo attraverso cui il potere tenta di contrastare, ad un tempo, la guerriglia all’esterno e il movimento dei proletari prigionieri all’interno. Essa deve isolare le avanguardie e seppellire nei campi per annientarle e, inoltre, reprimere ogni forma di lotta ed organizzazione del proletariato prigioniero. La differenziazione è lo strumento scientifico per separare, dividere ed analizzare i singoli prigionieri e i diversi strati per distruggere preventivamente la loro forza politica.

L’imperialismo ha affinato da tempo le sue tecniche di distruzione, le ha già sperimentate in Germania e in altri Paesi contro le forze rivoluzionarie, oggi le perfeziona in Italia a livello di massa tentando di costruire un’immensa rete di lager – che vorrebbe inespugnabile – per rinchiudervi migliaia di prigionieri e parallelamente edificare un circuito di differenziazione in grado di spezzare la resistenza dei prigionieri e di spegnere la loro capacità e volontà di lotta.

Ma l’ambizioso progetto del nemico, nonostante l’apparente efficienza e solidità, non può riuscire, sta già fallendo perché si scontra con la realtà di uno strato di classe (il proletario prigioniero) che è inserito a pieno titolo all’interno del proletariato metropolitano e con la realtà di un possente movimento di lotta che nel carcerario è venuto organizzandosi e rafforzandosi negli ultimi dieci anni. Alla classe operaia, vero centro motore e dirigente di tutto il processo rivoluzionario, si affianca così una componente possente e combattiva ed ineliminabile del proletariato metropolitano, che rivendica a pieno titolo il ruolo che gli spetta nella rivoluzione comunista e che la lotta di cui è protagonista ha ampiamente legittimato.

Gli alti livelli di mobilitazione, di lotta e di organizzazione di tutto il proletariato prigioniero stanno facendo franare fin dalle fondamenta il progetto imperialista e, contemporaneamente, dimostrano nella pratica di lotta l’oggettività rivoluzionaria di questo strato di classe. I livelli di coscienza che ha raggiunto nascono da un movimento reale suscitato da profonde cause oggettive, che fanno del proletariato prigioniero una delle componenti più maciullate dalla ristrutturazione imperialistica, e nello stesso tempo proprio per le lotte che ha saputo condurre rappresenta un riferimento concreto per tutto il movimento rivoluzionario e un punto di forza politica a favore del proletariato. La nascita dei Cdl in molte carceri è il risultato della maturità di questo movimento di lotta che ha saputo individuare, a partire dai bisogni di questo strato di classe, un programma immediato teso a contrastare l’offensiva del nemico ed a costruire il potere proletario armato. Nelle lotte del proletariato prigioniero non c’è nessun aspetto rivendicazionista, per abbellire le carceri e viverci meglio, ma esse sono il modo concreto di combattere oggi per abolire tutte le carceri e costruire una società di uomini liberi. Una società dominata dai proletari, che possa produrre senza sfruttare, essere giusta senza le galere e i campi di concentramento. Per questo si battono i proletari prigionieri ed in questo vive, pur nella sua parzialità che solo il rafforzamento del ruolo del Pcc può superare, il programma generale di transizione al comunismo di cui il Pcc stesso si fa portatore.

Proprio il carcere dove lo Stato imperialista ha portato fino in fondo la sua ristrutturazione e dove ha stabilito il suo punto di massima forza militare, si è trasformato attraverso le lotte di questi anni in un terreno decisivo tra rivoluzione e controrivoluzione. La battaglia del 2 ottobre all’Asinara, le lotte di Volterra, di Fossombrone, di Firenze e di altre carceri hanno dimostrato nei fatti la forza e l’unità dei Pp e la possibilità di costruire il potere proletario armato anche nelle carceri. La distruzione del campo di Nuoro – dell’infame giocattolo costruito dai Cc e dal boia Massidda sulla divisione scientifica dei proletari prigionieri – e l’esecuzione delle spie e degli infiltrati hanno indicato a tutto il movimento proletario la strada da percorrere a chiarire i termini attuali del programma immediato del proletariato prigioniero:

ORGANIZZARE LA LIBERAZIONE DEI PROLETARI PRIGIONIERI

SMANTELLARE IL CIRCUITO DELLA DIFFERENZIAZIONE

COSTRUIRE E RAFFORZARE I COMITATI DI LOTTA

CHIUDERE IMMEDIATAMENTE L’ASINARA.

