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Comunicato N. 3

Della Torre, meccanico. Un buon compagno: uno dei nostri, 50 anni, 2 figli. Quadro di punta della CGIL. 25 anni di attività sindacale. Comandante partigiano. Tirava le lotte. Lo hanno licenziato. Lo hanno fatto in due: i padroni prima, i sindacati poi. Questo licenziamento ci riguarda tutti. Non è un fatto privato, È UNA LINEA POLITICA vigliacca che tende a colpire tutti gli operai in lotta. Se passa senza una decisa risposta di tutta la fabbrica unita, se passa su una resa a basso prezzo dei sindacati e sulle nostre spalle, allora Pirelli e soci avranno via libera, d’ora in poi, per sbarazzarsi di chiunque alzi la testa per affermare i suoi diritti.

Nel primo comunicato che abbiamo diffuso, si diceva: “per ogni compagno che colpiranno durante la lotta, qualcuno di loro dovrà pagarla.”

Un compagno è stato colpito.

E così uno di loro, precisamente “il primo della lista” (come hanno suggerito molti operai in fabbrica) si è trovato la macchina distrutta.

Ma non è finita.

Abbiamo detto infatti che “per un occhio, due occhi…” e la 850 dello spione Ermanno Pellegrini… è per noi molto, ma molto meno di un occhio. Senza contare poi che la sua vera macchina è una giulia 1300 junior GT bianca che da un po’ di tempo “inspiegabilmente” tiene gelosamente custodita nel suo garage.

Ma noi abbiamo pazienza…!

A meno che lo spione Pellegrini SI LICENZI e allora può essere che il Tribunale del Popolo gli concederà grazia. Comunque Della Torre deve rientrare, rientrare al lavoro per continuare la lotta di tutti gli sfruttati contro i padroni. Collette, avvocati gentilmente offerti dal sindacato, solidarietà, non bastano. Perciò fino a che Della Torre non tornerà con noi, la partita tra noi operai tutti e i servi e gli aguzzini del padrone non si deve chiudere e non si chiuderà. La lista è lunga, la fantasia non manca.

Per la rivoluzione comunista.

 

Brigata Rossa
Dicembre 1970

 

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

Comunicato a seguito di azioni di provocazione

In questi giorni abbiamo assistito ad un susseguirsi di azioni terroristiche di chiara impronta fascista e di altrettanto chiara ispirazione poliziesca. Ci interessa qui sottolineare quelle compiute contro le fabbriche “Rossari e Varzi” di Trecate di Novara, “Norton internazionale” di Corsico (Milano) e la “Necchi” di Pavia, e contro le caserme di Rieti, L’Aquila e Lamezia Terme, e a Vibo Valentia. Gli attentati all’esplosivo sono stati accompagnati da volantini in cui si inneggia, tra le altre cose, alle “Brigate Rosse.” I fascisti – esecutori – ed i carabinieri – mandanti – hanno inteso, “firmando” con la sigla della nostra organizzazione, perseguire alcuni obbiettivi:

  1. Mettere in relazione azioni antiproletarie e fasciste con una organizzazione rivoluzionaria comunista.
  2. Rendere con ciò odiose e impopolari quelle organizzazioni che hanno scelto la via dell’azione diretta, della azione partigiana e della propaganda armata, svuotando il loro lavoro di ogni senso politico e presentandole come organizzazioni di criminali che perseguono fini contrari agli interessi delle masse popolari.
  3. Terrorizzare la sinistra alimentando con “fatti” l’ipotesi che da un po’ di tempo si cerca subdolamente di far circolare che le Brigate Rosse siano organizzazioni provocatorie dirette da mestatori fascisti e porci delle varie polizie.
  4. Creare un clima di tensione praticando azioni violente terroristiche e gratuite che consentano in nome degli “opposti estremismi” di colpire la sinistra rivoluzionaria e più in generale la classe operaia.
  5. Preparare il terreno ad una più vasta provocazione che si intenderebbe impiantare in qualche fabbrica, addebitandola alla sinistra e, perché no… alle Brigate Rosse. In realtà fascisti e poliziotti vogliono colpire alle radici sin dal suo nascere l’ipotesi strategica che li seppellirà, insieme ai loro padroni, per sempre:

La guerriglia di popolo

I lavoratori delle fabbriche e dei rioni dove operiamo, sanno che le Brigate Rosse sono organizzazioni comuniste, lo sanno perché esse non hanno mai fatto un’azione contraria agli interessi dei lavoratori. Abbiamo colpito nelle fabbriche i despoti, i servi dei padroni, i più odiati dalla classe operaia, quando ciò si è reso necessario perché erano stati colpiti dei compagni;

Abbiamo colpito i fascisti perché essi sono l’esercito armato che il capitale usa oggi contro le lotte operaie e la richiesta proletaria di potere;

Abbiamo colpito sempre nemici del popolo e sempre li abbiamo colpiti all’interno di vasti movimenti di lotta. Per questo se da un lato siamo convinti che nessun compagno cadrà nella trappola tesa da queste azioni fasciste, “firmate” con la nostra sigla, dall’altro diamo un avviso alle forze della reazione:

Chi scherza col fuoco si brucia le dita…

Stiamo indagando su chi sono i diretti responsabili di queste provocazioni. Può darsi che lo sapremo presto, può darsi che ci vorrà più tempo, comunque siate certi che:

Niente resterà impunito!

Ai poliziotti ed ai fascisti diciamo una cosa chiara: Nei vostri confronti non vi sarà alcuna pietà. Il pugno della giustizia proletaria si abbatterà con forza tremenda su chiunque trami, mesti e operi contro gli interessi di noi proletari.

LEGGERE, FAR CIRCOLARE, PASSARE ALL’AZIONE
COMANDO UNIFICATO DELLE BRIGATE ROSSE

 

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

Autointervista

  1. Come giudicate la fase attuale dello scontro di classe?

Ci sembra che ci sia una concordanza di vedute nella sinistra sulla situazione attuale. Non sfugge né ai riformisti né alle forze extraparlamentari il progetto di riorganizzazione della borghesia su una prospettiva reazionaria e violentemente antioperaia. E più in generale tutti riconoscono che è iniziato uno scontro decisivo nel quale si giocano da una parte, cioè dalla parte della borghesia, la possibilità di un nuovo equilibrio politico ed economico, dall’altra, cioè da parte dei lavoratori, la prospettiva di un capovolgimento dei rapporti di produzione. Ma a parte i riformisti la cui strategia si dimostra sempre più suicida di fronte all’attacco reazionario, ciò che ci interessa mettere in evidenza è lo stato di impreparazione in cui si trovano le forze rivoluzionarie di fronte alle nuove scadenze di lotta. Alla sinistra rivoluzionaria è mancata la consapevolezza che il ciclo iniziato nel ’68 non poteva che portare agli attuali livelli di scontro e non vi è stata quindi la predisposizione degli strumenti idonei a farvi fronte. La nostra esperienza politica nasce da questa esigenza.

  1. Quali cause stanno alla base della crisi attuale?

Oggi ci troviamo davanti ad un capovolgimento delle prospettive politiche della borghesia. Esso è dovuto al mancato congiungimento delle prospettive di sviluppo del capitalismo e dei progetti politici dei partiti riformisti. La borghesia infatti posta di fronte all’iniziativa della classe operaia che ha rifiutato il riformismo come progetto di stabilizzazione sociale ponendo all’ordine del giorno la fine dello sfruttamento, e alle oggettive contraddizioni dell’imperialismo che impediscono la programmazione pacifica dello sviluppo del capitalismo nei singoli paesi, ha dovuto riorganizzare a “destra” l’intero apparato di potere.

  1. In quale direzione ritenete quindi che si svilupperà nei prossimi tempi la situazione politica?

La borghesia ha ormai una strada obbligata: ristabilire il controllo della situazione mediante un’organizzazione sempre più dispotica del potere. Il dispotismo crescente del capitale sul lavoro, la militarizzazione progressiva dello stato e dello scontro di classe, l’intensificarsi della repressione come fatto strategico sono due conseguenze obiettive ed inesorabili. Nella situazione italiana assistiamo infatti alla formazione di un blocco d’ordine reazionario quale alternativa al centro-sinistra. Esso prospera sotto le bandiere della destra nazionale e tende a riassicurarsi il controllo della situazione economica e sociale e cioè alla repressione di ogni forma di lotta rivoluzionaria ed anticapitalista.

  1. Pensate dunque ad una riedizione del fascismo?

Il problema non va posto in questi termini. È un dato di fatto incontestabile che questo disegno repressivo per ora si estende e mira non tanto alla liquidazione istituzionale dello stato “democratico” come ha fatto il fascismo, quanto alla repressione più feroce del movimento rivoluzionario. In Francia il “colpo di stato” di De Gaulle e l’attuale “fascismo gollista” vivono sotto le apparenze della democrazia. Nei tempi brevi questo è certamente il modello meno scomodo. Sarebbe però ingenuo sperare in una stabilizzazione moderata della situazione economica e sociale in presenza di un movimento rivoluzionario combattivo.

  1. Quali dunque le vostre scelte?

Avevamo due strade oltre la via riformista che abbiamo rifiutato insieme alla sinistra rivoluzionaria da diversi anni: ripetere l’esperienza storica del movimento operaio secondo le versioni anarco-sindacaliste o terzinternazionaliste o viceversa congiungersi all’esperienza rivoluzionaria metropolitana dell’epoca attuale. I gruppi della sinistra extraparlamentare tutto sommato non sono usciti dalla prima prospettiva poiché non hanno saputo sottoporre ad una analisi critica le sconfitte del movimento rivoluzionario del primo dopoguerra. Essi hanno ripreso nella sua essenza la teoria delle due fasi del processo rivoluzionario (preparazione politica, agitazione, e propaganda prima, insurrezione armata poi) ed oggi stanno ripercorrendo la prima fase mentre la borghesia già dispiega la sua iniziativa armata. Ne fanno testo l’attacco padronale alle forme di lotta più incisive, i processi politici e le condanne contro i militanti più combattivi, il rinato terrorismo squadrista, le aggressioni fasciste ai picchetti operai e quelle poliziesche alle piccole fabbriche, agli sfrattati ed agli studenti, i rastrellamenti nei quartieri insubordinati, l’assunzione di provocatori sbirri e fascisti nelle fabbriche, ecc. Lo scontro armato è già iniziato e mira a liquidare la capacità di resistenza della classe operaia. L’ora X dell’insurrezione non arriverà. E quello che molti compagni tendono a raffigurarsi come lo scontro decisivo tra proletariato e borghesia altro non è che l’ultima e vittoriosa battaglia della borghesia. Come è stato nel 1922.

  1. In definitiva quale è il filone ideologico e storico al quale vi collegate?

I nostri punti di riferimento sono il marxismo-leninismo, la rivoluzione culturale cinese e l’esperienza in atto dei movimenti guerriglieri metropolitani; in una parola la tradizione scientifica del movimento operaio e rivoluzionario internazionale. Questo vuol dire anche che non accettiamo in blocco gli schemi che hanno guidato i partiti comunisti europei nella fase rivoluzionaria della loro storia soprattutto per quanto riguarda la questione del rapporto tra organizzazione politica e organizzazione militare.

  1. Puoi specificare meglio questo punto di vista?

I compagni brasiliani sostengono che l’origine dell’involuzione socialdemocratica dei partiti comunisti è da ricercare nell’incapacità della loro organizzazione a far fronte ai livelli di scontro che la borghesia progressivamente impone al movimento di classe. Non c’è quindi all’origine di tutto il “tradimento” dei capi quanto l’inadeguatezza strutturale dell’arma che essi utilizzano e cioè della loro organizzazione. Di questo hanno tenuto conto le organizzazioni armate metropolitane le quali sin dall’inizio si sono costituite per far fronte globalmente a tutti i livelli dello scontro.

  1. Il problema per voi è quindi quello di iniziare la lotta armata?

La lotta armata è già iniziata. Purtroppo in modo univoco, cioè è la borghesia che colpisce. Il problema è dunque quello di creare lo strumento di classe capace di affrontare allo stesso livello lo scontro. Le Brigate Rosse sono i primi sedimenti del processo di trasformazione delle avanguardie politiche di classe in avanguardie politiche armate, i primi passi armati nella direzione di questa costruzione.

  1. Siete per una concezione “fochista” dell’avanguardia armata?

No. Il nostro punto di vista è che la lotta armata in Italia debba essere condotta da un’organizzazione che sia diretta espressione del movimento di classe e per questo stiamo lavorando all’organizzazione dei nuclei operai di fabbrica e di quartiere nei poli industriali e metropolitani ove maggiormente si condensano rivolta e sfruttamento.

