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Comunicato congiunto Br-Nap su azione contro Ispettorato Distrettuale di prevenzione e pena

Giovedì, 22 Aprile 1975, un nucleo armato delle BRIGATE ROSSE e dei NUCLEI ARMATI PROLETARI ha occupato e perquisito la sede dell’Ispettorato Distrettuale di Prevenzione e Pena di Milano, in Via Crivelli 20.

Le carceri rappresentano l’ultimo anello della catena della repressione antiproletaria.
Le carceri sono lo strumento attraverso il quale lo STATO della borghesia continua la sua opera di distruzione fisica della massa dei proletari emarginati e delle avanguardie rivoluzionarie in particolare.
La segregazione umana in cui vengono tenuti i compagni detenuti non è solo il prodotto della mente malata di qualche carceriere sadico (che pure ha la sua parte di responsabilità), ma corrisponde alla scelta della borghesia di eliminare con ogni mezzo le avanguardie comuniste e di liquidare il movimento dei detenuti.

È cosi che negli ultimi tempi sono state adottate, a partire dal carcere di Alghero, tecniche di tortura psicologica già abbondantemente sperimentate in Germania dai nazisti vecchi e nuovi.
Peraltro non vengono scartati metodi meno raffinati come l’accoltellamento di tre compagni nel carcere di S. Vittore, eseguito con la complicità di tutta la gerarchia carceraria.
Si tenta inoltre di fiaccare la resistenza dei compagni detenuti, che nel carcere continuano a mantenere il loro ruolo di rivoluzionari, sottoponendoli ad ogni sorta di angherie, che vanno dalla perenne reclusione nelle celle di isolamento, ai pestaggi, ai continui ed improvvisi trasferimenti.
Il funzionamento di questa mostruosa macchina omicida viene diretta dai vari Ispettorati di Prevenzione e Pena, con i relativi Ispettori che sono i diretti responsabili.
Parlare della riforma delle carceri come fanno alcuni borghesi “illuminati” e alcuni partiti cosiddetti di “sinistra” è solo il tentativo di portare, con altri mezzi più efficienti e più moderni, l’attacco controrivoluzionario, tendente a distruggere ogni forma di organizzazione comunista armata, che si esprime dentro e fuori le carceri.
LE CARCERI DELLA BORGHESIA VANNO DISTRUTTE E NON RIFORMATE!

TUTTI I COMPAGNI DEVONO ESSERE LIBERATI!

Compagni,
l’attacco all’occupazione, i vari licenziamenti, l’intensificazione dello sfruttamento e l’uso sempre più massiccio dell’apparato dello stato contro i proletari sono una dimostrazione di come la borghesia vuole risolvere la sua crisi!

Il carcere in questo contesto è uno degli strumenti fondamentali usati per isolare e distruggere ogni focolaio di resistenza proletaria, utilizzato anche in maniera terroristica nei confronti delle classi in lotta.

Di fronte alla GUERRA scatenata dai padroni compito delle avanguardie è quello di organizzarsi sul terreno della LOTTA ARMATA sviluppando ovunque l’attacco contro i centri di potere dello Stato delle MULTINAZIONALI, i suoi uomini e le sue strutture!

È su questa direttrice che si deve sviluppare la lotta e l’organizzazione armata del proletariato, cogliendo la contraddizione fondamentale che contrappone oggi il proletariato, al suo nemico: LA LOTTA ARMATA PER IL POTERE!

Non è quindi con la pratica di inutili incendi che si intacca il potere della borghesia. Essi sono facile esca per la provocazione anti-operaia e per la speculazione riformista.

 

PORTARE L’ATTACCO ALLO STATO!

ATTACCARE E DISTRUGGERE I COVI DELLA REPRESSIONE CARCERARIA!

COSTRUIRE IL POTERE PROLETARIO ARMATO!

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!

Milano, 22-4-1976

BRIGATE ROSSE

NUCLEI ARMATI PROLETARI

Scheda storica

Fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo la sinistra rivoluzionaria in Italia pone per la prima volta la questione della conquista del potere politico da parte del proletariato in un paese a capitalismo avanzato. In questo contesto nascono le Brigate rosse, che intendono coniugare la tradizione marxista-leninista con gli insegnamenti della rivoluzione culturale cinese e le esperienze di guerriglia urbana nel mondo. Sono state l’organizzazione armata che maggiormente ha inciso sugli equilibri politici del paese.

L’ipotesi rivoluzionaria e la strategia della tensione
Fra il 1968 e il 1969 si sviluppano in Italia forti lotte studentesche e operaie. In numerose fabbriche del nord nasce un nuovo movimento autonomo dal basso, fuori dai partiti e dai sindacati della sinistra storica. Alcune realtà di base milanesi e comitati di lavoratori studenti formano il Collettivo politico metropolitano (Cpm), per costruire l’organizzazione rivoluzionaria a partire dal conflitto nelle fabbriche e nelle scuole. A novembre, con un convegno a Chiavari, la struttura cambia nome in Sinistra proletaria. Nel documento finale, Lotta sociale e organizzazione nella metropoli, la lotta armata viene posta come prospettiva concreta.
La strage di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, di cui sono strumentalmente accusati gli anarchici, dà inizio alla strategia della tensione, una catena di attentati, in gran parte rimasti impuniti, messa in atto da alcuni settori dello Stato, sostenuti dagli Usa, per combattere il «pericolo comunista» e bloccare la trasformazione sociale e politica. Le bombe accelerano nella sinistra extraparlamentare il dibattito sull’uso della violenza nel processo rivoluzionario. Il percorso organizzativo di Sinistra proletaria fa un passo avanti durante l’estate successiva, con il convegno di Pecorile, a cui partecipano anche i giovani di Reggio Emilia conosciuti come il «gruppo dell’appartamento», provenienti in buona parte dalla Fgci.

Le origini in fabbrica
Nel settembre 1970 a Milano va a fuoco la macchina di un manager della Sit Siemens. L’azione è firmata Brigata rossa. Al singolare. Seguono altre iniziative nelle fabbriche milanesi, centro nevralgico della nuova organizzazione. Sono per lo più incendi di auto dei capi aziendali. Ma anche dei cosiddetti fascisti – «il potere armato dei padroni» – «in camicia nera e in camicia bianca», ovvero esponenti dell’Msi e della Dc. Le prime due brigate nascono alla Pirelli e alla Sit Siemens.
Il battesimo mediatico delle Brigate rosse avviene il 25 gennaio 1971 con un’azione contro la pista di prova della Pirelli. Degli otto ordigni piazzati sotto altrettanti autocarri ne esplodono tre. Ma il clamore è grande. Nella primavera dello stesso anno Sinistra proletaria pubblica il giornale «Nuova Resistenza», che raccoglie il dibattito sulla lotta armata. Escono due numeri. Al centro c’è l’organizzazione operaia, ma l’attenzione è rivolta anche all’esperienza dei tupamaros uruguaiani, alle guerriglie in Germania e Palestina, alla Cina di Mao Tse-tung.
Fin dall’inizio, le Br superano il modello terzinternazionalista, specificando di non essere «l’embrione di un futuro esercito rivoluzionario», ovvero il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma un’organizzazione combattente caratterizzata dall’unità del politico e del militare. La lotta armata assume da subito un significato strategico.
Il 3 marzo 1972 c’è il primo sequestro lampo. L’ingegner Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit Siemens, viene prelevato di fronte allo stabilimento. Mentre il Partito comunista liquida le Brigate rosse come fenomeno di criminalità comune, la nuova organizzazione espande la propria presenza nelle fabbriche. Spesso sono gli stessi operai a segnalare le macchine e i capetti da colpire.
Nel maggio 1972 viene ucciso il commissario Luigi Calabresi, considerato dalla sinistra rivoluzionaria responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Nessuna rivendicazione. Nello stesso mese scatta la prima grande operazione repressiva contro le Br. I militanti che sfuggono agli arresti si riorganizzano in clandestinità. Nascono due colonne a Torino e Milano, ognuna composta da brigate di fabbrica e di quartiere.
L’attività delle Br diventa con il passare del tempo più intensa. Sono colpite sedi e rappresentanti di sindacati di destra, capireparto, imprenditori. Le azioni, tra cui alcuni sequestri lampo, sono condannate dai dirigenti confederali, ma ottengono la simpatia della base. Nel frattempo, nonostante le forti lotte operaie, e le vittorie ottenute, il contratto dei metalmeccanici viene rinnovato ignorando le richieste operaie.

Dalle fabbriche allo Stato
All’inizio del 1974, mentre il Partito comunista di Enrico Berlinguer, dopo il golpe in Cile, lancia la politica del compromesso storico, le Brigate rosse – che si stanno consolidando in varie regioni – decidono di dare un respiro più ampio e una maggiore forza al loro intervento, allargando il campo d’azione dalle fabbriche allo scontro diretto con lo Stato nelle aree urbane. Colpire il potere politico, il potere democristiano, è l’obiettivo. Il primo a finire nelle maglie dell’organizzazione è il giudice Mario Sossi, rapito il 18 aprile a Genova. Reazionario, artefice di vari processi contro esponenti della sinistra. Durante il sequestro sono attaccate sedi di imprenditori legati alla Dc e viene distribuito l’opuscolo Contro il neogollismo, portare l’attacco al cuore dello Stato, in cui si afferma la necessità di conquistare il potere attraverso la lotta armata, abbattendo lo stato borghese democristiano che sta trasformando la repubblica nata dalla Resistenza in una repubblica presidenziale. Con il rafforzamento dei poteri del governo e del capo dello Stato a danno del Parlamento, la modifica del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario.
Nel 1974 il clima è molto teso, la strategia della tensione al suo apice. È l’anno della strage di Brescia, della bomba sul treno Italicus, di tentativi golpisti. Il rapimento crea contrasti nelle istituzioni. La richiesta delle Br di liberare i detenuti della XXII Ottobre, inizialmente accolta, è bloccata all’ultimo dal procuratore generale Francesco Coco. Per le Brigate rosse è comunque una vittoria. Dopo trentacinque giorni il giudice viene rilasciato.
Il 17 giugno 1974 a Padova, a venti giorni dalla strage di Brescia, durante un’incursione in una sede missina restano incidentalmente uccisi due fascisti. L’organizzazione si assume la responsabilità dell’evento pur non condividendolo. Ribadisce però che l’attacco armato deve essere rivolto contro lo Stato e non centrato sull’antifascismo militante.
Alla metà di ottobre si riunisce la prima Direzione strategica, per ridefinire la propria struttura in seguito agli arresti di Renato Curcio e Alberto Franceschini. Altri dirigenti vengono catturati nei giorni e nei mesi successivi. Nel febbraio 1975 un commando libera Curcio dal carcere di Casale Monferrato. Sarà di nuovo arrestato circa un anno dopo. Alla guida dell’azione c’è sua moglie Margherita Cagol, che perde la vita il 5 giugno, in un conflitto a fuoco nel corso di un sequestro per autofinanziamento. È la prima militante delle Brigate rosse che cade sotto i colpi del nemico. L’emozione è forte, ma l’attività prosegue.

