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Rivendicazione congiunta con la RAF dell’azione contro Hans Tietmeyer

Le Brigate Rosse per il P.C.C. rivendicano congiuntamente alla RAF l’attacco a Hans Tietmeyer sottosegretario alle finanze della RFT e uomo-chiave delle decisioni politiche e degli indirizzi economici concertati dai paesi imperialisti dell’Europa occidentale.

L’offensiva portata su base politica unitaria contro le politiche di coesione dell’Europa occ. esprime l’avanzamento compiuto dalle B.R. e dalla RAF nella costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista ed apre in termini concreti una nuova fase di sviluppo della strategia rivoluzionaria in quanto sostanzialmente qualifica un più maturo carattere dell’internazionalismo proletario. La “politica di alleanze” attesta le Forze Rivoluzionarie antimperialiste su un piano più adeguato ad impattare con l’imperialismo; i passaggi realizzati dalla RAF e dalle B.R. pongono basi più mature per l’ulteriore sviluppo di una proposta politico/militare/organizzativa che unifichi in una linea di attacco comune contro l’imperialismo le Forze Rivoluzionarie combattenti antimperialiste.

La proposta politica del Fronte nasce e si sviluppa a partire dall’unità d’intenti delle Forze Rivoluzionarie dell’Europa occ., e questo sia per la rilevanza strategica che l’Europa assume negli interessi dell’imperialismo, sia per le contraddizioni che, a partire dal cuore del sistema imperialista, investono in forma diversa tutta la catena. Obbiettivo generale perseguito all’interno di una “politica di Fronte” è l’indebolimento e il ridimensionamento dell’imperialismo.

L’interesse generale delle Forze Rivoluzionarie che combattono l’Imperialismo è favorire rotture rivoluzionarie, siano esse di rivoluzione proletaria o di liberazione nazionale. Infatti, il grado raggiunto di integrazione e interdipendenza economica dei paesi della catena imperialista, esprime i livelli di coesione politica e militare che si sono attestati, rendono vitale per l’imperialismo ogni angolo del mondo, tanto da rendere impraticabile il distacco di un anello della catena al di fuori di una condizione generale di instabilità e debolezza del sistema imperialista nel suo complesso.

Questo interesse comune tra tutte le Forze Rivoluzionarie antimperialiste è dato oggettivo ancor prima che soggettivo e pone le condizioni politiche per proporre e praticare una “politica di alleanze”.

Per le B.R. per il P.C.C. la costruzione e il consolidamento del F.C.A. si pone all’interno di una più ampia politica antimperialista praticata, costituendone altresì un livello più avanzato nell’affermazione concreta di un salto avvenuto in termini qualitativi nella lotta proletaria e rivoluzionaria. I temi centrali della pratica antimperialista non possono che ruotare a questo livello di maturazione raggiunto dall’imperialismo, intorno al rafforzamento di una “politica di alleanze” che tenda a costruire, con le Forze antimperialiste combattenti in quest’area geopolitica (Europea, Mediorientale, Mediterranea) la forza politica e pratica per attaccare il nemico comune.

Lo sviluppo del F.C.A. deve tendere all’obbiettivo irrinunciabile di realizzare offensive comuni contro le politiche centrali dell’imperialismo. Il raggiungimento dell’obbiettivo si consegue attraverso la costruzione di successivi momenti di unità. L’attività di attacco all’Imperialismo non può che seguire il criterio politico secondo cui la “politica di Fronte” non deve essere impedita dalle particolarità di analisi o dalla concezione politica delle diverse forze che vi contribuiscono. Non si tratta di fondere ciascuna Organizzazione in un’unica organizzazione, ma di stringere l’unità raggiungibile nell’attacco pratico nell’interesse e negli obbiettivi comuni. È quindi chiaro che i percorsi specifici di ogni Forza Rivoluzionaria antimperialista non devono essere posti come discriminanti all’agire del Fronte.

È questa consapevolezza che ha consentito alla R.A.F. e alle B.R. di costruire i presupposti per un salto in avanti, sia nella costruzione/consolidamento del F.C.A. sia per una definizione maggiormente adeguata della proposta politica che il Fronte incarna, così da uscire dalle secche del genericismo. La svolta decisiva è l’approdo ad un testo comune che individua nelle (…) direttrici principali, le linee di attacco su cui attualmente si realizza la politica di Fronte.

È stata l’attività concreta e pratica a sostanziare il salto di qualità avvenuto, sono gli obbiettivi individuati e il realismo nell’impostazione della “politica di Fronte” a qualificare il valore della proposta, il suo portato strategico che va oltre l’unità momentaneamente raggiunta: essa apre nuove prospettive di sviluppo al F.C.A. L’intento è favorire il più vasto schieramento combattente contro l’imperialismo al fine di ricomporre nell’attacco comune l’unità che già esiste sul piano oggettivo tra cui le lotte del centro imperialista e i movimenti di liberazione nella periferia.

Le direttrici principali su cui il Fronte articola l’attività antimperialista combattente fanno riferimento alle politiche di coesione tese a compattare i paesi dell’Europa occ. all’interno degli interessi del blocco. Questo costituisce il cuore dei progetti dell’imperialismo, passaggio essenziale della più generale strategia imperialista che tende alla realizzazione di un maggior grado di compattamento e di responsabilizzazione dei vari paesi della catena.

Una strategia che nasce si approfondisce in relazione all’acutizzarsi dalla crisi economica che è il prodotto di successive forzature e del collimare del reciproco interesse generale della catena imperialista dentro un quadro politico internazionale che vede una polarizzazione di interessi e campi contrapposti.

Le politiche di coesione si dispiegano su tre fronti principali: sul piano delle politiche economiche, sul piano politico-diplomatico, sul piano controrivoluzionario.

– Il piano delle politiche economiche comprende la concertazione in ambiti sovranazionali (FMI, BM, CEE, ecc.) dei termini generali di governo dell’economia. Misure concertate di supporto all’ambito capitalistico, di sostegno alle formazioni monopolistiche e al movimento finanziario vengono elaborate come risposte controtendenziali agli effetti della crisi economica.

Il principale piano controtendenziale che si afferma a fronte della recessione generalizzata è, ad un certo stadio della crisi, il ricorso allo speciale stimolo del riarmo. Il ricorso a questo “stimolo economico” è il reale indicatore dell’avanzamento della tendenza alla guerra. Si caratterizza cioè lo stadio economico più vicino allo sbocco bellico. Infatti, per le caratteristiche economiche che racchiude, ha in sé tutte le condizioni per provocare una bancarotta finanziaria; la sua efficacia temporanea é relativa al solo immobilizzo di ingenti quote di capitale finanziario eccedenti che trovano impiego nella ricerca sulle nuove tecnologie da applicare nel campo militare.