  1. Siete dunque in una fase di preparazione?

Da un punto di vista generale non possiamo essere che in questa fase in quanto la strada che abbiamo scelto ha bisogno di un lungo periodo di accumulazione di esperienze e di quadri. Però non è una fase staccata dalla lotta di classe ma si realizza tutta all’interno di essa.

  1. Questo vuol dire quindi che le Brigate Rosse anche in questa fase sono impegnate nello scontro?

Esiste una tendenza nel movimento di classe non riconducibile ad alcuna delle organizzazioni extraparlamentari operanti che esprime l’esigenza di nuove forme di organizzazione della lotta rivoluzionaria: organizzazione dell’autodifesa, prime forme di clandestinità, azioni dirette…

Le Brigate Rosse hanno colto questa esigenza e si propongono di passare da queste prime esperienze che costituiscono una fase tattica necessaria, alla fase strategica della lotta armata.

  1. Quali sono le condizioni perché questo passaggio avvenga?

Nessun movimento rivoluzionario armato che lotta per il potere può affrontare lo scontro senza essere in grado di realizzare due condizioni fondamentali: 1) misurarsi con il potere a tutti i livelli (liberare i detenuti politici, eseguire condanne a morte contro i poliziotti assassini, espropriare i capitalisti, ecc.) e naturalmente dimostrare di saper sopravvivere a questi livelli di scontro; 2) far nascere un potere alternativo nelle fabbriche e nei quartieri popolari.

  1. Che intendete per potere proletario alternativo?

Intendiamo dire che la rivoluzione non è solo un fatto tecnico-militare, e l’avanguardia armata non è il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma il suo punto di unificazione più alto, la sua richiesta di potere.

  1. Su quali direttrici intendete muovervi in questa fase?

Nei mesi passati la nostra preoccupazione fondamentale è stata quella di radicare nel movimento di classe un discorso strategico. Oggi riteniamo che sia decisivo lavorare alla sua organizzazione. Si tratta cioè di radicare le prime forme di organizzazione armata nella lotta quotidiana che nelle fabbriche, nei rioni, nelle scuole mira a spezzare l’offensiva tattica della borghesia. E ciò combattendo il terrorismo padronale nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi senza separare la lotta alla organizzazione capitalistica del lavoro e della vita sociale dalla lotta all’organizzazione capitalistica del potere; affrontando lo squadrismo fascista e colpendo con durezza adeguata nelle persone e nelle cose i suoi organizzatori politici e militari; non concedendo impunità agli sbirri, alle spie e ai magistrati che attaccano il movimento di classe nei suoi interessi e nei suoi militanti. Da un punto di vista immediato questa azione deve consentirci di mantenere alti livelli di mobilitazione popolare impedendo l’affermarsi di correnti pessimistiche e liquidatorie. E piú in generale questo scontro non si concluderà con un ritorno alla situazione precedente ma costituirà la premessa per lo scontro strategico: per la lotta armata per il potere.

  1. Ma allora le Brigate Rosse sono organismi di transizione?

No, perché la lotta armata non può essere affrontata con organismi intermedi come potrebbero essere i comitati di base, i circoli operai-studenti o le stesse organizzazioni politiche extraparlamentari. Essa necessita sin dall’inizio dell’organizzazione strategica del proletariato.

  1. Intendete dire il Partito?

Esatto. Le BR sono i primi punti di aggregazione per la formazione del Partito Armato del Proletariato. In questo sta il nostro collegamento profondo con la tradizione rivoluzionaria e comunista del movimento operaio.

  1. Che posizione avete nei confronti dei gruppi extraparlamentari?

Non ci interessa sviluppare una sterile polemica ideologica. Il nostro atteggiamento nei loro confronti è innanzitutto determinato dalla posizione sulla lotta armata. In realtà nonostante le definizioni rivoluzionarie che questi gruppi si attribuiscono al loro interno prospera una forte corrente neo-pacifista con la quale non abbiamo niente a che spartire e che riteniamo si costituirà al momento opportuno in una forte opposizione all’organizzazione armata del proletariato. Mentre invece, sicuramente un’altra parte dei militanti accetterà questa prospettiva. Con essi il discorso è aperto. Certo questa non è l’unica discriminante, rimangono questioni fondamentali relative ai tempi e alla tattica da seguire oltre che la questione fondamentale della proletarizzazione dell’organizzazione. Noi non accettiamo la mistificazione che tende ad identificare le attuali avanguardie per avanguardie di classe. Il problema della costruzione della avanguardia politica ed armata del proletariato è tuttora aperto e non può essere risolto battendo la strada dei facili trionfalismi di gruppo, né con progetti di aggregazione di forze non significative dal punto di vista di classe.

  1. Come considerate le accuse che alcuni gruppi della sinistra extraparlamentare hanno mosso nei vostri confronti?

Dobbiamo qui distinguere due tipi di accuse: l’una è in sostanza una critica al nostro “avventurismo” e a proposito della quale abbiamo solo da dire che avventurismo è affrontare lo scontro con la borghesia armata senza adeguato strumento. E a questa verifica non potrà sfuggire neppure chi ci muove questa critica con spirito militante. L’altra che è una calunnia con la quale si tende a presentarci come provocatori o fascisti non ammette una risposta politica ma costituirà al momento opportuno un fatto di cui dovranno rendere conto coloro che l’hanno formulata. Più in generale al di là di queste accuse, noi crediamo che la sinistra subirà col progredire dello scontro di classe un processo di polarizzazione in cui la discriminante sarà inevitabilmente la posizione sulla lotta armata. In questo processo verrà coinvolto anche il PCI. Per questo rifiutiamo ogni settarismo ideologico, proprio degli intellettuali pseudorivoluzionari e riaffermiamo la nostra posizione fortemente unitaria con tutti i compagni che sceglieranno la via della lotta armata.

Brigate Rosse
Settembre 1971

Pubblicato in PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996.

Rivendicazione incursione nella sede MSI di Cesano Boscone (MI)

Le Brigate Rosse hanno occupato e perquisito la sede del MSI di Cesano Boscone rendendo all’impotenza il fascista presente. L’unica democrazia per gli sfruttati è il fucile sulla spalla degli operai. La strada che hanno preso è dunque quella della risposta diretta alla controrivoluzione armata dei padroni, e quella della giustizia proletaria esercitata dal popolo in armi. I fascisti assassini non devono disporre di alcuna agibilità politica nei nostri quartieri, nelle nostre fabbriche né altrove. Per questo ora diciamo: “Questa sede si deve chiudere, si deve chiudere in fretta”. Altrimenti ci penseremo noi e sarà peggio. A Milano, a Torino, a Roma e altrove le Brigate rosse insieme al movimento di resistenza popolare hanno combattuto al grido “contro il fascismo guerra di classe”. Hanno distrutto sedi, perquisito case, requisito armi, sequestrato documenti, incendiato macchine, case, negozi, arrestato e interrogato squadristi. Nessun fascista si illuda. Le Brigate rosse andranno avanti su questa via, la via della lotta armata contro il fascismo e contro lo stato. Il voto non paga! Prendiamo il fucile!

Brigate Rosse

Fonte: Vincenzo Tessandori, BR. Imputazione: banda armata. Cronache e documenti delle Brigate Rosse, Garzanti, Milano 1977 e succ. ed.

Opuscolo BR n.12. Riprendere l’offensiva dentro gli ospedali

Oggi fare il punto sulla situazione del nostro settore, per riorganizzarci dando forza e continuità all’antagonismo espresso nel passato, significa innanzi tutto analizzare gli ultimi anni e, nel fare questo, cogliere gli aspetti che hanno determinato difficoltà e battute di arresto nello sviluppo delle lotte e l’organizzazione proletaria antagonista.

Fare finta di ignorare, per es., l’attacco durissimo che oggi lo stato e i padroni stanno portando alle condizioni di vita e di organizzazione all’intero proletariato (come ultimi es., i 24.000 in cassa integrazione alla FIAT e le periodiche campagne di distruzione di ogni forma di dissenso) vuol dire tagliarsi le gambe prima di cominciare a camminare.

La borghesia si trova a dover tappare le falle di un sistema produttivo reso sempre più scricchiolante dagli effetti di una crisi che ormai ha assunto un carattere costante ed irreversibile. In questa affannosa rincorsa deve stroncare sul nascere, e ancor prima che questo si manifesti, ogni più elementare bisogno che il proletariato esprime.

I momenti fondamentali di questo attacco sono due: l’ARMA DELLA MOBILITA’ e LA MILITARIZZAZIONE. Mobilità intesa come strumento di divisione e smembramento della composizione di classe oltre che come impiego più funzionale della forza lavoro ai fini produttivi. Nei piani dei padroni noi serviamo “mobili” e cioè dovremo essere sempre più disponibili, malleabili pronti ad essere spostati ovunque e soprattutto docili all’uso di questo strumento che rappresenta l’ostacolo al raggiungimento dell’unità di classe: la polverizzazione dell’organizzazione autonoma del proletariato. Ma se la mobilità diventa lo strumento per accrescere la stratificazione proletaria, la militarizzazione è l’arma con cui si cerca di annientare il proletariato e la sua capacità di lotta. Capire che oggi la militarizzazione è l’arma decisiva per l’imposizione dei progetti di ristrutturazione, comprendere come questa quindi è diventata pratica quotidiana ed ha impregnato di sé tutta la società, significa prendere atto di una situazione mutata, perché mutati o addirittura spazzati via dalla crisi sono i margini entro cui ci si poteva illudere di sfruttare gli “spazi democratici”, le contraddizioni interne alla borghesia e qui dentro realizzare gli interessi di classe.

Oggi, e non siamo solo noi che lo affermiamo, ma è la realtà quotidiana che lo dimostra, tutto l’apparato borghese si è ricompattato su di un progetto di annientamento politico e fisico del proletariato e della sua organizzazione.

Prendere atto di ciò deve però significare fare il passo in avanti per uscire dalla stasi forzata in cui, nel nostro settore, ristagnano l’organizzazione autonoma e il movimento antagonista della classe. Nell’autunno del ’78 dentro gli ospedali si è sviluppato un forte movimento antagonista deciso a dare battaglia su quelli che oggi sono i punti centrali dell’attuazione della ristrutturazione sanitaria. Il governo e i sindacati già allora parlavano dell’infermiere unico polivalente (un robot tuttofare), del rilancio della medicina privata e della creazione di nuove barriere per impedire ai proletari di curarsi adeguatamente, in definitiva stavano dando un’ultima pennellata alla cosiddetta riforma sanitaria. Noi lavoratori ospedalieri gli abbiamo dato subito una risposta molto chiara: NO alla robotizzazione dell’infermiere attraverso il cumulo delle mansioni (professionalità), aumenti sostanziali in paga base, (100mila mensili), riduzione dell’orario di lavoro a 36 ore settimanali, rifiuto del taglio della spesa sanitaria, nuove assunzioni e costruzione di nuovi ospedali. Su questi contenuti il movimento autonomo della classe andò ad organizzarsi con le assemblee permanenti, espressione della nostra volontà di battersi ad oltranza. Furono organizzati i cortei interni ai reparti per impedire ai caposala di ricattare i lavoratori e per ricacciare i crumiri, furono organizzate manifestazioni cittadine e per ultima la grandiosa dei 30mila a Firenze. Tutti i lavoratori ospedalieri hanno ben vivo il ricordo di quale fu la risposta dello stato alle aspettative, ai bisogni, al programma che il nostro movimento aveva espresso: una risposta brutale che si articolò immediatamente sul piano militare e politico. Alle assemblee permanenti si presentarono ispettori sindacalisti e poliziotti. Gli ispettori schedavano i lavoratori più combattivi per passare poi i nominativi alle  direzioni sanitarie, i sindacalisti cercando di demoralizzare i lavoratori e facendo del terrorismo psicologico prospettando l’imminente repressione poliziesca, i poliziotti sciogliendo a mano armata le assemblee e caricando i lavoratori persino all’interno delle corsie. E per ultima intervenne la magistratura accusandoci di truffa aggravata (parlano proprio loro) dato che si timbrava il cartellino senza lavorare e denunciando i nominativi, passati dalle direzioni sanitarie, dei proletari in lotta. I cortei interni furono affrontati con lo stazionamento fisso dei blindati nei posti di lavoro. Come ricordiamo a seconda del periodo negli ospedali c’erano da 1 a 3 oppure più blindati, senza contare il codazzo di sbirri in borghese della DIGOS che si aggiravano nei viali e per le corsie per individuare momenti di propaganda e di lotta.

