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Rivendicazione azione contro Guido Rossa

Mercoledì 24 gennaio, alle ore 6,40 un nucleo armato delle Brigate Rosse ha giustiziato GUIDO ROSSA, spia e delatore all’interno dello stabilimento ITALSIDER di Cornigliano dove per svolgere meglio il suo miserabile compito, si era infiltrato tra gli operai camuffandosi da delegato. A tale scopo era passato da posizioni notorie di destra ai ranghi berlingueriani. Sebbene da sempre, per principio, il proletariato abbia giustiziato le spie annidate al suo interno, era intenzione del nucleo di limitarsi a invalidare la spia come prima ed unica mediazione nei confronti di questi miserabili: ma l’ottusa reazione opposta dalla spia ha reso inutile ogni mediazione e pertanto è stato giustiziato. Il suo tradimento di classe è ancora più squallido e ottuso in considerazione del fatto che, il potere ai servi prima li usa, ne incoraggia l’opera e poi li scarica.

Compagni, da quando la guerriglia ha cominciato a radicarsi dentro la fabbrica, la direzione Italsider con la preziosa collaborazione dei berlingueriani, si è posta il problema di ricostruire una rete di spionaggio, utilizzando insieme delatori vecchi e nuovi; da un lato ha riqualificato fascisti e democristiani, dall’altro ha moltiplicato le assunzioni di ex PS ed ex CC, dall’altro ancora ha cominciato a utilizzare quei berlingueriani che sono disponibili a concretizzare la loro linea controrivoluzionaria fino alle estreme conseguenze:

FINO AL PUNTO CIOÈ DI TRADIRE LA PROPRIA CLASSE, MANDANDO IN GALERA A CUOR LEGGERO UN PROPRIO COMPAGNO DI LAVORO.

L’obiettivo che il potere vuol raggiungere attraverso questa rete di spionaggio, non è solo quello propagandato della “caccia al brigatista o ai cosiddetti fiancheggiatori” ma quello ben più ampio ed ambizioso di individuare ed annientare all’interno delle fabbriche qualsiasi strato operaio che esprima antagonismo di classe.

È l’intero movimento di resistenza proletario che oggi è nel mirino di questa campagna di terrore controrivoluzionario, scatenata dal potere e sostenuta a tamburo battente dai loro lacchè berlingueriani: questa caccia alle streghe non colpisce solo chi legge e fa circolare la propaganda delle organizzazioni comuniste combattenti, ma anche chi lotta contro la ristrutturazione, chiunque si ribelli alla linea neocorporativa dei sindacati, chiunque anche solo a parole si dialettizza con la lotta armata, senza unirsi al coro generale di “deprecazione o condanna”. Una riconferma di tutto ciò viene dall’Ansaldo dove, come già successo alla Fiat e alla Siemens, i berlingueriani hanno consegnato alla direzione una lista coi nomi di operai “presunti brigatisti”, compilata anche in base agli interventi fatti nelle assemblee precontrattuali.

QUESTA È L’ESSENZA DELLA POLITICA BERLINGUERIANA ALL’INTERNO DELLE FABBRICHE, IL TENTATIVO CIOÈ DI DIVIDERE LA CLASSE OPERAIA CREANDO UNO STRATO CORPORATIVO, FILOPADRONALE E PRIVILEGIATO DA CONTRAPPORRE AGLI ALTRI STRATI DI CLASSE E PROLETARI.

A chi si presta a questa lurida manovra ai vari Rossa e a tutti gli aspiranti spia, ricordiamo che, proletari si è non per diritto di nascita ma per gli interessi che si difendono e all’interno di questa discriminante sapremo distinguere, come sempre, chi è un proletario e chi è un nemico di classe.

All’interno di questo progetto, Rossa faceva parte della rete spionistica dell’Italsider, come membro dei gruppi di sorveglianza interna, istituiti dai vertici sindacali per affiancare i guardioni nei compiti di repressione antioperaia. ECCO QUAL ERA IL SUO VERO LAVORO!! La sua grande occasione, nella quale ha raccolto i frutti di tanto costante e silenzioso lavoro è venuta il giorno in cui è riuscito a consegnare al potere un operaio che conosceva e assieme al quale lavorava da anni, il compagno Franco Berardi, “reo” di aver avuto per le mani propaganda della nostra organizzazione.

La conferma del rapporto diretto tra spioni e direzione si capisce dal fatto che Rossa, dopo aver pedinato per ore il compagno Berardi, insieme al suo degno compare Diego Contrino, È ANDATO DIRETTAMENTE IN DIREZIONE a denunciarlo, mettendo di fronte al fatto compiuto lo stesso Consiglio di fabbrica che infatti si era spaccato quando i bonzi sindacali gli avevano imposto di coprire politicamente l’azione di spionaggio.

Brigate Rosse

 

Campagna D’Urso – Comunicato N.9

  1. La fermezza

In questi giorni abbiamo visto una pantomima del regime, dal titolo: la grande fermezza. È stata una gara a rincorrersi tra le varie componenti dello Stato imperialista a dimostrarsi granitiche, salde come rocce. Un’orgia di dichiarazioni dei potenti del regime, con pipa o senza, a dimostrare di essere fermi, che più fermi non si può. La regia dello spettacolo è accurata e ferrea, ma non riesce a nascondere che si tratta soltanto di una recita. I volti lugubri della gang democristiana, dei suoi complici, nei vari partiti, le loro voci roboanti e isteriche tradiscono una debolezza che non può essere coperta neanche con l’impegno assillante dei mass media. La realtà che non riescono a nascondere è che questo regime, questo Stato assediato, circondato da ogni parte, mostra i segni di una disgregazione inarrestabile. Il regime della disoccupazione, del supersfruttamento, dei campi di concentramento è oggi attaccato senza tregua dal proletariato, che vuole farla finita con il sistema dei padroni, con la miseria materiale ed umana in cui è costretto a vivere. Un regime di uno Stato arrogante quanto corrotto, che trova l’unica ragione della sua esistenza nella ferocia dei suoi mercenari. Sotto la sferza della guerriglia il regime si sforza di apparire forte e compatto, ma il tessuto politico che governa la nazione controrivoluzionaria e antiproletaria si mostra con tutta evidenza sfilacciato e lacerato. La crisi della borghesia è irreversibile e i suoi rappresentanti politici, le oscene marionette delle multinazionali imperialiste, possono soltanto rattoppare con il loro putridume qualche pezza verbale raccattata dalla pattumiera della retorica fascista, ma si rivelano sempre più dei tragici clown. La loro fermezza è solo ridicola messa in scena, inutile cortina fumogena per nascondere una totale impotenza, per nascondere l’impossibilità di trovare una sola ragione politica e sociale del loro sistema di potere. Più strillano la loro fermezza più ci dichiarano la loro debolezza. La borghesia imperialista non avendo più ragioni politiche e sociali per giustificare il suo dominio è costretta ad affidare ai soli carabinieri di Forlani ogni sua possibilità di sopravvivenza. Ma anche questa strategia, per quanto brutale e sanguinaria, ha il fiato corto. Questo governo può scatenare i suoi gorilla più addestrati, come ha fatto contro la lotta dei Proletari Prigionieri di Trani, ma sarà sempre l’iniziativa rivoluzionaria delle masse ad avere il sopravvento. Anche a Trani la grande ed indistruttibile unità   dei Proletari Prigionieri ha   permesso   di condurre una   battaglia formidabile, che nonostante l’ovvia disparità dei mezzi, i compagni in lotta hanno saputo volgere a loro favore. La brutalità ed il sadismo dei mercenari in divisa non sono riusciti a sconfiggere, la grande mobilitazione, l’intelligente organizzazione e la capacità offensiva che questa componente di classe ha espresso a livello di massa. L’unità politica che in questa campagna di lotta si è stabilita tra gli Organismi di Massa rivoluzionari e l’avanguardia di partito ha consentito di mantenere l’offensiva e ha trasformato quella che doveva sembrare una prova di forza del regime in una squillante vittoria del movimento rivoluzionario e dei proletari prigionieri. I carabinieri possono sembrare invincibili quando assassinano con i loro sofisticati “mezzi proletari inermi”. Ma quando vengono attaccati da un movimento che sa armarsi, organizzarsi e combattere come è accaduto a Trani o che sa scovarli dalle loro tane come ha fatto la guerriglia con Galvaligi, ognuno li vede per quel che sono: mercenari ammaestrati, feroci e sanguinari robot. Noi rifiutiamo ogni trionfalismo, sappiamo che le battaglie si vincono e qualche volta si perdono, ma la grande forza dimostrata con la saldatura del movimento di Massa con la guerriglia dice a tutti che “la guerra la vinceranno i proletari, la vincerà il movimento rivoluzionario che lotta per una società comunista. Il regime dell’annientamento, dei massacri, dei campi di concentramento non ha speranza, perché continueremo a combattere costruendo il potere proletario armato, che lo seppellirà definitivamente nelle fabbriche, nei quartieri, nelle carceri”.