Sono gli USA che, in quanto polo economico e finanziario dominante, hanno imboccato la scelta del riarmo come “volano” dell’economia. Il grado di integrazione economica esistente tra i paesi della catena imperialista fa sì che ogni movimento economico di rilievo si ripercuote e condiziona le scelte dei paesi della catena. Per questo le scelte degli USA tendono a configurarsi come il piano controtendenziale della catena imperialista.

In Europa occidentale il riarmo non è ancora una politica economica affermata, stante il grado di profondità raggiunto dalla crisi economica e quindi la possibilità di mettere in atto diverse politiche controtendenziali; ma si prefigura già come tendenza. I passaggi di maturazione della tendenza al riarmo in Europa occ. si stanno realizzando non tanto a livello nazionale, dei singoli paesi, quanto su un piano di concertazione e cooperazione europea causa il livello finanziario necessario. Questo dato prefigura un più elevato e maturo livello di coesione politica ed economica centralizzato in sede NATO. Ed è proprio questo l’elemento più importante. L’accresciuta importanza della NATO come momento di concertazione politica multilaterale che implica un maggiore impegno europeo tutto in chiave filo-atlantica, cioè strettamente vincolato agli USA e sotto le sue direttive generali.

– È sul piano politico-diplomatico che si esprime l’aspetto principale della coesione politica in Europa occ. La funzione della “diplomazia europea” si svolge nell’ambito dell’area geopolitica Mediterranea-Mediorientale con l’intento di ricucire e sancire le forzature operate dagli USA nella fase precedente. Nel passato le forzature militari operate hanno definito l’indirizzo politico su cui doveva vertere il riallineamento delle politiche europee all’interno della più complessa strategia NATO nell’area, ridefinendo ruoli, compiti e responsabilità.

L’attività politico-diplomatica europea non si pone in alternativa ai bombardamenti e alle invasioni militari operate dagli USA e da Israele, ma è complementare, e tesa a “normalizzare” la regione Mediorientale con iniziative di ricucitura e di supporto al piano generale di stabilizzazione di rapporti di forza più favorevoli al blocco imperialista. La “stabilizzazione” è prodotto di una necessità politica generale di chiudere i conflitti regionali per ridefinire, dentro il quadro internazionale mutato, l’egemonia politico-militare dei paesi imperialisti, imponendo rapporti di preminenza e di forza negli equilibri Est/Ovest.

Il piano Schultz/Shamir corrisponde a questa necessità in quanto progetto politico complessivo tendente a dare soluzione al conflitto arabo-israeliano. È il pilastro-base attorno al quale ruotano tutte le altre proposte e suggerimenti che indicano i diversi tempi e modi di approccio alla questione, per arrivare comunque alla trasformazione dello scenario mediorientale in chiave filo-occidentale. La frenetica attività diplomatica europea sì coagula in definitiva intorno a due questioni: appoggio incondizionato al piano Schultz/Shamir come appoggio ad una strategia globale che, aldilà delle formule diplomatiche, prefigura già l’assetto futuro dell’area come passaggio nei rapporti di forza tra i due blocchi; ricerca e definizione di un piano funzionale a perseguire operativamente quei passaggi politici possibili che assestino, su diversi livelli, piani di stabilità politica ed economica col mondo arabo, in funzione della più totale “normalizzazione” dell’area.

Il Piano Marshall per il Medioriente proposto dalla CEE si pone dentro questo quadro generale ricercando una maggiore integrazione tra i paesi Mediterraneo/Mediorientali e l’Europa; ponendo anche qui l’accento sulla necessità di passare da rapporti bilaterali Nord/Sud a rapporti multilaterali, nei quali Israele verrebbe ad assumere un ruolo di riferimento per il mondo arabo. Questo come punto di arrivo di un percorso che veda parallelamente la trasformazione di Israele da manipolo di occupanti a “Stato di diritto” su stile europeo, rispettoso dei diritti dell’uomo e in grado di controllare e regolare le contraddizioni tramite gli strumenti della mediazione politica e diplomatica.

Il piano controrivoluzionario è teso principalmente a contrastare l’attività antimperialista del Fronte delle Forze Rivoluzionarie. Non si tratta solo di coordinare interventi repressivi sul piano internazionale con la collaborazione tra le forze antiguerriglia di ogni paese europeo ma avvalersi di progetti politici controrivoluzionari: i progetti di “soluzione politica” per la guerriglia, che se pure con particolari sfumature vengono portati avanti in diversi paesi imperialisti europei, ne sono un esempio. Misure coordinate sul piano politico che influiscono sulla connotazione del rapporto Imperialismo/Antimperialismo, rivoluzione/controrivoluzione nell’Europa occidentale.

Il bipolarismo, la divisione del mondo in due blocchi, è la contraddizione dominante che influenza e sovrasta i rapporti internazionali. Gli equilibri sanciti a Yalta hanno definito le aree di influenza nel mondo, la nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati uscita dalla seconda guerra mondiale. A fronte della crisi economica generale (di valorizzazione) che attanaglia l’imperialismo questi equilibri vengono attualmente messi in discussione.

L’imperialismo tende alla riformulazione di una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati e nuovi equilibri politici, un quadro di insieme che necessariamente passa per il ridimensionamento del blocco sovietico. L’internazionalizzazione della produzione e dei mercati ha segnato un passaggio di sviluppo dell’imperialismo nel dopoguerra, rendendo oggi improbabile un conflitto interimperialista. Al contrario il blocco sovietico non solo si pone al di fuori delle sfere di influenza politica ed economica occidentale, ma rappresenta per l’imperialismo un ambito sufficientemente sviluppato sul piano industriale e delle infrastrutture, oggettivamente recettivo e complementare al livello di sviluppo dell’imperialismo. In secondo luogo l’impatto con il blocco sovietico ha un significato politico, teso al ridimensionamento del modello di sviluppo dei paesi socialisti.

La necessità di impattare con il blocco dei paesi socialisti emerge in relazione allo stadio di maturazione raggiunto dall’imperialismo che, per fuoriuscire dalla crisi generale di sovrapproduzione di capitali, deve necessariamente ampliare la sua area di influenza e la sua base produttiva a scapito di chi è sconfitto e distruggere capitali e mezzi di lavoro eccedenti, così da riprendere per un periodo relativamente lungo il ciclo economico espansivo.

Quindi la tendenza alla guerra si presenta come portato dell’accumularsi critico di tutte le contraddizioni capitalistiche. I passaggi di maturazione ai questa tendenza si manifestano in una acutizzazione delle contraddizioni tra le classi e tra sviluppo e sottosviluppo e, in particolare in una maggiore polarizzazione all’interno della contraddizione dominante Est/Ovest.