Anche i cortei interni furono affrontati nello stesso modo (valga per tutti l’esempio del corteo che si fece al Pio Istituto che fu caricato con estrema violenza e a freddo dalla polizia). Fu così che centinaia, migliaia di lavoratori ospedalieri furono intimiditi, schedati, incarcerati.

È COSÌ CHE NEL SETTORE OSPEDALIERO SI SONO DETERMINATE PER IL MOVIMENTO DI CLASSE LE NUOVE CONDIZIONI ALL’INTERNO DELLE QUALI LA LOTTA DEVE SAPERSI SVILUPPARE.

Due sono le caratteristiche principali di questa nuova fase:

1) l’impossibilità per lo stato, nel quadro dell’attuale crisi strutturale del capitalismo, di andare a compromessi con i bisogni, le tensioni, i punti fondamentali di un programma operaio attraverso una politica di integrazione riformista;

2) l’intervento armato dello stato nei processi di ristrutturazione come controparte politica dell’autonomia di classe, e quindi di apparente defilamento delle controparti immediate della lotta proletaria.

È in questo quadro e in queste MUTATE condizioni che il movimento di lotta del ’78 è andato a scontrarsi, ed è questo salto, questa necessità della borghesia di annientare ogni bisogno ed interesse proletario, a trasformare ogni lotta in questione di “vita o di morte” per il capitalismo, che ancora oggi stenta a riprendere l’iniziativa e a ridare forza maturità e continuità, ai contenuti espressi con quel ciclo di lotte. Non serve però a nessuno leccarsi le ferite e guardare con nostalgia al passato. Da questo, da quello che ha rappresentato, bisogna partire con condizioni che sono mutate, con un progetto di ristrutturazione che dalle parole è ormai passato ai fatti, con rapporti che segnano un punto a favore della borghesia (non è invenzione di qualcuno il fatto che, negli ultimi due anni negli ospedali, la lotta ha stentato a mantenere un livello di continuità e di stabilità).

Non ha più nessun senso continuare ad affermare la giustezza di forme “legali” di organizzazione della lotta (come collettivi, coordinamenti etc.). Sostenere questo significa non aver capito che la nostra lotta quando assume una forma definita e concreta, si configura immediatamente come lotta che mette in discussione tutta la globalità dei piani di ristrutturazione antiproletaria. L’esigenza per la borghesia di annientare ogni forma di bisogno ed interessi di classe diventa necessità vitale per continuare a mantenere il suo dominio, e nel fare ciò pone il massimo della sua forza in campo. Chi non comprende ciò, chi non capisce che vengono fatte vivere e vegetare come legali le sole forme di organizzazione che in nessun modo serviranno alla lotta proletaria, prima ancora che un illuso è un opportunista.

Tutti, i proletari più coscienti e le avanguardie della classe dobbiamo fare per forza i conti con questa realtà, se vogliamo riuscire a rendere possibile la rinascita e la ripresa delle lotte alla ristrutturazione nelle condizioni date. È necessario costruire un’organizzazione stabile delle lotte, il più possibile protetta dai colpi della repressione, che attui un programma operaio con tutti i mezzi al livello dello scontro attuale e dentro questi rapporti di forza. Certo si tratta di non cadere nell’avventurismo, avendo però coscienza che il peggior avventurismo è quello di chi, inchiodato dalla repressione, vuole continuare a lottare alla vecchia maniera, come se niente fosse avvenuto. Avventurismo è organizzare la lotta su certi punti senza preparare adeguatamente i lavoratori alle conseguenze che l’attuazione di questi punti comporterà in termini di scontro e di potere. È quello di chi propaganda parole d’ordine da un punto di vista strategico, come la riduzione dell’orario di lavoro senza capire che non si tratta di una semplice rivendicazione ma di un punto che, se attuato, rimette totalmente in discussione in questa fase gli attuali rapporti di forza e di potere.

I rapporti di forza tra il proletariato ospedaliero da una parte, e il governo, la regione, i sindacati, le amministrazioni ospedaliere dall’altra non sono favorevoli ai primi, nell’attuale congiuntura; la sconfitta del ’78 pesa ancora su tutti noi, senza contare la lenta ma concreta avanzata dei processi di ristrutturazione; si tratta di riprendere le fila dell’organizzazione proletaria creando in un primo momento i NUCLEI CLANDESTINI DI RESISTENZA, come momento e rete di discussione, organizzazione e lotta sui contenuti di un programma operaio che faccia fino in fondo i conti con il processo di ristrutturazione in atto che ha come primo grosso momento di applicazione il contratto firmato il giugno scorso.

I NCR non li concepiamo assolutamente come gruppetti di “vecchi compagni” di avanguardie di lotta incazzate, che dopo il ’78 intendono proseguire la lotta con altri mezzi. In questa fase di transizione alla guerra di classe, il problema dei “mezzi” non si risolve con una sostituzione unilaterale, ma con un arricchimento del patrimonio di lotta proletario.

Noi diciamo: i proletari devono lottare contro la ristrutturazione con tutti i mezzi. Il problema grosso è un altro e riguarda il modo di organizzare i processi di lotta. Bisogna definitivamente capire che la lotta contro la ristrutturazione e la militarizzazione È UNA LOTTA DI POTERE e non rivendicativa. NOI NON RIVENDICHIAMO, PER ES. L’ABOLIZIONE DELLO STRAORDINARIO, DOBBIAMO COSTRUIRE LA FORZA E LA CAPACITÀ DI IMPORLA.

Cambia evidentemente il modo di lottare e conseguentemente di organizzarsi. Noi comunisti delle BR proponiamo ai proletari ospedalieri di organizzarsi in NCR rispetto al potere come prime forme stabili dell’organizzazione proletaria e della mobilitazione permanente della classe. Strutture cioè che sappiano sintetizzare in programmi di lotta i bisogni e le tensioni della classe, organizzare clandestinamente la ripresa delle lotte, perché solo così oggi è possibile lottare contro i processi di ristrutturazione e affrontare preparati la repressione armata che questi processi richiedono per essere attuati.

D’altra parte clandestinità non vuol dire isolarsi dalle masse, arroccarsi sulla difensiva, come sbandiera chi deve trovare un alibi per giustificare il proprio opportunismo, ma al contrario significa avere la possibilità di rappresentare gli interessi storici e immediati della classe senza travestimenti opportunistici, tutti tesi ad evitare la rappresaglia del nemico. Non abbiamo mai affermato che la clandestinità è sinonimo di imprendibilità dei singoli compagni. Questa convinzione che molti proletari hanno assunto in passato è il frutto velenoso di un certo idealismo ed è l’opera di propaganda controrivoluzionaria dei mass-media. Le forme clandestine dell’organizzazione proletaria in questa fase, sono la condizione necessaria e indispensabile per assicurare piena autonomia politica e di lotta all’organizzazione di classe da costruire, e non una “soluzione” che fa diventare lo scontro meno duro per i proletari.

È questo l’unico modo possibile per ricreare quella capacità di lottare che le nuove condizioni hanno distrutto nelle vecchie forme di organizzazione. Assumere un carattere di clandestinità rispetto al potere significa essere in grado di organizzarci e di lottare sui nostri bisogni senza essere individuati facilmente dal nemico, senza correre il rischio, come nel passato, che la lotta si blocchi alle prime ventate repressive, altrimenti sarà sempre e solo la borghesia a stabilire su che cosa, come, e fino a che punto lottare.

Riorganizzarci sotterraneamente, creando una rete clandestina di discussione e organizzazione dei lavoratori ospedalieri, che sappia far ripartire la lotta contro la ristrutturazione antiproletaria negli ospedali in maniera efficace: solo in questo modo si può attuare la possibilità di lottare stabilmente nelle nuove condizioni.

ORGANIZZANDOCI IN NUCLEI CLANDESTINI DI RESISTENZA RISPETTO AL POTERE, PER LOTTARE SUI NOSTRI BISOGNI NELLE NUOVE CONDIZIONI. Compagni, dopo la stagione di lotte del ’78, che si caratterizzò come un primo grosso momento di resistenza dei lavoratori ospedalieri ai programmi padronali rispetto alla politica  sanitaria e come espressione delle proprie necessità, il processo di ristrutturazione antiproletario nel nostro settore è continuato a marciare con lentezza ma inesorabilmente. Questo trova la sua causa principale nella necessità che la borghesia ha di reperire capitali da investire nella grande impresa multinazionale, tagliando al massimo le spese in altri settori, come in quello della sanità e dell’erogazione di servizi sociali. Da questa parte il piano Pandolfi, quando afferma che il taglio della spesa pubblica, e nel nostro caso della spesa sanitaria, diventa una delle condizioni necessarie ed indispensabili per il contenimento e la gestione della crisi. Per il capitale non è più possibile destinare quote rilevanti alla salute pubblica, continuare cioè nella politica assistenziale e di autolegittimazione che lo ha caratterizzato nella fase espansiva: non ha più la possibilità di rendere compatibili le proprie leggi di accumulazione con i bisogni e le richieste del proletariato. La riforma sanitaria e il piano sanitario nazionale traducono questa necessità improrogabile in progetto, in realtà nel campo sanitario: RIDURRE tutte le spese e comunque non spendere una lira di più di quanto speso nel ’77. È questa la filosofia e la parola d’ordine che attraversa l’intero piano sanitario nazionale, FILOSOFIA DI PEGGIORAMENTO E DI ANNIENTAMENTO, diciamo noi! Infatti se da un lato si abbatte su di noi ospedalieri come ristrutturazione, come nocività, come aumento della produttività attraverso l’intensificazione dello sfruttamento, fino ed oltre i limiti della sopportazione, aumentando i ritmi ed i carichi di lavoro e assumendo sempre meno personale, più in generale, ma non per questo meno concretamente, si abbatte sull’intero proletariato. È infatti la necessità di ridurre tutte le spese in campo sanitario, coniugate con il punto di vista del capitale sulla salute, e cioè costo di un posto letto, costo di un proletario ammalato, di un medicinale, di un lavoratore ospedaliero, non poteva che tradursi in una politica di genocidio verso il proletariato.

Diminuzione dell’assistenza gratuita e peggioramento di quella che rimane attraverso il blocco delle assunzioni negli ospedali e l’intensificazione dello sfruttamento del nostro lavoro (come ben sappiamo nei reparti non ci sono che uno o due infermieri per 50-60-70 ammalati). Blocco totale della costruzione di nuovi ospedali e quindi di nuovi posti letto. Riduzione sempre maggiore della possibilità di entrare in ospedale per “curarsi” attraverso la creazione di fantomatiche strutture filtro (come gli hospital-day) che impediscono di fatto i ricoveri. Aumento delle spese che i malati devono sostenere per i medicinali (come i vari ticket).

E’ questa l’assistenza che offre la democratica riforma sanitaria, strettamente interconnessa all’attuazione di questi obiettivi è fondamentale la entrata ufficiale (sancita con l’ultimo contratto) della medicina privata e a pagamento dentro gli ospedali che, oltre a premiare lo zelo antiproletario delle baronie mediche ed accrescere in misura ancora maggiore il loro potere mafioso e clientelare sui proletari dentro gli ospedali, assicura la possibilità concreta di curarsi solo a chi può permettersi di spendere una montagna di soldi. Per gli altri, per i proletari, rimane la speranza di potersi curare solo e soltanto quando sono più morti che vivi (e la riduzione dell’accettazione dei ricoveri lo dimostra ampiamente).

Queste sono le politiche concrete che la borghesia nella sua riforma sanitaria e nel piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali, sta attuando, mettendo a punto, praticando.

La sua risposta alla crisi nel tentativo di conservare inalterati questi rapporti di produzione, si traduce puntualmente nel peggioramento delle nostre condizioni. A questa politica di genocidio del proletariato dal punto di vista del capitale e cioè di una “assistenza limitata e per pochi” contrapponiamo il nostro punto di vista, le esigenze espresse in 10 anni di lotta. IMPONIAMO IL DIRITTO PROLETARIO ALLA SALUTE.

Quanto oggi le parole contenute all’interno del piano sanitario nazionale stiano cominciando a diventare realtà lo si legge nel contratto di giugno e lo sentiamo sulla nostra pelle ogni giorno di più dentro gli ospedali. Quello che i padroni lo stato e i bonzi sindacali hanno firmato non è solo il classico contratto bidone ma assume la forma di un contratto di ristrutturazione, di un vero e proprio programma “tattico” all’interno del programma complessivo di ristrutturazione della sanità. Esso non è solo la svendita di un patrimonio di lotta, una serie di prese per il culo  come il passato. Per gli obiettivi che sono contenuti al suo interno esso si pone all’avanguardia nel portare avanti il processo di ristrutturazione antiproletario.