Questi sono gli obiettivi principali del programma immediato dei Pp. In completa sintonia con i bisogni e le aspirazioni dei PP, facendosene carico in modo concreto, le Br da tempo lavorano, dentro e fuori le carceri in questa direzione; senza sovrapposizione né confusione di ruoli fra le due determinazioni del potere proletario: gli organismi di massa e il Pcc. E’ per questo che occorre sviluppare una linea di combattimento che sia incentrata sul raggiungimento degli obiettivi dei programmi immediati. Ma non solo questo. Lo Stato imperialista va attaccato e distrutto in una strategia di lungo periodo, disarticolato ed incalzato con l’azione guerrigliera, scardinato delle rotelle che lo fanno funzionare. Ecco il duplice compito che spetta all’organizzazione oggi:

ORGANIZZARE LE MASSE SUL TERRENO DELLA LOTTA ARMATA, ATTACCARE E DISARTICOLARE LO STATO IMPERIALISTA.

Questi due momenti non sono separati ma l’uno è conseguenza e prodotto dell’altro. La battaglia che stiamo combattendo con la cattura ed il processo al porco Giovanni D’Urso è in questa strategia che si colloca. Processare questo servo del potere preposto alla gestione del più infame strumento di annientamento usato dall’imperialismo, vuol dire oggi processare l’intera borghesia imperialista e combattere perché i rapporti di forzare nelle carceri si ribaltino a favore dei proletari.

Compagni, oggi il compito dell’Organizzazione è quello di agire da partito per costruire il partito e dimostrare nella realtà dello scontro di classe la capacità di essere la punta più avanzata dell’intero movimento rivoluzionario, la sua avanguardia comunista. La linea politica espressa dalla Risoluzione della Direzione Strategica ottobre 80, è sintetizzata nella parola d’ordine: “DOBBIAMO ACCETTARE LA GUERRA E ATTACCARE IL CUORE DELLO STATO, FACENDO VIVERE I CONTENUTI DI DISTRUZIONE E DISARTICOLAZIONE DENTRO UNA LINEA DI MASSA CHE DIALETTIZZI I PROGRAMMI IMMEDIATI CON IL PROGRAMMA GENERALE DI TRANSIZIONE AL COMUNISMO”.

Chi non fa questo oggi è un opportunista, perché non collega l’azione di partito ai programmi immediati dei vari strati di classe, non costruisce il potere proletario armato ma svincola dal compito storico che spetta alle OC. Chi crede che il problema sia sparare o eliminare qualche nemico del popolo, costruisce nel vuoto. Lo abbiamo detto ma lo ripetiamo all’infinito: IMPUGNARE LE ARMI NON BASTA!!! Chi si limita a questo dimostra di non aver capito nulla del percorso fin qui compiuto dalla lotta armata e il suo avventurismo non ha giustificazioni di sorta. Gli opportunisti, come i soggettivisti più sfrenati non vedono il peso storico che oggi spetta alle forze rivoluzionarie, e di fronte allo scontato fallimento dei loro programmi mostrano tutta la miseria della loro linea e delle loro scelte: la loro sconfitta viene interpretata come la liquidazione della rivoluzione proletaria.

L’incapacità di capire che la lotta armata è una strategia rivoluzionaria radicata nell’interno della classe operaia e non l’espressione delle loro tensioni e frustrazioni piccolo-borghesi, li trasforma in facili prede della controguerriglia che troppo spesso su di loro costruisce le sue brillanti operazioni. Non ci sono scorciatoie nel processo rivoluzionario. Compito della guerriglia oggi è la conquista delle masse alla lotta armata per il comunismo, costruendo il Pcc e gli Omr. Compito del partito è farsi carico di tutte le esigenze e dei bisogni politici e materiali che il proletariato in tutte le sue componenti pone sul tappeto. Non far questo, che si impugnino delle armi o no, vuol dire scadere nel peggiore e velleitario opportunismo. L’unità di tutti i comunisti a costruirla a partire da questa chiarezza e da questa scelta, ben coscienti che ciò potrà avvenire solo combattendo le concezioni errate e le pratiche sbagliate. Le Brigate Rosse lavorano per l’unità nella chiarezza, unico metodo per costruire il partito.

