Documento interno
Alcune questioni per la discussione sull’Organizzazione
1. L’Organizzazione politico-militare.
“La lotta politica tra le classi non può più essere sviluppata senza una precisa capacità militare”. Da questa convinzione è nata nel novembre del 1970 la nostra scelta di procedere alla costruzione di una avanguardia proletaria armata. I criteri che abbiamo posto a fondamento di questo passaggio sono noti ma li ricapitoliamo:
· Punto di origine del nuovo capitolo rivoluzionario sono le avanguardie politiche della classe operaia delle grandi fabbriche dei poli industriali e metropolitani;
· È dai bisogni politici di questo strato rivoluzionario che siamo partiti per la costruzione dell’avanguardia rivoluzionaria armata;
· Per avanguardia armata non abbiamo inteso il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma il suo punto di unificazione più alto, la sua prospettiva di potere. L’avanguardia armata cioè è sin dal suo nascere il potere rivoluzionario delle classi sfruttate che lottano contro il sistema per la formazione di una società e di uno Stato comunista;
· L’avanguardia proletaria armata pur nascendo nella più rigorosa clandestinità non rinuncia a svolgersi per linee interne alle forze dell’area dell’autonomia operaia.
2. La clandestinità.
La questione della clandestinità si è posta nei suoi termini reali solo dopo il 2 Maggio ’72. Fino ad allora, impigliati come eravamo in una situazione di semilegalità, essa era vista più nei suoi aspetti tattici e difensivi che nella sua portata strategica. Inoltre il pregiudizio che mette in opposizione ‘clandestinità’ e ‘linea di massa’ rallentava la presa di coscienza. Fu l’offensiva scatenata dal potere contro l’organizzazione il 2 maggio che cancellò ogni dubbio sul fatto che la clandestinità è una condizione indispensabile per la sopravvivenza di un’organizzazione politico-militare offensiva che operi all’interno delle metropoli imperialiste.
Il 2 maggio cominciammo così a costruire l’avanguardia proletaria armata a partire dalla più ermetica clandestinità. Come abbiamo detto nel primo punto però la condizione di clandestinità non impedisce che l’organizzazione si svolga per linee interne alle forze dell’area dell’autonomia operaia. Oltre alla condizione di clandestinità assoluta si presenta perciò, nella nostra esperienza, una seconda condizione in cui il militante pur appartenendo all’organizzazione opera ‘nel movimento’ ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità. Questo secondo tipo di militanza clandestina da un punto di vista politico è alla base della costruzione delle articolazioni del potere rivoluzionario; da un punto di vista militare è a fondamento dello sviluppo delle milizie operaie e popolari. Operare ‘a partire dalla clandestinità’ consente un vantaggio tattico decisivo sul nemico di classe che vive invece esposto nei suoi uomini e nelle sue installazioni. Questo vantaggio viene completamente annullato quando la clandestinità è intesa in un senso puramente difensivo. La concezione difensiva della clandestinità sottintende o nasconde l’illusione che lo scontro tra borghesia e proletariato in ultima analisi si giochi sul terreno politico piuttosto che su quello della guerra e cioè che gli aspetti militari siano in fondo solo aspetti tattici e di supporto. Questa concezione errata è ancora presente all’interno di alcune ‘assemblee autonome’ come quella dell’Alfa Romeo, ad es. quando dice: “riteniamo che in questo momento storico la direzione politica debba essere completamente responsabile di fronte alle masse, pur sviluppando funzionali modelli di clandestinità necessari per la sopravvivenza della organizzazione rivoluzionaria”. Ma è chiaro a tutti che si confonde qui, quando si dice: “la direzione politica deve essere responsabile di fronte alle masse”, l’essere una ‘organizzazione legale’ con l’essere una ‘organizzazione riconosciuta’. Si fa passare cioè un problema politico (essere direzione riconosciuta) per un problema organizzativo (essere una organizzazione legale). E si finisce per non capire che si può essere ‘direzione riconosciuta’ anche senza essere una ‘organizzazione legale’.
3. L ‘impostazione offensiva.
Il problema della guerra, dell’attualità della lotta armata intesa come risvolto proletario della crisi di regime, non è un problema di difesa degli spazi politici minacciati, di ‘difesa della democrazia’. Al contrario è un problema di attacco, di lotta armata per il comunismo. La nostra è dunque un’organizzazione che in questa prospettiva si costruisce per una guerra di movimento. Essa è lo strumento dell’iniziativa tesa a costringere la borghesia sul terreno della difesa di un numero di obiettivi sempre più elevato, sempre più esteso nello spazio, sempre più vario nella qualità. Proprio questa impostazione richiede il rispetto di due principi che sono anche due vantaggi pratici: l’alta mobilità e l’agilità delle strutture. L’alta mobilità dobbiamo intenderla come capacità di mutare continuamente i punti ed i fronti dell’attacco in modo da rompere in continuazione l’accerchiamento, non fornire bersagli fissi e obbligare il nemico di classe ad una perenne rincorsa. L’agilità delle strutture vuol dire invece che in questa fase della guerra le colonne non devono subire il condizionamento di strutture organizzative pesanti. Le installazioni pesanti, nella misura in cui sono indispensabili devono perciò essere governate direttamente dal fronte logistico centrale.