Il fine ultimo del contratto diventa lo stesso del piano sanitario triennale: taglio della spesa sanitaria attraverso il bilancio della produttività. In questo quadro il sindacato si rivela in tutto e per tutto (se a qualcuno non fosse ancora chiaro) esecutore dei programmi capitalistici, vera e propria articolazione della borghesia dentro la classe con lo scopo di annichilire ed annullare l’identità e la coscienza proletaria. La mobilità e la professionalità, elementi centrali intorno a cui ruota tutto il contratto diventano il mezzo principale per il contenimento della spesa sanitaria, attraverso un’intensificazione dello sfruttamento. Il piano sanitario triennale, e ancora maggiormente il contratto appena firmato, sono espliciti quando affermano che la professionalità va intesa come “modalità necessaria alla ristrutturazione organica dei servizi” e quando dicono che “l’adeguamento degli organici venga attuato mantenendo uno stretto collegamento tra iniziative di riqualificazione ed ampliamento degli organici”.

PIÙ CHIARO DI COSI’!!!

La professionalità che oggi si cerca di far passare non è, come affermano le iene sindacali, una condizione per il miglioramento dell’assistenza sanitaria ma diventa un vero e proprio tentativo di distruzione politico e fisico del proletariato ospedaliero. Ci ricordiamo tutti come nella fase precedente la lotta sul mansionario era una delle forme di resistenza più vincente e che dava più fastidio alle amministrazioni, determinando una rigidità nell’uso che loro fanno della nostra forza lavoro. E’ principalmente come risposta a questo comportamento di resistenza nostro che i padroni e i loro lacchè sindacali hanno cominciato a battere grancassa sulla professionalità, propagandata appunto come migliore capacità di assistenza, quando tutti sanno che da sempre i lavoratori ospedalieri fanno tutte le mansioni, titolo o non titolo; solo che se prima si potevano ribellare nei momenti di lotta rifiutano il cumulo delle mansioni adesso, “professionalizzati”, col titolo, quel tipo di spontaneità nei comportamenti di lotta diventa molto più difficile. L’infermiere “professionalizzato” e reso così “polivalente”, regolamentato una volta per tutte nelle sue capacità produttive, può e deve essere spostato in ogni buco, dovunque si verifichi una carenza di organico. Risulta in questo modo notevolissima la differenza tra i nuovi operai professionali e la vecchia figura degli infermieri professionali di qualche anno fa. I primi sono già supersfruttati che si vedono imporre grossi carichi di lavoro in cambio di un incentivo salariale che progressivamente risulta vanificato dall’inflazione; i secondi invece erano delle “mosche bianche”, una figura quantitativamente esigua, addetta a mansioni “pulite” e soprattutto in passato, a controllare e, in qualche caso, a comandare la gran massa dei lavoratori qualificati.

L’“adeguamento delle piante organiche” poi, non significa nei piani dei padroni nuove assunzioni e possibilità di fare turni meno massacranti, ma ha il significato di una riduzione di personale che è “professionalizzato” e reso mobile, e si vede imporre maggiori carichi di lavoro e un impressionante cumulo di mansioni. Tutto ciò comporta di fatto un aumento notevole della nocività esistente nell’ambiente e nelle condizioni di estrema precarietà in cui siamo costretti a lavorare. Infatti oltre alla pericolosità del lavoro specifico di certi settori e reparti come radiologia, radioterapia, che a pieno titolo sono e rimangono al primo posto della graduatoria dei lavori più nocivi all’interno degli ospedali, la nocività vive all’interno del posto di lavoro sempre più un carattere strutturale che attraversa tutti i reparti e le mansioni, senza “privilegiare” alcuno. È questo uno dei prezzi che la borghesia oggi ci vuol far pagare per riuscire ad attuare il taglio della spesa sanitaria e assistenziale. Gli aspetti concreti che ogni giorno di più determinano queste condizioni sono ben noti a tutti i proletari ospedalieri:

  1. a) CARICHI E RITMI DI LAVORO. Ci troviamo a lavorare in corsie dove la quantità di assistenza è sempre maggiore, in quanto ci si trova con malati gravi e bisognosi di cure, con un organico sempre più ridotto all’osso. Le conseguenze di tutto ciò sono continui sforzi fisici, che, dal punto d vista della prevenzione della nostra salute, nel tempo, si traducono in vere e proprie malattie professionali.
  2. b) MANCANZA DI MATERIALI. Le condizioni precarie in cui siamo costretti a lavorare per la mancanza di materiale aumenta notevolmente il rischio di contrarre malattie; lo sappiamo bene cosa significa fare delle medicazioni o pulire i malati sporchi senza guanti, oppure senza l’uso di disinfettanti appropriati; lo sappiamo bene, perché le scontiamo sulla nostra pelle! E questo non riguarda solo la nostra salute, ma anche quella dei proletari già ammalati: nella situazione di igiene precaria in cui sono tenuti in tutto il periodo di degenza, il più delle volte finiscono per contrarre altre malattie: le infezioni incrociate sono all’ordine del giorno!

È così che la borghesia intende risparmiare intensificando lo sfruttamento, rendendoci disponibili ad essere spostati ovunque e a dover svolgere una volta per tutte e per sempre nei reparti le mansioni dell’ausiliario, del generico e del professionale, bloccando di fatto le piante organiche. Tutto il discorso sulla professionalità inoltre si lega perfettamente a quello della politica della “deospedalizzazione”. L’esempio più chiaro di come oggi viene attuata questa politica è il periodo della degenza del malato chirurgico; prima si assisteva a:

1) periodo preparatorio all’intervento, che consisteva negli accertamenti diagnostici;

2) periodo che consisteva nell’intervento;

3) periodo post-operatorio, in cui il malato veniva riabilitato e poi dimesso.

Oggi il 1) e il 3) vengono rimandati ai poliambulatori, considerati le “strutture filtro” (e sappiamo benissimo quali livelli di assistenza minima, se non inesistenti, queste strutture offrono agli ammalati).

La tanto sbandierata “politica di prevenzione della salute pubblica” che comporta la riforma sanitaria si traduce così solo in un restringimento maggiore di quei livelli di assistenza già tanto schifosi che prima era comunque possibile avere garantiti.

Alla riduzione del numero dei ricoveri, deve corrispondere una progressiva diminuzione del personale impiegato ed una riqualificazione (con tutti gli effetti che questo comporta per noi) a tappe forzate dei lavoratori ospedalieri che così possono essere impiegati in modo funzionale all’intervento di questa nuova strutturazione del sistema di “assistenza sanitaria”. È evidente che così la ristrutturazione interna agli ospedali, da una parte, e cioè tutti quegli aspetti che determinano un peggioramento delle condizioni di vita, economiche e politiche, di noi che dentro gli ospedali ci lavoriamo, e la ristrutturazione più generale della struttura del sistema sanitario, con tutti gli effetti che questo induce nel peggioramento delle condizioni di assistenza sanitaria ai proletari ammalati e nell’impossibilità ormai sempre maggiore di curarsi decentemente e gratuitamente, sono le due facce di una stessa medaglia.

ALTRO CHE PROFESSIONALITÀ UGUALE
MAGGIORE QUALIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA MEDICA!

Per attuare questi progetti criminali, l’apparato sindacal padronale usa l’arma ricattatoria di una politica salariale differenziata con incentivi di un milione l’anno per gli infermieri riqualificati, legando così il salario alla professionalità (leggi sfruttamento ancora maggiore) e quindi alla disponibilità del lavoratore di farsi anni di scuola al di fuori dell’orario di lavoro, per poi essere in definitiva spremuti peggio dei limoni.

Dopo che per anni abbiamo lottato per un drastico ridimensionamento del ventaglio salariale in funzione di una maggiore unità di classe e per il soddisfacimento dei bisogni di tutto il proletariato ospedaliero, ecco la durissima risposta che si è data con l’ultimo contratto: aumento delle differenziazioni salariali (ben due livelli), per quanto riguarda le qualifiche operaie, della maggiore professionalità, e cioè di un maggiore sfruttamento e di carichi di lavoro a cui i lavoratori sono chiamati a sottomettersi. Il discorso è chiarissimo se non volete diventare dei robot supersfruttati, se volete il riconoscimento delle mansioni effettivamente svolte senza subire tre anni di ricatti, sacrifici, lavaggio del cervello, con le scuole di riqualificazione professionale, ebbene, se non volete tutto questo, continuate a stare con una paga da fame al 4° livello vita natural durante.

La professionalità e la mobilità oggi devono essere combattute come i peggiori nemici, come il momento di massimo sfruttamento del proletariato ospedaliero. Attorno a questi elementi che diventano il cuore del processo di ristrutturazione negli ospedali, ruotano una serie di aspetti e momenti che non sono certo di secondaria importanza: le scuole di riqualificazione e formazione professionale, gli straordinari, l’introduzione di forme di lavoro tipo part-time.

  1. A) Le varie scuole di formazione di riqualificazione professionale assumono una funzione sempre più rilevante all’interno dei programmi di ristrutturazione del settore. La “professionalizzazione” a tappe forzate del proletariato ospedaliero trova sin da oggi un momento di operatività e di attuazione attraverso queste scuole che costituiscono di fatto il meccanismo con il quale lo stato vuole riciclare in termini produttivistici e cioè di SUPERSFRUTTAMENTO tutta la classe operaia ospedaliera. Ma oltre ad avere questa funzione importantissima di selezione, rincoglionimento ideologico, politico e di controllo rispetto al proletariato ospedaliero da qualificare queste cosiddette scuole rappresentano una delle più grosse reti di lavoro nero di cui il capitale dispone a livello nazionale. Nello specifico la progettazione di queste scuole avviene a livello internazionale. Questi sono gli aspetti fondamentali di funzionamento di tali istituzioni: durata triennale, che si divide a sua volta in un corso teorico e uno pratico (sfruttamento tirocinio negli ospedali) per un totale complessivo di 4600 ore. Con il pretesto di “imparare una professione” migliaia di giovani proletari, i cosiddetti allievi, vengono spremuti come limoni nelle corsie degli ospedali nelle quali sono costretti a LAVORARE (altro che imparare!) come e in qualche caso maggiormente degli stessi lavoratori già assunti. Questi proletari sono soggetti ai ricatti peggiori: mobilità selvaggia (quando manca del personale in un reparto, l’allievo viene spedito a chiudere quella falla, e questo anche in caso di sciopero del personale); se gli ispettori che compilano i turni di lavoro sanno che quel giorno sono disponibili gli allievi, si preoccupano subito di tagliare le “unità superflue” da quel reparto. Ricattabilità derivante dall’estrema precarietà di quel ruolo che si esplica con la selezione, con l’espulsione dalla scuola per chi esprime conflittualità, con un controllo accuratissimo su ogni soggetto e i suoi comportamenti, per cui di ogni proletario si chiede una scheda ricca di informazioni. E alla fine del mese vengono (e neppure puntualmente) pagati per un cosiddetto “assegno di studio” (dalle 80 alle 180mila lire) che costituisce in realtà il prezzo miserabile del lavoro loro estorto. Il ricorso massiccio a questa forma di supersfruttamento pagato una miseria, la consistenza numerica di questi proletari impiegati come jolly in tutti i reparti e in tutte le mansioni è tale che senza di loro moltissimi ospedali di fatto si bloccherebbero. Le amministrazioni ospedaliere in questo modo si garantiscono, oltre che con gli straordinari, la possibilità di coprire i buchi nelle piante organiche del personale, che, il sostanziale blocco delle assunzioni, sancito di fatto dal piano sanitario triennale e perfezionato nell’ultimo contratto, ha reso permanente in tutto il settore. Per gli allievi che si ribellano a questo stato di cose scatta quasi sempre l’esclusione dal corso effettuata attraverso una “opportuna” e “provvidenziale” bocciatura agli esami. Questo spessissimo significa tornare al paese d’origine (i corsi non stanno in tutte le regioni, e soprattutto al sud) senza la possibilità di trovare lavoro oppure essere ributtati in una condizione di emarginazione e di estrema precarietà del reddito nelle borgate e nei quartieri ghetto. Tutto ciò dà la misura dei ricatti e della violenza a cui questi proletari sono sottoposti, che se da una parte ha provocato e continua a provocare un antagonismo spontaneo e irriducibile alla ristrutturazione e alle figure di comando e di controllo su di loro, dall’altra parte ha permesso alle amministrazioni di usare la loro forza lavoro in più di un’occasione per sostituire i lavoratori in lotta, per dividere e frantumare il loro fronte e reprimere così più facilmente il loro movimento. Riuscire a legare in un programma di lotta del proletariato ospedaliero anche i bisogni e le tensioni che queste figure esprimono, diventa una tappa fondamentalmente necessaria nella costruzione di nuovi rapporti di forza e di potere all’interno degli ospedali.
  1. B) L’utilizzo di un’enorme massa di ore straordinarie (e con il recente contratto non viene stabilito nemmeno un tetto massimo ed anzi è introdotta una clausola sulla possibilità di costringere i lavoratoti ad effettuare ore di straordinario obbligatorio) che parte dei lavoratori fa per integrare un salario di merda, permette alle direzioni sanitarie di coprire le carenze croniche di personale nei reparti senza per questo dover assumere un ruolo proletario in più (una recente inchiesta della stessa borghesia ha dovuto ammettere che le ore straordinarie effettuate in un anno negli ospedali romani equivalgono a 7.000 posti di lavoro).
  1. C) Infine appare per la prima volta nel contratto di giugno la possibilità di utilizzo del part-time in alcuni casi. Al di là delle giustificazioni demagogiche con cui ci hanno riempito la testa col part-time (il quale avrebbe la funzione di permettere più tempo libero) questa forma di lavoro rappresenta uno dei modi più schifosi di sfruttamento, che non assicura neppure un livello minimo di sopravvivenza. Perché pagare otto ore a chi si trova a lavorare in posti dove, aumentando abilmente ritmi e carichi di lavoro per noi, questo può essere svolto in quattro ore? Non si può dire certo che i padroni non sappiano fare i loro calcoli e giudicare le proprie convenienze.