Roma, 13 dicembre 1980

PER IL COMUNISMO BRIGATE ROSSE

ONORE AI COMPAGNI ROBERTO SERAFINI E WALTER PEZZOLI TRUCIDATI DAI CARABINIERI A MILANO.

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. .

Volantino in ricordo dei compagni uccisi a via Fracchia: Lorenzo Betassa (Antonio), Riccardo Dura (Roberto), Annamaria Ludmann (Cecilia), Piero Panciarelli (Pasquale)

Venerdì 28 marzo 1980 quattro compagni delle Brigate Rosse sono stati uccisi dai mercenari di Dalla Chiesa. Dopo aver combattuto, e trovandosi nell’impossibilità di rompere l’accerchiamento, dopo essersi arresi, sono stati trucidati. Sono caduti sotto le raffiche di mitra della sbirraglia prezzolata di regime i compagni:

Roberto: operaio marittimo, militante rivoluzionario praticamente da sempre, membro della direzione strategica della nostra organizzazione. Impareggiabile è stato il suo contributo nella guerra di classe che i proletari in questi anni hanno sviluppato a Genova. Dirigente dell’organizzazione dall’inizio della costruzione della colonna che oggi è intitolata alla memoria di Francesco Berardi, con generosità e dedizione totale ha saputo fornire a tutti i compagni che hanno avuto il privilegio di averlo accanto nella lotta un esempio di militanza rivoluzionaria fatta di intelligenza politica, sensibilità, solidarietà, vera umanità, che le vigliacche pallottole dei carabinieri non potranno distruggere.

Cecilia: si guadagnava da vivere facendo la segretaria. Come a tutte le donne proletarie la borghesia aveva destinato una vita doppiamente sfruttata, doppiamente subalterna e meschina. Non ha accettato questo ruolo aderendo e militando nella nostra organizzazione, dando con tutte le sue forze un enorme contributo per costruire una società diversa, dove la parola donna e la parola proletario non significano sfruttamento.

Pasquale: operaio della Lancia di Chivasso.

Antonio: operaio Fiat e dirigente della nostra organizzazione.

Sempre alla testa delle lotte della fabbrica e dei quartieri nei quali vivevano. Li hanno conosciuti tutti quegli operai e proletari che non si sono piegati all’attacco scatenato dalla multinazionale di Agnelli e dal suo Stato. Proprio perché vere avanguardie avevano capito che lottare per uscire dalla miseria, dalla cassa integrazione, dai ritmi, dai cottimi, dal lavoro salariato, vuol dire imbracciare il fucile e organizzare il potere proletario che sappia liberare le forze per una società comunista. Imbracciare il fucile e combattere. Questi compagni erano consapevoli che decidendo di combattere avrebbero affrontato la furia omicida della borghesia e che avrebbero potuto essere uccisi. Ma la certezza per combattere per la vita, per la libertà in una posizione d’avanguardia, in prima fila, è un compito che i figli migliori, più consapevoli, del popolo devono assumere su di sé per poter rompere gli argini da cui il movimento proletario spezzerà via la società voluta dai padroni. Per loro, come per molti altri operai, la scelta è stata precisa: combattere e vincere con la possibilità di morire; anziché subire e morire a poco a poco da servi e da strumenti usati da un pugno di sciacalli per accumulare profitti. Oggi Roberto, Pasquale, Cecilia, Antonio, sono caduti combattendo. E’ grande il dolore per la loro morte, non riusciamo ad esprimere come vorremmo quel che sentiamo perché li hanno uccisi e non li avremo più tra noi. Ma nessuno di noi ha pianto, come sempre quando ammazzano dei nostri fratelli, e la ragione è una sola: altri hanno già occupato il loro posto nella battaglia. Proprio mentre ci tocca lo strazio della loro scomparsa e onoriamo la loro memoria, si rinsalda in noi la convinzione che non sono caduti invano come non sono morti invano tutti i compagni che per il comunismo hanno dato la vita.

Alla fine niente resterà impunito.