La ristrutturazione economica e lo Sim
Gli effetti della più profonda crisi economica successiva alla seconda guerra mondiale iniziano a farsi pesantemente sentire in Italia nel 1974. In autunno parte la ristrutturazione della Fiat e del mercato del lavoro. Licenziamenti, cassa integrazione, delocalizzazione, ovvero il trasferimento della produzione in paesi a basso costo e scarsa sindacalizzazione della forza lavoro.
In questo periodo, fra il 1974 e il 1975, le Br definiscono i tre terreni di intervento che rimarranno costanti negli anni, pur assumendo nei vari periodi un peso diverso: l’attacco allo Stato, in particolare alla Democrazia cristiana, l’offensiva nelle fabbriche per promuovere l’autonomia operaia, la liberazione dei prigionieri.
La Risoluzione della Direzione strategica diffusa nell’aprile 1975 specifica le caratteristiche della crisi e del processo di ristrutturazione mondiale, che provoca cambiamenti nei rapporti di produzione, a tutto svantaggio della classe operaia e del proletariato. Nella nuova situazione nasce in ogni paese lo Stato imperialista delle multinazionali (Sim), per garantire le esigenze del capitale internazionalizzato, della «controrivoluzione globale» guidata dagli Stati Uniti. La Democrazia cristiana è il cardine in Italia di questo progetto, volto a legare le sorti della classe operaia a quelle del capitale e dello Stato, per farle assumere i costi economici della ristrutturazione. Attraverso la politica del compromesso storico, il Pci tenta di entrare nella gestione del processo. La prospettiva politica delle Br diviene allora quella di «unificare e rovesciare ogni manifestazione parziale dell’antagonismo proletario in un attacco convergente al cuore dello Stato». Mentre l’obiettivo ultimo rimane la presa del potere, gli obiettivi congiunturali da attaccare sono individuati nel patto corporativo fra governo, Confindustria, sindacati, asse portante della ristrutturazione capitalistica, nelle strutture politico-militari dello Stato, negli organi della repressione e in alcuni settori del giornalismo che si distinguono nella «guerra psicologica».

La struttura organizzativa
Le Brigate rosse si pongono come il nucleo che lavora per la costruzione del Partito combattente, una struttura di quadri, il reparto più avanzato della classe operaia, in cui radicare l’organizzazione della lotta armata e la coscienza della sua necessità storica, nella forma di una guerra civile di lunga durata. Al contrario di altre organizzazioni di quegli anni, convinte che l’avanguardia combattente scaturisca spontaneamente dall’autonomia di classe, le Br ritengono che sia la guerriglia urbana, colpendo il nemico sul suo terreno, a permettere lo sviluppo della resistenza e dell’autonomia operaia.
Nella prima metà degli anni Settanta le Brigate rosse perfezionano la loro struttura organizzativa. Arrivano a essere formate da colonne su base territoriale, composte da brigate, e ad avere un lavoro articolato in Fronti di combattimento, per elaborare e indirizzare la lotta nei settori specifici.
Colonne delle Br, intitolate in genere a militanti uccisi, sono state presenti a Torino (Margherita Cagol), Milano (Walter Alasia), Genova (Francesco Berardi), Roma (28 marzo), nel Veneto (Annamaria Ludmann), a Napoli. In Toscana e nelle Marche sono esistiti Comitati rivoluzionari territoriali diretti dalle colonne più vicine, mentre in Sardegna per alcuni anni è stato attivo un rapporto politico-organizzativo con Barbagia rossa.
La linea politica viene decisa nella Direzione strategica; il Comitato esecutivo è incaricato di attuarla. I regolari lavorano a tempo pieno per l’organizzazione, sono per lo più clandestini, al momento della cattura devono dichiararsi prigionieri politici. Gli irregolari hanno gli stessi diritti e doveri, ma non sono clandestini. Per non compromettere l’intero gruppo in caso di arresto, i militanti usano fra di loro nomi di battaglia.
Le Br agiscono per campagne, che concentrano nei vari periodi le principali energie dell’organizzazione, pur non escludendo contemporanee azioni su altri fronti di lotta.

Il cuore dello Stato
L’abbattimento del regime democristiano, attraverso l’attacco al cuore dello Stato, è considerato un passaggio necessario per la conquista del potere. Il «cuore» è identificato nei progetti di intervento tramite i quali lo Stato, nello scontro fra le classi, rappresenta gli interessi generali della borghesia. Il 15 maggio 1975 c’è il primo ferimento intenzionale a Milano di un consigliere comunale della Dc. Il partito della borghesia, della classe dominante, dell’imperialismo. Alla fine dell’anno si verifica una divisione nelle Br, con la fuoriuscita di Corrado Alunni, Susanna Ronconi e Fabrizio Pelli, che creano le Formazioni comuniste combattenti (Fcc). Nel 1976 invece il confronto con i Nap porta a una breve campagna congiunta, con attacchi a caserme dei carabinieri e strutture repressive.
La prima grande azione di «disarticolazione politica e militare delle strutture dello Stato» è effettuata dalle Brigate rosse l’8 giugno 1976. A Genova vengono uccisi il Procuratore generale della Repubblica Francesco Coco e due uomini della sua scorta. Fra il 1976 e il 1977 l’organizzazione decide di alzare il tiro, colpendo anche mortalmente numerosi «servi dello Stato»: giornalisti, magistrati, appartenenti alle forze di polizia, esponenti democristiani e missini, dirigenti industriali. I tentativi di aprire un intervento a Roma, centro del potere politico, sulle prime non danno risultati. La colonna romana entra in azione agli inizi del 1977. Nello stesso periodo a Genova il sequestro dell’armatore Costa a scopo di finanziamento porta ai brigatisti un miliardo di lire.
Nel giugno 1977 viene lanciata la campagna contro la «stampa di regime» e la sua funzione controrivoluzionaria. Si articola nel ferimento di alcuni giornalisti e nell’uccisione di Carlo Casalegno, de «La Stampa». Parallelamente viene sviluppato un vasto attacco contro uomini politici, dirigenti di fabbrica, esponenti dell’apparato repressivo.

Il processo guerriglia
Nel maggio 1976 si apre a Torino il primo grande processo contro il «nucleo storico» delle Brigate rosse, come viene definito dalla stampa. Per i prigionieri è un momento di confronto politico-militare fra proletariato e borghesia, interno alla guerra di classe. Decidono di trasformarlo in processo guerriglia, ribaltando il loro ruolo da accusati ad accusatori. Rifiutano il tribunale giudicante, gli interrogatori in aula, revocano il mandato ai difensori, chiedono agli avvocati d’ufficio di rinunciare all’incarico. Leggono comunicati in cui si dichiarano combattenti comunisti, assumendosi la responsabilità politica di tutta l’attività delle Brigate rosse. Ribadiscono che lo Stato va disarticolato nei suoi centri vitali in quanto strumento della controrivoluzione, usato per tentare di distruggere ogni resistenza proletaria e superare le contraddizioni strutturali del capitalismo. Il processo è più volte sospeso, anche perché le numerose rinunce dei giudici popolari impediscono di formare la corte. L’organizzazione all’esterno coordina le azioni con l’evoluzione del dibattimento. Nell’aprile 1977 un decreto legge blocca la scarcerazione degli imputati per scadenza termini. Poco dopo le Brigate rosse uccidono Fulvio Croce, presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Torino, incaricato di nominare i difensori d’ufficio. Il dibattimento riprende a Torino nel marzo 1978 e si conclude a giugno, nonostante il contemporaneo «processo» delle Brigate rosse ad Aldo Moro. Le condanne più pesanti, 15 anni, sono contro Renato Curcio e Pietro Bassi.
La tecnica del processo guerriglia sarà in seguito riproposta dalle Brigate rosse. Nella prima metà degli anni Ottanta viene però meno il comportamento unitario dei prigionieri di fronte ai tribunali. Pentimenti, dissociazione, divisioni politiche portano nelle aule bunker dei maxiprocessi alla frammentazione degli imputati, che prendono posto in gabbie distinte.

La Risoluzione della Direzione strategica del febbraio 1978
È uno dei principali documenti nella storia delle Br, e rappresenta la sintesi di un lungo dibattito interno, esteso ai militanti in carcere. Contiene un’analisi dell’imperialismo entrato nella fase delle multinazionali, in cui i governi dei singoli paesi si trasformano in articolazioni locali della borghesia imperialista e in cui la crisi strutturale per sovrapproduzione assoluta di capitale obbliga a una ristrutturazione dell’apparato economico ma anche di quello politico-militare. In questa situazione la controrivoluzione assume un carattere internazionale, che rende la lotta armata nelle metropoli una «guerra di liberazione antimperialistica». Solo la trasformazione della propaganda armata in guerra civile potrà evitare un nuovo conflitto generalizzato fra l’imperialismo e il socialimperialismo (Urss e paesi del Patto di Varsavia).
Lo Stato imperialista delle multinazionali (Sim), di cui la Dc è in Italia «forza centrale e strategica», ha come principali caratteristiche: la formazione di un personale politico imperialista, la centralizzazione delle strutture statali sotto il controllo dell’esecutivo, il riformismo, espresso dalla concertazione tra le parti sociali, la controrivoluzione preventiva, con l’annientamento di ogni forma di antagonismo non gestibile pacificamente. Le forze rivoluzionarie devono prepararsi a una guerra di classe di lunga durata di cui la propaganda armata è la fase iniziale. L’uscita dalla crisi si avrà solo con la conquista del potere da parte del proletariato, e il distacco dell’«anello Italia» dalla catena imperialista.
Le Br ritengono necessario agire sin da subito da Partito, ponendosi come nucleo strategico del Pcc in costruzione, collocando «l’iniziativa politico-militare all’interno e al punto più alto dell’offensiva proletaria, cioè sulla contraddizione principale e sul suo aspetto dominante in ciascuna congiuntura». Gli slogan finali del documento sintetizzano gli obiettivi delle Brigate rosse: portare l’attacco allo Stato imperialista delle multinazionali; disarticolare e distruggere i centri della controrivoluzione imperialista; creare-organizzare ovunque il potere proletario armato; riunificare il movimento rivoluzionario nella costruzione del Partito comunista combattente.

La campagna di primavera: il sequestro di Aldo Moro
Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, è il principale artefice della formazione di un governo di solidarietà nazionale, guidato da Giulio Andreotti e sorretto da una maggioranza allargata al Pci. Viene rapito a Roma il 16 marzo 1978, mentre sta andando a votare la fiducia al nuovo governo, anche se la coincidenza è casuale. Nell’azione restano uccisi i cinque agenti della scorta. Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il «teorico» e lo «stratega» indiscusso di quel regime democristiano che da trent’anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la Dc è stata artefice nel nostro Paese, dalle politiche sanguinarie degli anni Cinquanta, alla svolta del «centro-sinistra» fino ai giorni nostri con «l’accordo a sei», ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste.
La campagna di primavera, una delle vicende più complesse dell’Italia repubblicana, mira a incidere sugli equilibri politici generali. Le Br chiedono, in cambio del rilascio dell’ostaggio, la liberazione di alcuni militanti prigionieri. Lo Stato adotta la linea della fermezza, la trattativa fallisce e il corpo dello statista viene ritrovato il 9 maggio a Roma, a due passi dalle sedi centrali della Dc e del Pci.
Con il rapimento Moro, le Brigate rosse diventano un elemento nodale della politica italiana. Contro il quale lo Stato impiega tutto il potenziale repressivo che riesce a mettere in campo, imponendo leggi speciali e arrivando a usare in modo sistematico la tortura. Sulla campagna Moro si sono negli anni scatenate varie interpretazioni dietrologiche, prive di fondamento, nel tentativo di dimostrare che le Brigate rosse sono state dirette o manovrate dall’esterno.