LOTTA ALLA PROFESSIONALITÀ, ALLA MOBILITÀ’, AGLI STRAORDINARI, STRUMENTI USATI PER INTENSIFICARE LO SFRUTTAMENTO E MANTENERE IL BLOCCO DELLE PIANTE ORGANICHE, LOTTA ALLA POLITICA SALARIALE DIFFERENZIATA, STRUMENTO DI DIVISIONE E RICATTO SUL PROLETARIATO OSPEDALIERO!

All’interno dei reparti inoltre stiamo assistendo ad una ripresa del comando, dell’arroganza e del controllo su di noi da parte delle direzioni sanitarie, degli ispettori, delle caposala, etc. Vediamo oggi di più come questi squallidi esecutori dei progetti antiproletari si stanno attrezzando a far passare le direttive capitalistiche della ristrutturazione della sanità con una capillare rete di controllo e di comando sugli ospedali. Non è un mistero, per es. che si siano intensificati i controlli su di noi, specie durante i turni di notte, i più massacranti, con improvvise apparizioni di questi fantasmi, per controllare se lavoriamo, con controlli sistematici sui cartellini, sull’assenteismo, sempre pronti a schedare, diffidare, inviare provvedimenti disciplinari agli elementi “pericolosi”, quelli cioè che non piegano il capo accettando passivamente di essere sfruttati in modo bestiale. Nel portare avanti quest’opera, questi topi di fogna trovano nel sindacato il loro degno compare ed alleato. I bonzi sindacali, e becchini della lotta proletaria, non paghi di farci continuamente una testa così sulla bellezza dell’efficienza produttiva (e non ci stupisce che a loro sembri “bello” lo sfruttamento di noi lavoratori), li vediamo attivissimi girare per le corsie individuando e segnalando chi cerca di lottare ed organizzarsi sui propri bisogni, e premiando, attraverso la ragnatela di potere che si sono costruiti negli ospedali sulla nostra pelle, chi invece regge il loro gioco di sottile divisione e annullamento della coscienza di classe.

Sono tutte queste figure dell’apparato burocratico, amministrativo e di comando degli ospedali, cui si affiancano di volta in volta le baronie mediche, che vedono messo in discussione dalla lotta proletaria il loro potere mafioso e clientelare, che rappresentano uno dei piedi su cui marcia il rilancio della produttività e l’intensificazione dello sfruttamento. Sono le direzioni sanitarie prima e gli ispettori poi che pianificano i turni, gli straordinari, la gente da comandare, i ritmi e i carichi di lavoro dentro gli ospedali e nei reparti. Sono loro gli autori delle lettere di trasferimento divenute ormai una prassi quotidiana, con cui il lavoratore diventa una trottola. Son sempre loro che ci troviamo di fronte come controparte immediata quando lottiamo e ci organizziamo sui nostri bisogni. Ed è contro questo apparato di comando e di controllo che il proletariato ospedaliero e le sue avanguardie devono saper portare un attacco durissimo trovando il massimo di forza e di unità.

LOTTIAMO CONTRO LE BARONIE MEDICHE E LA RIPRESA DEL COMANDO DA PARTE DELLE DIREZIONI SANITARIE E DEGLI ISPETTORI DENTRO GLI OSPEDALI.

È nella lotta contro questi aspetti centrali della ristrutturazione degli ospedali che l’organizzazione proletaria ed il movimento antagonista del proletariato ospedaliero può e deve trovare la sua maturità. È su questi punti che noi militanti comunisti delle Brigate Rosse, proponiamo di riprendere l’offensiva dentro gli ospedali. Ed è all’interno di questa offensiva che le nostre aspettative, i nostri bisogni, che per anni abbiamo gridato, urlato nelle piazze, e per i quali abbiamo duramente lottato, riprendono vita e forma reale all’interno di una prospettiva strategica. Non rimangono mere illusioni o sogni, ma vivono con sempre maggior forza. E con sempre maggior forza vengono imposti come obiettivi irrinunciabili del nostro programma, in una prospettiva di superamento di questi schifosi rapporti di produzione capitalistici, della produzione basata sul valore di scambio.

LAVORARE TUTTI LAVORARE MENO!
IMPONIAMO IL DIRITTO PROLETARIO ALLA SALUTE!

Occorre però evitare confusioni. Noi non pensiamo che oggi sia possibile (se mai lo è stato) costruire nuovi rapporti di forza con programmi di lotta che assomigliano sempre più a piattaforme alternative a quelle sindacali (da contrattarsi con chi poi?) piuttosto che a momenti di costruzione reale dell’antagonismo proletario in una prospettiva di potere. Chi invece pensa questo (e anche se non lo pensa di fatto lo fa) ha preso lucciole per lanterne! In questo modo si ottiene solo l’effetto di porre i problemi, non di porsi l’obiettivo concreto della loro risoluzione. E non ci si può più illudere, né tantomeno si può fare illudere qualcuno, che il diritto proletario alla salute, la riduzione dell’orario di lavoro, il problema della disoccupazione, sono obiettivi che possono essere raggiunti agitandoli ed inserendoli formalmente all’interno di pseudo piattaforme rivoluzionarie, né che la loro risoluzione si dia nel breve periodo e venga risolta solo e solamente in una singola lotta per quanto vasta e dura possa essere.

Oggi lo stato di crisi irreversibile a cui è giunto il MPC non lascia spazi “mediati” per il raggiungimento di questi obiettivi. Oggi la borghesia si appresta a sferrare colpi sempre più duri al proletariato, alle sue condizioni di vita e alle sue forme di organizzazione (e i 24.000 in CI alla FIAT che, malgrado un mese continuato di lotta durissima, sono passati, rappresentano un caso lampante). Persino le poche briciole che in passato venivano concesse al proletariato per soffocare i suoi bisogni immediati e politici, sono diventati un ricorso del bel tempo che fu.

Ogni bisogno proletario, qualsiasi lotta per il suo raggiungimento, al livello raggiunto dalla crisi, quindi, non può essere più assorbibile all’interno dei programmi capitalistici e di fatto si contrappongono in termini antagonistici e di potere all’attuale modo di produzione.

La sola cosa che la borghesia può offrire ai proletari è la miseria dello sfruttamento, una condizione sempre più estesa di precarietà di reddito, di emarginazione, e la violenza dei suoi apparati militari. Raggiungere realmente, e non facendoci prendere in giro con del fumo negli occhi, l’obiettivo del LAVORARE TUTTI PER LAVORARE MENO, l’imposizione del DIRITTO PROLETARIO ALLA SALUTE, significa una sola cosa: distruzione di questo modo di produzione… COMUNISMO.

E notoriamente, da che mondo è mondo, l’unico modo per non raggiungerlo sono proprio le piattaforme più o meno alternative, più o meno “rivoluzionarie”. Con questa chiarezza dobbiamo lottare ed organizzarci per imporre questi obiettivi creando rapporti di forza sempre più favorevoli al proletariato. Con questa chiarezza dobbiamo trasformare le tensioni, i bisogni, e le aspettative che vivono ogni giorno dentro le corsie, nei reparti, negli ospedali e la resistenza quotidiana alla ristrutturazione (come il mansionario) in momenti offensivi ed istanze di potere. Ed è all’interno di questo programma, all’interno del quale trova forza l’antagonismo spontaneo e la creatività proletaria, che è possibile costruire i livelli di mobilitazione dei lavoratori ospedalieri e le articolazioni del Potere Proletario Armato dentro gli ospedali.

E’ su questo terreno ed in questa prospettiva che oggi debbono nascere e crescere i nuclei clandestini di resistenza come primi momenti dell’organizzazione stabile della classe in un’ottica di potere, che si misurano su di un terreno di lotta alla ristrutturazione.

CONTRO LA MOBILITÀ, LA PROFESSIONALITÀ, GLI STRAORDINARI, STRUMENTI USATI PER INTENSIFICARE LO SFRUTTAMENTO E MANTENERE IL BLOCCO DELLE PIANTE ORGANICHE!
CONTRO LA POLITICA SALARIALE DIFFERENZIATA, STRUMENTO DI DIVISIONE E RICATTO SUL PROLETARIATO OSPEDALIERO!
CONTRO IL POTERE DELLE BARONIE MEDICHE E LA RIPRESA DEL COMANDO DELLE DIREZIONI SANITARIE E DEGLI ISPETTORI DENTRO GLI OSPEDALI!
PER LOTTARE NELLE NUOVE CONDIZIONI ORGANIZZIAMOCI IN NUCLEI CLANDESTINI DI RESISTENZA!
PER L’IMPOSIZIONE DEL DIRITTO PROLETARIO ALLA SALUTE!
LAVORARE TUTTI LAVORARE MENO!
PER LA COSTRUZIONE DEL POTERE PROLETARIO ARMATO DENTRO GLI OSPEDALI!

 

Per il Comunismo Brigata Ospedalieri
Colonna “28 marzo”
Roma, marzo 1981

 

Contenuto negli Atti del processo “Insurrezione”, Primo troncone

 

Comunicato N. 1

Un problema di fondo che ha la classe operaia in lotta in questo momento è la repressione. I padroni hanno deciso che le lotte devono finire. Denunce, arresti, licenziamenti, cariche della polizia, coltellate dei fascisti sono tutti momenti del piano repressivo dei padroni. Alla Pirelli il padrone si appresta a sostenere la battaglia contrattuale. Vediamo con quali facce si presenta. Sappiamo che direzione e polizia hanno imposto al comune di asfaltare viale Sarca per poter fare caroselli e poterci legnare.

Anche in fabbrica si è organizzato ed ha al suo servizio un esercito di servi da usare contro di noi. Questi aguzzini condividono la responsabilità di chi li paga e per questo è prudente cominciare a conoscerli e a tenerli d’occhio!

Eccone un primo elenco con qualche nota di merito.

Il primo di tutti è Ermanno Pellegrini (via Spalato, 5, tel. 603.244). Capoguardie di Cocca. Ha al suo servizio una quarantina tra poliziotti e carabinieri neo-assunti. Ha il compito di schedare chiunque di noi svolga attività politica. Invia ogni giorno un rapporto al direttore del personale ed è in contatto coi commissari di PS.

Suo degno compare è Palmitessa Luigi (via Tofane, 3, tel. 28.55.152).

Capoguardie Centro, quel bastardo che nell’ultima lotta ha fermato gli ascensori durante il picchettaggio.

Questi spioni meritano la gogna!

Nassi “boia” Giovanni (via Resi 7A, tel. 696.010) ideatore cottimo Pirelli. Da fattorino a boia.

Da abolire come il suo cottimo.

Brioschi Ettore Carlo (via Zara, 147, tel. 681.125). Segreteria personale cavi. Campione dei crumiri. Durante tutti gli scioperi ha sempre trovato un buco dove nascondersi. Alla prossima lotta chiuderlo in un tombino e assicurarsi che non esca più.

Boari Alfredo (via Matteotti, 489, tel. 24.70.638, Sesto S. Giovanni, FIAT 125 bianca MI E16671). Gestisce per conto della direzione il famigerato ufficio interno UIL (ai Cavi). Il più porco dei servi del padrone. Guadagna L. 300.000 al mese più L. 160.000 di pensione.

Per ogni compagno che colpiranno durante la lotta qualcuno di loro dovrà pagare!