Brigate Rosse

29 Marzo 1980

Comunicato in ricordo di Margherita Cagol – Mara

Ai compagni dell’organizzazione, alle forze sinceramente rivoluzionarie, a tutti i proletari. E’ caduta combattendo MARGHERITA CAGOL, “MARA,” dirigente comunista e membro del comitato esecutivo delle Brigate Rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà più dimenticare. Fondatrice della nostra organizzazione, “MARA” ha dato un inestimabile contributo di intelligenza, di abnegazione e di umanità alla nascita e alla crescita dell’autonomia operaia e della lotta armata per il comunismo. Comandante politico-militare di colonna, “MARA” ha saputo guidare vittoriosamente alcune tra le più importanti operazioni dell’organizzazione.

Valga per tutte la liberazione di un nostro compagno dal carcere di Casale Monferrato. Non possiamo permetterci di versare lacrime sui nostri caduti, ma dobbiamo impararne la lezione di lealtà, coerenza, coraggio ed eroismo!

E’ la guerra che decide in ultima analisi, della questione del potere: la guerra di classe rivoluzionaria. E questa guerra ha un prezzo: un prezzo alto certamente, ma non così alto da farci preferire la schiavitù del lavoro salariato, la dittatura della borghesia nelle sue varianti fasciste o socialdemocratiche. Non è il voto che decide la questione del potere; non è con una scheda che si conquista la libertà. Che tutti i sinceri rivoluzionari onorino la memoria di “MARA” meditando l’insegnamento politico che ha saputo dare con la sua scelta, con il suo lavoro, con la sua vita. Che mille braccia si protendano per raccogliere il suo fucile! Noi, come ultimo saluto le diciamo: “Mara” un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria!

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO

5 giugno 1975

BRIGATE ROSSE

Molti compagni o gruppi della sinistra rivoluzionaria

Milano, aprile 1971

Molti compagni o gruppi della sinistra rivoluzionaria, sono intervenuti su differenti questioni sollevate dal nostro lavoro. Non sempre però ci è sembrato che il riferimento al nostro reale discorso fosse sufficientemente preciso. Per facilitarne quindi la comprensione e per evitare ‘interpretazioni’ più ispirate all’immagine che il potere ha tentato di fornire di noi che alla nostra reale e modesta statura, rispondiamo ad alcune domande dominanti.

1) Le Brigate Rosse sono o non sono ‘l’embrione del futuro esercito rivoluzionario?

Che lo siamo noi non lo abbiamo mai affermato, anche perché nella nostra prospettiva politica non riusciamo a distinguere con sufficiente chiarezza, come forse capita ad altri, la formazione di un ‘futuro esercito rivoluzionario’. Ci sembra che la linea di tendenza porti piuttosto alla formazione di un’organizzazione politica armata, che risolve in se i vecchi termini della eterna questione, il partito e l’esercito rivoluzionario, il partito e la guerriglia. Ma ancora non ci sembra che si possa dire che le Brigate Rosse siano gli ’embrioni’ del ‘futuro partito guerriglia’.

2) Le Brigate Rosse sono o non sono ‘organismi militari’?

Non sono ‘organismi militari’ ed è completamente estraneo al nostro lavoro quello di ‘dividere’ gli ‘organismi politici’ dagli ‘organismi militari’. Il principio da altri formulato, che deve essere la politica a guidare il fucile, è da noi inteso e praticato in un senso preciso e cioè sollecitando in ogni compagno ed in ogni nucleo di compagni un approfondito chiarimento politico a guida, fondamento e scelta del proprio comportamento rivoluzionario, all’occorrenza anche ‘militare’.

3) Sono le Brigate Rosse un inizio burocratico e minoritario di una fase della lotta di classe in cui l’offensiva avrebbe dovuto esprimersi anzitutto sul piano della violenza clandestina’?

Che la lotta rivoluzionaria assuma spesso la forma dell’azione diretta organizzata clandestinamente è un fatto che non dipende tanto da noi quanto dall’organizzazione repressiva dei padroni. Che l’offensiva proletaria si esprima anche sul piano dell’azione diretta organizzata clandestinamente è una ovvietà che non abbiamo inventato noi ma che chiunque segua un po’ d’appresso lo scontro di classe non fatica a scoprire. Noi pensiamo -questo sì – che l’offensiva proletaria sia oggi estremamente ricca e che tra le molte forme della sua espressione vi sia anche quella dell’azione diretta organizzata clandestinamente. E di questo non ci scandalizziamo.