  1. La paura

La borghesia è in crisi, ma vede oggi chi gli scaverà la fossa: il movimento rivoluzionario che lotta per una società comunista. È questo un movimento che costituisce già un potere, che sa esercitarlo; che sa presentarsi, seppure ancora in una fase iniziale, come l’unica vera alternativa alla barbarie del sistema imperialista. È un movimento di massa che sa riconoscersi in una strategia, sa darsi un programma di lungo respiro e su obiettivi immediati, sa costruire i movimenti organizzativi di massa e di partito che gli consentono di combattere e vincere. E questo alla borghesia fa una tremenda paura!!! Tutti i suoi piani controrivoluzionari, tutte le sue manovre repressive, per quanto portati con artigli d’acciaio, sono caratterizzati da un profondo e insopprimibile terrore. La realtà della crescita del movimento di massa rivoluzionario, la determinazione e la chiarezza del suo programma non devono essere conosciute, ma devono essere mistificate per rassicurare in qualche modo le fila della borghesia. A questo scopo serve la stampa, perché è stampa di regime. Il suo è un ruolo attivo, che non è solo censura, ma costruzione a tavolino della propaganda controrivoluzionaria della controguerriglia psicologica secondo le veline governative. Ma questo è bastato fino a ieri. Oggi qualche pennivendolo non riesce a contenere la propria isterica paura e si illude che staccare la spina voglia dire cancellare la realtà. Ciò che non si riesce più a mistificare bisogna negare che esista. Ma non si può cancellare un movimento che avanza con un ridicolo quanto impossibile black-out! Siamo molto soddisfatti che la stampa di regime pilotata dai boss democristiani abbia persino paura delle parole delle forze rivoluzionarie. Ciò significa che la forza delle idee, dei programmi, dell’organizzazione che tutto il movimento proletario rivoluzionario è in grado di elaborare e di esprimere, è così grande da costituire un punto di riferimento per una mobilitazione sempre maggiore della classe operaia e di ogni strato proletario. Si rafforza così la nostra convinzione della giustezza delle ragioni e della validità storica della lotta armata per una società comunista.

  1. La lotta dei Proletari Prigionieri continua

Avevamo detto, mentre comunicavamo   la condanna a morte del boia D’Urso, che l’opportunità di eseguire o sospendere la sentenza doveva essere valutata dal comitato di lotta di Trani e dal Comitato Unitario di Campo di Palmi. Finora è stato impedito a questi organismi di esprimere integralmente sulla stampa quotidiana le valutazioni che stanno alla base del loro orientamento. Eravamo sicuri che il potere avrebbe approfittato della segregazione e dell’isolamento in cui tiene i compagni per raccontare quello che adesso fa comodo mentre a tutto il movimento rivoluzionario interessa conoscere integralmente il loro punto di vista e il loro giudizio. Noi non abbiamo alcuna intenzione di prolungare la prigionia di D’Urso oltre il necessario e se entro 48 ore dalla pubblicazione di questo comunicato non leggeremo integralmente sui maggiori quotidiani italiani i comunicati che dagli organismi di massa di Trani e di Palmi sono stati emessi, daremo senz’altro corso all’esecuzione della “sentenza a cui D’Urso è stato condannato”. Noi sappiamo assumerci le nostre responsabilità, e anche i potenti di questo regime e la sua stampa si assumeranno le loro. E toccherà a loro, se intendono seppellire la voce dei Proletari Prigionieri di Trani e di Palmi, la responsabilità effettiva di aver impedito alla giustizia proletaria un possibile atto di magnanimità.

PER IL COMUNISMO BRIGATE ROSSE

Roma, 10 gennaio 1981

 

 

 

Campagna D’Urso – Comunicato n. 10

  1. La borghesia ha dei seri problemi e, come al solito, cerca di mascherarli, cercando di farli apparire come problemi delle forze rivoluzionarie. Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Sulla questione “trattare o non trattare”, diciamo che è un problema che riguarda solo le forze dello Stato imperialista, poiché noi delle BR non abbiamo proprio niente né da chiedere né da barattare. La guerriglia conquista con le armi in pugno gli obiettivi del suo programma che non è “contrattabile”, ma che si impone grazie ai rapporti di forza che via via la guerra di classe definisce sempre più a favore del proletariato. Le varie componenti della borghesia discutano pure tra di loro se trattare o no, la cosa non ci riguarda minimamente, poiché è solo sul terreno della guerra di classe che si stabiliscono i rapporti tra rivoluzione e controrivoluzione; tutto il resto è solo teatrino delle marionette e semplice propaganda della controguerriglia, che comunque mette in evidenza sempre le loro fratture. Nel caso dei comunicati di Trani e di Palmi va ribadito che la loro pubblicazione non era affatto una contropartita alla liberazione di D’Urso, non chiedevamo niente in cambio di niente. Era invece la constatazione del dato di fatto che gli Organismi di Massa Rivoluzionari dentro le carceri si sono conquistati con la lotta il diritto di essere espressione del potere proletario armato e quindi la pubblicazione del loro punto di vista sui giornali della borghesia non era una richiesta, ma una imposizione, che i rapporti di forza attuali ci consentono. Questo obiettivo ampiamente raggiunto, ne ha portato con sé un altro: la stampa di regime, tutta la stampa ha perso la foglia di fico con la quale nascondeva il suo ruolo. Dopo le roboanti dichiarazioni dei vari pennivendoli nessuno potrà più scambiarli per “giornalisti dell’informazione”, poiché si sono qualificati senza maschere per galoppini portavoce al servizio dello Stato imperialista e della gang democristiana. La stampa di regime è un’arma della borghesia contro il proletariato, e averla costretta, indebolendo il suo ruolo, a dare informazioni sul movimento rivoluzionario è un risultato non da poco.
  1. Dalle parole d’ordine che il “portatore di cartelle” D’Urso illustrava con le sue fotografie, va depennata l’ultima perché come dice il Comitato di Lotta dell’Asinara nel suo comunicato: “Il movimento organizzato dei Proletari Prigionieri, il movimento rivoluzionario in dialettica con l’iniziativa dell’Organizzazione Comunista Combattente Brigate Rosse, hanno chiuso definitivamente il kampo dell’Asinara, portando a termine la battaglia intrapresa il 2/10/79″. Il comunicato prosegue: “È la lotta del movimento dei Proletari Prigionieri, l’iniziativa del movimento rivoluzionario e della sua avanguardia armata che ha chiuso il kampo dell’Asinara e ha colpito il centro nervoso della politica carceraria imperialista”. Ciò che rappresentava l’Asinara nella strategia imperialista della differenziazione e nel circuito dei kampi è a tutti noto, e aver chiuso questo micidiale kampo di concentramento segna un grosso avanzamento della lotta per una società senza carceri e senza proletari imprigionati, e concordiamo col Comitato di Lotta ex-Asinara quando dice: “Questa vittoria è la più significativa ottenuta dal movimento dei Proletari Prigionieri negli ultimi anni e dimostra la maturità raggiunta da questo settore di classe che ha combattuto compatto attorno alla parola d’ordine di “chiudere con ogni mezzo l’Asinara”. La chiusura dell’Asinara è dunque una tappa fondamentale nella storia e nelle lotte del movimento dei Proletari Prigionieri e caratterizza l’apertura di un nuovo ciclo di lotte, inoltre definisce i rapporti di forza tra movimento dei Proletari Prigionieri e lo Stato”. Non abbiamo altro da aggiungere.
  1. Nella campagna di lotta incentrata sul processo a D’Urso, si è rinsaldata l’unità dei Proletari Prigionieri, il suo programma ha trovato nuovi formidabili momenti di mobilitazione e di combattimento. La lotta dei proletari di Trani ha dato al programma dei Proletari Prigionieri una forza ed una chiarezza che costituirà per tutto il movimento un punto di riferimento essenziale su cui continuare a combattere. Il nemico ha tentato disperatamente di annullare questo risultato con ogni mezzo: con i CC, con la magistratura di guerra dei vari Sica, e qualche buffone della corte democristiana. Ma a nulla sono valse le sanguinarie operazioni dei CC alle quali si è saputo contrapporre una indiscutibile resistenza offensiva dentro il carcere e l’iniziativa che li ha stanati dai loro covi, come si è fatto per Galvaligi. A nulla varranno i loschi tentativi ricattatori di divisione tra i proletari operati da stupidi magistrati: i proletari di Trani hanno insegnato a tutti come si fa a combattere e a vincere. La campagna di attacco per il rafforzamento degli Organismi di Massa Rivoluzionari dentro le carceri, per il perseguimento degli obiettivi del loro programma immediato, ha avuto pieno successo così come dicono i Comitati di Lotta di Trani e il Comitato Unitario di Campo di Palmi. Non solo, ma l’isolamento politico dei Proletari Prigionieri, condizione per poterli annientare, è stato letteralmente frantumato. La lotta dei Proletari Prigionieri è uscita definitivamente dalle mura delle carceri, collocando il proletariato extralegale all’interno del movimento rivoluzionario e accanto alla Classe Operaia ed alle altre componenti del proletariato metropolitano che lottano per una società Comunista. Riunificare il proletariato metropolitano è l’obiettivo politico strategico del Partito Comunista Combattente. Non c’è dubbio che l’iniziativa svolta congiuntamente in questa campagna ha ottenuto un risultato di enorme valore, proprio perché ha rotto l’accerchiamento politico dei Proletari Prigionieri, e perché negli obiettivi della sua lotta ogni proletario, ogni operaio, ha fatto riconoscere i motivi di un’unità strategica per la conquista del potere.
  1. La fase storica che stiamo attraversando vede il movimento di massa proletario appropriarsi della strategia della Lotta Armata per il Comunismo. In questa fase è essenziale procedere senza esitazioni alla costruzione del sistema del potere proletario armato, costituito dal Partito Comunista Combattente e dagli Organismi di Massa Rivoluzionari. È di vitale importanza che questo sistema di potere nasca e si sviluppi come rapporto tra il Programma Generale di transizione al Comunismo e i programmi che i vari strati di classe si danno, viva nel rapporto dialettico tra i bisogni di potere e bisogni immediati del proletariato. Solo da questa dialettica nasce uno scontro di potere condotto lucidamente contro la strategia imperialista e trasforma la naturale resistenza proletaria alla ristrutturazione in resistenza offensiva. Questo è ciò che è accaduto nella campagna contro le carceri, incentrata su D’Urso. La validità di questa strategia, la praticabilità di questa linea è stata dimostrata dall’efficacia dei colpi portati e dai risultati politici e materiali raggiunti in questa battaglia. È evidente che questo costituirà d’ora in avanti un punto di riferimento per tutto il movimento rivoluzionario. Ogni componente di classe, con in testa la Classe Operaia delle grandi fabbriche, i lavoratori dei servizi, i proletari dei quartieri-ghetto, ha oggi un altro punto di riferimento per operare una grande avanzata, per riprendere massicciamente l’offensiva. Il grande dibattito che si sta sviluppando tra le avanguardie e gli elementi più combattivi della Classe Operaia e del proletariato metropolitano, segna la riapertura di un nuovo ciclo di lotte che avrà nella costruzione del Potere Proletario Armato, il suo punto focale. Le BR agendo da partito per questo lavorano all’interno di ogni componente proletaria, costruendo e rafforzando gli Organismi di Massa Rivoluzionari, organizzando tutti i movimenti di lotta e di combattimento per definire i programmi immediati in cui far vivere lo scontro di potere. Su questa linea la pratica del movimento rivoluzionario è già ripresa con nuovo slancio ed entusiasmo in ogni fabbrica, in ogni quartiere, in ogni luogo dove vivono e lottano i proletari, così come la battaglia contro le carceri ha dimostrato che è possibile fare vittoriosamente, questo è un altro risultato da aggiungere ai successi di questa lotta.
  1. Uno stato imperialista ha un cuore, ha cioè un progetto controrivoluzionario e quando si colpisce lì gli vengono le convulsioni. Quando la guerriglia attacca i centri vitali del suo progetto, il coacervo di forze politiche, economiche e militari che lo devono gestire si spaccano e l’apparente unità delle varie componenti, dai partiti alla magistratura ai militari alla stampa va in pezzi. Le contraddizioni nascono per il semplice fatto che questo regime non ha più nessuna giustificazione per la sua esistenza se non nella forza di annientamento antiproletaria che ancora possiede; attaccata ed intaccata questa forza il regime in ogni sua componente si scopre debole ed impotente. Da qui convulsioni schizofreniche dei vari partiti e dei vari organi di magistratura eccetera. La loro debolezza, la loro crisi sta proprio nella mancanza assoluta di legittimità sociale e politica del loro potere, il fatto che sono garanti di un sistema di sfruttamento capitalistico che non ha più niente da fare e può solo cercare di ritardare la sua disfatta. Attaccando il cuore dello stato si creano perciò delle falle nel progetto controrivoluzionario, si moltiplicano gli effetti che ne ritardano l’attuazione, si impedisce che la crisi si ricomponga sulla pelle dei proletari. Approfondire la crisi della borghesia è nell’interesse proletario, aumentare la debolezza dello schieramento nemico vuol dire aumentare la forza della rivoluzione. La campagna contro le carceri delle forze rivoluzionarie ha messo a nudo tutta la debolezza politica di questo regime, ha scompaginato i patti di omertà e complicità tra le forze politiche, magistratura, stampa e carabinieri stipulati per realizzare l’annientamento proletario. Ha messo in evidenza che l’unico cemento che tiene in piedi questo regime è la corruzione e la paura. Le varie bande democristiane con i loro complici che infestano il nostro paese possono essere battute, i loro piani vanificati, le loro alleanze spezzate; e questo è quello che regolarmente è accaduto con la campagna contro le carceri.
  1. La borghesia ha adesso un altro problemino: che fare di un aguzzino pentito? Perché D’Urso è proprio questo, un aguzzino pentito. Ha collaborato con la giustizia proletaria, ci ha rivelato nei minimi dettagli i progetti, la struttura e gli uomini che a partire dal ministero di Grazia e Giustizia fino ai nodi periferici sovraintendono alla strategia dell’annientamento. In questo suo comportamento ravvisiamo non certo un ravvedimento morale di cui lo crediamo incapace ma una scelta politica di cui sappiamo tener conto. Per anni la stampa di regime si è affannata a cercare una talpa nel ministero di Grazia e Giustizia. Sappiamo che si inventeranno ancora chissà quale altra frottola, adesso gliene forniamo una noi, con nome e cognome: Giovanni D’Urso.
  1. Avevamo detto che l’opportunità di eseguire o sospendere la condanna a morte di Giovanni D’Urso doveva essere valutata politicamente dalle BR e dagli organismi di massa rivoluzionari dentro le carceri. Le valutazioni che complessivamente e omogeneamente sono state fatte confermano la grande forza del movimento rivoluzionario. Gli obiettivi politici e materiali che la campagna di attacco iniziata con D’Urso si prefiggeva sono stati ampiamente conseguiti. Il movimento dei proletari prigionieri, il movimento rivoluzionario e le BR hanno conseguito una grande vittoria. In considerazione di tutto ciò la giustizia proletaria acconsente a un atto di magnanimità. La sentenza viene sospesa e il prigioniero D’Urso viene rimesso in libertà. La lotta contro l’annientamento carcerario continua fino al conseguimento dell’obiettivo finale: distruzione di tutte le carceri e liberazione di tutti i proletari imprigionati.