Nel quadro di insieme l’area geopolitica Europea-Mediorientale-Mediterranea assume un significato particolare, e viene a definirsi come area di massima crisi oggi nel mondo proprio per il convergere di tre linee di demarcazione che delineano i diversi piani di contraddizione: dal piano dominante Est/Ovest, al piano Nord/Sud, al piano principale Proletariato/Borghesia.

In base a questi dati possiamo ipotizzare che il possibile teatro di guerra sarà ancora una volta l’Europa. Inoltre la regione Mediterranea-Mediorientale non è stata coinvolta nella definizione delle zone di influenza nell’immediato dopoguerra e, al tempo stesso, l’Europa ha, per motivi essenzialmente geografici, in quest’area la sua “naturale” zona di influenza. Per queste ragioni si presenta come il possibile punto di partenza, il “detonatore” per un conflitto allargato.

I conflitti che si determinano nella regione assumono un peso politico particolare in relazione da un lato alla loro posizione politica e di equilibrio all’interno della contraddizione Est/Ovest, dall’altro al grado di sviluppo delle guerre rivoluzionarie (di liberazione nazionale). I conflitti regionali si collocano oggettivamente all’interno del quadro degli equilibri bipolari di conseguenza sono il terreno di modifica di questi equilibri, di acquisizione e assestamento di posizioni di forza. I popoli progressisti e le Forze Rivoluzionarie, indipendentemente dai fattori ideologici e dagli obbiettivi che perseguono, si impegnano in conflitti che assumono un carattere antimperialista, trovandosi ad impattare con gli interventi imperialisti nel contesto dei loro interessi generali. Da ciò ne consegue che le Forze Rivoluzionarie in questione si pongono oggettivamente ancor prima che soggettivamente dentro la progettualità complessiva del Fronte Combattente Antimperialista.

Con l’attacco all’imperialismo vive, in unità di programma, l’attacco al cuore dello Stato. La questione dello Stato è questione ineludibile per i comunisti. Lo Stato è sede dei rapporti politici tra le classi nonché l’organo della dittatura borghese; il piano Classe/Stato, quindi, è l’asse principale su cui si articola lo svolgimento dello scontro; l’attacco ai progetti dominanti, al cuore congiunturale dello Stato assume carattere strategico fondamentale.

I criteri centrali che debbono guidare la scelta dell’obbiettivo per trarre il massimo del vantaggio politico e materiale sono: la centralità, la selezione e il calibramento dell’attacco.

La centralità dell’attacco sta nella capacità politica di individuare la contraddizione dominante che oppone le classi nella congiuntura. La selezione dell’attacco vive nella capacità di individuare il personale politico che concorre alla realizzazione del programma congiunturale della politica dominante della Borghesia Imperialista e svolge un ruolo determinante di ricerca di equilibrio tra le forze che a tale progetto partecipano. Il calibramento deve vivere in relazione al grado di approfondimento dello scontro, allo stato di assestamento delle forze proletarie e rivoluzionarie e allo stato dei rapporti di forza generali nel paese e presenti nell’equilibrio internazionale tra Imperialismo e Antimperialismo.

Il progetto politico demitiano di riformulazione dei poteri e degli apparati dello Stato è attualmente il perno centrale attorno al quale lo Stato da una parte sancisce gli equilibri politici in grado di sostenere e far avanzare gli interessi e i programmi della frazione dominante di borghesia imperialista: dall’altra assesta e ratifica i rapporti di forza generali a proprio favore evidenziando così il carattere antiproletario e controrivoluzionario. Il progetto demitiano, va precisato, non ha carattere “reazionario”, al contrario tende alla realizzazione di una “democrazia governante”, compiuta, come forma di dominio adeguata alla fase matura dell’imperialismo. In termini generali si inserisce nella tendenza attuale di ridefinizione e riadeguamento di tutte le funzioni e istituzioni dello Stato ai nuovi termini di sviluppo dell’Imperialismo e ai corrispettivi termini nel governo del conflitto di classe. Una tendenza perseguita passaggi successivi a modifica del carattere della mediazione politica tra le classi.

Questo ha maturato nello sviluppo storico dell’imperialismo una complessificazione del suo ruolo nell’intervento nei processi economici sia nella capacità di governare il conflitto e riqualificando il carattere della controrivoluzione preventiva quale politica costante per contenere la lotta di classe.

I caratteri della mediazione politica, ovvero il modo con cui si governa il conflitto di classe, si affermano in relazione alla modificazione degli strumenti e degli organismi istituzionali atti a mantenere l’antagonismo della classe dentro gli ambiti compatibili, vere gabbie istituzionali, così da non farlo collimare con la proposta rivoluzionaria. Le trasformazioni dei caratteri della mediazione politica sono il risultato sia dei livelli di sviluppo economico e di crisi conseguente, sia dei rapporti di forza generali che si instaurano tra le classi in interrelazione reciproca, il carattere di governo del conflitto di classe che si afferma è quindi sintesi del modo in cui si è attestato lo scontro di classe e al tempo stesso punto di partenza per i passaggi successivi.

La coscienza acquisita in 19 anni di prassi rivoluzionaria e gli insegnamenti di questi anni di Ritirata Strategica consentono alle B.R. per il P.C.C. di affermare la necessità e la praticabilità del terreno della guerra di classe di lunga durata, nonché l’attualità della questione del rilancio della proposta della Lotta Armata per il Comunismo come strategia politico-militare per tutto il proletariato, è nato nella capacità, maturata all’interno della ritirata strategica di dialettizzarsi correttamente con i compiti posti dallo scontro di classe.

Un’acquisizione che si traduce nel sapere organizzare e dirigere adeguatamente le forze che si dispongono sul terreno della L.A., e incidere da una parte sui rapporti di forza generali tra le classi, sviluppando un attacco che colga il cuore congiunturale della contraddizione Classe/Stato; dall’altra nelle dinamiche dello scontro tra Imperialismo e Antimperialismo, apportando il contributo qualitativo alla costruzione del F.C.A.

Il processo di riadeguamento e rilancio ha tratto e trae la sua linfa vitale dal radicamento della proposta strategica della L.A. nel tessuto proletario e, in particolare, dal riconoscimento da parte delle istanze più mature della lotta di classe, del peso politico assunto dalle BR per il P.C.C. nello scontro.

La Ritirata Strategica ha consentito alle B.R. di approfondire alcuni termini della guerra di classe, costringendole a misurarsi con le peculiarità che regolano lo scontro nelle metropoli imperialiste.