4. Vivere tra le masse.
Il nostro punto di vista è che la lotta armata per le caratteristiche storiche e sociali del nostro paese deve essere condotta da un’organizzazione che sia diretta espressione dell’avanguardia del movimento di classe operaia. In questa fase dobbiamo perciò sviluppare un’azione di guerriglia legata ai bisogni politici di questa avanguardia. Radicare la lotta armata nel movimento vuol dire in primo luogo costringere l’avanguardia del movimento a praticare direttamente la lotta armata. Sempre più la nostra iniziativa militare dovrà essere condotta insieme al popolo. Una porzione crescente di movimento dovrà cioè essere coinvolta nella nostra iniziativa militare. Particolare attenzione dobbiamo fare all’impostazione del rapporto tra organizzazione e popolo, tra fronti e popolo. Ora se per il fronte di massa il problema del rapporto tra fronte e popolo si è venuto chiarendo via via che procedeva l’esperienza delle brigate, per gli altri due fronti si tratta di fare un grande sforzo creativo per evitare che affermino tendenze ripetitive non necessariamente giustificate dati i differenti compiti e i diversi ambiti. Anche nel fronte di massa però si deve fare uno sforzo creativo superiore per far assumere alle Br una effettiva dimensione di potere rivoluzionario locale.
5. Le colonne.
La nostra scelta strategica di sviluppo dell’organizzazione per poli implica da un punto di vista organizzativo un analogo processo di crescita per colonne. La colonna è l’unità organizzativa minima che riflette, sintetizza e media al suo interno tanto la complessità del polo e delle sue tensioni che la complessità dell’organizzazione, la sua impostazione strategica e la sua linea politica. Le colonne sono unità politico-militari complessive. Esse cioè sono in grado di operare su tutti i fronti all’interno di un polo di classe significativo. Da un punto di vista politico esse si centralizzano attraverso la direzione strategica e i fronti. Da un punto di vista organizzativo esse sono indipendenti, e cioè contano su di un proprio apparato. La formazione di nuove colonne deve avvenire per partenogenesi e non per aggregazione di nuovi elementi.
6. La compartimentazione.
La compartimentazione è una legge generale della guerra rivoluzionaria nella metropoli. Ed è uno dei principi fondamentali della sicurezza della nostra organizzazione. La nostra esperienza ha dimostrato che chi trascura questa legge o non la applica con assoluto rigore è destinato inevitabilmente alla distruzione. Marighella: “Dobbiamo evitare che ognuno conosca gli altri e che tutti conoscano tutto. …Ognuno deve sapere solo ciò che riguarda il suo lavoro”. Che: “Nessuno, assolutamente nessuno deve sapere in condizioni di clandestinità altro che lo strettamente indispensabile e non si deve mai parlare davanti a nessuno”.
Nella nostra organizzazione è necessario realizzare una compartimentazione verticale (tra le varie istanze a tutti i livelli) e orizzontale (tra le colonne, tra i fronti, tra le brigate, tra i compagni di uno stesso organismo). È necessario ricordare però che anche la struttura meglio compartimentata non reggerebbe a lungo senza una reale discrezione dei militanti. La discrezione in altri termini è una regola di condotta fondamentale per un guerrigliero urbano. Compartimentazione non vuol dire ‘compartimentazione di un dibattito politico e di tutte le informazioni’. È il comitato esecutivo (CE) e sono i vari fronti che per evitare questo pericolo devono garantire ed estendere la pratica delle relazioni informative e politiche e dei bilanci di esperienza che consentano pur in una situazione di compartimentazione organizzativa assoluta il più ampio dibattito politico.
7. I Fronti
I fronti sono una acquisizione recente della nostra esperienza organizzativa. Essi sono stati costruiti per rispondere al bisogno di elaborazione di organizzazioni di lotta in settori politici specifici (es. grandi fabbriche, controrivoluzione). Non sono strutture di servizio. I fronti tagliano e percorrono l’organizzazione verticalmente. Essi pertanto sono i canali più idonei ad assolvere al compito della centralizzazione del dibattito politico. I fronti da potenziare in questa fase sono tre: il fronte delle grandi fabbriche; il fronte di lotta alla controrivoluzione; ed il fronte logistico.
Il fronte di lotta alla controrivoluzione deve porsi come obiettivo la conquista degli avamposti strategici per la sua esistenza, ed inoltre: il perfezionamento dell’apparato di informazione, lo sviluppo dell’attacco allo Stato già iniziato con la campagna Sossi ed una linea di condotta che porti ad affermare l’egemonia del nostro discorso strategico sulle forze dell’antifascismo militante. Il fronte logistico in primo luogo deve esistere. Poi i suoi compiti sono definiti dalla necessità di perfezionare e sviluppare le strutture logistiche (basi, strumenti, mezzi, documenti); militari (armamento ed istruzione militare); industriali (laboratori) e di assistenza (medica e legale e di latitanza).