Brigate Rosse

14 gennaio 1981

Pubblicato in PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. 220-223.

Volantino di commemorazione di Roberto Serafini e Walter Pezzoli

A tutto il movimento rivoluzionario.

Due compagni appartenenti alla nostra organizzazione, militanti nella colonna Walter Alasia “Luca” sono caduti sotto il piombo dei carabinieri. La storia e la militanza di Roberto Serafini e Walter Pezzoli sono simili a quelle dei molti comunisti che hanno dato la vita per combattere questa società basata sul massimo profitto, che costringe milioni di proletari al supersfruttamento e a condizioni di vita sempre più miserabili, per costruire la società comunista.

I compagni provenivano da esperienze diverse da quelle che hanno formato una grossa parte della nostra Organizzazione e proprio per questo, per onorare la loro memoria, riteniamo ancora più importante il loro contributo al movimento rivoluzionario perché sono riusciti a passare – attraverso una profonda autocritica pratica e teorica – da esperienze di gruppo, soggettiviste e militariste, al lavoro con noi in un progetto e un programma rivoluzionario che ha la sua sola base di verifica nel lavoro di massa. Sono stati preziosi perché hanno messo a disposizione la loro grossa esperienza al lavoro politico-militare portato avanti dalle avanguardie di fabbrica.

Sono stati profondamente onesti e veri comunisti nell’accettare la direzione operaia sul lavoro che stavano sviluppando. E’ in questa dialettica che i due compagni stavano assumendo man mano un ruolo politico oltre che militare nel lavoro della nostra colonna che ha spazzato via ogni residuo militarista derivato dalla loro esperienza politica. Così li vogliamo ricordare e il vuoto che lasciano proprio per questa loro eccezionale presenza e chiarezza nel movimento di classe sarà incolmabile.

La campagna che abbiamo aperto in questo ultimo mese ha portato il nemico a decidere di eliminare fisicamente le avanguardie comunista combattenti, sperando di stroncare la nostra forza. Così come era avvenuto in via Fracchia, l’ordine è di sparare a vista e così i compagni sono stati falcidiati.

Sarà la coerenza e la forza di un programma politico a rafforzare la nostra organizzazione verso la costruzione del Partito ed a formare i militanti che gli daranno continuità e vita, capaci di prendere il posto di ciascun comunista che cade. Le brigate di fabbrica Alfa Romeo e Sesto San Giovanni prenderanno il nome di Walter Pezzoli “Giorgio” e Roberto Serafini “Marco”.

Proprio 4 anni fa cadeva il nostro compagno Walter Alasia “Luca”.

Onore ai compagni caduti combattendo per il comunismo!

 

Per il Comunismo Brigate Rosse Colonna Walter Alasia “Luca”

Milano, 12 dicembre 1980

 

Campagna D’Urso, Comunicato N.7

Organizzare la liberazione dei proletari prigionieri. Smantellare il circuito della differenziazione. Costruire e rafforzare i comitati di lotta. Chiudere immediatamente l’Asinara.

 

La lotta dei proletari prigionieri continua. Il giorno 31-12-1980, alle ore 19,15 un nucleo armato della nostra Organizzazione ha giustiziato il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi dell’ufficio di coordinamento dei servizi di sicurezza delle carceri.