Il «dopo Moro»
Per tutto il 1978 proseguono le azioni delle Br, anche nelle grandi fabbriche del nord. Forti lacerazioni provoca l’uccisione, il 24 gennaio 1979 a Genova, del sindacalista della Cgil Guido Rossa, responsabile dell’arresto dell’operaio dell’Italsider Francesco Berardi, irregolare delle Br suicidatosi in carcere alcuni mesi dopo.
Una significativa frattura interna avviene invece a febbraio, quando Valerio Morucci e Adriana Faranda lasciano l’organizzazione dopo il disaccordo sulla gestione del rapimento Moro. Nello stesso anno si sviluppa un acceso dibattito fra i brigatisti in carcere e l’Esecutivo su come indirizzare l’attività e superare la fase della propaganda armata. I militanti prigionieri producono un ampio testo teorico che sarà pubblicato nel dicembre 1980 con il titolo L’ape e il comunista.
Il 3 maggio 1979, in piena campagna elettorale, le Br assaltano la sede provinciale della Dc di piazza Nicosia a Roma. Sono sequestrati documenti, fatti esplodere ordigni, disegnate stelle a cinque punte e lasciata la scritta Trasformare la truffa elettorale in guerra di classe. Nella sparatoria che scoppia all’intervento di una pattuglia della Digos, due agenti sono feriti a morte.
In estate la campagna contro le carceri speciali – dove dal 1977 sono stati trasferiti i detenuti politici e dove si susseguono lotte, proteste, rivolte – viene ripresa con l’uccisione di Antonio Varisco, comandante del nucleo traduzioni del tribunale di Roma.
Dopo la conclusione del processo di Torino molti brigatisti sono finiti nel carcere speciale dell’Asinara, considerato un vero e proprio lager. Creano una brigata di campo che comprende i detenuti comuni. Nell’agosto 1978, nel corso di una settimana di lotta danneggiano alcune strutture del penitenziario. Chiedono l’abolizione del trattamento differenziato a cui sono sottoposti i detenuti considerati pericolosi. Nella primavera del 1979 i prigionieri comunicano ai compagni esterni di aver organizzato un’evasione per i 53 detenuti. Le Br prendono contatti con alcuni militanti sardi per costruire una nuova colonna e mettere in atto il piano. I problemi logistici si dimostrano però insormontabili. L’arresto di Prospero Gallinari, a cui viene trovata la piantina del carcere, fa mettere definitivamente da parte il progetto. Fallita l’idea della fuga, il 2 ottobre i detenuti dell’Asinara, con una notte di battaglia, rendono inagibile la famigerata sezione Fornelli. Nel frattempo le Br, tramite i palestinesi dell’Olp, riescono a prendere in Libano un carico di armi pesanti.
Il nuovo decennio si apre con la creazione della colonna napoletana e varie azioni armate contro personale dello Stato e della repressione. Tra il giugno 1978 e la primavera del 1980, nella campagna contro gli apparati dell’Antiterrorismo, le Br uccidono dodici militari in diverse città. Nei primi mesi del 1980 sono colpiti a morte due giudici, Vittorio Bachelet, vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, e Girolamo Minervini, neodirettore degli Istituti di prevenzione e pena.
Intanto esplode un fenomeno che contribuirà allo smantellamento dell’organizzazione. Nel febbraio 1980 viene catturato Patrizio Peci, dirigente della colonna torinese. La sua delazione porta a oltre ottanta arresti e alla scoperta della base di via Fracchia a Genova, dove il 28 marzo i carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa uccidono a freddo quattro brigatisti: Annamaria Ludmann, Riccardo Dura, Piero Panciarelli, Lorenzo Betassa.

Dalla propaganda armata alla guerra civile
Nell’ottobre 1980 viene diffusa una nuova Risoluzione della Direzione strategica. Intende sancire la fine della fase della propaganda armata e l’inizio di un periodo di transizione che, in modo lento, contraddittorio ma irreversibile, sta assumendo i tratti della guerra civile dispiegata. La Dc continua a essere l’asse portante della controrivoluzione imperialista, il Pci il partito dello Stato dentro la classe operaia.
La ristrutturazione capitalistica ha prodotto la precarizzazione del mercato del lavoro, la rottura della solidarietà di classe, una forte intensificazione dello sfruttamento. La classe operaia mantiene un ruolo centrale ma non è più l’unico referente sociale strategico. Le carceri sono parte del cuore dello Stato in quanto luogo di controllo del proletariato metropolitano e di annientamento della sua avanguardia politico-militare. Per la fase di transizione le Br lanciano al movimento di classe la parola d’ordine di costruire i primi nuclei clandestini di resistenza, capaci di unire la pratica politica e quella militare, mentre il Partito comunista combattente ha il compito di conquistare le masse alla lotta armata e organizzarle in un articolato sistema di potere proletario armato. Ai due Fronti esistenti (lotta alla controrivoluzione e logistico) viene aggiunto il Fronte di massa, suddiviso in tre settori: classe operaia e fabbriche, lavoratori dei servizi, proletariato marginale.
Nel frattempo prosegue l’attacco della Fiat alla classe operaia. Dopo i 61 licenziamenti politici dell’estate 1979, nel settembre 1980 l’azienda, in profonda crisi, annuncia quasi quindicimila licenziamenti. In seguito alle lotte, ai picchetti che bloccano l’azienda, per la prima volta nella storia d’Italia i quadri intermedi – impiegati, colletti bianchi – sfilano a Torino chiedendo il diritto di tornare al lavoro. Sarà chiamata la «marcia dei quarantamila». È la vittoria della ristrutturazione. La Fiat blocca i licenziamenti ma mette in cassa integrazione a zero ore ventitremila operai.

Il sequestro D’Urso
Nel dicembre 1980 le Brigate rosse rapiscono a Roma il magistrato Giovanni D’Urso, della Direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena presso il Ministero di Grazia e giustizia, responsabile del trattamento dei detenuti. Nell’iniziativa vengono coinvolti i Comitati di lotta delle carceri, per la prima volta considerate dalle Br come «l’altra faccia della fabbrica per chi lotta e combatte», dove vivono i settori più deboli del proletariato metropolitano, extralegale, un terreno che si prepara a divenire decisivo nello scontro di classe.
La strategia differenziata attuata nelle carceri non è svincolata dalla ristrutturazione nelle fabbriche, ma parte integrante di essa: il momento più alto di annientamento delle forze rivoluzionarie.
L’azione ha come obiettivo la chiusura dell’Asinara e delle altre carceri speciali. Il 26 dicembre, mentre il governo ribadisce la politica della fermezza, il Ministro di Grazia e giustizia annuncia lo sgombero dell’Asinara provocando varie proteste, anche del Pci. Il Comitato di lotta del carcere parla di vittoria. Durante il sequestro scoppia la rivolta nel carcere di Trani. Lo Stato adotta la linea della fermezza; il primo assalto della polizia viene respinto con l’uso di esplosivo. I detenuti fanno una serie di richieste sulle condizioni di vita e la legislazione speciale, oltre che sulla chiusura dell’Asinara. Il 29 dicembre i reparti speciali dei carabinieri assaltano il carcere, i detenuti subiscono pesanti pestaggi. Due giorni dopo le Brigate rosse uccidono il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, responsabile della sorveglianza esterna delle carceri speciali. La richiesta dei brigatisti di dare spazio ai comunicati dei Comitati di lotta delle carceri divide i mass media. Alcuni li pubblicano. Il giudice è rilasciato a gennaio. La sentenza viene sospesa e il prigioniero D’Urso viene rimesso in libertà. La lotta contro l’annientamento carcerario continua fino al conseguimento dell’obiettivo finale: distruzione di tutte le carceri e liberazione di tutti i proletari prigionieri.

La fine dell’unità
In questo periodo si conclude di fatto il percorso unitario delle Brigate rosse, nonostante i tentativi per evitare le divisioni. Così i sequestri del 1981, in precedenza decisi dall’Esecutivo come operazioni dell’organizzazione, vengono in seguito utilizzati dalle varie componenti nella battaglia politica interna.
La prima separazione viene sancita negli ultimi mesi del 1980 con la colonna milanese Walter Alasia. Le divergenze riguardano prevalentemente il ruolo della fabbrica e la centralità operaia, l’organizzazione del Pcc e degli organismi di massa rivoluzionari. La Walter Alasia prosegue autonomamente le azioni. Tra queste, il 3 giugno 1981, il rapimento dell’ingegnere dell’Alfa Romeo Renzo Sandrucci, capo dell’ufficio organizzazione del lavoro dell’Alfa di Arese. Alcune iniziative di propaganda nello stabilimento confermano il radicamento dei militanti. Per la liberazione del sequestrato viene chiesta la revoca della cassa integrazione, prevista in un accordo firmato dai sindacati. Sandrucci è rilasciato dopo cinquanta giorni.
L’arresto di Mario Moretti, il 4 aprile 1981, a lungo dirigente delle Br, coincide con una accelerazione del processo disgregativo. La colonna napoletana e il Fronte delle carceri, guidati da Giovanni Senzani, gestiscono i sequestri Cirillo e Peci, acuendo le divergenze con l’Esecutivo nazionale. La scissione viene ufficializzata nell’autunno. A dicembre nascono le Br-Partito della guerriglia, con un opuscolo in cui si diffondono le Tesi di fondazione del Partito Guerriglia. Questa componente sostiene la necessità di adeguare la linea politico-militare ai bisogni delle masse, e ritiene esista una inimicizia assoluta tra le classi che nella metropoli assume la forma di scontro totale in tutti i rapporti sociali, in vista di una imminente guerra civile strisciante. Ciro Cirillo, assessore regionale democristiano all’urbanistica e all’edilizia popolare e vicepresidente del comitato tecnico campano per la ricostruzione dopo il terremoto del 1980, è rapito a Napoli nell’aprile 1981. L’azione, in discontinuità con la linea storica dell’organizzazione, si rivolge ai bisogni e alle lotte del proletariato marginale (senzatetto, disoccupati), per costruire il potere proletario armato. Per liberare l’ostaggio si richiede la requisizione degli alloggi sfitti, la chiusura di un villaggio di roulotte per terremotati, un sussidio di disoccupazione, la pubblicazione di comunicati. Nella controversa trattativa fra la Dc e la colonna napoletana cercano di intromettersi i servizi segreti e la criminalità organizzata. Il sequestro si conclude con la firma di un decreto di requisizione delle case e di indennità di disoccupazione per i giovani, il pagamento di un ingente riscatto – inizialmente non preventivato – che andrà a finanziare il nuovo Partito guerriglia. L’ostaggio è liberato.
Nel giugno 1981 viene rapito Roberto Peci, per un breve periodo militante del Comitato marchigiano delle Brigate rosse e fratello del pentito Patrizio. È accusato di essere stato un informatore. Viene ucciso il 3 agosto alla periferia di Roma.
Il sequestro di Giuseppe Taliercio, direttore del petrolchimico Montedison di Marghera, nel maggio 1981, provoca un’ulteriore frattura, con la formazione della effimera colonna 2 agosto. L’azione mira a rafforzare e sviluppare le lotte operaie, con l’attacco al piano di ristrutturazione del settore chimico, accettato dai sindacati, che avrebbe portato a licenziamenti, cassa integrazione, intensificazione dei ritmi di lavoro in quella che, per la sua nocività, viene definita «fabbrica della morte». Le Br chiedono la revoca della cassa integrazione. Non viene aperta alcuna trattativa, e il corpo dell’ingegnere è ritrovato vicino al Petrolchimico. La componente «ortodossa» delle Br, che ha gestito questo sequestro e si pone in continuità con il passato, tenta di rilanciare la proposta politica con un’azione clamorosa.