È stata acquisita la consapevolezza della complessità delle dinamiche che regolano la guerra di classe di lunga durata, in particolare la comprensione del carattere non lineare della guerra rivoluzionaria che, a partire dalla dinamica rivoluzione/controrivoluzione si afferma attraverso un percorso fatto di avanzamenti e arretramenti, ripiegamenti ed offensive.

Il principio su cui si fonda la strategia della L.A., l’unità del politico e del militare, nasce dall’adeguamento della politica rivoluzionaria alle forme di dominio della Borghesia Imperialista, dalla consapevolezza che non é possibile accumulare forza politica da riversare sul piano militare contro lo Stato. Da qui la necessità di tradurre l’attacco allo Stato, al suo cuore congiunturale in organizzazione di classe sul terreno della L.A., calibrando ciò alle diverse fasi dello scontro.

Lo sviluppo maturato nella dialettica prassi-teoria-prassi ha portato ad affermare che non è sufficiente accumulare le forze disponibili sul terreno della L.A.: la direzione dello scontro implica necessariamente la formazione e la disposizione delle forze, concentrandole sugli obbiettivi della fase rivoluzionaria. Il Compito delle B.R., quale Avanguardia Rivoluzionaria, è di organizzare le forze intorno alla costruzione del P.C.C., al fine di attrezzare il campo proletario nello scontro prolungato contro lo Stato per il potere.

L’approfondirsi del rapporto rivoluzione/controrivoluzione maturato negli anni ‘80, ha chiarificato il carattere eminentemente politico in cui opera la guerriglia negli Stati del centro imperialista. La capacità assunta dallo Stato di contenere le contraddizioni che si esprimono nel rapporto di classe è di elaborare interventi politici diversificati, calibrati alle singole fasi che si susseguono. Gli interventi politico-militari operati Sull’Avanguardia Rivoluzionaria si pongono in questo contesto e vengono fatti pesare sul corpo proletario per approfondire la separazione tra la classe e la sua Avanguardia Rivoluzionaria. L’esperienza acquisita nell’approfondimento della dinamica rivoluzione/controrivoluzione ha precisato maggiormente il carattere immanente dello scontro rivoluzionario: l’accerchiamento strategico.

L’accerchiamento strategico riflette un dato essenziale della guerra di classe di lunga durata ossia che la guerra rivoluzionaria viene condotta all’interno di rapporti di forza generali favorevoli alla Borghesia Imperialista, nell’impossibilità di avere retrovie di alcun genere. Al tempo stesso è una guerra che, facendo riferimento ad un nemico “assoluto”, non ha per definizione un fronte. Infatti quello che è in gioco è il dominio della classe dominante.

Nello scontro la borghesia e lo Stato non hanno la possibilità di annientare la controparte mentre il processo rivoluzionario può vivere e sviluppare un movimento di trasformazione che abbatta la borghesia e il suo potere politico.

Lo Stato a fronte di questa consapevolezza affina la capacità di impedire la congiunzione tra spontaneità proletaria e progetto rivoluzionario. I caratteri politici generali che hanno dominato la controrivoluzione degli anni 80 sono stati successivamente incorporati e stabilizzati nell’attività controguerrigliera, e hanno modificato i caratteri dello scontro.

Si è affermata la logica politica secondo cui il problema guerriglia va affrontato in termini incisivi politico-militari, da una parte ricercando i punti deboli che si manifestano nelle Forze Rivoluzionarie, per trasformarli in vittorie militari cospicue da far pesare nello scontro di classe, dall’altra approfondendo il carattere della controrivoluzione preventiva presente nei progetti e negli interventi dello Stato.

La Ritirata Strategica, scelta soggettiva, è stata applicata a fronte di condizioni dello scontro che evidenziano la impossibilità di sostenere posizioni politiche avanzate, al fine di ricostruire i termini per nuove offensive. Il ripiegamento è legge dinamica della guerra: al contrario se considerata come atto difensivo nega l’essenza stessa della guerriglia, la sottopone al logoramento del nemico e quindi di fatto all’arretramento.

La Ritirata strategica apre una fase rivoluzionaria a carattere generale all’interno della quale è maturata la fase attuale, la quale si precisa essenzialmente per gli obbiettivi da perseguire, ossia: ricostruzione delle forze proletarie e rivoluzionarie e costruzione degli strumenti politico-organizzativi idonei ad attrezzare il campo proletario nello scontro prolungato contro lo Stato al fine di modificare i rapporti di forza attuali.

Gli obiettivi della fase di ricostruzione precisano i termini di conduzione della guerra, l’atteggiamento tattico, la disposizione e organizzazione delle forze.

L’applicazione della tattica è elemento dinamico che concretizza e riempie la strategia.

La Strategia definisce il carattere generale della disposizione delle forze sulla lotta Armata; la tattica, informata dai criteri generali della strategia precisa la direzione delle forze in riferimento agli obbiettivi programmatici che di volta in volta maturano.

La fase rivoluzionaria attuale si presenta come fase di transizione, pur mantenendo un carattere generale dove i passaggi necessari per operare a tutti i livelli un adeguamento del campo proletario e rivoluzionario ai termini dello scontro sono funzionali alla ricostruzione delle condizioni di nuove offensive, e costituiscono le fondamenta su cui invertire la condizione attuale nei rapporti di forza. Nello sviluppo di questi passaggi si è inserito l’attacco controrivoluzionario di settembre, infliggendo perdite che approfondiscono il carattere generale della fase di ricostruzione/costruzione.

Il rovescio subito a settembre, quindi, é una sconfitta parziale e temporanea, collocata nel quadro naturale della guerra di classe di lunga durata: non nega la giustezza dell’impianto politico, ma, paradossalmente, lo riafferma e lo arricchisce. Infatti evidenzia i punti deboli nell’attuazione della linea politica senza mettere in discussione gli strumenti politici per farvi fronte. Al tempo stesso mette in luce ancor più chiaramente il carattere non lineare della guerra rivoluzionaria, nel corso della quale si infliggono e si subiscono perdite.

La guerra ha il suo prezzo: il problema di limitare le perdite trova soluzione “relativa” nella stretta applicazione dei principi strategici della guerriglia (clandestinità e compartimentazione), nonché del “modulo guerrigliero”, nel suo complesso.

ATTACCARE E DISARTICOLARE IL PROGE1TO ANTIPROLETARIO E CONTRORIVOLUZIONARIO DEMITIANO DI “RIFORMA” DELLO STATO.

COSTRUIRE E ORGANIZZARE I TERMINI ATTUALI DELLA GUERRA DI CLASSE.

ATTACCARE LE LINEE CENTRALI DELLA COESIONE POLITICA DELL’EUROPA OCCIDENTALE E I PROGETTI IMPERIALISTI DI “NORMALIZZAZIONE” DELL’AREA MEDIORIENTALE CHE PASSANO SULLA PELLE DEI POPOLI PALESTINESE E LIBANESE.