1) Avevamo detto che non avremmo accettato nessun tentativo di reprimere le legittime richieste dei Comitati di Lotta con la forza dei sicari dei corpi speciali. La borghesia squassata dalle lotte tra le due diverse fazioni ed il suo Stato in pezzi non hanno saputo e voluto dare alcuna risposta politica ai proletari prigionieri in lotta nel kampo di Trani. Accettare anche solo di discutere con i prigionieri in lotta significava ammettere una realtà ormai storicamente consolidata: che il proletario prigioniero – a pieno titolo inserito all’interno del proletariato metropolitano – da anni conduce una lotta irriducibile per affermare i suoi bisogni, per conquistare il suo programma immediato, per costruire e organizzare la sua liberazione contro i piani della borghesia imperialista che vuole strangolarlo ed annientarlo. La censura sui Comitati di Lotta che il governo ha sempre imposto non è soltanto la volontà di reprimere la loro voce, di impedire che il loro programma rivoluzionario raggiunga pienamente il suo naturale referente dentro e fuori dalle carceri, ma il ridicolo tentativo di negare e quindi di ignorare la loro stessa esistenza. Ma la lotta di classe non si cancella a piacere perché è costruita materialmente giorno per giorno dalle lotte che tutti i proletari conducono per organizzarsi a conquistare i propri bisogni. I Comitati di Lotta non sono un’appendice organizzativa di una qualche organizzazione combattente nelle carceri, ma, come dicono i prigionieri di Trani, sono gli organismi di massa che raccolgono le tensioni, le spinte e la volontà e capacità di lotta di uno strato di classe rinchiuso nelle carceri. La loro forza e la loro capacità offensiva nascono dal loro essere interni allo strato di classe a cui appartengono.

Questo è il significato delle battaglie che negli ultimi tempi hanno distrutto alcuni kampi, delle azioni di lotta che hanno impedito il trasferimento dei prigionieri nell’ex-lager dell’Asinara, della battaglia di Trani. Di fronte a quest’ultima battaglia che ha visto il Comitato di Lotta conquistare con la lotta il controllo del kampo ed il proporsi come interlocutore diretto dell’esecutivo in dialettica con la battaglia iniziata all’esterno con la cattura del boia D’Urso. Il governo ha concentrato – con calcolo e spettacolarità criminali – tutta la potenza dei suoi mercenari-robot più addestrati, ha messo la potenza di un esercito – con l’approvazione di tutte le forze politiche – contro un comitato di lotta che portava avanti precise richieste per soddisfare i bisogni di classe dei proletari prigionieri, allo scopo di affermare l’immagine di un governo forte, senza esitazioni ed efficiente. Un’immagine tutta tedesca, che doveva mettere in ombra le ormai evidenti contraddizioni nelle file della borghesia e dentro lo stesso governo e snaturare, ridimensionare, una prima vittoria che (…) avevano raggiunto con la chiusura definitiva dell’Asinara. Per queste ‘superiori’ esigenze di regime la borghesia imperialista non ha esitato a scatenare i suoi sgherri contro i proletari del kampo di Trani. Questa scelta può essere sembrata vincente, ma solo per un giorno. Alla distanza è destinata a rivelare tutta la sua cecità politica. Questo è già chiaro oggi: lo hanno dimostrato le forze rivoluzionarie giustiziando il generale dei CC Enrico Galvaligi.

2) Nella Risoluzione della Direzione Strategica 80 abbiamo affermato che i CC sono oggi un vero e proprio esercito antiproletario e che il loro vertice è già lo stato maggiore di un apparato per la guerra civile. La strategia di guerra in mano ai militari è oggi affidata in larga e decisiva parte ai CC, che hanno in mano il controllo della ‘struttura speciale’ a cui è affidato il compito di condurre la lotta contro le Organizzazioni Comuniste Combattenti e le forze rivoluzionarie. Questa struttura speciale è una struttura integrata composta da militari, magistrati selezionati, che lavorano a tempo pieno contro la guerriglia. Esso è il cuore strategico militare dello stato imperialista e contro di esso va esercitato ogni sforzo per annientarlo. Accettare la guerra nell’attuale congiuntura significa passare all’offensiva – senza accettare lo scontro frontale – praticando il livello della guerra sui terreni scelti della guerriglia. Significa quindi che la guerriglia deve creare la capacità di operare una selettività a partite dai ruoli e dalle funzioni della struttura speciale predisposta per l’antiguerriglia. Perché se il potere ha inferto colpi al movimento della classe e alle sue avanguardie combattenti non è affatto il momento di stare sulla difensiva ma al contrario di sferrare colpi dieci volte maggiori e più terrificanti nelle fila della borghesia.

3) Chi era il generale dei CC Ernico Galvaligi: era il braccio destro di Dalla Chiesa da tempi molto lontani. Insieme al suo degno compare aveva organizzato l’Ufficio di coordinamento per i servizi di sicurezza nelle carceri e, in concreto, aveva realizzato e pianificato, le modalità della strategia di guerra nel carcerario. Ai Carabinieri come Dalla Chiesa e Galvaligi, la borghesia ha affidato il compito di reprimere la lotta dei proletari prigionieri, di frenare le spinte rivoluzionarie e di impedire l’attuazione del loro diritto alla liberazione, è loro compito di garantire l’internamento per sempre, la segregazione e l’annientamento dei prigionieri più combattivi e delle forze rivoluzionarie catturate. Questi ‘eroici’ militari devono garantire la ristrutturazione del carcerario e l’attuazione dei livelli di differenziazione necessari. Ad essi il compito di cingere d’assedio i kampi, di isolarli. Ad essi il compito di comandare le altre forze militari e civili adibite alla repressione nelle carceri. Questa è la storia dell’Ufficio di coordinamento per i servizi di sicurezza nelle carceri che questi due generali organizzavano, a partire dal 1978 con la delega del Parlamento e l’accordo dei vertici del Ministero di Grazia e Giustizia, dei vari Molino, Altavista, Sarti. Galvaligi rappresentava la continuità delle linee dell’intervento dei CC dentro il Ministero di Grazia e Giustizia e, proprio per questo, il boia D’Urso lo conosceva bene. Erano due facce della stessa medaglia.

4) La battaglia iniziata con la cattura del boia D’Urso continua e nel proseguimento di essa le Br sono incondizionatamente al fianco dei Pp in lotta. Continueremo a combattere sul fronte delle carceri al fianco dei Comitati di Lotta. Il loro programma risponde ai bisogni ed alle esigenza del proletariato prigioniero, ed è il frutto di una grande unità e di una grande mobilitazione di massa. Combatteremo perché gli obiettivi di questo programma vengano perseguiti, e perché venga sconfitto il muro di omertà e di censura che il regime sta tentando di costruire intorno ad esso.

 

Per il Comunismo

Brigate Rosse

Roma, 1-1-81.

 

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996.

Alcune questioni per la discussione sull’organizzazione

Documento interno

Alcune questioni per la discussione sull’Organizzazione
1. L’Organizzazione politico-militare.

“La lotta politica tra le classi non può più essere sviluppata senza una precisa capacità militare”. Da questa convinzione è nata nel novembre del 1970 la nostra scelta di procedere alla costruzione di una avanguardia proletaria armata. I criteri che abbiamo posto a fondamento di questo passaggio sono noti ma li ricapitoliamo:

· Punto di origine del nuovo capitolo rivoluzionario sono le avanguardie politiche della classe operaia delle grandi fabbriche dei poli industriali e metropolitani;

· È dai bisogni politici di questo strato rivoluzionario che siamo partiti per la costruzione dell’avanguardia rivoluzionaria armata;

· Per avanguardia armata non abbiamo inteso il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma il suo punto di unificazione più alto, la sua prospettiva di potere. L’avanguardia armata cioè è sin dal suo nascere il potere rivoluzionario delle classi sfruttate che lottano contro il sistema per la formazione di una società e di uno Stato comunista;

· L’avanguardia proletaria armata pur nascendo nella più rigorosa clandestinità non rinuncia a svolgersi per linee interne alle forze dell’area dell’autonomia operaia.

2. La clandestinità.

La questione della clandestinità si è posta nei suoi termini reali solo dopo il 2 Maggio ’72. Fino ad allora, impigliati come eravamo in una situazione di semilegalità, essa era vista più nei suoi aspetti tattici e difensivi che nella sua portata strategica. Inoltre il pregiudizio che mette in opposizione ‘clandestinità’ e ‘linea di massa’ rallentava la presa di coscienza. Fu l’offensiva scatenata dal potere contro l’organizzazione il 2 maggio che cancellò ogni dubbio sul fatto che la clandestinità è una condizione indispensabile per la sopravvivenza di un’organizzazione politico-militare offensiva che operi all’interno delle metropoli imperialiste.

Il 2 maggio cominciammo così a costruire l’avanguardia proletaria armata a partire dalla più ermetica clandestinità. Come abbiamo detto nel primo punto però la condizione di clandestinità non impedisce che l’organizzazione si svolga per linee interne alle forze dell’area dell’autonomia operaia. Oltre alla condizione di clandestinità assoluta si presenta perciò, nella nostra esperienza, una seconda condizione in cui il militante pur appartenendo all’organizzazione opera ‘nel movimento’ ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità. Questo secondo tipo di militanza clandestina da un punto di vista politico è alla base della costruzione delle articolazioni del potere rivoluzionario; da un punto di vista militare è a fondamento dello sviluppo delle milizie operaie e popolari. Operare ‘a partire dalla clandestinità’ consente un vantaggio tattico decisivo sul nemico di classe che vive invece esposto nei suoi uomini e nelle sue installazioni. Questo vantaggio viene completamente annullato quando la clandestinità è intesa in un senso puramente difensivo. La concezione difensiva della clandestinità sottintende o nasconde l’illusione che lo scontro tra borghesia e proletariato in ultima analisi si giochi sul terreno politico piuttosto che su quello della guerra e cioè che gli aspetti militari siano in fondo solo aspetti tattici e di supporto. Questa concezione errata è ancora presente all’interno di alcune ‘assemblee autonome’ come quella dell’Alfa Romeo, ad es. quando dice: “riteniamo che in questo momento storico la direzione politica debba essere completamente responsabile di fronte alle masse, pur sviluppando funzionali modelli di clandestinità necessari per la sopravvivenza della organizzazione rivoluzionaria”. Ma è chiaro a tutti che si confonde qui, quando si dice: “la direzione politica deve essere responsabile di fronte alle masse”, l’essere una ‘organizzazione legale’ con l’essere una ‘organizzazione riconosciuta’. Si fa passare cioè un problema politico (essere direzione riconosciuta) per un problema organizzativo (essere una organizzazione legale). E si finisce per non capire che si può essere ‘direzione riconosciuta’ anche senza essere una ‘organizzazione legale’.