Le divisioni interne e la «ritirata strategica»
Il generale James Lee Dozier, il più alto comandante delle forze terrestri Nato in Italia, di stanza a Verona, viene rapito il 17 dicembre 1981, per denunciare il ruolo subordinato dell’Europa agli Stati Uniti, la politica di potenziamento degli armamenti, la prevista installazione nelle basi militari italiane degli euromissili Cruise. Nel secondo comunicato della campagna si annuncia il nuovo nome dell’organizzazione: Per il comunismo. Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente. Lo Stato, pressato dal governo americano, utilizzando sevizie, ricatti, dichiarazioni di collaboratori, individua un gruppo di militanti a conoscenza della base padovana in cui è tenuto l’ufficiale. Dozier viene liberato il 28 gennaio 1982 da un blitz dei Nocs (Nucleo operativo centrale di sicurezza). I cinque catturati sono sottoposti a pesanti torture, come numerosi brigatisti arrestati in quei mesi. Cesare Di Lenardo resiste, denunciando le sevizie alla magistratura. Gli altri quattro cedono. Due di essi, Antonio Savasta e Emilia Libera, dirigenti dell’organizzazione, con le loro dichiarazioni producono una catena di fermi e arresti in varie regioni. Il bilancio interno seguito a questi fatti, e alle divisioni organizzative, viene reso noto in un volantino «A tutto il movimento rivoluzionario». Si annuncia la proposta di «ritirata strategica», ovvero un periodo di riflessione critica in cui l’avanguardia rivoluzionaria dovrà adeguare l’impianto teorico e la linea politica alle mutate condizioni, ritirandosi in seno alle masse e costruendo al loro interno un sistema di potere, senza abbandonare la lotta armata. La volontà di sottrarsi ai possibili esiti della tortura è posta dai dirigenti delle Br-Pcc al di sopra della salvaguardia della propria vita. Nel tentativo di evitare a qualsiasi prezzo la cattura, Umberto Catabiani, ex membro della Direzione strategica, viene ucciso a maggio dai carabinieri. Mentre nelle carceri vari militanti si sono pentiti o dissociati, e all’esterno la Walter Alasia e il Partito guerriglia sono smantellati nel 1982, le azioni delle Br-Pcc proseguono sui due fronti centrali: questione sociale e antimperialismo. Il 3 maggio 1983 viene ferito a Roma il giuslavorista Gino Giugni, docente e membro del Comitato centrale del Partito socialista italiano. Il 15 febbraio 1984 a Roma le Br-Pcc, insieme alla Frazione armata rivoluzionaria libanese (Farl), uccidono Leamon Hunt, direttore generale della Forza multinazionale e di Osservazione dell’Onu in Sinai, a cui partecipa un contingente italiano, considerata un baluardo degli interessi statunitensi in Medio Oriente in funzione antipalestinese. Nel giugno 1985 è arrestata Barbara Balzerani, rimasta alla guida dell’organizzazione. Nel febbraio 1986 è ucciso l’ex sindaco di Firenze Lando Conti, accusato di aver partecipato al progetto di Guerre stellari, e nel febbraio 1987 viene effettuato un assalto a un furgone postale, in cui perdono la vita due agenti di polizia, mentre i brigatisti lavorano anche per realizzare il Fronte di lotta antimperialista con organizzazioni armate di altri paesi.

La soluzione politica
Contrapposti a chi all’esterno prosegue la lotta armata, alcuni prigionieri, che non hanno seguito percorsi di dissociazione o pentitismo, lanciano una battaglia volta alla soluzione politica del conflitto degli anni Settanta. La campagna parte con una lettera diffusa nel febbraio 1987, firmata da Renato Curcio, Mario Moretti, Piero Bertolazzi, Maurizio Iannelli, in cui si dichiarano chiusi un ciclo di lotte e l’esperienza della lotta armata, si chiedono una rivisitazione critica degli anni Settanta e la liberazione dei prigionieri. Vi aderiscono vari brigatisti ed ex dirigenti, tra i quali Barbara Balzerani. Numerosi militanti, dentro e fuori le carceri, individuano nella proposta una trattativa volta a svendere un patrimonio storico politico nell’ambito di un quadro di pacificazione sociale funzionale agli interessi borghesi. Il dibattito investe i settori legali della sinistra antagonista. I più radicali ritengono la soluzione politica una dichiarazione di abbandono e delegittimazione dell’ipotesi rivoluzionaria.
Nell’aprile 1988 le Br-Pcc uccidono il senatore Roberto Ruffilli, esperto di problemi istituzionali e collaboratore del presidente del Consiglio, il democristiano Ciriaco De Mita. L’azione ha anche l’obiettivo di rilanciare la lotta armata per contrastare quella che viene considerata la resa di buona parte dei prigionieri. L’organizzazione è decimata nel settembre 1988 con arresti nel Lazio e in Toscana.

Alcuni dati
Secondo il Progetto memoria, per le Brigate rosse (Br) sono state inquisite 911 persone, tra cui quasi il 25% di operai. A questi si aggiungono, dopo le divisioni, 93 inquisiti per le Brigate rosse-Partito comunista combattente (Br-Pcc), 147 per le Brigate rosse-Partito guerriglia (Br-Pg), 113 per le Brigate rosse-Walter Alasia (Br-WA). Tra i militanti morti, 12 sono riconducibili alle Br, 3 alle Br-Pcc, 1 alle Br-Pg, 5 alle Br-WA. Tra le persone colpite dalle organizzazioni armate, 52 morti sono rivendicate o attribuite alle Br, 6 alle Br-Pcc, 11 alle Br-Pg, 3 alle Br-WA.

Scheda tratta da: Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, Roma, DeriveApprodi 2015.

Brigate rosse (Br)

Scheda storica

1970
Novembre
Comunicato n° 1 – Brigata Rossa

Dicembre
Comunicato n° 3 – Brigata Rossa
Comunicato n° 4 – Brigata Rossa

1971
Febbraio
Comunicato n.6 – Rivendicazione dell’attacco alla Pirelli di Lainate

Marzo
Comunicato n.7

Aprile
Molti compagni o gruppi della sinistra rivoluzionaria…

Maggio
Comunicato a seguito di azioni di provocazione

Luglio
Volantino

Settembre
Autointervista

Novembre
Un destino perfido

1972
Marzo
R
ivendicazione incursione nella sede MSI di Cesano Boscone (MI)
Volantino sequestro Idalgo Macchiarini

Aprile
Il voto non paga, prendiamo il fucile!

Novembre
Azioni di incendio auto di 9 fascisti FIAT

Dicembre
Guerra ai fascisti

1973
Gennaio
Autointervista – Seconda intervista a se stessi
Rivendicazione incursione sede UCID di Milano

Febbraio
Rivendicazione sequestro segretario provinciale Cisnal Bruno Labate

Marzo
Guerra ai fascisti nelle fabbriche torinesi

Giugno
R
ivendicazione sequestro dirigente Alfa Romeo – Michele Mincuzzi

Dicembre
Rivendicazione sequestro dirigente FIAT – Cav. Ettore Amerio
Comunicato N.1
Comunicato N.2 – I licenziamenti non resteranno impuniti!
Comunicato n° 3 – Rilascio di Ettore Amerio

1974
Aprile
C
ontro il neogollismo portare l’attacco al cuore dello Stato
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.1
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.2
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.3

Maggio
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.4
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.5
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.6
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.7
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.8
Relazione sull’interrogatorio di Mario Sossi
Intervista di Mario Scialoja (
«L’Espresso») alle BR – Ragioni e modi del sequestro Sossi

Giugno
Volantino rivendicazione azione Msi Padova

Estate
Alcune questioni per la discussione sull’organizzazione

Settembre
Sull’arresto di Curcio e Franceschini

Autunno
Norme di comportamento (stralcio)

1975
Febbraio
Volantino per la liberazione di Renato Curcio dal carcere di Casale Monferrato
Volantino di rivendicazione azione contro sede IDI

Marzo
Cronaca delle lotte a Mirafiori

Aprile
Sulle carceri e sui processi
Sulla guerra psicologica e sulla caduta della base di Robbiano di Mediglia
Risoluzione della Direzione strategica

Maggio
Comunicato sull’assalto alla sede di Iniziativa Democratica

Giugno
Comunicato in ricordo di Margherita Cagol

Luglio
Cronaca delle lotte alla Fiat Mirafiori e alla Spa di Stura

Settembre
Magneti Marelli. Licenziamenti politici: sindacato e autonomia operaia

Dicembre
Le Br e l’accordo di novembre

1976
Marzo
Comunicato congiunto Br-Nap su azioni contro caserme dei CC in varie città

Aprile
Comunicato congiunto Br-Nap su azione contro Ispettorato Distrettuale di prevenzione e pena

Giugno
Volantino rivendicazione azione contro Francesco Coco
Comunicato N.6 sull’uccisione di Francesco Coco

Milano. Settimana rossa all’ALFA ROMEO

1978
Febbraio
Risoluzione delle Direzione strategica

Marzo
Campagna Moro, Comunicato N.1
Campagna Moro, Comunicato N.2
Campagna Moro, Comunicato N.3
La campagna di primavera

Aprile
Campagna Moro, Comunicato N.4
Campagna Moro, Comunicato N.5
Campagna Moro, Comunicato N.6
Campagna Moro, Comunicato N.7
Campagna Moro, Comunicato N.8

Maggio
Campagna Moro, Comunicato N.9

1979
Gennaio
Rivendicazione azione contro Guido Rossa

Marzo
La campagna di primavera

Luglio
Opuscolo BR n° 7 – “Dal campo dell’Asinara a tutto il Movimento Rivoluzionario”

1980
Gennaio
Alfa Romeo – Quaderno N° 8

Marzo
Volantino in ricordo di Lorenzo Betassa, Riccardo Dura, Annamaria Ludmann, Piero Panciarelli uccisi a via Fracchia

Ottobre
Direzione strategica

Dicembre
Campagna D’Urso, Comunicato N.1
Campagna D’Urso, Comunicato N.2
Campagna D’Urso, Comunicato N.3
Campagna D’Urso, Comunicato N.4
Campagna D’Urso, Comunicato N.5
Campagna D’Urso, Comunicato N.6
Comitato di Lotta prigionieri di Trani Comunicato N.1
Colonna Walter Alasia, Volantino di commemorazione di Roberto Serafini e Walter Pezzoli

1981
Gennaio
Campagna D’Urso, Comunicato N.7
Campagna D’Urso, Comunicato N.8
Campagna D’Urso, Comunicato N.9
Campagna D’Urso, Comunicato N.10

Marzo
Colonna “28 marzo”, Brigata ospedalieri, Opuscolo BR n.12, Riprendere l’offensiva dentro gli ospedali

Giugno
Autointervista

Agosto
Campagna sulle fabbriche, Opuscolo BR n. 17 (stralci)