LAVORARE ALLE ALLEANZE NECESSARIE PER LA COSTRUZIONE/CONSOLIDAMENTO DEL FRONTE COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA, PER INDEBOLIRE E RIDIMENSIONARE L’IMPERIALISMO NELL’AREA GEOPOLITICA.

ONORE AI RIVOLUZIONARI ANTIMPERIALISTI CADUTI.

16/3/1989

per il Comunismo
BRIGATE ROSSE
per la costruzione del P.C.C.

 

Fonte: bibliotecamarxista.org

Volantino rivendicazione azione contro Gino Giugni

Martedì 3 maggio, un nucleo armato della nostra organizzazione ha colpito GINO GIUGNI, culo di pietra dello staff di teste pensanti del “partito della guerra” nel nostro paese. Le nostre intenzioni nei confronti di questo porco erano e sono chiare: LA LIQUIDAZIONE DEL PERSONALE IMPERIALISTA È UN PROBLEMA CHE LA GUERRA DI CLASSE SAPRÀ AFFRONTARE SEMPRE MEGLIO!

Chi è costui e quale progetto rappresenta è presto detto: la sua “Fortuna” in campo nazionale od internazionale se l’è costruita come lucido rappresentante degli interessi della borghesia imperialista nel campo delle diverse strategie di ingabbiamento dell’antagonismo di classe che la borghesia chiama “contrattazione”, ossia conciliabilità (ovviamente dal suo punto di vista!) delle lotte e delle conquiste proletarie dentro un quadro di compatibilità con gli interessi e le esigenze capitalistiche.

Tutto questo nel tentativo di istituzionalizzare e corporativizzare l’antagonismo proletario e ingabbiarlo all’interno della logica sindacale della contrattazione.

Appartenente ai massimi livelli della banda Craxiana, traduttore nella realtà italiana delle politiche imperialiste di ristrutturazione antiproletaria, cervello politico-tecnico al servizio dei vari ministeri economici e più in generale delle politiche economiche dello Stato nei vari governi, rappresenta tutte le tappe, da più di vent’anni a questa parte, percorse dalla borghesia nel tentativo di veicolare secondo le sue esigenze la lotta di classe.

A seconda delle congiunture politico-economiche, infatti, questo “Uomo per tutte le stagioni” ha cavalcato la tigre del movimento operaio, cercando di piegarlo dentro il margine della contrattazione Sindacato-Borghesia.

L’abbiamo visto all’opera negli anni 69/70, quando un formidabile movimento di lotte operaie e proletarie, in nome dell’egualitarismo e dell’autonomia di classe dal revisionismo, incominciava a sganciare gli interessi ed i bisogni delle masse dalle necessità della produzione e dell’accumulazione capitalistica e strappava consistenti conquiste politiche e materiali ad una borghesia ancora in grado di attuare una politica di scelta di consenso nei confronti dell’antagonismo di classe.

Quello che i mass-media poi indicano come il “Padre dello Statuto del Lavoratori” non è altro che il solerte legislatore che registra ed istituzionalizza uno stato dei rapporti di forza tra le classi, in quegli anni a favore del proletariato, tentando di tradurre in norme scritte, quindi concordate, quello che il movimento proletario andava conquistando fuori da ogni contrattazione possibile.

Quello che ha sempre terrorizzato questo losco individuo è proprio la forza non mediabile della lotta di classe e per questo ha sempre lavorato per rendere il conflitto fra le classi un pacato e “democratico” confronto tra i “diversi” rappresentanti in campo, in disaccordo tra loro, ma uniti comunque da un’unica volontà: subordinare gli interessi proletari alle esigenze ed alle scelte del capitale.

Ma se nel 60/70 alla borghesia era ancora possibile attuare una politica riformista per i margini economici e politici che gli erano ancora possibili, (salvo contemporaneamente attaccare direttamente la classe con le stragi e la caccia alle avanguardie), la crisi generale del Modo di Produzione Capitalistico in campo mondiale ha messo completamente in luce la reale natura di classe di tutti i vari progetti riformisti e sindacali che Giugni ha contribuito ad elaborare. Dietro la parola d’ordine “Autonomia del sindacato” a malapena si nasconde la strategia dell’attacco frontale a tutto il Proletariato Metropolitano, alle sue lotte ed ai suoi interessi. Secondo le ferree necessità della ristrutturazione per la guerra imperialista, il proletariato dovrebbe consapevolmente accettare la sconfitta totale della sua Autonomia di Classe e farsi “rappresentante” al tavolo delle trattative nel gioco del confronto fra quelle che chiamano le “Partì”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: gli accordi sulla Cassa Integrazione, quello sulle liquidazioni e sul costo del lavoro.

In particolare l’accordo di Gennaio è la base del progetto di “PATTO SOCIALE” e costituisce un salto di qualità nell’estromissione della classe dalle “contrattazioni” tra forza-lavoro e capitale.

Questo accordo è stato realizzato proprio grazie al livello raggiunto dal progetto di ridefinizione dello Stato e della funzionalizzazione dei partiti e del sindacato al piano dì maggior esecutivizzazione delle scelte generali nel campo della politica economica.

Rappresenta infatti un salto di qualità della tradizionale contrattazione tra forza-lavoro e capitale, In quanto stabilisce un piano decisionale che investe tutto l’arco dei costi della riproduzione sociale e tutta la normativa del salario sociale complessivo (assistenza, sicurezza sociale, ecc.). Questo accordo permette il varo dei licenziamenti di massa, il governo ancora più rigido del mercato della forza-lavoro, la compressione fino all’inverosimile delle spese sociali e dei meccanismi di recupero salariale sull’inflazione, ma soprattutto lo spostamento della contrattazione fuori dalle fabbriche, dal collocamento dai posti di lavoro: è la materializzazione delle scelte recessive della politica economica di guerra che significano l’imposizione al proletariato di lavorare di più, lavorare in pochi, lavorare per poco.

È attacco diretto all’abbassamento del costo della riproduzione della forza-lavoro, ottenuto per mezzo di vincoli alle spese contrattuali e sociali più in generale che per tre anni e mezzo bloccano gli aumenti salariali dentro il quadro rigido dei “tetti antinflazionistici” stabiliti dal governo-Confindustria-sindacato.

La Lotta Operaia dovrebbe, nei piani di questi signori ridursi a costituire la massa di manovra in un gioco delle parti, in cui gli obiettivi da raggiungere sono già stabiliti in partenza dal quadro di compatibilità con le esigenze dl “governo” del ciclo dell’accumulazione.