3. L ‘impostazione offensiva.

Il problema della guerra, dell’attualità della lotta armata intesa come risvolto proletario della crisi di regime, non è un problema di difesa degli spazi politici minacciati, di ‘difesa della democrazia’. Al contrario è un problema di attacco, di lotta armata per il comunismo. La nostra è dunque un’organizzazione che in questa prospettiva si costruisce per una guerra di movimento. Essa è lo strumento dell’iniziativa tesa a costringere la borghesia sul terreno della difesa di un numero di obiettivi sempre più elevato, sempre più esteso nello spazio, sempre più vario nella qualità. Proprio questa impostazione richiede il rispetto di due principi che sono anche due vantaggi pratici: l’alta mobilità e l’agilità delle strutture. L’alta mobilità dobbiamo intenderla come capacità di mutare continuamente i punti ed i fronti dell’attacco in modo da rompere in continuazione l’accerchiamento, non fornire bersagli fissi e obbligare il nemico di classe ad una perenne rincorsa. L’agilità delle strutture vuol dire invece che in questa fase della guerra le colonne non devono subire il condizionamento di strutture organizzative pesanti. Le installazioni pesanti, nella misura in cui sono indispensabili devono perciò essere governate direttamente dal fronte logistico centrale.

4. Vivere tra le masse.

Il nostro punto di vista è che la lotta armata per le caratteristiche storiche e sociali del nostro paese deve essere condotta da un’organizzazione che sia diretta espressione dell’avanguardia del movimento di classe operaia. In questa fase dobbiamo perciò sviluppare un’azione di guerriglia legata ai bisogni politici di questa avanguardia. Radicare la lotta armata nel movimento vuol dire in primo luogo costringere l’avanguardia del movimento a praticare direttamente la lotta armata. Sempre più la nostra iniziativa militare dovrà essere condotta insieme al popolo. Una porzione crescente di movimento dovrà cioè essere coinvolta nella nostra iniziativa militare. Particolare attenzione dobbiamo fare all’impostazione del rapporto tra organizzazione e popolo, tra fronti e popolo. Ora se per il fronte di massa il problema del rapporto tra fronte e popolo si è venuto chiarendo via via che procedeva l’esperienza delle brigate, per gli altri due fronti si tratta di fare un grande sforzo creativo per evitare che affermino tendenze ripetitive non necessariamente giustificate dati i differenti compiti e i diversi ambiti. Anche nel fronte di massa però si deve fare uno sforzo creativo superiore per far assumere alle Br una effettiva dimensione di potere rivoluzionario locale.

5. Le colonne.

La nostra scelta strategica di sviluppo dell’organizzazione per poli implica da un punto di vista organizzativo un analogo processo di crescita per colonne. La colonna è l’unità organizzativa minima che riflette, sintetizza e media al suo interno tanto la complessità del polo e delle sue tensioni che la complessità dell’organizzazione, la sua impostazione strategica e la sua linea politica. Le colonne sono unità politico-militari complessive. Esse cioè sono in grado di operare su tutti i fronti all’interno di un polo di classe significativo. Da un punto di vista politico esse si centralizzano attraverso la direzione strategica e i fronti. Da un punto di vista organizzativo esse sono indipendenti, e cioè contano su di un proprio apparato. La formazione di nuove colonne deve avvenire per partenogenesi e non per aggregazione di nuovi elementi.

6. La compartimentazione.

La compartimentazione è una legge generale della guerra rivoluzionaria nella metropoli. Ed è uno dei principi fondamentali della sicurezza della nostra organizzazione. La nostra esperienza ha dimostrato che chi trascura questa legge o non la applica con assoluto rigore è destinato inevitabilmente alla distruzione. Marighella: “Dobbiamo evitare che ognuno conosca gli altri e che tutti conoscano tutto. …Ognuno deve sapere solo ciò che riguarda il suo lavoro”. Che: “Nessuno, assolutamente nessuno deve sapere in condizioni di clandestinità altro che lo strettamente indispensabile e non si deve mai parlare davanti a nessuno”.

Nella nostra organizzazione è necessario realizzare una compartimentazione verticale (tra le varie istanze a tutti i livelli) e orizzontale (tra le colonne, tra i fronti, tra le brigate, tra i compagni di uno stesso organismo). È necessario ricordare però che anche la struttura meglio compartimentata non reggerebbe a lungo senza una reale discrezione dei militanti. La discrezione in altri termini è una regola di condotta fondamentale per un guerrigliero urbano. Compartimentazione non vuol dire ‘compartimentazione di un dibattito politico e di tutte le informazioni’. È il comitato esecutivo (CE) e sono i vari fronti che per evitare questo pericolo devono garantire ed estendere la pratica delle relazioni informative e politiche e dei bilanci di esperienza che consentano pur in una situazione di compartimentazione organizzativa assoluta il più ampio dibattito politico.

7. I Fronti

I fronti sono una acquisizione recente della nostra esperienza organizzativa. Essi sono stati costruiti per rispondere al bisogno di elaborazione di organizzazioni di lotta in settori politici specifici (es. grandi fabbriche, controrivoluzione). Non sono strutture di servizio. I fronti tagliano e percorrono l’organizzazione verticalmente. Essi pertanto sono i canali più idonei ad assolvere al compito della centralizzazione del dibattito politico. I fronti da potenziare in questa fase sono tre: il fronte delle grandi fabbriche; il fronte di lotta alla controrivoluzione; ed il fronte logistico.

Il fronte di lotta alla controrivoluzione deve porsi come obiettivo la conquista degli avamposti strategici per la sua esistenza, ed inoltre: il perfezionamento dell’apparato di informazione, lo sviluppo dell’attacco allo Stato già iniziato con la campagna Sossi ed una linea di condotta che porti ad affermare l’egemonia del nostro discorso strategico sulle forze dell’antifascismo militante. Il fronte logistico in primo luogo deve esistere. Poi i suoi compiti sono definiti dalla necessità di perfezionare e sviluppare le strutture logistiche (basi, strumenti, mezzi, documenti); militari (armamento ed istruzione militare); industriali (laboratori) e di assistenza (medica e legale e di latitanza).

8. Forze regolari e forze irregolari

La nostra organizzazione si appoggia su due tipi di forze. Le forze regolari e le forze irregolari. Entrambe sono essenziali per la nostra esistenza, ma giocano un ruolo diverso. Le forze regolari sono composte dai quadri più consapevoli e disponibili che la lotta armata ha prodotto. Esse sono completamente clandestine ed i militanti che le compongono hanno tagliato ogni genere di legami con la legalità. La nostra esperienza dimostra che senza forze regolari è impossibile creare ed edificare basi rivoluzionarie stabili come le colonne e i fronti. Le forze regolari hanno dunque un carattere strategico e i loro compiti fondamentali sono definiti dalle esigenze di sopravvivenza e sviluppo dei fronti e delle colonne. Anche le forze irregolari – brigate o cellule che siano – hanno un carattere strategico, ma i militanti di queste forze vivono nella legalità. La loro è una clandestinità d’organizzazione, ma non personale. È questa collocazione che impone dei limiti alla loro iniziativa e sono questi limiti ‘oggettivi’ che definiscono le differenze con le forze regolari. Gli operai partigiani delle forze irregolari svolgono però una funzione tanto più decisiva quanto più lo scontro civile è sviluppato. Esse hanno due compiti fondamentali: conquistare all’organizzazione il più ampio sostegno popolare; costruire i centri e le articolazioni del potere rivoluzionario. Da un punto di vista politico, non vi è differenza tra i militanti delle forze regolari e delle forze irregolari. Entrambi concorrono con parità di diritti e di doveri a far rivivere la linea politica generale dell’organizzazione. Per questo anche i militanti delle forze irregolari possono far parte della direzione strategica dell’organizzazione, anche se ovviamente nessuno di loro potrà far parte delle direzioni dei fronti, delle colonne o del comitato esecutivo.