8. Forze regolari e forze irregolari
La nostra organizzazione si appoggia su due tipi di forze. Le forze regolari e le forze irregolari. Entrambe sono essenziali per la nostra esistenza, ma giocano un ruolo diverso. Le forze regolari sono composte dai quadri più consapevoli e disponibili che la lotta armata ha prodotto. Esse sono completamente clandestine ed i militanti che le compongono hanno tagliato ogni genere di legami con la legalità. La nostra esperienza dimostra che senza forze regolari è impossibile creare ed edificare basi rivoluzionarie stabili come le colonne e i fronti. Le forze regolari hanno dunque un carattere strategico e i loro compiti fondamentali sono definiti dalle esigenze di sopravvivenza e sviluppo dei fronti e delle colonne. Anche le forze irregolari – brigate o cellule che siano – hanno un carattere strategico, ma i militanti di queste forze vivono nella legalità. La loro è una clandestinità d’organizzazione, ma non personale. È questa collocazione che impone dei limiti alla loro iniziativa e sono questi limiti ‘oggettivi’ che definiscono le differenze con le forze regolari. Gli operai partigiani delle forze irregolari svolgono però una funzione tanto più decisiva quanto più lo scontro civile è sviluppato. Esse hanno due compiti fondamentali: conquistare all’organizzazione il più ampio sostegno popolare; costruire i centri e le articolazioni del potere rivoluzionario. Da un punto di vista politico, non vi è differenza tra i militanti delle forze regolari e delle forze irregolari. Entrambi concorrono con parità di diritti e di doveri a far rivivere la linea politica generale dell’organizzazione. Per questo anche i militanti delle forze irregolari possono far parte della direzione strategica dell’organizzazione, anche se ovviamente nessuno di loro potrà far parte delle direzioni dei fronti, delle colonne o del comitato esecutivo.
9. La direzione strategica
All’origine della nostra storia c’è un nucleo di compagni che operando scelte rivoluzionarie si è conquistato nel combattimento un ruolo indiscutibile di avanguardia. Questo nucleo storico ha portato sin qui l’organizzazione sottoponendo nella misura del possibile ogni scelta fondamentale, le vittorie e le sconfitte, alla discussione dei compagni delle forze regolari e delle forze irregolari. Oggi con la crescita dell’organizzazione e della sua influenza, della sua complessità e delle sue responsabilità politiche e militari, questo nucleo storico è di fatto insufficiente. Si impone cioè una ridefinizione e un ampliamento del quadro dirigente complessivo dell’organizzazione. Si propone pertanto alla discussione dei compagni la formazione di un consiglio rivoluzionario che raccolga e rappresenti tutte le tensioni e le energie rivoluzionarie maturate nei fronti, nelle colonne e nelle forze irregolari. Questo consiglio dovrà essere la massima autorità delle Br. A questo consiglio dovrà essere riconosciuta la funzione indiscutibile di direzione strategica dell’organizzazione. Sarà esso a formulare gli orientamenti generali e di linea politica dell’organizzazione. Dovranno essergli riconosciuti inoltre da parte di tutti:
· il diritto di emanare ed applicare leggi e regolamenti rivoluzionari;
· il diritto di giudicare ed applicare correzioni disciplinari nei confronti di quei membri dell’organizzazione che abbiano tenuto un comportamento scorretto o controrivoluzionario;
· il diritto di approvazione e revisione dei bilanci;
· il diritto e il potere di modificare le strutture dell’organizzazione.
Il consiglio potrà essere riunito normalmente una o due volte ogni anno e straordinariamente quando ciò sia richiesto da almeno una colonna, da un fronte o dal CE. Esso nominerà per il governo quotidiano dell’organizzazione un CE.
10. Il comitato esecutivo.
Al CE spetta il compito di dirigere e coordinare l’attività del fronte e delle colonne oltre che i rapporti dell’organizzazione tra un consiglio e l’altro. Al CE possono essere collegati anche nuclei o individui che svolgono la loro militanza individualmente. Esso risponde del suo operato direttamente ed esclusivamente al consiglio e da questo viene nominato e può essere revocato.
Nel CE devono essere rappresentati i tre fronti in modo da consentire una efficace centralizzazione delle informazioni e una rapida esecuzione delle direttive. Tutte le azioni militari di carattere generale che investono nel suo complesso l’organizzazione dovranno essere approvate dal CE. All’occorrenza per decisioni particolarmente importanti l’Esecutivo può ricorrere alla consultazione dei rappresentanti delle colonne. Al CE spetta la responsabilità dell’amministrazione dei beni e del patrimonio dell’organizzazione.
Avviso.
Queste note non sono il punto di arrivo della discussione sulla organizzazione bensì un punto di partenza. Ovviamente esse sono modificabili e integrabili. La discussione nei fronti e nelle colonne e con le forze irregolari deve portare oltre che ad una redazione finale anche alla identificazione della direzione strategica.