Volantino su azione antifascista

Compagni lavoratori,
la notte del 14 luglio le “BRIGATE ROSSE” hanno REQUISITO la MINI MORRIS del fascista RAFFAELE ANTONI detto “LELE” abitante in via Catone, 17.
La macchina è stata PERQUISITA e sono stati rinvenuti elementi che ci hanno confermato la responsabilità del fascista “LELE” nell’aggressione squadristica al Circolo Perini, quanto all’attentato dinamitardo alla macchina del compagno MARRA del PCI. A conclusione della perquisizione la MINI MORRIS targata MI L78624 è stata portata in un immondezzaio lontano dalle abitazioni ed è stata fatta “saltare” con tre etti di tritolo. Con ciò si è inteso AVVERTIRE chi è pagato per eseguire, chi è confidente della polizia, chi collabora con i fascisti, ed i fascisti che: NIENTE RESTERÀ IMPUNITO.
Niente resterà impunito a Quarto Oggiaro dove da alcuni mesi i padroni e fascisti cercano la prova di forza. La nostra memoria è buona e ricorda una per una le aggressioni alle avanguardie del quartiere, l’azione squadristica con le armi in pugno al Circolo Perini, il tritolo alla macchina del compagno MARRA. E la nostra capacità di aspettare non va scambiata per tolleranza. QUARTO OGGIARO è per tutti noi simbolo della lotta sociale e rivoluzionaria per la casa. E questo simbolo sappiamo difenderlo. QUARTO OGGIARO è per tutti i padroni lo spettro della resistenza rivoluzionaria allo sfruttamento degli affitti. Per questo non hanno esitato ad usare la forza, il terrore e la violenza fascista. Oggi noi sappiamo che la lotta allo sfruttamento, ai padroni e allo STATO vuol dire anche SPAZZARRE VIA con azioni di GIUSTIZIA PROLETARIA le iene nere che infettano il quartiere. Per questo ci siamo organizzati: per combattere non solamente con assemblee, manifestazioni e comitati, ma coi fatti: per costruire anche qui un POTERE armato e proletario che nelle cose piccole e nelle grandi si contrapponga, combatta e vinca il potere dei maiali. Un POTERE che significa forza di realizzare GIUSTIZIA PROLETARIA cioè la giustizia di chi lotta contro tutti gli sfruttatori e gli oppressori per il COMUNISMO.
In conclusione, compagni NOI NON SIAMO DINAMITARDI, ma la dinamite dei fascisti non ci intimorisce né ci mette in imbarazzo; NOI NON SIAMO VIOLENTI ma la nostra mano non si lascia fermare quando si tratta di difendere ed allargare nei fatti la nostra autonomia e la nostra lotta: NOI SIAMO COMUNISTI! NIENTE RESTERÀ IMPUNITO!

VIVA L’UNITÀ DEL POPOLO ARMATO!

BRIGATE ROSSE
Leggere – Far circolare – Passare all’azione.

Milano 19 luglio 1971

Rivendicazione azione contro Francesco Coco

Martedì 8 giugno un nucleo armato delle Brigate Rosse ha giustiziato il procuratore generale della Repubblica di Genova Francesco Coco. La scorta armata che lo proteggeva è stata annientata. Vale la pena di ricordare alcune tappe che hanno costellato la lunga carriera di questo feroce nemico del proletariato e della sua avanguardia armata.
–    Settembre 1970. In via Digione crollano gli edifici di un intero quartiere che i pescecani dell’edilizia avevano costruito con i consueti criteri criminali. Risultano 18 proletari massacrati. Per Coco “Il fatto non costituisce reato”.
–    Ottobre 1971. Nel carcere di Marassi vengono denunciati una serie di pestaggi, nei confronti di molti detenuti, che persino la stampa borghese definirà “di stampo nazista”. Coco archivia il tutto sostenendo che il pestaggio senza alcun motivo dei detenuti costituisce “legittima difesa preventiva”.
–    Novembre 1972. Tramite il suo fedele scudiero Mario Sossi, costituirà quello che lo collocherà all’avanguardia dell’attacco controrivoluzionario sferrato dalla borghesia contro le avanguardie comuniste: il processo al gruppo rivoluzionario “22 ottobre”. L’obiettivo era quello di distruggere sul nascere ogni tentativo di sviluppare la lotta armata per il comunismo. A distanza di quattro anni possiamo constatare che questo obiettivo è chiaramente fallito, ma a suo tempo Coco non lasciò nulla di intentato e si adoperò con la consueta ferocia. Raggruppò intorno a sé l’intera équipe politica della questura di Genova manovrandola come un vero e proprio corpo speciale che con una serie incredibile di provocazioni “costruì” fatti e prove che utilizzati dal tribunale speciale assicureranno il risultato finale: quattro ergastoli e alcuni secoli di galera per tutti i compagni. L’uso in chiave militare di tutti gli organi dello Stato, che è oggi la linea scelta dalla borghesia per affrontare la sua crisi, trovò così in Coco un miserabile precursore.
–    Maggio 1974. Le BR catturano e processano il manutengolo di Stato Mario Sossi. Lo Stato deve fornire una prova di forza. Se ne incarica il generale Dalla Chiesa effettuando un massacro di detenuti e ostaggi al carcere di Alessandria. Coco un anno dopo cancellerà l’episodio archiviando tutto. Concluso il processo a Sossi le BR riescono ad imporre lo scambio con i detenuti compagni della “22 Ottobre”. Rispettando la parola data le BR liberano Sossi. Coco, dando invece prova di infinita viltà, nega la libertà ai compagni. A questo punto il tribunale del popolo decide di porre fine al suo bieco operato e lo condanna a morte. Ora questa sentenza è stata eseguita, e gli aguzzini del popolo possono stare sicuri che se il proletariato ha una pazienza infinita, ha anche una memoria prodigiosa e che alla fine niente resterà impunito.
Compagni, nel tentativo di arginare la sua crisi la borghesia ha scelto la linea della crescente militarizzazione dello Stato. Incapace di controllare il movimento proletario e la sua avanguardia comunista con strumenti esclusivamente politici ha accelerato l’uso delle strutture dello Stato in chiave militare. Da tempo è così iniziato un rapido rafforzamento di tutto l’apparato coercitivo, con la creazione dei corpi speciali dei CC e della PS, che, coperti dalla famigerata legge Reale, scorrazzano come bande di assassini. Senza nessun clamore né atto formale la magistratura in blocco si è mobilitata istituendo veri e propri tribunali speciali che negli ultimi tempi hanno distribuito senza parsimonia secoli di galera alle avanguardie proletarie. Il tentativo di distruggere la resistenza proletaria viene completato dagli aguzzini che nelle carceri nulla tralasciano per arrivare alla distruzione fisica dei proletari detenuti. Magistratura, polizia, carabinieri, carceri, costituiscono ormai un blocco unico, sono le articolazioni cardine di uno stesso fronte militare che lo Stato delle multinazionali schiera contro il proletariato. Questo è il progetto della borghesia che, caduta ogni possibilità di uscire dalla crisi in maniera indolore, vuole imporre il suo ordine nell’unica maniera che gli è possibile: con le armi, la rifondazione dello Stato delle multinazionali dovrà avvenire su queste direttrici, dovrà essere imposta con la ristrutturazione di ogni movimento proletario autonomo.
In questa situazione, cadono le elezioni del 20 giugno, che dovranno stabilire il quadro politico, le alleanze politiche, che si faranno gestori della realizzazione di questo progetto. Il 20 giugno si potrà solo scegliere chi realizzerà lo Stato delle multinazionali, che darà l’ordine di sparare ai proletari. Chi ritiene oggi che per via elettorale si potranno determinare equilibri favorevoli al proletariato o addirittura creare una alternativa di potere, non solo opera una meschina mistificazione, ma indica una linea avventuristica e suicida. L’unica alternativa di potere è: la lotta armata per il comunismo. Occorre acuire la crisi di regime puntando l’attacco al cuore dello Stato. Occorre rafforzare il potere proletario armato costruendo il partito combattente.
In merito al processo di Torino, ripetiamo che tutti i militanti detenuti della nostra organizzazione sono prigionieri politici e ad essi va riservato il trattamento dei prigionieri di guerra stabilito dalla Convenzione di Ginevra. Il non rispetto di queste norme, sia per quanto riguarda la detenzione, sia per quanto riguarda l’andamento processuale, verrà giudicato per quello che è: crimine di guerra. Ad essi risponderemo con la giustizia proletaria e la rappresaglia.
Ricordiamo, ad un anno dalla sua uccisione, la compagna Mara, caduta in combattimento nella battaglia di Arzello. Il suo sacrificio non è stato vano. Altri hanno raccolto il suo esempio di militanza comunista e lo porteranno avanti fino alla vittoria.

BRIGATE ROSSE

Volantino rivendicazione azione Msi Padova

Lunedì  17 giugno 1974, un nucleo armato delle Brigate Rosse ha occupato la sede provinciale del MSI di Padova via Zabarella.
I due fascisti presenti, avendo violentemente reagito, sono stati giustiziati.
Il MSI di Padova è la fucina da cui escono e sono usciti gruppi e personaggi del terrorismo antiproletario di questi ultimi anni. Freda e Fachini hanno imparato li il mestiere di assassini e i dirigenti di questa federazione (Luci, Switch, Marinoni) hanno diretto le trame nere dalla strage di Piazza Fontana in poi. Il loro più recente delitto è la strage di Brescia.
Questa strage è stata voluta dalla Democrazia cristiana e da Taviani per tentare di ricomporre le laceranti contraddizioni aperte al suo interno dalla secca sconfitta del referendum e dal “caso Sossi”: più in generale per rilanciare anche attraverso le “leggi speciali” sull’ordine pubblico il progetto neogollista. Gli otto compagni trucidati a Brescia non possono essere cancellati con un colpo di spugna dalla coscienza del proletariato. Essi segnano una tappa decisiva della guerra di classe, sia perché per la prima volta il potere democristiano attraverso i sicari fascisti scatena il suo terrorismo bestiale direttamente contro la classe operaia e le sue organizzazioni, sia perché le forze rivoluzionarie sono da Brescia in poi legittimate a rispondere alla barbarie fascista con la giustizia armata del proletariato.
Non colpisce nel segno chi continua a lottare contro il fascismo vedendolo come forza politica autonoma che si può battere isolatamente senza coinvolgere lo stato che lo produce.  Non colpisce affatto chi non si muove contro i fascisti con la scusa che sono “solo servi”.
Al progetto controrivoluzionario che mira ad accerchiare e battere la classe operaia, dobbiamo opporre un’iniziativa rivoluzionaria armata che si organizzi a partire dalle fabbriche contro lo stato ed i suoi bracci armati.

Le sedi del MSI non sono più inviolabili roccaforti nere!
Nessun fascista può più considerarsi sicuro!
Nessun crimine fascista rimarrà impunito!
Portare l’attacco al cuore dello stato!
Lotta armata per il comunismo!