9. La direzione strategica

All’origine della nostra storia c’è un nucleo di compagni che operando scelte rivoluzionarie si è conquistato nel combattimento un ruolo indiscutibile di avanguardia. Questo nucleo storico ha portato sin qui l’organizzazione sottoponendo nella misura del possibile ogni scelta fondamentale, le vittorie e le sconfitte, alla discussione dei compagni delle forze regolari e delle forze irregolari. Oggi con la crescita dell’organizzazione e della sua influenza, della sua complessità e delle sue responsabilità politiche e militari, questo nucleo storico è di fatto insufficiente. Si impone cioè una ridefinizione e un ampliamento del quadro dirigente complessivo dell’organizzazione. Si propone pertanto alla discussione dei compagni la formazione di un consiglio rivoluzionario che raccolga e rappresenti tutte le tensioni e le energie rivoluzionarie maturate nei fronti, nelle colonne e nelle forze irregolari. Questo consiglio dovrà essere la massima autorità delle Br. A questo consiglio dovrà essere riconosciuta la funzione indiscutibile di direzione strategica dell’organizzazione. Sarà esso a formulare gli orientamenti generali e di linea politica dell’organizzazione. Dovranno essergli riconosciuti inoltre da parte di tutti:

· il diritto di emanare ed applicare leggi e regolamenti rivoluzionari;

· il diritto di giudicare ed applicare correzioni disciplinari nei confronti di quei membri dell’organizzazione che abbiano tenuto un comportamento scorretto o controrivoluzionario;

· il diritto di approvazione e revisione dei bilanci;

· il diritto e il potere di modificare le strutture dell’organizzazione.

Il consiglio potrà essere riunito normalmente una o due volte ogni anno e straordinariamente quando ciò sia richiesto da almeno una colonna, da un fronte o dal CE. Esso nominerà per il governo quotidiano dell’organizzazione un CE.

10. Il comitato esecutivo.

Al CE spetta il compito di dirigere e coordinare l’attività del fronte e delle colonne oltre che i rapporti dell’organizzazione tra un consiglio e l’altro. Al CE possono essere collegati anche nuclei o individui che svolgono la loro militanza individualmente. Esso risponde del suo operato direttamente ed esclusivamente al consiglio e da questo viene nominato e può essere revocato.

Nel CE devono essere rappresentati i tre fronti in modo da consentire una efficace centralizzazione delle informazioni e una rapida esecuzione delle direttive. Tutte le azioni militari di carattere generale che investono nel suo complesso l’organizzazione dovranno essere approvate dal CE. All’occorrenza per decisioni particolarmente importanti l’Esecutivo può ricorrere alla consultazione dei rappresentanti delle colonne. Al CE spetta la responsabilità dell’amministrazione dei beni e del patrimonio dell’organizzazione.

Avviso.
Queste note non sono il punto di arrivo della discussione sulla organizzazione bensì un punto di partenza. Ovviamente esse sono modificabili e integrabili. La discussione nei fronti e nelle colonne e con le forze irregolari deve portare oltre che ad una redazione finale anche alla identificazione della direzione strategica.

Campagna D’Urso – Comunicato n. 8

ORGANIZZARE LA LIBERAZIONE DEI PROLETARI PRIGIONIERI
SMANTELLARE IL CIRCUITO DELLA DIFFERENZIAZIONE
COSTRUIRE E RAFFORZARE I COMITATI DI LOTTA
CHIUDERE IMMEDIATAMENTE L’ASINARA

1. L’interrogatorio del boia D’Urso è giunto a conclusione ed ha confermato in pieno il suo ruolo infame di massacratore di proletari. Questo “tecnico” chiamato a Roma ed istruito dai maiali del Ministero di Grazia e Giustizia ha saputo svolgere fino in fondo la parte che la borghesia imperialista gli ha affidato. L’ha fatto diligentemente, con deliberazione e logica di gelido burocrate, che archiviando cartacce doveva archiviare la morte civile di centinaia di esseri umani.

D’Urso è stato un vero e proprio stakanovista della differenziazione e dell’annientamento, capace di dedicare il giorno e la notte sul suo “dignitoso lavoro per guadagnarsi il pane’”, come dice lui; per guadagnarsi promozioni e quattrini sulla pelle dei proletari, come è nella realtà. Altro che un onesto padre di famiglia e un lavoratore! D’Urso è stato il più vile e feroce dei servi della banda imperialista al governo!

Alcune cose sono emerse dall’interrogatorio a cui il boia è stato sottoposto nella prigione del popolo:

– D’Urso è stato al Ministero di Grazia e Giustizia il continuatore della “vecchia guardia che ora non c’è più’”, come ha detto lui. Il boia della seconda generazione dopo i Palma, i Tartaglione, gli Altavista, i Minervini, i Buondonno. E’ stato una rotella essenziale dell’infernale macchina che è la strategia differenziata, perché ha consentito che i piani per l’annientamento, elaborati a tavolino da belve travestite da esperti come Di Gennaro e Beria D’Argentine, con la delega di ministri “riformisti’” come Zagari, Bonifacio, Morlino e Sarti, potessero andare avanti e perfezionarsi. D’Urso e il suo ufficio sono stati l’avamposto, la zona di frontiera nella repressione del movimento dei proletari prigionieri e delle forze rivoluzionarie. Se è vero che questo “disgraziato di provincia” non è all’altezza degli illustri pescecani della differenziazione, abituati a frequentare il palcoscenico internazionale, e non è l’unico responsabile della strategia differenziata, è anche vero che ne è stato l’esecutore diligente e più convinto. Solo la sua mentalità nazista può consentirgli di affermare di essere sì un massacratore di proletari, ma senza colpe, perché qualcuno più in alto glielo ha ordinato.

– D’Urso ha portato a perfezionare la macchina carceraria come gli interrogatori già noti hanno confermato. E’ stato l’uomo della magistratura di guerra e dei Carabinieri dentro il Ministero di GG. L’uomo dei Sica, Gallucci, Caselli, complice dei Galvaligi, dei Risi, sempre pronto ad eseguire i suggerimenti di morte raccomandatigli dai magistrati, poliziotti e carabinieri; e quindi assegnare, trasferire e seppellire i prigionieri più combattivi nei lager più disumani. Sempre pronto a far finta di non vedere ciò che questi massacratori facevano, quando si trattava di torturare, quando si trattava di torturare dei singoli combattenti al momento della cattura, di tortura di massa dei prigionieri dopo le azioni di lotta, di sadica gestione degli aguzzini ai suoi ordini nei vari kampi. L’Asinara per D’Urso era soltanto un’isola, la più sicura per i proletari più combattivi; che fosse invece il mortale prodotto di una strategia d’annientamento in mano ad un pazzo criminale come Cardullo non era per lui rilevante.

Ad un solo tipo di prigionieri D’Urso ha dedicato le sue amorevoli cure: agli infami venduti. Per qualcuno è giunto persino a scordarsi di averlo in carcere.

– D’Urso è un “boia pentito’”, non certo per ravvedimento tardivo, ma più concretamente per scelta immediata per salvare la pelle. La sua piena collaborazione apre oggi una nuova contraddizione nel fronte imperialista, riversando al suo interno un problema su cui continuamente ha battuto la gran cassa e che non è mai stato del movimento rivoluzionario: la questione dei pentiti e della cosiddetta amnistia. Le chiacchiere che sulla stampa di regime hanno visto impegnato tutto lo schieramento borghese, dai cosiddetti garantisti ai più loschi personaggi delle bande di potere, sono diventate solo rumore di fondo di fronte all’iniziativa combattente. La borghesia ed il suo regime sono costretti oggi a risolvere una loro contraddizione, perché di questo si tratta: c’è un boia della borghesia “pentito” e che collabora con la giustizia proletaria. E’ chiaro a questo punto che ciascun mercenario, tecnico, funzionario vede in D’Urso la sua immagine come riflessa in uno specchio. Ci vorrà ben altro che depennare dalla pubblicazione del suo interrogatorio i nomi di decine di aguzzini per tranquillizzarli del fatto che ad essi spetta la sorte del carabiniere Galvaligi. Se la guerriglia è arrivata ad un supergenerale dei corpi speciali, figurarsi se non saprà colpire i topi annidati nei covi ministeriali.

– Per noi e per il movimento rivoluzionario il processo D’Urso si chiude qui. Di fronte alla morte fisica e politica di centinaia di proletari prigionieri che D’Urso ha cinicamente perseguito in questi anni, e alla piena consapevolezza che aveva del suo ruolo, la sentenza non può essere che di condanna a morte.

La condanna a morte del boia D’Urso è un atto necessario di giustizia proletaria, ed è anche il più alto atto di umanità che questo regime ci consente.

2. La Lotta dei proletari prigionieri continua. Nella battaglia del 28 dicembre il Comitato di Lotta di Trani affermava tra l’altro: “In questo modo i proletari prigionieri di Trani si dialettizzano con le Brigate Rosse trasformando l’aguzzino D’Urso in un loro prigioniero”. Il Comitato di Lotta è l’organismo di massa che rappresenta nei kampi la forma organizzata del potere proletario armato. E’ questa una forma organizzata autonoma, propria dei proletari prigionieri, ne rappresenta i bisogni, sintetizza il loro programma di potere in obiettivi di lotta, guida la potenzialità di questo strato di classe. Per questo i Comitati di Lotta dei kampi e gli altri organismi di massa sono, nei fatti, una delle determinazioni fondamentali e irrinunciabili del potere proletario armato. Le Brigate Rosse agiscono da partito per costruire il Partito Combattente. Non c’è quindi un rapporto di identificazione tra le Brigate Rosse e gli organismi di massa rivoluzionari, né l’uno è subordinato all’altro. C’è invece un rapporto di stretta dialettica tra Partito e organismi di massa rivoluzionari, il cui insieme costituisce il potere proletario armato. Questa dialettica consente un’azione congiunta contro la strategia imperialista, e dà vita ad uno scontro di potere di un’efficacia senza pari. La campagna di combattimento che si è sviluppata contro le carceri imperialiste con un insieme di battaglie condotte dai proletari prigionieri e con l’iniziativa di partito delle Brigate Rosse, si colloca dentro questa strategia di costruzione del potere proletario armato.