È ristrutturazione del mercato del lavoro, tesa a rendere le condizioni di vendita della forza-lavoro idonee a tenerne basso il costo; è sterilizzazione degli automatismi e della scala mobile che rende oggi la capacità di reddito proletario molto al di sotto delle effettive necessità; e differenziazione massima tra categorie contro quello che i padroni chiamano “appiattimento”. È taglio delle spese sociali e loro dirottamento verso quelle militari e di sostegno alle multinazionali.

È, SOPRATTUTTO, ATTACCO POLITICO ALLA CLASSE, PER ANNULLARNE LE CONQUISTE, LA RIGIDITÀ, I LIVELLI D’ORGANIZZAZIONE COSTRUITI IN ANNI DI LOTTE.

Oggi, l’attacco al proletariato metropolitano per mutare il rapporto di forza generale fra le classi a maggior vantaggio della borghesia imperialista, porta ad un peggioramento delle condizioni di vita delle masse e chiude definitivamente ogni velleità capitalista di governare il conflitto di classe, nel senso che l’ambito della mediazione riformista con l’antagonismo, si riduce drasticamente, aprendo una fase di scontro aperto. L’unica possibilità di governabilità è data dall’accettazione da parte del proletariato a farsi compartecipe di un ampio fronte interclassista a sostegno delle necessità di ristrutturazione del capitale multinazionale.

Il sogno di Giugni e dei suoi compari è un proletariato diviso e corporativizzato che si mette in concorrenza ai suo interno per poter essere immesso nel ciclo produttivo al prezzo e alle condizioni dettate dai margini ristretti della crisi.

All’interno della pace contrattuale e delle revisionalità degli obiettivi posti dalle lotte, si apre la contrattazione individuale sull’accesso ai posti di lavoro disponibili, e sulle condizioni dello sfruttamento in fabbrica e in tutti i posti di lavoro.

Ciò che questi accordi sanciscono politicamente è la possibilità da parte della borghesia di sferrare un attacco frontale a tutto il proletariato metropolitano, in presenza di una relativa debolezza del movimento rivoluzionario ed antagonista; ogni accordo infatti è frutto di rapporti di forza precisi tra le classi e un ulteriore passo in avanti per rafforzare la posizione di forza della borghesia. Tutto questo immediatamente ha l’effetto di un peggioramento generale delle condizioni di vita e della contrattazione del prezzo della forza-lavoro; ma soprattutto il senso politico di un attacco liquidatorio all’antagonismo di classe del proletariato e alla sua politica rivoluzionaria; è la strategia dell’annientamento della possibilità storica di trasformare la ristrutturazione per la guerra imperialista in guerra di classe per il COMUNISMO.

I conti in tasca ai vari Giugni, Merloni, Benvenuto, De Mita, Lagorio, tornerebbero solo se il proletariato metropolitano, nel nostro paese, avesse realmente scelto di convivere pacificamente con i suoi sfruttatori e si fosse dissociato dalla lotta dì classe in favore del “patto sociale” e neocorporativo.

Che le cose non stiano esattamente così lo dimostrano le fughe scomposte dei vari sindacalisti da tutte le piazze d’Italia, e i secchi NO alle scelte di politica economica che caratterizzano le lotte più significative di questi ultimi mesi.

Il tentativo di far arretrare il movimento antagonista alle spoglie della resistenza estrema, e il tentativo revisionista di convogliare le tensioni di classe a difesa di condizioni politico generali oggi improponibili, in presenza dei livello raggiunto dalla crisi e quindi dalle scelte obbligate del capitale multinazionale per poter continuare a funzionare come tale. Nel progetto dì liquidazione d’ogni pur minima parvenza di politica proletaria antagonista (per non parlare poi d’ogni progetto rivoluzionario) l’attacco è diretto a ricostruire un quadro di rapporti tra le classi in cui i processi di ristrutturazione per la guerra imperialista siano garantiti dal massimo di pace sociale.

Al proletariato non si concede più nulla. Per il proletariato si prevede solo “il privilegio” di concorrere in una sequela di patteggiamenti continui, a sostenere le scelte della borghesia imperialista, in posizione definitivamente subordinata. Questo è stato possibile con la rottura della rigidità operaia e proletaria allo sfruttamento capitalistico, con l’arretramento dalle posizioni d’autonomia politica conquistate in anni di lotta e d’organizzazione proletaria sul terreno rivoluzionario.

Di fronte all’attacco generalizzato della borghesia, il problema oggi non è quello di attestarsi su posizioni di “estrema difesa”, ma quello di riconquistare le condizioni politiche, i rapporti di forza sempre più favorevoli per lacerare ulteriormente il livello di contraddizioni sul terreno dell’antagonismo dl classe e collocare l’iniziativa rivoluzionaria nel senso contrario ai progetti dì pacificazione tra le classi.

Il proletariato metropolitano non ha nulla da difendere se non la possibilità d’espressione della sua politica rivoluzionaria, come condizione per spezzare i tentativi di ricacciarlo nell’ambito del pacifismo imbelle e ribaltarli nel suo opposto; per liberarsi definitivamente dalla catena revisionista che lavora alla sconfitta della sua autonomia di classe e poter far arretrare significativamente i progetti di ristrutturazione per la guerra imperialista nel suo percorso di liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato.

La funzione dello stato in questa fase è la sua assunzione di nuovi compiti sul terreno della politica economica, della politica controrivoluzionaria e della politica estera, la sua maggiore funzionalizzazione alle esigenze della ristrutturazione, staglia con maggior chiarezza il ruolo dello stato come interprete al massimo livello degli interessi della borghesia imperialista.

La fine dell’assistenzialismo ridefinisce lo stato non più come regolatore del conflitto tra le classi, ma come esplicita espressione del dominio della borghesia; come garante in termini politici, economici, militari, e ideologici della ristrutturazione per la guerra imperialista.

Tutto ciò porta con sé l’accelerarsi dell’individuazione da parte proletaria della natura politica dello scontro, svelando contemporaneamente l’inconsistenza di ogni proposta che punta alla difesa delle condizioni politiche generali proprie della fase passata. La capacità di ricostruire la rigidità operaia e proletaria ai progetti di guerra della borghesia imperialista, è legata alla lacerazione rivoluzionaria del quadro politico attuale ed alla ridefinizione del nuovo carattere dell’autonomia di classe.

Questo è reso possibile anche dalla crescente difficoltà per i revisionisti di avere la benché minima credibilità per poter continuare a “rappresentare” gli interessi, anche quelli immediati, del proletariato metropolitano.