4) “C’è stata una valutazione completamente errata dei rapporti di forza esistenti tra proletariato e borghesia, e cioè della fase di lotta che stiamo attraversando, che è sì è in una fase di offensiva proletaria, ma non certo sul piano militare”.

Diversa è qui evidentemente la nostra sensibilità politica da quella di chi ci ha mosso questo appunto. La fase che lo scontro tra le classi oggi attraversa, noi riteniamo sia quella della conquista degli strumenti d’organizzazione e di accumulazione delle forze rivoluzionarie capaci di reggere lo scontro e preparare l’offensiva di fronte al progredire di un movimento di reazione articolato sino al limite della controrivoluzione armata. E cioè del passaggio necessario dalla risposta spontanea e di massa anche se violenta, all’attacco organizzato, che sceglie i suoi tempi, calcola la sua intensità, decide il terreno, impone il suo potere.

5) Cosa sono dunque le Brigate Rosse?

Sono gruppi di proletari che hanno capito che per non farsi fregare bisogna agire con intelligenza, prudenza e segretezza, cioè in modo organizzato. Hanno capito che non serve a niente minacciare a parole e di tanto in tanto esplodere durante uno sciopero. Ma hanno capito anche che i padroni sono vulnerabili nelle loro persone, nelle loro case, nella loro organizzazione; che gruppi clandestini di proletari organizzati e collegati con la fabbrica, il rione, la scuola e le lotte, possono rendere la vita impossibile a questi signori.

Progetto Memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. 34-35.

Comunicato N.7

«La macchina che produce nocività non deve funzionare. Per noi produce morte e va messa fuori uso. La salute non si contratta, la nocività si elimina.»

NUOVE FORME DI LOTTA

I padroni e i suoi servi ci hanno tolto le nostre forme di lotta più incisive: riduzione dei punti, blocco delle merci, sciopero articolato (Pirelli, Sit-Siemens, Autobianchi, Alfa…).

OBIETTIVO: minor spesa-maggior incisività.

Il sabotaggio, vecchia arma operaia che sfugge alla repressione, raggiunge il massimo di incisività senza spesa (impegna solo il cervello). Alla Bicocca già da un po’di tempo c’è subbuglio in direzione e fra i servi vari. Pirelli ha attaccato la riduzione dei punti con il taglio del salario. Cosa è successo? ­- Sabotaggio con chiodi al fascio centrale dei cavi del telefono (per un giorno i contatti telefonici all’interno della Bicocca e tra la Bicocca e il Pirellone sono rimasti interrotti). – Sabotaggio cavi OF (trecento-trecentocinquantamila lire al metro). – Sabotate valvole distribuzione centrale termica. – Rotta trafila gruppo 4.a (fasci battistrada – ingranaggio in tramoggia). – Danneggiata calandra Ross. – Acqua nella mescola della plastica per cavi. – Spranghe di ferro in ingranaggi del mescolatore a Segnanino. – Manomissione apparecchiature elettriche di diverse macchine. E tanti altri sabotaggi di minore entità. Per rendere però il sabotaggio una forma di lotta di massa bisogna tener presente: il sabotaggio va fatto in modo che non vengano colpite quelle macchine che potrebbero danneggiare noi operai e dare dei falsi pretesti al padrone per serrare la fabbrica, mettere in cassa integrazione gruppi di operai ecc. – Il sabotaggio va fatto con intelligenza in modo che ci permetta di marcare fermo macchina, non perdere il salario e non farti beccare. – Contro l’aumento dei ritmi: creare guasti alla macchina che ci permettano pause per piccole riparazioni in modo che si possa segnare in tabella “fermo macchina”. – Sabotaggio come risposta al padrone che ci sabota i salari (taglio della paga ecc.); sabotaggio della produzione: acqua, terra, ferro ecc., nelle mescole per romperle. Non ci mancherà il lavoro. – La macchina che ci produce infortuni deve rompersi continuamente. – La macchina che produce nocività non deve funzionare. Per noi produce morte e va messa fuori uso. La salute non si contratta, la nocività si elimina.