Confermiamo e ribadiamo, contro le mistificazioni del regime, che le Brigate Rosse appoggiano incondizionatamente il programma e gli obiettivi che gli organismi di massa dentro le carceri si sono dati. Ad essi non accordiamo una generica ed inutile solidarietà a parole, ma continueremo su questo terreno l’attacco allo stato imperialista, perché si rafforzi e consolidi il potere proletario armato nelle carceri e gli obiettivi del suo programma vengano raggiunti. La lotta dei proletari prigionieri, il programma dei Comitati di Lotta, come avevamo già affermato, ci riguardano direttamente. E riguardano anche il boia D’Urso. Siamo perfettamente d’accordo con i proletari di Trani quando dicono che D’Urso è anche loro prigioniero. Per quanto ci riguarda abbiamo già emesso un giudizio secondo i criteri della giustizia proletaria, ed essa corrisponde sicuramente a quanto ogni proletario ha già decretato. La condanna a morte di D’Urso è sicuramente gusta, ma l’opportunità di eseguirla o di sospenderla deve essere valutata politicamente. Questo spetta oltre che alle BR, esclusivamente agli organismi di massa rivoluzionari dentro le carceri. Ad essi solo spetta valutare gli obiettivi già raggiunti dalle battaglie fin qui condotte, ad essi la valutazione esatta dei rapporti di forza che hanno consentito una significativa avanzata nella realizzazione del programma immediato dei proletari prigionieri. Questa voce, per decidere se eseguire o sospendere l’esecuzione D’Urso, è l’unica che ci interessa sentire. Vogliamo essere più espliciti: non deve essere impedito al Comitato di Lotta di Trani, al comitato di kampo dei prigionieri di Palmi di esprimere integralmente, senza censurare neanche le virgole, le loro valutazioni politiche e il loro giudizio.

Questo vogliamo sentirlo dai vostri strumenti radiotelevisivi, leggerlo sui maggiori quotidiani italiani, così come avevano chiesto i proletari di Trani in lotta. La repressione e la censura nei confronti degli organismi di massa dei kampi troverà da parte nostra la più dura e decisa opposizione, e sapremo assumerci tutte le nostre responsabilità. Questo regime ci ha dato più volte prova che è solo capace di essere tanto feroce quanto stupido, ciò nonostante vogliamo fornire a chi tra le fila della borghesia ha ancora un minimo di ragionevolezza, un’ultima occasione di rendersi conto che il movimento dei proletari prigionieri non può essere annientato, perché non si lascerà annientare.

 

Brigate Rosse

Roma, 4-1-1981

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. 215-217.

Campagna D’Urso – comunicato n. 3

Organizzare la liberazione dei proletari prigionieri. Smantellare il circuito della differenziazione. Costruire e rafforzare i comitati di lotta. Chiudere immediatamente l’Asinara.

1. Combattere la censura di regime sui Comitati di Lotta (CdL) e la repressione sul programma dei Proletari Prigionieri (Pp).

I CdL sono le strutture di massa del potere proletario armato dentro le carceri.

Il programma di lotta sui bisogni dei Pp lanciato da questi organismi di massa, ha realizzato in questi anni la compatta mobilitazione di un vasto movimento. Innumerevoli ed incisivi sono stati i momenti di scontro realizzati per sconfiggere la criminale strategia della differenziazione.

Contrastare l’isolamento, impedire il genocidio politico di questa componente essenziale del proletariato metropolitano è parte integrante e irrinunciabile del Programma delle Br che punta alla riunificazione politica delle esperienze di lotta rivoluzionaria di tutto il proletariato. D’Urso e gli aguzzini come lui sono diretti responsabili della politica carceraria.

La gestione differenziata del trattamento, la capillare opera di distruzione dei livelli di organizzazione proletaria attraverso i trasferimenti, il regime del terrore con i pestaggi e la tortura, la distruzione dell’identità politica del prigioniero con l’isolamento, sono i cardini della filosofia imperialista dentro le carceri. Essi hanno trovato in D’Urso un macabro ed efficiente esecutore. Questo “buon padre di famiglia” era al vertice degli infami aguzzini preposti al genocidio delle centinaia di migliaia di proletari condannati da questo regime all’unico sistema di vita che sa offrirgli: la galera.

Combattere perché non esistano più le galere, perché non ci siano più proletari in catene vuol dire combattere oggi perché si estenda il potere proletario, si rafforzino i Comitati di Lotta, si esprima il Programma immediato dei Proletari Prigionieri.

Coloro che chiedono la liberazione del capo degli aguzzini D’Urso sappiano che non rinunceremo mai a sostenere il perseguimento del Programma del Proletariato Prigioniero. Sappiano che la censura e la repressione dei Comitati di Lotta del Proletariato Prigioniero deve immediatamente finire!!!

Questa esperienza appartiene all’intero movimento rivoluzionario e la sua legalità l’ha conquistata nella lotta; e quindi l’arroganza con cui questo regime si ostina a voler censurare, mistificare i Comitati di Lotta e il loro Programma è solo prova di ottusità che non ci è possibile tollerare.

2. Dopo la cattura di D’Urso stiamo scoprendo che l’Asinara non è di gradimento a nessuno. Non riusciamo a capire perché fino a venerdì 12 dicembre questo campo era invece quello prediletto. Ha sempre funzionato a pieno ritmo! A tal punto che vi hanno concentrato i più sadici carcerieri, vi hanno messo direttore quella specie di belva di nome Massidda che si è fatto un’esperienza di torturatore a Nuoro.

Le ridicole messinscene dei democratici da baraccone al servizio del regime Dc non ci riguardano; noi su questo piano non abbiamo che da ripetere ciò che il movimento dei Proletari Prigionieri da anni dice nella sua lotta: chiudere immediatamente e definitivamente l’Asinara!!!

3. Viene propagandato dalla stampa di regime un piano segreto, formidabile che i CC starebbero attuando. Questo piano non è affatto segreto. Ed ha anche un nome: tortura dei prigionieri comunisti. Gli sgherri dei Corpi Speciali stanno organizzando in grande stile l’applicazione di quello che hanno sperimentato sulla pelle di molti compagni nell’ultimo anno.

I “democratici” possono chiudere gli occhi di fronte agli assassini e alle sevizie di ogni genere subite dai compagni prigionieri, i rivoluzionari no. Ai tentativi di provocazione criminale, alle torture, risponderemo con la rappresaglia.

Per il comunismo. Brigate rosse

ROMA, 18-12-1980

Campagna D’Urso, comunicato n. 2

Organizzare la liberazione dei proletari prigionieri. Smantellare il circuito della differenziazione. Costruire e rafforzare i Comitati di lotta. Chiudere immediatamente l’Asinara.

Ogni operaio, ogni proletario che non si arrende, che continua a combattere contro i padroni, per una società senza sfruttamento, pone la lotta per la distruzione delle carceri imperialiste al centro degli interessi della sua classe. Lo Stato borghese e il suo regime per sperare di sopravvivere deve assolutamente annientare qualunque espressione della lotta di classe. Dalla fabbrica, dai quartieri proletari deve essere cancellata ogni volontà di lotta, ogni presenza antagonista, ogni traccia di organizzazione proletaria. All’interno di questa strategia di controrivoluzione preventiva la borghesia assegna al carcere un ruolo fondamentale: annientare politicamente e fisicamente l’avanguardia del proletariato metropolitano, neutralizzare e rendere impotente una intera fascia di proletariato emarginato dalla produzione. Le contraddizioni di classe provocate dalla politica dei licenziamenti, della disoccupazione, della cassa integrazione, della miseria e mancanza di qualunque reddito per milioni di persone, trovano nella borghesia imperialista un’unica soluzione: rendere “scientifico” e sistematico l’imprigionamento e la deportazione di migliaia di proletari. Quando la borghesia vuota le fabbriche, riempie le galere. Quando vuole terrorizzare i proletari che si oppongono ai suoi piani, affida questo messaggio all’infame sistema dei campi di concentramento. Per far funzionare le sue fabbriche e mantenere il suo dominio, la borghesia deve fare funzionare a pieno ritmo le sue prigioni.

Il ritmo quindi con cui si realizzano i piani di Agnelli e dei suoi soci è scandito dalle ondate di proletari sbattuti in galera. I livelli di sfruttamento che riescono a realizzare sono misurabili con quanti compagni vengono arrestati. E’ chiaro quindi che è anche su questo fronte centrale della guerra di classe, il carcere imperialista, che la classe operaia deve combattere.

Una parte essenziale del proletariato metropolitano, il proletariato extralegale, su questo terreno negli ultimi anni ha sviluppato un grande movimento di lotta, che in ogni fase dell’attuazione del piano controrivoluzionario ha inceppato il meccanismo di annientamento carcerario. I Comitati di Lotta, organismi i massa proletari prigionieri, hanno elaborato un programma immediato su cui hanno realizzato il massimo della mobilitazione e del combattimento, con l’obiettivo di far fallire la strategia della differenziazione concentrando l’iniziativa nel distruggere il circuito dei campi speciali. Nei carceri speciali infatti, il potere crea di realizzare il massimo dell’isolamento e il massimo della deterrenza.

Due nomi per tutti: Palmi e l’Asinara.

Palmi è la gabbia completamente isolata dal mondo. E’ lì che il potere ha deciso di eliminare ogni possibile legame politico e fisico tra l’avanguardia comunista e il proletariato. E’ lì che si dovrebbe compiere il genocidio dei comunisti.