La politica revisionista è compressa oggi tra due forze contrapposte: da una parte la borghesia imperialista che tende a subordinarla completamente ai suoi progetti; dall’altra il proletariato metropolitano che la “obbliga” a garantire in qualche modo la difesa dei suoi interessi. Questo “vaso di coccio” non potrà che frantumarsi fragorosamente, e con lui tutti i tentativi di subordinare l’antagonismo proletario ai progetti della borghesia imperialista.

Se la ristrutturazione per la guerra imperialista apre ed acuisce le contraddizioni tra interessi materiali e politici del proletariato e sua “rappresentanza storica”, gettandola in una crisi di ruolo senza rappresentanza, le forze rivoluzionarie devono favorire questa crisi. Solo dallo sgretolamento di queste gabbie è possibile liberare tutte le nuove forze proletarie prodotte dall’antagonismo alla ristrutturazione per la guerra. Si tratta di favorire la demistificazione dei contenuti e delle proposte che impediscono l’espressione della classe proprio nel momento in cui mostrano la corda e la loro debolezza si evidenzia di fronte al progetto di fase della borghesia imperialista. Si tratta di aiutare a far emergere ogni elemento che si afferma nella lotta contro il progetto guidato dal “Partito della guerra” di appoggiare, sostenere i contenuti più avanzati delle lotte del proletariato metropolitano e ricomporre la classe sul terreno rivoluzionario, attaccando nel contempo chi tenta di ingabbiarla in schemi vecchi e perdenti.

I contenuti politici più avanzati emersi dalle lotte contro la guerra, contro lo stato della tortura, contro la politica economica del governo, contro il progetto della resa e della desolidarizzazione, hanno evidenziato ancora una volta la capacità del proletariato metropolitano, in particolare della classe operaia, nel nostro paese, nonostante la controrivoluzione scatenata e g1i errori delle forze rivoluzionarie, di essere in grado di tener testa ai progetti guerrafondai della borghesia.

Questo già mette in luce le modificazioni avvenute (e soprattutto quelle future) dell’attività generale delle masse contro lo stato e il suo progetto di fase.

Contro la ristrutturazione dello stato per la guerra imperialista, la spontaneità proletaria si oppone nei modi in cui riesce ad esprimersi; ma questa resistenza rischia di attestarsi ad una difesa passiva e senza sbocco. Questa resistenza deve essere invece diretta a trasformarsi in senso rivoluzionario per opporsi in modo vincente alla prospettiva della guerra, sviluppando i contenuti dell’antagonismo proletario e l’attività generale delle masse, in partecipazione cosciente allo scontro imposto dalla borghesia. Si tratta quindi di dotarsi della POLITICA RIVOLUZIONARIA adeguata ad operare su tutto l’arco delle contraddizioni che i piani del nemico di classe scatenano all’interno del proletariato metropolitano, indirizzando le lotte e il combattimento proletario contro le articolazioni progettuali, nelle diverse congiunture, della borghesia e dotare i programmi del piano strategico rivoluzionario, puntando al raggiungimento dell’obiettivo politico di fase: la distruzione del progetto di ristrutturazione per la guerra imperialista con la conquista del potere politico del proletariato metropolitano.

Quest’obiettivo deve vivere e guidare fin da oggi l’attività di direzione delle lotte e del combattimento proletario, nel senso che i programmi delle varie congiunture sono legati alla conquista di rapporti di forza sempre più favorevoli al proletariato, nel percorso per tappe della liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato.

La possibilità di vittoria è legata alla capacità dell’avanguardia comunista di identificare chiaramente gli obiettivi che si intendono perseguire in rapporto ai reali e concreti livelli di coscienza e di organizzazione delle masse.

L’attacco a Giugni è per noi il primo momento del rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria che identifica il programma delle B.R. contro il cuore dello stato in questa congiuntura, come ATTACCO MULTIFORME DI TUTTO IL PROLETARIATO METROPOLITANO CONTRO IL “PATTO SOCIALE”, TAPPA FONDAMENTALE DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA PER L’ATTUAZIONE DEL SUO PROGETTO DI LIQUIDAZIONE DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA.

L’attacco portato si inserisce al livello più alto delle contraddizioni tra proletariato metropolitano e stato in questa congiuntura, e per questo costituisce un poderoso passo in avanti nella ridefinizione del rapporto tra avanguardia comunista e masse proletarie, che va nel senso della necessità di: CONQUISTARE L’ANTAGONISMO PROLETARIO AL PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO!

CONQUISTARE ED ORGANIZZARE LE AVANGUARDIE SULLA STRATEGIA DELLA LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!

L’attuale congiuntura politica internazionale è caratterizzata da una marcata accelerazione alla preparazione delle condizioni politiche e materiali per il dispiegamento della guerra interimperialistica. Est ed Ovest accelerano tale processo ristrutturando i propri apparati politici, economici, militari ed ideologici col fine dichiarato che la risoluzione dei problemi creati dall’attuale crisi possono essere risolti solo con un conflitto armato che ridisegna complessivamente il volto del mondo.

I motivi che scatenano la dinamica conflittuale tra i due blocchi imperialisti sono quelli relativi al venir meno delle condizioni della riproduzione del capitale su scala internazionale. La modificazione della posizione di ciascun paese all’interno della divisione internazionale del lavoro, i termini sempre più aspri della concorrenza in un mercato mondiale non più in grado dì espandersi, le difficoltà d’accesso alle fonti di energia e di materie prime dovute all’incrinarsi del complesso delle relazioni tra i paesi, sono le cause che condurranno la barbarie imperialista a scatenare il genocidio dei proletari, alla distruzione dì beni e mezzi di produzione, per una nuova spartizione del mondo e per un maggior sfruttamento dei popoli.

Questa tendenza, oggi dominante, non è data né da un fatale destino, né da una mente occulta che elabora piani e strategie, ma è la naturale conseguenza di scelte in materia di politica economica, finanziaria, e militare, operate dalle frazioni di capitali più forti per ritagliare la propria quota di mercato, per aumentare i profitti e per accrescere il proprio capitale a scapito di quelli più deboli. Il movimento di questi capitali, modifica e ridefinisce rispetto alle proprie esigenze, le condizioni generali di tutta la formazione economica e sociale, nonché i rapporti tra le classi, polarizzando i rispettivi interessi. Questo processo e le sue finalità, al di là delle differenze specifiche in ciascun paese, essendo informato da grandi fattori comuni trova compatta tutta la borghesia imperialista occidentale.

Ciò è dimostrato per un verso dal processo di rinsaldamento delle alleanze e dei vincoli tra paesi della stessa area e creazioni di nuove alleanze ai fini dello schieramento finale per l’altro, dal porre in essere processi di ristrutturazione degli Stati nazionali, cercando di renderli fortemente esecutivizzati e diretti da una frazione politica, che chiamiamo “Partito della guerra”, in grado di rappresentare gli interessi di classe (borghese) entro quelli più generali dì tutta l’area.