BRIGATA ROSSA
Novembre 1970

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

 

 

 

Campagna Moro – Comunicato N.3

L’interrogatorio, sui contenuti del quale abbiamo già detto, prosegue con la completa collaborazione del prigioniero. Le risposte che fornisce chiariscono sempre più le linee controrivoluzionarie che le centrali imperialiste stanno attuando; delineano con chiarezza i contorni e il corpo del “nuovo” regime che, nella ristrutturazione dello Stato Imperialista delle Multinazionali si sta instaurando nel nostro paese e che ha come perno la Democrazia Cristiana. Proprio sul ruolo che le centrali imperialiste hanno assegnato alla DC, sulle strutture e gli uomini che gestiscono il progetto controrivoluzionario sulla loro interdipendenza e subordinazione agli organismi imperialisti internazionali, sui finanziamenti occulti. Sui piani economici politici militari da attuare in Italia, il prigioniero Aldo Moro ha cominciato a fornire le sue “illuminanti” risposte.

Le informazioni che abbiamo così modo di recepire, una volta verificate, verranno rese note al movimento rivoluzionario che saprà farne buon uso nel prosieguo del processo al regime che con l’iniziativa delle forze combattenti si è aperto in tutto il paese. Perché proprio di questo si tratta. La cattura e il processo ad Aldo Moro non è che un momento, importante e chiarificatore, della Guerra di Classe Rivoluzionaria che le forze comuniste armate hanno assunto come linea per la costruzione di una società comunista, e che indica come obbiettivo primario l’attacco allo stato imperialista e la liquidazione dell’immondo e corrotto regime democristiano.

Aldo Moro, che oggi deve rispondere davanti ad un Tribunale del Popolo, è perfettamente consapevole di essere il più alto gerarca di questo regime, di essere il responsabile al più alto livello delle politiche antiproletarie che l’egemonia imperialista ha imposto nel nostro paese, della repressione delle forze produttive, delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori, dell’emarginazione e miseria di intere fasce di proletariato, della disoccupazione, della controrivoluzione armata scatenata dalla DC; e sa che su tutto questo il proletariato non ha dubbi, che si è chiarito le idee guardando lui e il suo partito nei trent’anni in cui è al potere, e che il tribunale del Popolo saprà tenerlo in debito conto.

Ma Moro è anche consapevole di non essere il solo, di essere, appunto, il più alto esponente del regime; chiama quindi gli altri gerarchi a dividere con lui le responsabilità, e rivolge agli stessi un appello che suona come un’esplicita chiamata di “correità”. Ha chiesto di scrivere una lettera segreta (le manovre occulte sono la normalità per la mafia democristiana) al governo ed in particolare al capo degli sbirri Cossiga. Gli è stato concesso, ma siccome niente deve essere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume, la rendiamo pubblica.

Compagni, in questa fase storica, a questo punto della crisi la pratica della violenza rivoluzionaria è l’unica politica che abbia la possibilità reale di affrontare e risolvere la contraddizione antagonista che oppone proletariato metropolitano e borghesia imperialista. In questa fase la lotta di classe assume per iniziativa delle Avanguardie rivoluzionarie la forma della Guerra. Proprio questo impedisce al nemico di “normalizzare la situazione” e cioè di riportare una vittoria tattica sul movimento di lotta degli ultimi dieci anni, e sui bisogni, le aspettative, le speranze che essa ha generato. Certo siamo noi a volere la guerra! Siamo anche consapevoli del fatto che la pratica della violenza rivoluzionaria spinge il nemico ad affrontarla, lo costringe a muoversi, a vivere sul terreno della guerra anzi ci proponiamo di fare emergere, di stanare la controrivoluzione imperialista dalle pieghe della società “democratica” dove in tempi migliori se ne stava comodamente nascosta. Ma detto questo, è necessario fare chiarezza su un punto: non siamo noi a creare la “controrivoluzione”. Essa è la forma stessa che assume l’Imperialismo nel suo divenire: non è un “aspetto ma la sostanza”, l’imperialismo è controrivoluzione. Fare emergere attraverso la pratica della Guerriglia questa fondamentale verità è il presupposto necessario della guerra di classe nelle metropoli.

In questi ultimi anni abbiamo visto snodarsi i piani della controrivoluzione; abbiamo visto le maggiori città italiane poste in stato d’assedio, lo scatenarsi dei “corpi speciali” e degli apparati militari del regime contro il proletariato e la sua avanguardia; abbiamo visto le leggi speciali, i Tribunali Speciali, i campi di concentramento; abbiamo visto l’attacco feroce alla classe operaia e alle sue condizioni di vita, l’opera di sabotaggio e repressione delle lotte dei berlingueriani e l’infame compito che si sono assunti per la delazione, lo spionaggio, la schedatura poliziesca nelle fabbriche. Ma abbiamo anche visto dispiegarsi il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo. L’iniziativa proletaria non si è fermata, anzi si è estesa ed ha assunto i contenuti e le forme della Guerra di Classe Rivoluzionaria. L’interesse del proletariato, l’antagonismo degli sfruttati verso il loro oppressore, i bisogni e la volontà di lottare per il Comunismo, vivono oggi nella capacità dimostrata del MRPO di sferrare l’attacco armato contro il nemico imperialista. Questo bisogna fare oggi. Estendere l’iniziativa armata contro centri economici-politici-militari della controrivoluzione, concentrare l’attacco sulle strutture e gli uomini che ne sono i fondamentali portatori, disarticolare a tutti i livelli i piani delle multinazionali imperialiste.

È fondamentale pure realizzare quei salti politici e organizzativi che la guerra di classe impone, costruire la direzione del MRPO, assumersi la responsabilità di guidarlo, costruire in sostanza il Partito Comunista Combattente. Solo cos∞ è possibile avviarsi verso la vittoria strategica del proletariato. La violenza e il terrorismo dello Stato Imperialista delle Multinazionali che si abbattono quotidianamente sul proletariato dimostrano che la belva imperialista possiede sì artigli d’acciaio, ma dicono anche che è possibile colpirla a morte, che è possibile annientarla strategicamente. Come pure non incantano nessuno gli isterismi piagnucolosi di chi, intrappolato nella visione legalistica e piccolo borghese della lotta di classe, si è già arreso ed ha accettato la sconfitta finendo inesorabilmente ad essere grottesco reggicoda di ogni manovra reazionaria. Il MRPO è ben altra cosa, e il dispiegarsi della Guerra di Classe Rivoluzionaria lo sta dimostrando.

Portare l’attacco allo Stato Imperialista delle Multinazionali.

Estendere e intensificare l’iniziativa armata contro i centri e gli uomini della controrivoluzione imperialista.

Unificare il Movimento Rivoluzionario costruendo il Partito Comunista Combattente.

Per il Comunismo
Brigate Rosse
29/3/1978

Fonte: Archivio900

Campagna Moro – Comunicato N.2

  1. - IL PROCESSO AD ALDO MORO

Lo spettacolo fornitoci dal regime in questi giorni ci porta ad una prima considerazione. Vogliamo mettere in evidenza il ruolo che nello SIM vanno ad assumere i partiti costituzionali. A nessuno è sfuggito come il quarto governo Andreotti abbia segnato il definitivo esautoramento del parlamento da ogni potere, e come le leggi speciali appena varate siano il compimento della più completa acquiescenza dei partiti del cosiddetto “arco costituzionale” alla strategia imperialista, diretta esclusivamente dalla DC e dal suo governo. Si è passati cioè dallo Stato come espressione dei partiti, ai partiti come puri strumenti dello Stato. Ad essi viene affidato il ruolo di attivizzare i loro apparati per le luride manifestazioni di sostegno alle manovre controrivoluzionarie, contrabbandandole come manifestazioni “popolari”; più in particolare al partito di Berlinguer e ai sindacati collaborazionisti spetta il compito (al quale sembra siano ormai completamente votati) di funzionare da apparato poliziesco antioperaio, da delatori, da spie del regime.

La cattura di Aldo Moro, al quale tutto lo schieramento borghese riconosce il maggior merito del raggiungimento di questo obiettivo, non ha fatto altro che mettere in macroscopica evidenza questa realtà.

Non solo, ma Aldo Moro viene citato (anche dopo la sua cattura!) come il naturale designato alla presidenza della Repubblica. Il perché è evidente. Nel progetto di “concentrazione” del potere, il ruolo del Capo dello Stato Imperialista diventa determinante. Istituzionalmente il Presidente accentra già in sé, tra le altre, le funzioni di capo della Magistratura e delle Forze Armate; funzioni che sino ad ora sono state espletate in maniera più che altro simbolica e a volte persino da corrotti buffoni (vedasi Leone). Ma nello SIM il Capo dello Stato (ed il suo apparato di uomini e strutture) dovrà essere il vero gestore degli organi chiave e delle funzioni che gli competono.

Chi meglio di Aldo Moro potrebbe rappresentare come capo dello SIM gli interessi della borghesia imperialista? Chi meglio di lui potrebbe realizzare le modifiche istituzionali necessarie alla completa ristrutturazione dello SIM? La sua carriera però non comincia oggi: la sua presenza, a volte palese a volte strisciante, negli organi di direzione del regime è di lunga data. Vediamone le tappe principali, perché di questo dovrà rendere conto al Tribunale del Popolo.

1955 – Moro è ministro di Grazia e Giustizia nel governo Segni.

1957 – Moro è ministro della Pubblica Istruzione nel governo Zoli, retto dal Movimento Sociale Italiano.

1959-60 – Viene eletto segretario della DC. Sono gli anni del governo Tambroni, dello scontro frontale sferrato dalla borghesia contro il Movimento Operaio. La ferma resistenza operaia viene affrontata con la più dura repressione armata: nel luglio ’60 si conteranno i proletari morti, massacrati dalla polizia di Scelba.

1963 – In quest’anno parte la strategia americana di recupero della frangia di “sinistra” della borghesia italiana con l’inglobamento del PSI nel governo, nel tentativo di spaccare il Movimento Operaio. È la “svolta” del centro-sinistra e Moro se ne assumerà la gestione per tutti gli anni successivi come Presidente del Consiglio.

1964 – È Presidente del Consiglio. Emergono le manovre del SIFAR, di De Lorenzo e di Segni, che a conti fatti risulterà un’abile macchinazione ricattatoria perfettamente funzionale alla politica del suo governo. Quando la sporca trama verrà completamente allo scoperto, come un vero “padrino” che si rispetti, Moro affosserà il tutto e ricompenserà con una valanga di “omissis” i suoi autori.

1965-68 – È ininterrottamente Presidente del Consiglio.

1968-72 – In tutto questo periodo è ministro degli Esteri. La pillola del centrosinistra perde sempre più la sua efficacia narcotizzante e riprende l’offensiva del Movimento Operaio con un crescendo straordinario. La risposta dell’ Imperialismo è stata quella che va sotto il nome di “strategia della tensione”.

1973-74 – È sempre ministro degli Esteri.

1974-78 – Assume di nuovo la Presidenza del Consiglio e nel ’76 diventa Presidente della DC. È in questi anni che la borghesia imperialista supera le sue maggiori contraddizioni e marcia speditamente alla realizzazione del suo progetto. È in questi anni che Moro diventa l’uomo di punta della borghesia, quale più alto fautore di tutta la ristrutturazione dello SIM. Su tutto questo ed altro ancora, è in corso l’interrogatorio ad Aldo Moro.

Esso verte: a chiarire le politiche imperialiste e antiproletarie di cui la DC è portatrice; a individuare con precisione le strutture internazionali e le filiazioni nazionali della controrivoluzione imperialista; a svelare il personale politico-economico-militare sulle cui gambe cammina il progetto delle multinazionali; ad accertare le dirette responsabilità di Aldo Moro per le quali, con i criteri della GIUSTIZIA PROLETARIA, verrà giudicato.

  1. - IL TERRORISMO IMPERIALISTA E L’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO

A livello militare è la NATO che pilota e dirige i progetti continentali di controrivoluzione armata nei vari SIM europei. I nove paesi della CEE hanno creato L’ORGANIZZAZIONE COMUNE DI POLIZIA che è una vera e propria centrale internazionale del terrore.