L’Asinara è il più infame dei campi speciali. E’ lo specchio fedele della barbarie imperialista. Esso rappresenta infatti il massimo della repressione e della disumana volontà di massacro di questo regime. Questo mostruoso luogo di tortura è il ricatto costante, la minaccia sempre presente, coi quali sperano di piegare la lotta dei proletari prigionieri. Ma la strategia differenziata, proprio per l’iniziativa di lotta dei proletari prigionieri non ha avuto successo. Al contrario sono sorti e si stanno rafforzando gli organismi di massa, che nella specificità delle carceri hanno assunto la forma dei Comitati di Lotta.

La reazione della borghesia di fronte a questo fatto di enorme importanza politica per tutto il proletariato, si può chiamare con un solo nome: paura. Paura che si è tradotta nella censura più completa sull’esistenza dei Comitati di Lotta, sulla loro elaborazione politica, nella repressione più feroce del loro programma di lotta. La realtà è che i Comitati di Lotta hanno guidato le lotte e le rivolte per la distruzione delle carceri in questi ultimi mesi esprimendo così uno dei punti più alti della lotta rivoluzionaria e realizzando nei fatti quella saldatura politica con le altre componenti del movimento rivoluzionario che tanto spaventa gli aguzzini imperialisti. Le Brigate Rosse nell’agire da partito, nell’azione di disarticolazione dello stato imperialista, catturando il capo degli aguzzini delle carceri, non perdono di vista neppure per un istante il movimento dei proletari prigionieri, e sapranno farsi carico del programma su cui è mobilitato. Nell’iniziativa di partito, costruire il Potere Armato vuol dire conquistare progressivi terreni di legalità rivoluzionari, dalla fabbrica alla galera, nel raggiungimento degli obiettivi del loro programma immediato, contribuendo in ogni modo a rompere la vile cappa di omertà e repressione con cui il nemico vuol coprire la loro voce. Un nostro compagno, Michele Galati è stato catturato a Mestre, sequestrato per giorni e giorni e sottoposto a torture così come è accaduto al compagno Maurizio Jannelli e a tutti gli altri militanti delle Organizzazioni Combattenti recentemente catturati. E’ chiaro a questo punto che la pratica delle sevizie e della tortura è il metodo prediletto generalizzato da questo regime. La responsabilità di tutto questo non è solo dei sadici massacratori in divisa, ma dei loro mandanti, dalle forze politiche alla stampa di regime. La lotta delle organizzazioni rivoluzionarie saprà rispondere agli uni e agli altri in modo esemplare. Questi luridi vermi si riempiono la bocca di formulette propagandistiche sui “diritti dell’uomo” che sono un insulto a quanto di più elementare attiene alla dignità dell’uomo. Stiano comunque tranquilli; noi siamo diversi da loro, molto diversi. Il prigioniero Giovanni D’Urso sta bene, ed ha modo di scoprire per esperienza diretta l’abisso che separa i comunisti dai torturatori di cui fa parte. L’interrogatorio a cui è sottoposto avviene con la sua piena collaborazione e sta mettendo in chiara luce le sue dirette responsabilità. Il ruolo da lui sin qui svolto nelle carceri non lascia dubbi, tutti i proletari prigionieri lo conoscono bene: boia ed aguzzino.

Onore a tutti i compagni caduti per il comunismo.

Brigate Rosse

Roma, 13-12-1980

Campagna D’Urso – Comunicato n. 4

Organizzare la liberazione dei proletari prigionieri. Smantellare il circuito della differenziazione. Costruire e rafforzare i comitati di lotta. Chiudere immediatamente l’Asinara.

1)L’interrogatorio del prigioniero D’Urso continua. La sua collaborazione ci permette di confermare, attraverso la denuncia di fatti specifici e la segnalazione di nomi dei suoi degni collaboratori, l’infame politica di annientamento che viene adottata da questo regime nei confronti dei Proletari prigionieri.

Questa comincia col black-out totale posto sul movimento di lotta sviluppatosi nelle carceri, con la censura più completa nei confronti di ogni informazione sui programmi che i Comitati di Lotta dei Proletari Prigionieri stanno praticando. ‘Negare l’informazione all’origine’ è la tecnica per negare la realtà politica costituita da quanto i Proletari Prigionieri e i loro Organismi di Massa stanno facendo nella costruzione del Potere Proletario. È questa la premessa per il genocidio politico di un intero strato di classe, è il presupposto perché migliaia di proletari in lotta nelle galere vengono ridotti alla condizione di veri e propri sepolti vivi. D’Urso ben conosce questa politica infame, ne era uno dei principali esecutori. La divisione fra le avanguardie comuniste e l’insieme dei Proletari Prigionieri attraverso la differenziazione dei Kampi, l’isolamento verso l’esterno, la dura repressione dell’organizzazione proletaria dentro le carceri, portavano fino al 12 dicembre la sua firma. Non è certamente il solo responsabile, ma, non dubitino, anche gli altri, che D’Urso ci aiuta a conoscere, arriverà il momento di renderne conto.

In sintonia con gli obiettivi di lotta del Programma dei Proletari Prigionieri dei Comitati di Lotta, non permetteremo che il sistema della morte lenta e silenziosa che i kampi vorrebbero realizzare per i Proletari Prigionieri continui impunemente. L’evidente esistenza di un movimento di lotta dentro le carceri che ha nei Comitati di Lotta i suoi organismi di Potere Proletario, non può essere negata. I momenti di iniziativa proletaria che si sviluppano nelle galere (l’ultimo in ordine quello dei proletari imprigionati a Fossombrone) non devono essere soffocati nella repressione e nel silenzio.

La pervicacia con cui il Governo, la magistratura e i lacchè della stampa di regime continuano sulla strada della tortura, della repressione, della censura dell’informazione, rafforzano la nostra convinzione che questo regime è tanto feroce quanto ottuso. Noi non abbiamo alcun dubbio quindi che D’Urso, aguzzino ai vertici di questa banda di delinquenti, stia bene dove sta: in un carcere del popolo. Ma noi siamo contrari alle carceri, alle carceri di ogni tipo. Non prolungheremo la sua detenzione oltre il tempo necessario a valutare le sue responsabilità, che per altro sono fin troppo chiare. La giustizia proletaria avrà quindi rapidamente il suo corso senza esitazioni. Chi pensa che D’Urso possa essere rimesso in libertà perdurando la politica di annientamento dei Proletari Prigionieri e di censura sulla loro lotta, non ha capito niente della Giustizia Proletaria.

2) Sull’Asinara si è alzato un gran polverone dove ogni sciacallo si scopre democratico, dove perfino che fino al 12 dicembre ha costantemente utilizzato quest’arma micidiale contro i Proletari Prigionieri, ha improvvisamente scoperto di non essere entusiasta. A noi non interessano le ipocrisie e le spudorate menzogne della propaganda di regime. Interessa la sostanza del problema. Anche in questo caso una sola cosa è chiara: si vuol dividere le avanguardie comuniste dai Proletari Prigionieri, si vorrebbe far credere che l’Asinara riguardi alcuni politici e non migliaia di proletari. Due anni di lotte che i Proletari Prigionieri hanno posto al centro degli obiettivi da perseguire nelle carceri, lo smantellamento definitivo di questo lager.

L’Asinara non deve più esistere per nessun proletario.

Quest’arma di ricatto e di tortura deve essere cancellata una volta per tutte e senza discriminazioni per nessuno. Le chiacchiere mistificatorie che vorrebbero cambiare questi termini del problema, le consideriamo delle inutili provocazioni. Nessuno si illuda che combatteremo per qualcosa di meno della chiusura immediata e definitiva dell’Asinara.

3) Il regime della galera e dei kampi di concentramento ha ammazzato un altro compagno: Alberto Buonoconto, militante dei Nap. Per ammazzarlo non hanno usato come al solito le pallottole dei loro sgherri in divisa, ma anni e anni di carcere speciale, che lo hanno massacrato fisicamente e psichicamente. Altri compagni, altri proletari vengono uccisi in questa maniera dalla galera, dalle sevizie, dalle torture e dalla mancanza di cure. Questo omicidio ci fa odiare ancora di più gli aguzzini che lo hanno scientificamente pianificato e sadicamente realizzato. Rendiamo onore al compagno Buonoconto, come si deve ad ogni compagno che cade sul fronte della guerra di classe per una società comunista. Siamo convinti che il regime del massacro, lo stato dei padroni, nonostante gli omicidi, non può vincere. Non può sperare di frenare l’avanzata di milioni di proletari verso una società di uomini liberi, riempiendo le galere, arrestando e torturando centinaia di compagni, come sta facendo. Per quel che ci riguarda al momento, non tollereremo che i compagni catturati ultimamente vengano torturati e sapremo agire di conseguenza. Quando un regime per sopravvivere ha solo questi metodi per quanto sia potente, è destinato a sparire. Il prezzo che il proletariato sta pagando è alto, molto alto; ma non così alto da farci accettare la barbarie dello sfruttamento capitalistico, la schiavitù del lavoro salariato, un sistema di vita costruito per piegare milioni di proletari agli interessi di un pugno di parassiti. La lotta per il Comunismo, la Rivoluzione Proletaria seppellirà questa società che muore e cancellerà il ricordo della sua infamia.

Per il Comunismo.

Brigate Rosse

Roma, 23 -12- 80.

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. .