Martedì 18 giugno 1974.
BRIGATE ROSSE

Volantino di rivendicazione azione contro sede IDI

Mercoledì 26 febbraio un nucleo armato delle Brigate Rosse ha occupato e perquisito la sede della fondazione IDI (Istituto dirigenti italiani) in via Chiaravalle 2.
Questa fondazione, collegata alle associazioni dirigenti, contribuisce alla loro qualificazione e alla loro specializzazione nella politica di sfruttamento e di repressione della classe operaia.
Compagni, attraverso la ristrutturazione delle fabbriche, i licenziamenti, la cassa integrazione, il padronato vuole ristabilire il suo dominio e distruggere l’organizzazione di lotta del movimento operaio.
La restaurazione dell’egemonia e del controllo del padrone passa anche attraverso una riqualificazione dei dirigenti ed il ristabilimento della loro “autorità” che le nostre lotte di questi anni hanno messo duramente in crisi. Per questo oggi i dirigenti mentre da una parte attuano le manovre antioperaie nella fabbrica, mentre decretano la cassa integrazione per migliaia di lavoratori, mentre denunciano e licenziano le avanguardie operaie, mentre ristrutturano la fabbrica in funzione antioperaia, dall’altra parte cercano di mascherare il loro ruolo effettivo, di farsi passare per una categoria di lavoratori e di costruirsi una patente di neutralità. In sostanza i dirigenti cercano di nascondere la loro vera funzione di struttura di comando padronale e di artefici dell’attacco antioperaio dietro ad una loro pretesa funzione puramente tecnica e neutrale, estranea cioè ai rapporti di sfruttamento.
In realtà attraverso queste manovre si cerca di bloccare la lotta operaia contro la struttura di comando della fabbrica, si cerca di ripristinare ad un nuovo livello l’egemonia e il controllo dei padroni e di cancellare le conquiste e gli spazi di potere dei lavoratori.
In questo caso la riqualificazione del ruolo dei dirigenti si inserisce nella strategia delle forze rivoluzionarie. Si inserisce nel golpe strisciante che queste forze stanno attuando nel paese attraverso la crisi economica, la militarizzazione dei quartieri popolari, l’incarceramento delle avanguardie rivoluzionarie, per piegare la resistenza dei lavoratori e stroncare la loro lotta.
Contro questa offensiva reazionaria dobbiamo rispondere organizzando nelle fabbriche e sul territorio nuclei armati di resistenza.
COLPIRE I NEMICI DELLA CLASSE OPERAIA ORGANIZZARE OVUNQUE NUCLEI ARMATI CLANDESTINI LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!

Milano 28 febbraio 1975
BRIGATE ROSSE

Autointervista, giugno 1981

Da qualche tempo si va sostenendo di aver raggiunto vittorie significative nella lotta al terrorismo e ciò è anche confortato dal susseguirsi dei “pentiti”. Come mai si è potuto arrivare a tanto, mentre la guerriglia rivoluzionaria metropolitana si estende in più direzioni?

Ciò che nel movimento rivoluzionario è stato sconfitto, e si avvia a una ingloriosa morte, non è la proposta strategica della guerriglia metropolitana, bensì le interpretazioni e le varianti soggettiviste, militariste e organizzativistiche della lotta armata per il comunismo, ultimo riflesso della crisi mortale che attanaglia la piccola borghesia. C’è stato un profondo processo di critica di tali posizioni errate e di rettifica della linea politica che si è proiettato sin nell’organizzazione. Il processo di chiarimento politico nell’organizzazione ha avuto il suo punto di arrivo nella definizione delle tesi politiche affermate nella Risoluzione della Direzione Strategica dell’ottobre 1981. È la chiarezza sulla linea strategica della costruzione del Partito Comunista Combattente e degli organi di massa rivoluzionari che ha consentito all’organizzazione di essere all’offensiva. La D.S. ’80 in questo senso, è stato il punto di arrivo della critica alle tendenze erronee, ma anche il punto di partenza per un possente sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro Paese. Nel divenire di questo processo l’organizzazione si colloca ala testa di tutto il proletariato metropolitano.

Se la D.S. ’80 assume tale importanza per l’analisi degli errori e per nuovi processi di lotta, qual è il suo reale collegamento con la campagna D’Urso?

Da un lato la campagna D’Urso ha tradotto in prassi la linea strategica della D.S. ’80; dall’altro ha indicato e sviluppato la sostanza dell’agire da partito in questa congiuntura. Si può perciò dire che essa ha rappresentato un punto di non ritorno sul piano strategico-tattico, teorico-pratico, politico-militare. E ciò per il fatto che ha posto al centro dell’iniziativa guerrigliera il procedere per campagne. È nel procedere per campagne che si può trovare un’adeguata soluzione e rapporto partito-masse e, dunque, darsi l’elaborazione, l’applicazione, la verifica e lo sviluppo di una corretta linea di massa. È soltanto nel procedere per campagne che può trovare un’adeguata soluzione il rapporto del partito con l’avanguardia di tutto il proletariato metropolitano e, dunque, concretizzarsi un profondo e capillare lavoro di massa dell’organizzazione.

Qual è, allora, il modo di disarticolare lo Stato imperialista?

Innanzitutto non vi può essere disarticolazione senza organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata per il comunismo. Non vi può essere propaganda del programma prima e organizzazione e armamento delle masse dopo; è nella dialettica linea di massa-lavoro di massa che deve trovare soluzione e sviluppo la stessa disarticolazione dello Stato imperialista.

Allora, la proposta strategica dell’organizzazione delle Br, come affermata dalla D.S. ’80, è animata da una doppia dialettica: conquistare le masse alla lotta armata per il comunismo e colpire al cuore dello Stato.

Questa doppia dialettica deve vivere organicamente in ogni campagna. Diversamente operando, a loro avviso, si cade nel bieco militarismo e stolido organizzativismo. Sancendo, da un lato, un’esternalità abissale rispetto alle masse e ai loro bisogni politici immediati; dall’altro, una sfasatura incolmabile rispetto al cuore dello Stato. Non si può, dicono, ad esempio ritenere possibile disarticolare il cuore della ristrutturazione capitalistica del mercato del lavoro, attaccando il lavoro nero; né si possono costituire e sviluppare gli organismi di massa rivoluzionari all’interno del proletariato marginale ed extra legale intorno a una linea semplicemente disarticolante, senza porsi in dialettica attiva e trasformatrice con i contenuti reali di potere espressi dalla mobilitazione di massa, per delimitare il terreno di formulazione fissazione del programma immediato in rapporto di continuità e trasformazione col programma generale di transizione al comunismo.

In pratica, com’è possibile organizzare la classe operaia per questi fini?

È velleitario ed errato, a loro dire, ritenere possibile organizzare la classe operaia sul terreno della lotta armata per il comunismo agitando semplicemente un programma propagandistico che rimanda indefinitivamente la soluzione del problema cruciale della definizione dei programmi immediati e dell’attivazione di tutte le determinazioni del sistema del potere proletario armato.

Il procedere per campagne contiene specificità e originalità oppure è un modello organizzativo indifferenziato?

Non è un modello organizzativo indifferenziatamente e in maniera sempre uguale applicabile a tutti gli strati di classe. La campagna non è lo stereotipo fossilizzato che mummifica la sostanza dell’agire da partito. Essa articola la linea strategica entro strati di classe diversi. Ogni volta sviluppa in maniera originale la linea strategica, saldandola alla specificità di ogni strato di classe. In questa dialettica vive la traduzione, trasformazione, concretizzazione e sviluppo del programma generale di transizione al comunismo in programmi immediati specifici di potere. Intorno e dentro questa dialettica cresce e si rafforza il partito e nascono e si sviluppano gli organismi di massa rivoluzionari. È a questi principi e da questi problemi che può porsi e fondarsi una campagna come atto di fondazione politica, quale si è sviluppato per la campagna D’Urso; e così per la campagna Cirillo.

Sembra così di comprendere che attorno alla classe operaia ruoti questo generale procedere per campagne e il processo di costruzione del partito.

Infatti lo sviluppo obbligato di linea strategica della campagna D’Urso è porre al centro della pratica sociale dell’organizzazione la fondazione politico-militare di una campagna di intervento all’interno della classe operaia. Si misura qui la capacità, la possibilità e la necessità dell’organizzazione di articolare la corretta linea di massa entro le diverse figure che compongono la classe operaia. Come centralità operaia non vuol dire unidimensionalità operaia dell’agire da partito, così l’intervento nella classe operaia non può avere il carattere dell’unicità; così una campagna specifica all’interno della classe operaia deve tenere in conto la peculiarità strutturale di questo strato di classe centrale, le differenziazioni tra i diversi comparti produttivi e le mille originali forme del processo di stratificazione-annientamento prodotto dalla ristrutturazione in fabbrica.

La D.S. ’80 indica al centro della ristrutturazione imperialista nel nostro Paese la Fiat.

Non solo le lotte della classe operaia Fiat sono al centro dello scontro di classe nel Paese. L’autunno scorso è stato l’autunno della classe operaia Fiat; un’altra e più poderosa stagione di lotte già si preannuncia. È a partire di là, dunque, che si può e si deve articolare la corretta linea di massa all’interno della classe operaia. Senza classe operaia Fiat niente costruzione del Partito comunista combattente. “Senza Patto comunista combattente niente rivoluzione”.

Quale sarebbe il significato della centralità della classe operaia nel Sud?

Dalla dialettica sviluppo/sottosviluppo che azionerebbe il modo di produzione capitalistico, “incuneato nelle aree del sottosviluppo”, risulterebbe modellata la dinamica del rapporto tra le classi, rotando anche nel Sud attorno a due poli: la classe operaia metropolitana e la borghesia imperialista. Di qui si estenderebbe il ruolo di direzione politica del processo rivoluzionario esercitato dalla classe operaia e si affermerebbe che la stessa deve dirigere tutto. Altra conseguenza: la “questione meridionale” non esiste perché al Sud sono mature, secondo loro, le condizioni del radicamento della guerriglia metropolitana e matura sarebbe la prospettiva della guerra civile antimperialista che ruota intorno alla classe operaia.

Lo slogan “sfondare la barriera del Sud” come si collega alla teoria della centralità della classe operaia al Sud?

 

L’agire da partito, che nel Sud, parte dalla classe operaia che è figura strategica su cui si fonda l’azione di sfondamento, ma non la esaurisce. Ciò è tanto più vero nel caso del polo metropolitano napoletano, dove una molteplicità e ricchezza di tensioni politiche sono costantemente in ebollizione nel rigoglioso fluire delle contraddizioni di classe. Nel polo, la doppia dialettica accumulazione-produzione/accumulazione-sovrapopolazione relativa impone al partito una linea complessiva e un agire da definire con estremo rigore per confrontarsi con la dinamica delle contraddizioni di classe nel suo divenire storico e politico. Per cui tra prospettiva strategica e congiuntura politica non esisterebbe un aspetto di unità immediato ma di relazione dialettica di unità e opposizione. Spetta al partito individuare le posizioni dominanti di strati di classe, aprendo una dialettica con le masse allo scopo di interpretare e trasformare, al più alto livello di maturazione, la massima collisione. La soluzione è nell’opera di mediazione tattica di congiuntura: nel senso che al più alto livello di collisione e nella specificità del polo metropolitano l’iniziativa guerrigliera si confronta e si riferisce ai bisogni politici immediati. Pertanto, pur riconfermando che la classe operaia è il fulcro del processo rivoluzionario, esisterebbero altre potenti leve che si possono e debbono azionare per la costruzione del sistema del potere proletario.

 

Forse siamo giunti al famoso salto di qualità della lotta armata. Quindi saremmo in presenza di nuovi contenuti e nuovi metodi di lotta?

 

Affermo che nel variare delle congiunture e a seconda della specificità di ogni polo metropolitano, l’agire da partito si arricchisce costantemente, radicandosi in estensione e profondità in sempre nuovi strati di classe. Ecco perché, in questa congiuntura, nella specificità delle contraddizioni di classe che attraversano il polo metropolitano napoletano, abbiamo messo al centro del nostro intervento i bisogni politici del proletariato marginale ed extralegale. Questi bisogni erano già centrali nella dialettica rivoluzione/controrivoluzione; intorno a essi era possibile e necessario conquistare il programma immediato di questo strato di classe e costruire gli organismi di massa rivoluzionari, in dialettica col programma generale di transizione al comunismo. In tale modo la prospettiva strategica del progetto rivoluzionario cresce e può vivere già dentro tutta la congiuntura storica e politica.