Sono i paesi più forti della catena e che hanno già collaudato le tecniche più avanzate della controrivoluzione ad assumersi il compito di trainare, istruire, dirigere le appendici militari nei paesi più deboli che non hanno ancora raggiunto i loro livelli di macabra efficienza. Si spiega così l’invasione inglese e tedesca dei super-specialisti del SAS (Special Air Service), delle BKA (Bunderskriminalamt) e dei servizi segreti israeliani. Gli specialisti americani invece non hanno avuto bisogno di scomodarsi, sono installati in pianta stabile in Italia dal 1945. ECCOLA QUI L’INTERNAZIONALE DEL TERRORISMO. Eccoli qui i boia imperialisti massacratori dei militanti dell’IRA, della RAF, del popolo Palestinese, dei guerriglieri comunisti dell’America Latina che sono corsi a dirigere i loro degni compari comandati da Cossiga. È una ulteriore dimostrazione della completa subordinazione dello SIM-Italia alle centrali imperialiste, ma è anche una visione chiara di come per le forze rivoluzionarie sia improrogabile far fronte alla necessità di calibrare la propria strategia in un’ottica europea, che tenga conto cioè che il mostro imperialista va combattuto nella sua dimensione continentale. Per questo riteniamo che una pratica effettiva dell’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO debba cominciare oggi anche stabilendo tra le Organizzazioni Comuniste Combattenti che il proletariato europeo ha espresso un rapporto di profondo confronto politico, di fattiva solidarietà, e di concreta collaborazione.

Certo, faremo ogni sforzo, opereremo con ogni mezzo perché si raggiunga fra le forze che in Europa combattono per il comunismo la più vasta integrazione politica possibile. Non dubitino gli strateghi della controrivoluzione e i loro ottusi servitorelli revisionisti vecchi e nuovi, che contro l’internazionale del terrore imperialista sapremo costruire l’unità strategica delle forze comuniste.

Ciò detto va fatta una chiarificazione. Sin dalla sua nascita la nostra Organizzazione ha fatto proprio il principio maoista “contare sulle proprie forze e lottare con tenacia”. Applicare questo principio, nonostante le enormi difficoltà, è stato per la nostra Organizzazione più che una scelta giusta una scelta naturale; il proletariato italiano possiede in sé un immenso potenziale di intelligenza rivoluzionaria, un patrimonio infinito di conoscenze tecniche e di capacità materiali che con il proprio lavoro ha saputo collettivamente accumulare una volontà e una disponibilità alla lotta che decenni di battaglie per la propria liberazione ha forgiato e reso indistruttibile. Su questo poggia tutta la costruzione della nostra Organizzazione, la crescita della sua forza ha le solide fondamenta del proletariato italiano, si avvale dell’inestimabile contributo che i suoi figli migliori e le sue avanguardie danno alla costruzione del PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE. Mentre riaffermiamo con forza le nostre posizioni sull’Internazionalismo Proletario, diciamo che la nostra Organizzazione ha imparato a combattere, ha saputo costruire ed organizzare autonomamente i livelli politico-militari adeguati ai compiti che la guerra di classe impone. Organizzare la lotta armata per il Comunismo costruire il Partito Comunista Combattente, prepararsi anche militarmente ad essere dei soldati della rivoluzione è la strada che abbiamo scelto, ed è questo che ha reso possibile alla nostra Organizzazione di condurre nella più completa autonomia la battaglia per la cattura ed il processo ad Aldo Moro.

Intensificare con l’attacco armato il processo al regime, disarticolare i centri della controrivoluzione imperialista.

Costruire l’unità del movimento rivoluzionario nel Partito Combattente.

Onore ai compagni Lorenzo Jannucci e Fausto Tinelli assassinati dai sicari del regime.

Per il Comunismo
Brigate Rosse
25/3/1978

Fonte: Archivio900

Campagna Moro – Comunicato N.1

Giovedì 16 marzo un nucleo armato delle Brigate Rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo ALDO MORO, presidente della Democrazia Cristiana.

La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati Corpi Speciali, è stata completamente annientata.

Chi è ALDO MORO è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino ad oggi il gerarca più autorevole, il “teorico” e lo “stratega” indiscusso di quel regime democristiano che da trent`anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la DC è stata artefice nel nostro paese, dalle politiche sanguinarie degli anni ’50, alla svolta del “centro-sinistra” fino ai giorni nostri con “l’accordo a sei” ha avuto in ALDO MORO il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste. È inutile elencare qui il numero infinito di volte che Moro è stato presidente del Consiglio o membro del Governo in ministeri chiave, e le innumerevoli cariche che ha ricoperto nella direzione della DC, (tutto è ampiamente documentato e sapremo valutarlo opportunamente), ci basta sottolineare come questo dimostri il ruolo di massima e diretta responsabilità da lui svolto, scopertamente o “tramando nell’ombra”, nelle scelte politiche di fondo e nell’attuazione dei programmi controrivoluzionari voluti dalla borghesia imperialista.

Compagni, la crisi irreversibile che l’imperialismo sta attraversando mentre accelera la disgregazione del suo potere e del suo dominio, innesca nello stesso tempo i meccanismi di una profonda ristrutturazione che dovrebbe ricondurre il nostro paese sotto il controllo totale delle centrali del capitale multinazionale e soggiogare definitivamente il proletariato.

La trasformazione nell’area europea dei superati Stati-nazione di stampo liberale in Stati Imperialisti delle Multinazionali (SIM) Φ un processo in pieno svolgimento anche nel nostro paese. Il SIM, ristrutturandosi, si predispone a svolgere il ruolo di cinghia di trasmissione degli interessi economici-strategici globali dell’imperialismo, e nello stesso tempo ad essere organizzazione della controrivoluzione preventiva rivolta ad annichilire ogni “velleità” rivoluzionaria del proletariato.

Questo ambizioso progetto per potersi affermare necessita di una condizione pregiudiziale: la creazione di un personale politico-economico-militare che lo realizzi. Negli ultimi anni questo personale politico strettamente legato ai circoli imperialisti è emerso in modo egemone in tutti i partiti del cosiddetto “arco costituzionale”, ma ha la sua massima concentrazione e il suo punto di riferimento principale nella Democrazia Cristiana. La DC è così la forza centrale e strategica della gestione imperialista dello Stato. Nel quadro dell’unità strategica degli Stati Imperialisti, le maggiori potenze che stanno alla testa della catena gerarchica, richiedono alla DC di funzionare da polo politico nazionale della controrivoluzione. È sulla macchina del potere democristiano, trasformata e “rinnovata”, è sul nuovo regime da essa imposto che dovrà marciare la riconversione dello Stato-nazione in anello efficiente della catena imperialista e potranno essere imposte le feroci politiche economiche e le profonde trasformazioni istituzionali in funzione apertamente repressiva richieste dai partner forti della catena: Usa, RFT.

Questo regime, questo partito sono oggi la filiale nazionale, lugubremente efficiente, della più grande multinazionale del crimine che l’umanità abbia mai conosciuto.

Da tempo le avanguardie comuniste hanno individuato nella DC il nemico più feroce del proletariato, la congrega più bieca di ogni manovra reazionaria. Questo oggi non basta.

Bisogna stanare dai covi democristiani, variamente mascherati, gli agenti controrivoluzionari che nella “nuova” DC rappresentano il fulcro della ristrutturazione dello SIM, braccarli ovunque, non concedere loro tregua. Bisogna estendere e approfondire il processo al regime che in ogni parte le avanguardie combattenti hanno già saputo indicare con la loro pratica di combattimento. E questa una delle direttrici su cui è possibile far marciare il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo, su cui sferrare l’attacco e disarticolare il progetto imperialista. Sia chiaro quindi che con la cattura di ALDO MORO, ed il processo al quale verrà sottoposto da un Tribunale del Popolo, non intendiamo “chiudere la partita” né tantomeno sbandierare un “simbolo”, ma sviluppare una parola d’ordine su cui tutto il Movimento di Resistenza Offensivo si sta già misurando, renderlo più forte, più maturo, più incisivo e organizzato. Intendiamo mobilitare la più vasta e unitaria iniziativa armata per l’ulteriore crescita della GUERRA DI CLASSE PER IL COMUNISMO.

PORTARE L’ATTACCO ALLO STATO IMPERIALISTA DELLE MULTINAZIONALI.

DISARTICOLARE LE STRUTTURE, I PROGETTI DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA ATTACCANDO IL PERSONALE POLITICO-ECONOMICO-MILITARE CHE NE È L’ESPRESSIONE.

UNIFICARE IL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO COSTRUENDO IL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE.

Per il comunismo
Brigate rosse
16/3/78

Fonte: Archivio900

Campagna D’Urso – Comunicato N. 6

ORGANIZZARE LA LIBERAZIONE DEI PROLETARI PRIGIONIERI. SMANTELLARE IL CIRCUITO DELLA DIFFERENZIAZIONE. COSTRUIRE E RAFFORZARE I COMITATI DI LOTTA.
CHIUDERE IMMEDIATAMENTE L’ASINARA.

Il proletariato prigioniero continua la sua lotta. L’ultima iniziativa al kampo di Trani ci dà la misura della grande unità e mobilitazione che il movimento dei proletari prigionieri ha raggiunto, e dimostra anche la sua capacità organizzativa ed offensiva. I contenuti espressi nel comunicato che il Comitato di Lotta di Trani ha emesso sono una chiara indicazione del programma su cui continuare a combattere. Le Brigate Rosse sono incondizionatamente al fianco dei proletari prigionieri in lotta, e nella valutazione del proseguimento della battaglia iniziata con la cattura del boia D’Urso, si atterranno strettamente ai termini politici con cui i proletari prigionieri esprimono i loro bisogni. Da questo momento in poi la nostra battaglia e quella dei prigionieri di Trani sono indissolubilmente unite. Qualunque cosa il governo sta tramando per reprimere le lotte dei proletari prigionieri a Trani, sappia che troverà un’immediata risposta anche dalle Brigate Rosse. Finora alle legittime richieste dei Comitati di Lotta il governo ha risposto con la minaccia di far intervenire i sicari dei corpi speciali. Questo oggi non vi sarà permesso impunemente. La censura che avete impostato sui comunicati di Palmi e Trani non possiamo più sopportarla. Facciamo nostro e pubblichiamo il comunicato di Trani, ed è giunto il momento di imporvi la fine immediata del black-out. Gli organi di stampa e in vostri mezzi radiotelevisivi devono smetterla di essere solo gli strumenti della controguerriglia psicologica, ed essere una volta tanto mezzi di informazione: I COMUNICATI EMESSI DA TRANI E DA PALMI DEVONO ESSERE PUBBLICATI IMMEDIATAMENTE ED INTEGRALMENTE. CIO’ CHE HANNO DA DIRE SUL LORO PROGRAMMA I PROLETARI DI QUESTI DUE CAMPI VA RACCOLTA DALLA LORO VIVA VOCE.

Se quanto detto sopra verrà disatteso, in tutto o in parte, trarremo la conclusione che la vostra politica omicida non ammette da parte delle forze rivoluzionarie alcuna esitazione: agiremo di conseguenza. Se c’è chi tra le fila della borghesia ha ancora un minimo di ragionevolezza, sappia che è il momento di dimostrarlo: non siamo più disposti ad inutili attese.

 

PER IL COMUNISMO BRIGATE ROSSE

29 dicembre 1980.

 

Segue il comunicato n. 1 di Trani

Oggi 28-12-1980, i proletari prigionieri di Trani organizzati nel Comitato di Lotta hanno occupato militarmente una parte consistente di questo carcere speciale e catturato alcuni agenti di custodia. Con questa operazione politico-militare, il C.d.L. di Trani si propone di propagandare le linee generali del programma politico immediato del movimento del PP, di modificare i rapporti di forza generali nelle carceri a vantaggio dei PP, e di imporre una prima sostanziale modifica del trattamento riservato in carcere ai PP e fuori al proletariato extralegale ed ai militanti comunisti che cadono nelle mani del nemico. In questo modo i PP di Trani si dialettizzano con le Brigate Rosse trasformando l’aguzzino D’Urso in un loro prigioniero. L’insieme di questa operazione politico-militare raccoglie, sintetizza e sviluppa la campagna che l’intero movimento dei PP ha aperto sul fronte delle carceri.