GIA’ ALLA IGNIS DI TRENTO GLI OPERAI PRATICANO IL SABOTAGGIO DA DIVERSI MESI COME FORMA DI LOTTA DI MASSA.

CHE COSA SONO LE BRIGATE ROSSE?

Le Brigate Rosse sono le prime formazioni di propaganda armata, il cui compito fondamentale é quello di propagandare con la loro esistenza e con la loro azione i contenuti di organizzazione e di strategia della guerra di classe.

Le Brigate Rosse hanno dunque sempre come riferimento gli obiettivi propri del movimento di massa e il loro compito fondamentale é guadagnare l’appoggio e la simpatia delle masse proletarie.

Marzo 1971

BRIGATE ROSSE.

Pubblicato in Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976.

Comunicato n.6. Rivendicazione dell’attacco alla Pirelli di Lainate

5 Febbraio 1971

Piazza Fontana, Pinelli, poliziotti che sparano, compagni in galera, Della Torre e tanti altri licenziati, squadracce fasciste protette dalla polizia, giudici-politicanti-governanti, servi dei padroni…

Questi sono gli strumenti della violenza che i padroni riversano contro la classe operaia per spremerla sempre di più.

Chiederci di lottare rispettando le leggi dei padroni é come chiederci di tagliarci i coglioni!

Ma una cosa é certa: indietro non si torna! Continueremo con forme di lotta più avanzate sulla strada già intrapresa: attacco alla produzione, molto danno per il padrone, poca spesa per noi.

E su questa strada abbiamo già cominciato a muovere i primi passi.

Lunedì notte 26 Gennaio, sulla pista prova-pneumatici di Lainate, tre camion di Pirelli sono bruciati. 20 milioni andati in fumo!

Da un punto di vista “tecnico”, questa azione non é stata eccellente e altri 5 camion sono rimasti indenni. Ma sbagliando si impara e la prossima volta sapremo far meglio…

I padroni hanno fatto male i loro conti. L’intensificarsi della loro violenza, non può che far crescere l’intensità del nostro attacco. Finché non ritireranno il provvedimento e ci restituiranno i soldi che ci hanno rubato, i loro conti certamente non torneranno…

A Milano, A Roma, a Trento, a Reggio Calabria i padroni adoperano polizia e fascisti armati.

Cortei, ordini del giorno, solidarietà e petizioni varie, possono solo portarci alla sconfitta.

Abbiamo iniziato a colpire persone e “cose”. Un porco del padrone, Pellegrini, lo abbiamo costretto a licenziarsi. Qualche altro porco giustamente si caga addosso.

Deve essere ben chiaro: continueremo su questa strada!

Perché anche Mac Mahon?

Il padrone che ci spreme in fabbrica é lo stesso padrone che ci aumenta il costo della vita, che non ci permette di avere una casa decente se non rubandoci quei pochi soldi che gli strappiamo con dure lotte.

Quelle famiglie costrette a occupare le case in via Mac Mahon, già pagate con i loro contributi, lo hanno fatto per togliere loro ed i loro figli dalle baracche malsane dei famigerati “centri sfrattati”.

Il padrone gli ha risposto trattandoli con la violenza dei manganelli e dei lacrimogeni della polizia.

A Lainate é stato colpito lo stesso padrone che ci sfrutta in fabbrica e ci rende la vita insopportabile fuori.

Chi sono i provocatori?

Provocatori sono sempre i padroni.

Provocatore é Leopoldo Pirelli, via Borgonuovo n.18, tel. 651.421 – Milano, il quale illudendosi di stroncare il movimento di lotta che colpisce con sempre maggiore forza il suo potere ha dato fuoco ai magazzini di Bicocca e Settimo Torinese.

Egli spera così di prendere due piccioni con una fava: stroncare il movimento di lotta addossandogli responsabilità che non ha e farsi ripagare dall’assicurazione nuovi capannoni.

La provocazione é un’arma che i padroni non smetteranno mai di usare.

Ma non si illudano i padroni e i loro “utili idioti”, perché la classe operaia sa ormai distinguere chiaramente tra la giusta violenza del proletariato in lotta e la ottusa violenza criminale dei padroni!

Per la rivoluzione comunista.

BRIGATA ROSSA