 

La campagna Cirillo ha una sua originalità e specificità?

 

L’originalità della campagna Cirillo sarebbe data dal fatto che essa si pone il compito di articolare la linea strategica dell’organizzazione e i contenuti del programma generale di transizione al comunismo nel corpo del proletariato marginale ed extralegale. La sua specificità sarebbe data dal fatto che deve trasformare, ricomporre e organizzare i bisogni immediati del proletariato marginale ed extralegale incanalandoli entro la costruzione del potere proletario armato. La campagna Cirillo intenderebbe da un lato articolare i contenuti del programma strategico in maniera originale; dall’altro recuperare le specifiche tensioni di un ben delimitato strato di classe alle ragioni sociali della dittatura proletaria per il comunismo. Il cartello Cirillo indica tutto ciò con estrema chiarezza.

A proposito di cartello, potremmo individuarne i contenuti precisi?

 

È possibile fare una rilettura dei tre famosi punti richiamati nei documenti finora pervenuti delle Br.
“Lavorare tutti, lavorare meno” – significherebbe fissare l’orizzonte strategico in cui si muove il programma di potere: abolizione del lavoro salariato. Ciò crea una dialettica organica e permanente, sul lungo periodo quanto sul breve, col programma generale di transizione al comunismo; organizza e concentra, fin da subito, la mobilitazione di massa contro i rapporti sociali dominanti. Far vivere già oggi il rovesciamento di tali rapporti nelle forme necessarie e possibili è una esigenza imprescindibile. In questa congiuntura la forma di tale rovesciamento è data dall’emancipazione politica del sistema di dominio imperialista, intorno ai contenuti del programma generale di transizione al comunismo. Le conquiste del proletariato marginale ed extralegale debbono essere parte integrante di tale emancipazione. Soltanto così esse possono configurarsi come occupazione stabile e allargata di spazi di potere. Fuori di questo orizzonte non restano che pii desideri e pratiche errate.
“Contro la ristrutturazione del mercato del lavoro sostenere le lotte del proletariato marginale ed extralegale e costruire gli organismi di massa rivoluzionari” – significherebbe articolare il contenuto del programma strategico nella specificità del proletariato marginale ed extralegale. Tale articolazione stabilisce un punto di sutura politica tra la disarticolazione dello stato imperialista e l’organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata per il comunismo. E, di fatto, contro il controllo e la gestione capitalistica del mercato del lavoro, le lotte offensive del proletariato marginale ed extralegale hanno affermato nel polo metropolitano napoletano i massimi livelli di antagonismo e di esercizio del potere proletario. In un inesauribile e poderoso ciclo di lotte, il proletariato marginale ed extralegale ha fecondato e fatto crescere nel polo livelli di organizzazione autonoma intorno a un programma di potere inconciliabile e irriducibile al dominio dello stato Elotte che l’organizzazione nel polo ha memorizzato per svilupparlo. Innestandosi sulla ricchezza di questo patrimonio, il salto agli organismi di massa rivoluzionari non è un salto nel vuoto.
“Contro la deportazione requisire le case sfitte dei padroni” – significherebbe individuare quale, nella congiuntura attuale, è il bisogno politico immediato fondamentale, affermato dalla mobilitazione di massa, e saldare la soddisfazione di tale bisogno con il programma di potere. Significherebbe pure individuare le forme specifiche attraverso cui si articola il progetto di stratificazione e annientamento del proletariato marginale ed extralegale nel polo metropolitano napoletano. Il progetto imperialista rovescia contro tale strato di classe la strategia differenziata dell’annientamento, trasferendo il carcere sul territorio. In una parola, contro il proletariato marginale ed extralegale viene applicata la strategia della deportazione di massa. Impedire, bloccare, far saltare in aria tale strategia criminale diventa un obiettivo irrinunciabile del movimento rivoluzionario. La requisizione delle case sfitte articola tatticamente tale obiettivo di potere. Essa non è semplicemente un obiettivo assolutamente irrinunciabile, ma anche assolutamente perseguibile dato il rapporto di forza pendente a favore della rivoluzione. Non solo; essa impedendo di fatto la deportazione salda i bisogni immediati con la costruzione del sistema del potere proletario armato, facendo ulteriormente progredire il processo rivoluzionario nel nostro Paese.

È possibile dal materiale pubblicato dedurre qualche riferimento alla questione dei pentiti?

 

Purtroppo sì! Il radicarsi e crescere della prospettiva di guerra civile antimperialista ha scosso tutto l’edificio del sistema di potere dominante. Tutte le strategie e le tattiche del cosiddetto progetto controrivoluzionario sarebbero state costrette a perfezionarsi; così le strutture di potere a rinnovarsi; così le manipolazione ideologiche a raffinarsi. Ciò sarebbe risultato vano perché lo stato imperialista non è riuscito a spegnere le guerriglia metropolitana. Di qui prenderebbe corpo la più grande utopia che il capitale potesse partorire: sconfiggere la guerriglia metropolitana dal suo interno. Secondo loro, la desolidarizzazione non bastava più, occorreva far dissociare attivamente. Occorreva dimostrare scientificamente che la lotta armata per il comunismo era scientificamente immotivata, strategicamente perdente, tatticamente una follia.

Cosa chiederebbe lo stato imperialista? Che la guerriglia metropolitana disarmasse le masse e dichiarasse pubblicamente la propria sconfitta?

 

A loro giudizio lo stato imperialista simulerebbe la più grande delle forze proprio nel dichiarare la sua impotenza, e nell’avvertire l’impossibilità di bloccare la crescita del processo rivoluzionario cercherebbe di dissimulare il proprio destino storico e la carenza di legittimazione sociale.

Come verrebbero considerati i pentiti e che sarebbero?

 

Rappresenterebbero la proiezioni di ossessioni e di impotenze della borghesia imperialista che, loro tramite, tenterebbe di esorcizzare la lotta armata del comunismo. Sarebbe quella faccia dello stato imperialista, più repellente e bavosa secondo loro, perché costretta a vomitare impotenza. Sicché i Fioroni, i Peci, i Sandalo, i Barbone, i Viscardi non sarebbero altro che la duplicazione più deteriore dello stato imperialista e i pentiti in genere rappresenterebbero lo specchio fedele ed evidente dell’impotenza dello stato imperialista che li divora tutti, quanto più si sposta avanti l’asse della guerra di classe.

Indicano un rapporto tra i pentiti e la guerriglia metropolitana? E di Peci, in particolare, qual è il loro giudizio ultimo?

 

Loro indicano, ad esempio, che Peci non sarebbe figlio delle Br per quanto è andato dichiarando nei processi, ma bensì la riproduzione in miniatura dei Caselli e Dalla Chiesa e delle loro nevrosi per il rigoglioso attecchire della guerriglia metropolitana. Mentre i veri e autentici “pentiti” sarebbero i migliori figli della borghesia come Sossi, Moro, D’Urso, Cirillo, Taliercio, e Sandrucci. In definitiva, tra movimento rivoluzionario e “pentiti” sembrerebbe stabilirsi una contraddizione antagonista, cioè tra rivoluzione e controrivoluzione e non all’interno del movimento rivoluzionario.

Come giudicherebbe le affermazioni delle Br secondo cui non esisterebbe il pentimento ma la delazione?

 

Non è un giudizio che posso esprimere, ma nel riferimento agli atti le Br affermano che i delatori sono nemici di classe e come tali vanno trattati; anzi, affermano che la lotta armata per il comunismo nonostante i pentiti stia conoscendo un grandioso slancio in tutto il paese: dopo che a Torino i compagni non hanno consentito che con la guerriglia si processassero dieci anni di lotta armata per il potere processando loro lo stato imperialista e delle multinazionali e schiacciando politicamente il Peci; dopo che Roberto Peci, da loro definito il più squallido dei rappresentanti della schiera degli infami, si trova nelle mani delle forze rivoluzionarie, che cosa resta della borghesia imperialista e della controguerriglia psicologica?

Si possono individuare basi oggettive che favoriscono la penetrazione degli infiltrati nel Partito comunista combattente in costruzione?

 

Sosterrebbero che la crisi irreversibile del modo di produzione capitalistico procede in uno con l’affermazione dispotica del dominio reale e totale del capitalismo; non solo su scala planetaria, ma in tutte le regioni della formazione economico-sociale. Da un lato sempre più larghe fasce della borghesia vengono sfracellate dalla crisi; dall’altro, sempre più si interiorizza la penetrazione della ideologia borghese e piccolo-borghese in tutte le pieghe dei rapporti di classe e delle relazioni sociali. Il tutto sarebbe il riflesso dell’oggettivo innalzarsi dello scontro di classe nella prospettiva della guerra civile antimperialista. Uno scontro mortale, senza esclusioni di colpi, comincia a contrapporre due sistemi di potere antagonisti: per l’insieme di queste ragioni, una organizzazione rivoluzionaria risulta più esposta alla penetrazione della ideologia borghese e piccolo-borghese. Saldi e compatti allora devono essere la base teorico-pratica, l’orientamento generale e la linea politica dell’organizzazione.
Debolezza, indecisione e sottovalutazione intorno ai termini reali del problema, favorendo la infiltrazione di ideologie controrivoluzionarie, facilitano infiltrazioni politiche nel Partito comunista combattente in costruzione. Esiste una unità dialettica tra ideologia controrivoluzionaria e pratica controrivoluzionaria; in ognuna si cela, nascosta, l’altra. La penetrazione delle ideologie controrivoluzionarie in seno all’organizzazione costituisce la base oggettiva su cui le pratiche di potere controrivoluzionarie, le tecniche della manipolazione ideologica, le dissociazioni del legame teoria-prassi, i procedimenti della simulazione fanno attecchire la produzione e la riproduzione della mistificata figura del pentito. Smontare alla base l’utopia tardo-imperialista di attaccare dall’interno la guerriglia metropolitana significa preservare tutta l’organizzazione dalla contaminazione della ideologia borghese e piccolo-borghese, attraverso una lotta incessante e inflessibile contro le deviazioni e le oscillazioni. Si eviterà così che l’organizzazione e il movimento rivoluzionario in generale paghino sull’altare della rivoluzione un tributo più alto di quello necessario.

Cosa si potrebbe aggiungere sul progetto di costruzione del partito?

 

La battaglia politica sarebbe uno status fisiologico della vita del partito che ne fa lievitare la crescita. È questo un patrimonio incancellabile della lotta di classe e della storia delle organizzazioni rivoluzionarie. Viene affermato che lo sviluppo della lotta di classe ha storicamente affinato e perfezionato la teoria-prassi e la metodologia politico-organizzativa di costruzione del partito. Questa teoria-prassi e questa metodologia si sono conquistate, con quella che definiscono la grande rivoluzione culturale proletaria, un caposaldo da cui secondo loro non è possibile prescindere. Si riferiscono ai principi strategici unità-crisi-unità e lotta-critica-trasformazione. La battaglia politica chiarirebbe in termini di unità-crisi-unità e di lotta-critica-trasformazione la linea corretta e quella sbagliata. Isola la linea errata e la sconfigge e dunque recupera, riunifica e assesta tutta l’organizzazione sulla linea corretta. La battaglia politica serve a determinare nuove unità a un livello superiore, dentro sintesi generali che rideterminano, congiuntura dopo congiuntura, il programma strategico dell’Organizzazione.