La battaglia del 2-10-1979 all’Asinara, le azioni di liberazione di S. Vittore e Volterra, la battaglia di Nuoro, di Fossombrone, l’annientamento del direttore sanitario Furci, e le iniziative armate di Cuneo e Firenze sono momenti più significativi della lotta di classe sul fronte delle carceri che l’hanno preceduta. Così su questo fronte si è realizzato concretamente e nel modo corretto il rapporto fra Organizzazioni Comuniste Combattenti e movimento di massa, tra programma politico generale e programma immediato di uno strato di classe del proletariato metropolitano: il proletariato prigioniero. Questa campagna prolungata contro il carcere investe uno dei nodi fondamentali della lotta tra rivoluzione e controrivoluzione, fa emergere una delle contraddizioni più laceranti nel campo nemico. Fa emergere l’incapacità dello Stato imperialista di pacificare e normalizzare il sistema carcerario, di contenere e neutralizzare nei suoi campi di concentramento una frazione irriducibile del proletariato metropolitano e alcune migliaia di combattenti comunisti. E questo è particolarmente vero in presenza di una vasta e generale lotta di classe e di una profonda e irreversibile crisi economico-politica, di un visibile radicamento sociale – nonostante la controrivoluzione preventiva – della guerriglia proletaria. Compagni, capire e discutere l’operazione D’Urso e la battaglia di Trani significa capire quanto queste siano inserite, a tutti gli effetti, all’interno di quello che sempre più si configura come un attacco generale che il proletario, nel suo complesso, e le sue avanguardie organizzate stanno sferrando allo stato imperialista. Capire per agire significa farsi carico dei contenuti di questa azione sostenerla e intensificarla. Significa estendere e sviluppare la battaglia di cui questa azione è parte integrante. Una battaglia per la disarticolazione la distruzione di tutte le carceri che, a partire da questa stessa battaglia ed al suo interno, realizzi livelli sempre più alti di unità tra PP e tra i PP e gli altri strati dell’intero proletariato metropolitano.

È all’interno dei PP in quanto proletari, che siamo chiamati a dare un grosso contributo pratico-teorico affinché le nostre lotte e questa azione si trasformino in una battaglia complessiva che riesca a scuotere e ad incrinare una delle articolazioni fondamentali dello Stato: il carcere imperialista. Il contenuto reale di un programma è sempre la classe, o uno strato di classe, a determinarlo nelle mete e negli obiettivi, e vive nella pratica rivoluzionaria di questa classe. Come PP non ci interessa solo stabilire chi, come e quando tra le varie OCC riesce a cogliere, sotto forma di programma, le tensioni e i livelli di coscienza esistenti all’interno dei PP. Ci interessa anche e soprattutto che l’azione guerrigliera esterna rifletta correttamente quelli che sono i nostri interessi di classe. Il cartello che il porco D’Urso è stato costretto suo malgrado, a reggere, racchiude i contenuti di un programma in cui noi come PP ci riconosciamo. Questo programma nasce direttamente dalle lotte che i PP hanno espresso in questi ultimi anni. Ne raccoglie i bisogni e i contenuti di lotta, ne raccoglie e sintetizza la pratica. Questo programma è sintesi delle lotte passate e progetto di lotta per la realizzazione di contenuti in esso racchiusi e per la loro estensione. Questo programma è frutto dell’organizzazione che le lotte dei PP hanno saputo creare, è leva per la costruzione di effettivi organismi di massa rivoluzionari. Obiettivo del programma dei PP è la modificazione e il ribaltamento dei rapporti di forza che incatenano e costringono questo settore di classe tra le mura delle carceri. Obiettivo del programma è costruire rapporti di forza favorevoli ai PP che gli permettano di liberarsi. La realizzazione del programma può essere data soltanto attraverso una lotta unitaria e di lunga durata, per questo ci siamo fissati dei compiti immediati e generali. La distinzione degli aspetti del programma in immediati e generali significa semplicemente battaglia immediata per la realizzazione strategica della liberazione di tutti i PP e per la distruzione di tutti i carceri.

Significa anche muoversi verso una sempre più vasta mobilitazione di massa sui contenuti unificanti per l’intero movimento dei PP. Questo vuol dire lottare anche per la realizzazione di tutte quelle esigenze particolari che i proletari esprimono e collegare queste lotte parziali ad un programma più generale di potere. ORGANIZZARE LA LIBERAZIONE DEI PROLETARI PRIGIONIERI significa in primo luogo portare all’ordine del giorno la liberazione come frutto delle lotte e della forza accumulata dall’intero movimento dei PP in tutte le sue forme possibili e praticabili nelle varie situazioni specifiche dei diversi circuiti del sistema carcerario. Questo significa che tra liberazione e disarticolazione non c’è contraddizione, se non nel senso assai preciso che la liberazione rappresenta il livello massimo della disarticolazione, e la disarticolazione è una delle condizioni della liberazione. SMANTELLARE IL CIRCUITO DELLA DIFFERENZIAZIONE significa in primo luogo GUERRA ALLA DIFFERENZIAZIONE e cioè abolizione del trattamento differenziato, abolizione delle carceri speciali e di tutti gli annessi e connessi – bracci speciali, ordinamenti speciali, celle di isolamento, trattamento speciale, ecc. Ciò naturalmente vale anche per il circuito speciale delle carceri femminili, da Messina alle sezioni speciali dei grandi giudiziari metropolitani, dove vi è la massima concentrazione del proletariato prigioniero femminile differenziato, fino al “buchi periferici” che articolano questo circuito speciale con la funzione di sviluppare il massimo isolamento e di disgregazione possibile del PPF. Una delle armi del trattamento differenziato, in particolare nel circuito cosiddetto “normale” e nei GGM, è quello dell’uso, della gestione e dell’applicazione di una serie di istituti quali amnistia, riforma dei codici, 40 giorni, libertà condizionata, semilibertà ecc. che sono i fondamenti dell’individualizzazione della pena e del trattamento differenziato. Lo scopo di questi istituti è quello di disgregare il PP e di porre i prigionieri, isolati tra loro, di fronte allo Stato. Potere proletario non significa gestire il carcere o la detenzione. Potere proletario armato significa liberarsi per distruggere il carcere, distruggere il carcere per liberarsi. Non dobbiamo gestire questi strumenti ma dobbiamo togliere dalle mani del nemico la possibilità di usarli, come è stato fino ad ora, contro di noi. Dobbiamo – raccogliendo le esperienze dei CdL delle Nuove e più in generale di tutte le lotte che si sono sviluppate nel circuito “normale” – utilizzare tutte le possibilità che questi offrono per imporre con la lotta la loro applicazione generalizzata a tutto il PP, rendendo possibile in questo modo e in questi termini la trasformazione di questi istituti di divisione e di ricatto in momenti di unità tra tutto il PP nei vari circuiti del sistema carcerario. CHIUDERE IMMEDIATAMENTE E DEFINITIVAMENTE L’ASINARA significa chiudere immediatamente e definitivamente l’Asinara. L’Asinara è l’epicentro della controrivoluzione imperialista, il punto più alto, è il cuore strategico del progetto complessivo di annientamento. Questo lager concentra in sé il massimo della capacità terroristica dell’annientamento psicofisico che in questa fase il potere riesce ad esprimere. L’Asinara è il luogo dove oggi si sperimentano i caratteri futuri del trattamento che il nemico intende imporre al PP dentro i carceri. È questa funzione che deve essere attaccata per battere il progetto nemico nel suo punto di massima forza e di irradiazione. In questo senso ci sarà sempre un’Asinara nel circuito carcerario da chiudere. Ci sarà cioè un punto più altro da attaccare. Ma l’Asinara non deve essere vista come un bubbone in un corpo sano, come un’eccezione nel circuito dei carceri speciali. Ogni carcere speciale ha la sua funzione specifica e ogni funzione è finalizzata all’obiettivo dell’annientamento complessivo del PP. Il campo di Palmi rappresenta un primo momento di separazione e di isolamento dei comunisti prigionieri del proprio referente di classe e un laboratorio antiguerriglia per l’analisi e la distribuzione scientifica delle OCC. Il campo di Ascoli conferma specularmente questa tendenza, qui si sperimenta la pacificazione di uno strato di classe, con l’arma del riformismo in quanto funzione dell’annientamento. Il campo di Trani, per certi versi, nel circuito degli speciali si colloca all’opposto dell’Asinara. La sua funzione è quella di addormentare e addomesticare i PP e contemporaneamente – come a Cuneo – di costruire una rete di infiltrati e di delatori. Rete, per altro, che già il PP si è assunto il compito di annientare. COSTRUIRE, RAFFORZARE GLI ORGANISMI DI MASSA RIVOLUZIONARI del proletariato prigioniero, significa costruire l’organizzazione capace di portare avanti, sviluppare e realizzare questo programma. Significa ricomporre l’unità di tutto il PP tra i campi, dai campi ai grandi giudiziari, nel circuito speciale e nel circuito “normale” tra femminile e maschile. Significa costruire cicli unitari di lotta che si inseguono, ondata dopo ondata, in tutto il carcerario e in tutto il PP. Significa dialettizzarsi strettamente con il proletariato extralegale, significa infine considerare il proletariato prigioniero come parte del proletariato metropolitano, e sottolineare il fatto che il carcere è una funzione legata allo sfruttamento e che sfruttamento in ultima analisi significa carcere per chi non vuole essere sfruttato. Carcere e fabbrica sono due aspetti di una stessa medaglia e per eliminare definitivamente il carcere è necessario eliminare ogni tipo e forma di sfruttamento. Costruire e rafforzare gli OMR dei PP significa costruire potere proletario armato nelle carceri, attraverso lo sviluppo delle lotte e la modificazione dei rapporti di forza a favore dei PP. LOTTA, PROGRAMMA, POTERE PROLETARIO non potrebbe compiersi e concretizzarsi senza l’organizzazione del PP. Non si parte da zero. Il movimento dei PP ha la sua storia, le “pantere rosse”, i “collettivi politici”, i “NAP”, i “CdL” sono le tappe organizzative che questo movimento si è dato in questi anni per portare avanti le sue lotte contro il sistema carcerario. I CdL sono organismi che i PP hanno costruito nella lotta e attraverso la lotta per i loro bisogni immediati. Dicendo ciò diciamo anche che: non bisogna e non si può restare fermi e quindi mentre rivendichiamo una continuità affermiamo anche l’esigenza di compiere un ulteriore balzo in avanti. Avevamo detto, nella prima fase di costituzione dei CdL, che questo tipo di organizzazione sarebbe stata come una meteora che compariva e scompariva con il comparire e lo scomparire delle ragioni della lotta. Ma questa meteora ha tracciato un percorso, ha costruito militanti, ha creato un patrimonio continuo di lotte, di esperienze, e di organizzazione. In questa fase l’organizzazione di CdL ha assunto e deve assumere un carattere di stabilità e di continuità per riuscire a realizzare pienamente il programma in tutti i suoi contenuti: deve diventare una stella permanente che viaggia insieme a tutti gli organismi di massa del proletariato metropolitano. I Comitati di Lotta dei PP devono raggiungere la massima integrazione e unità con tutte le componenti proletarie e rivoluzionarie dei campi. Il CdL non è articolazione di nessuna OCC in quanto si basa in primo luogo e soltanto sulle esigenze e sugli interessi di classe specifici dei PP. Ma la sua azione e il suo programma possono essere realizzati solo in stretta unità con tutte le forze proletarie e rivoluzionarie. Il CdL non è un “intergruppo” né un’organizzazione di soli comunisti, “ma è l’organizzazione di tutti i PP del campo, che lottano per la distruzione delle carceri e la liberazione di tutti i PP”.

Elenchiamo qui di seguito le condizioni che poniamo per liberare D’Urso e gli agenti di custodia che sono nostri prigionieri, per lasciare intatte le strutture di questo carcere speciale:

1) Chiusura immediata e definitiva del campo di concentramento dell’Asinara e trasferimento immediato in altre carceri di “tutti” i prigionieri che sono detenuti nella sezione speciale.

2) Non proroga e definitivo decadimento del decreto legge sulle carceri speciali che scade il 31/12/80.

3) Modifica sostanziale del vigente regolamento carcerario: aumento della socialità interna (aumento delle ore d’aria e degli spazi di vita collettiva tra i prigionieri, abolizione delle celle di isolamento ecc.) e con l’esterno (abolizione censura e del blocco dei pacchi, abolizione dei colloqui col vetro, aumento del tempo e del numero dei colloqui settimanali ecc.).

4) Riduzione sostanziale della carcerazione preventiva, abolizione del “fermo di polizia” e di ogni pratica di tortura nelle carceri e nelle caserme.

5) Pubblicazione integrale di questo comunicato sui seguenti quotidiani: “La Stampa, La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Messaggero, La Nuova Sardegna, Il Tempo, Lotta Continua”.

Ribadiamo che le sorti di D’Urso e degli agenti di custodia che sono nostri prigionieri sono strettamente vincolati all’accoglimento di queste richieste e così vale anche per la possibilità di non distruzione carcere che preventivamente abbiamo minato con esplosivo. Non tentate inutili colpi di mano perché non siamo disposti a tollerarli. Ogni vostra mossa avventata pregiudicherebbe ogni possibilità di trattativa e metterebbe a repentaglio la stessa vita dei prigionieri.

 

COMITATO DI LOTTA DEI PROLETARI PRIGIONIERI DI TRANI
TRANI 28 dicembre 1980.

 

Pubblicato in PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. 208-212.