Supposto, secondo la logica delle Br, il valore del processo di unità-crisi-unità e di lotta-critica- trasformazione, sarebbe questo il dato di fondo del corretto divenire, l’unità del partito?

 

Mi sembrerebbe coerente con il discorso di prima quanto da loro affermato circa il recupero alla linea corretta di tutte le contraddizioni non antagonistiche presenti nel partito. E ciò per loro sarebbe possibile col metodo della discussione politica e del confronto; in caso contrario, per effetto di contraddizioni secondarie trasformate in antagonismo, deriverebbero gravi conseguenze al partito. A questo punto la filosofia delle Br come si evince, ricordiamo, dal loro proclama “unità nella chiarezza”, vuol dire costruire il partito intorno alla linea della D.S. ’80 e ai contenuti strategici della campagna D’Urso e della campagna Cirillo.

Avviandoci alla conclusione, condivide il fatto che si è aperta una nuova fase storica, quella della cosiddetta guerra civile antimperialista dopo il compimento della precedente campagna armata?

 

È il loro tanto proclamato salto al partito, nel senso della recente teorizzazione sullo sviluppo della guerriglia. Una fase storica, quella della propaganda armata, si avvia al compimento.
Una fase nuova, quella della guerra antimperialista, sempre più prepotentemente si afferma, fa valere i suoi diritti e presenta i suoi conti. Lo sviluppo della guerriglia metropolitana svilupperebbe le basi della condotta della guerra per una nuova sintesi tra guerra di lunga durata e politica rivoluzionaria e sarebbe compito di tutta l’organizzazione affrontarlo e risolverlo. La guerriglia metropolitana intenderebbe affermare in maniera compiuta questo principio strategico: il corso della guerra si svolge nello stesso tempo e nello stesso spazio nel corso dell’azione politica: la dialettica è unica.
Da un lato la strategia nel senso più propriamente politico e militare imporrebbe alla nazione politica i suoi criteri e le sue forme; dall’altro, è la politica rivoluzionaria che determina il campo delle decisioni strategiche. Non solo la guerra è la continuazione della politica con mezzi violenti; ma la politica è la continuazione della guerra con mezzi rivoluzionari. In questo senso acquista una nuova dimensione il principio maoista secondo cui “la guerra è il centro di gravitazione del lavoro del partito”. Nel particolare della congiuntura di transizione la guerriglia trasforma le leggi di condotta della guerra e diventa il vettore del salto al partito.
Conseguentemente il salto al partito, salto al sistema di potere proletario armato, significano salto alla guerra.

 

Affermano quindi un triplice salto nella guerriglia metropolitana?

 

Sembra di sì. Dichiarano tre livelli di lotta: per la produzione diventa abbattimento dell’orizzonte angusto dei rapporti capitalistici di produzione; di classe diventa guerra di classe per il comunismo; per il rinnovamento scientifico e culturale diventa rivoluzione culturale nelle metropoli. Inoltre queste tre forme farebbero maturare il salto in seno alle masse attraverso la ricomposizione del sapere col potere, del lavoro intellettuale col lavoro manuale, del politico col militare e percorrerebbe ora, a partire dal partito, tutto il corpo scomposto del proletariato metropolitano. Le pratiche di potere che ora la guerriglia metropolitana si prefiggerebbe si pongono come emancipazione complessiva della classe a tutti i livelli: politico, militare, ideologico, culturale, scientifico, ecc. il sapere secondo loro è la coscienza di classe e la consapevolezza degli scopi e pertanto si coniuga immediatamente col potere. Il potere, finalizzato e animato dalla definizione consapevole degli scopi, riunifica e ridetermina tutte le pratiche sociali. E tutto questo ora avviene nel cuore del proletariato metropolitano.

 

Cosa altro farebbero intendere di questo salto in seno alle masse?

Salto in seno alle masse per la guerriglia metropolitana vorrebbe dire estensione quantitativa del modello e della pratica della lotta armata per il comunismo, perché consentirebbe di affondare la progettualità del programma e delle pratiche del potere proletario armato nel cuore pulsante della classe. L’arma della critica e la critica dell’arma non sono solo i termini essenziali di una pratica sociale unitaria ma sono, dal partito, riunificate in tutte le determinazioni del sistema del potere proletario armato. Il partito irradia la consapevolezza, la conformità degli scopi, la progettualità del programma lungo tutto l’arco delle contraddizioni di classe all’interno di tutte le figure della composizione di classe e in tutte le determinazioni del potere proletario.
Il tutto in maniera pedagogica, ma dirigendo sempre più estese e profonde pratiche di potere e trasformazione sociale che la classe si renderebbe sempre più consapevole della sua missione storica e della immane opera di rivoluzione globale cui deve attendere.
Infine, salto in seno alle masse significherebbe dar corso, attuazione e sviluppo a questa immane opera di rivoluzione globale nel divenire delle contraddizioni di classe; col dischiudersi di così luminosi orizzonti, il soggettivismo, il militarismo e l’organizzativismo sarebbero definitivamente spiazzati.
Concludendo, è possibile aggiungere che le cosiddette organizzazioni combattenti comuniste hanno anche la preoccupazione di far richiamo alla vigilanza e alla lotta contro quelle che definiscono le penetrazioni dell’ideologia borghese e piccolo-borghese in seno al partito in costruzione.

 

Fonte: Luigi Manconi, Vittoio Dini, Il discorso delle armi, Roma, Savelli 1981

Comunicato N.6 sull’uccisione di Francesco Coco

Ieri 8 Giugno 1976 nuclei armati delle Brigate Rosse hanno giustiziato il boia di Stato Francesco Coco e i due mercenari che dovevano proteggerlo. Questa azione realizza i seguenti obiettivi:

1) dà corpo alla linea strategica dell’attacco al cuore dello stato evidenziando al movimento rivoluzionario che la contraddizione principale di questa fase è quella che oppone il proletariato allo stato in tutte le sue articolazioni coercitive e le sue appendici politiche apparentemente in conflitto, dai fascisti assassini di Saccucci ai riformisti e revisionisti. Non ci stupisce affatto perciò che per i compagni comunisti assassinati dalle bande fasciste di Milano e di Sezze e per le decine di operai assassinati sul lavoro in questi giorni non sia stato proclamato dal PCI e dal sindacato neppure un minuto di sciopero mentre per una famigerata canaglia antiproletaria quale è sempre stato Coco sia stato proclamato uno sciopero nazionale.
Ciò conferma ancora una volta da che parte stanno i revisionisti e il ruolo consapevole apertamente controrivoluzionario che essi svolgono in difesa dello stato imperialista delle multinazionali.

2) sviluppa certamente non conclude l’operazione Sossi il cui scopo era evidenziare dietro la maschera democratica il contenuto ferocemente controrivoluzionario dello stato imperialista. A Coco in tutta la vicenda era stato assegnato, ed egli coscientemente se lo era assunto, il compito di impersonificare, fino a diventarne il simbolo, questo contenuto. Ma giustiziare Coco non è stata una rappresaglia “esemplare”. Con questa azione si apre una nuova fase della guerra di classe che punta a disarticolare l’apparato dello stato colpendo gli uomini che ne impersonificano e dirigono la sua iniziativa controrivoluzionaria. All’interno quindi di questo programma giustiziare i due mercenari guardia del corpo è stato assolutamente giusto: essi non erano due figli del popolo ma sgherri al servizio della controrivoluzione. Gli altri mercenari che non vogliono seguire la loro sorte non hanno che da cambiare mestiere.

3) dimostra quanto avevamo affermato nel comunicato numero uno letto in questa aula. Il processo alla rivoluzione proletaria è impossibile. Certamente esso passa anche dai nostri tribunali, ma non in veste di imputata. Oggi insieme a Coco anche voi “egregie eccellenze” siete stati giudicati. Dobbiamo precisare infine che la posizione assunta dagli avvocati di regime è di fatto la motivazione con cui loro escono da questo processo. Ne prendiamo atto e li esortiamo perciò ad andarsene. A questo punto la contraddizione ha come poli noi e voi, signori della corte. Le forze comuniste armate sapranno trarne le debite conseguenze!

Onore alla compagna Mara Cagol!

Onore alla compagna Anna M. Mantini!

Onore alla compagna Ulrike Meinhof!

Onore a tutti i compagni caduti per il comunismo!

Portare l’attacco al cuore dello stato!

 

Il 9 Giugno 1976 Prospero Gallinari tenta di leggere questo comunicato durante una udienza del processo alle BR a Torino.

Sulle carceri e sui processi

Le carceri

Nelle carceri del regime sono oggi rinchiusi molti militanti tutti accomunati dalla stessa generica accusa: Brigate Rosse. I compagni delle BR, per neutralizzare le manovre del potere contro altri compagni ingiustamente incarcerati ed estranei all’organizzazione, sono stati autorizzati ad assumere pubblicamente la propria identità politica.

Il trattamento dei nostri compagni nelle carceri ha attraversato due fasi: prima dell’assalto al carcere di Casale, dopo l’assalto.

Prima: i nostri militanti sono stati dispersi nei diversi carceri giudiziari periferici allo scopo di evitare che potessero svolgere attività politica tra le masse carcerate degli istituti maggiori.

Si è voluto cioè evitare, formalmente, un isolamento di tipo tedesco che avrebbe dato spunto ai compagni incarcerati per un movimento di lotta dannoso al regime.

Nei carceri periferici ogni nostro militante è stato sottoposto ad un regime di “sorveglianza speciale.” Ciò è accaduto anche per Curcio, tanto a Novara che a Casale. Se nonostante ciò egli è stato liberato è perché il nucleo di liberazione ha realizzato un progetto scientifico, concentrando forze sufficienti e ben addestrate al combattimento.

Dopo: i nostri militanti sono stati trasferiti in “istituti penali” (Porto Azzurro, Saluzzo ecc.) e ciò nonostante essi rimangano a tutti gli effetti “in attesa di giudizio.” Ciò vuol dire che il giudizio è già stato dato: senza bisogno di processo. Inoltre gravissime provocazioni sono state inscenate contro alcuni militanti mentre altri sono stati ridotti ad un regime di assoluto isolamento che non ha giustificazioni.

Dobbiamo credere che queste misure, evidentemente persecutorie, siano volute dal ministro di polizia e di giustizia (si fa per dire) oltre che dal solito generale e dal solito procuratore.
Rappresaglia? A rappresaglia, rappresaglia!

I processi

I militanti delle BR rifiutano e rifiuteranno ogni tentativo di frantumare l’insieme dell’iniziativa politica dell’organizzazione in mille episodi separati, che staccati dal loro contesto vengono presentati all’opinione pubblica come “reati comuni,” “fatti criminali.”

L’obiettivo del regime è quello di dividere uno dall’altro i nostri compagni per pesarli e giudicarli separatamente. Noi non accettiamo questo modo di procedere […]. Pertanto s’ha da fare un unico processo. Nessun compagno, che sia stato catturato o meno, ha responsabilità più grande o più piccola di fronte al nemico di classe perché ognuno ha posto, secondo le direttive dell’organizzazione, la sua tessera nel grande mosaico della rivoluzione proletaria.

La liberazione dei compagni detenuti politici è un punto irrinunciabile del nostro programma!

Niente resterà impunito! Costruire il potere proletario! Lotta armata per il comunismo!

 

Brigate Rosse

11 Aprile 1975

 

 

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Milano, Feltrinelli 1976