L’ipotesi di guerra tra le due maggiori superpotenze è discussa apertamente sui mass-media, accompagnata da sintomi inequivocabili d’imbarbarimento politico, come la propaganda tesa a mostrificare il nemico potenziale. Se il terreno più reclamizzato è quello delle trattative sulla riduzione degli armamenti strategici, questo è anche il meno rappresentativo dei reali rapporti in maturazione, perché teatro di continue iniziative propagandistiche, di miglioramento dell’immagine internazionale dei protagonisti. In ogni epoca tutte le dichiarazioni di guerra hanno sorpreso gli ambasciatori seduti intorno al tavolo delle trattative, o quasi!

La misura reale dei rapporti interimperialistici è data invece da un complesso di decisioni economico-politico-militari che i due blocchi imperialisti, stanno attuando, che dimostrano senza equivoci una volontà di riarmo colossale in tempi brevi. Per l’occidente, con l’avvento di Reagan, la politica estera americana punta al ripristino della supremazia USA a livello planetario, assumendosi il “carico” di difendere ed allargare i propri interessi vitali in ogni parte del mondo.

“Noi viviamo in un’epoca in cui un colpo di stato, uno sciopero di grandi dimensioni, un attentato terroristico o una guerra tra paesi vicini, anche se lontana dalle nostre frontiere, possono, come mai prima d’ora, scatenare le conseguenze su scala mondiale che colpirebbero il nostro benessere nazionale e la nostra sicurezza. È necessaria per noi un’ampia visione strategica che inserisca i problemi regionali in un quadro globale” (D. Jones capo di stato maggiore USA.)

La politica dell’amministrazione Reagan intende rilanciare la politica internazionale americana nel tentativo di recuperare tutte le sconfitte degli ultimi anni, dal Vietnam all’Angola, dal Nicaragua all’Iran.

Una politica imperialista, dunque che punta al ripristino del rapporto di forza generale USA-URSS che sia decisamente favorevole agli americani e che dissuada l’URSS da una politica d’espansione in aree pericolose per la “sicurezza” degli USA, cioè in ogni parte del mondo!

L’installazione degli euromissili nello sviluppo di questa strategia è essenziale in quanto è in Europa e nel Mediterraneo che i blocchi si confrontano direttamente. Non solo. Questa strategia vuole assumere forza ed aggressività superando il concetto di “reciproca deterrenza”, cioè l’impossibilità (non convenienza) concreta di un conflitto nucleare limitato ma diretto tra NATO e Patto di Varsavia in aree come l’Europa e il Mediterraneo. Questa politica, nell’attuale contesto di crisi determina negli USA e in Europa una situazione nuova sul piano interno ed in tutta l‘area occidentale rispetto ai decenni passati.

Se prima gli aumenti della spesa sociale marciavano parallelamente in termini crescenti (seppure con differenti volumi) a quelli delle spese militari, oggi esiste un apporto rigido tra queste due voci e la crescita dell’una va a scapito dell’altra.

Questa situazione fa sì che la politica militare, diretta dagli USA in tutta l’area occidentale, trovi l’opposizione e la resistenza di vasti movimenti di massa composti da tutti quegli strati sociali che vengono attaccati da una politica di tagli alla spesa sociale che per la sua valenza “interna” si collocano oggettivamente in termini antimperialisti così come lo sono soggettivamente i movimenti contro la guerra.

Questa politica costituisce una scelta obbligata per l’imperialismo, determinata da un contesto internazionale caratterizzato da una recessione economica generalizzata che si avvia a permanere per il terzo anno consecutivo in cui tutte le misure e controtendenze messe in atto non possono costituire altro che un freno temporaneo alla tendenza dominante.

La “gestione controllata” della recessione costituisce attualmente il “credo” della maggioranza dei paesi a capitalismo avanzato e l’aspetto fenomenico che assume il processo in atto in tutto l’occidente che chiamiamo “ristrutturazione per la guerra imperialista”. Le scelte in materia di politica economica e monetaria operate dai singoli paesi, pur essendo omogenee con gli indirizzi generali e le prospettive di fondo, sviluppano grosse contraddizioni a livello economico tra i paesi dello stesso blocco, come ad esempio in Europa, tra Europa e USA, USA e Giappone ed Europa e Giappone.

Da questo punto dì vista, l’esigenza di rafforzamento dei vincoli politico-militari non è riconducibile ad esigenze specifiche di singoli paesi, ma alla necessità del sistema imperialista nel suo complesso di superare la crisi avviandosi al confronto con il blocco avversario.

Il capitalismo allo stadio dell’imperialismo delle multinazionali, ha creato un sistema di rapporti talmente integrato che il suo sviluppo può avvenire solo accrescendo tanto le dimensioni, quanto la forza dì coesione dell’interdipendenza.

L’Italia, essendo parte organica del sistema di relazione (catena imperialista) dell’occidente, i caratteri generali delle crisi non si discostano da quelli dell’area di cui fa parte, e si identificano nella recessione produttiva, nell’inflazione, nella disoccupazione, ecc… Il carattere specifico è dato invece dalla particolare acutezza e gravità di questi fenomeni, e che portano a confermare il ruolo di “anello debole della catena imperialista”.

Il capitalismo italiano, più ancora di altri paesi, vede restringersi il ventaglio delle scelte possibili dentro un sistema di equilibri in cui il recupero di un ruolo competitivo è reso maggiormente vincolato dall’aggravarsi della crisi.

Accade così che i fattori che hanno concorso ad aggravare localmente i fenomeni critici comuni a tutto il sistema imperialista, si presentano oggi come facenti parte della fisiologia stessa della società italiana, e al tempo stesso, come i principali ostacoli al recupero “in tempo utile” della competitività commerciale.

IL PIU’ POTENTE DI QUESTI OSTACOLI È COSTITUITO OGGI DALLA CAPACITÀ DELLA CLASSE OPERAIA E DEL PROLETARIATO METROPOLITANO DI STABILIRE RAPPORTI DI FORZA GENERALI TALI DA PESARE SULLA DETERMINAZIONE DELLE SCELTE CAPITALISTICHE, PER CUI LA SCONFITTA POLITICA DELLA CLASSE DIVENTA UNO DEI PRINCIPALI OBIETTIVI DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA, INSIEME ALLA RIDEFINIZIONE DELLA FISIONOMIA SOCIALE DEL SISTEMA DEI PARTITI E DELLO STATO.

 

Compagni, proletari,

la strategia della lotta armata come aspetto più avanzato della politica rivoluzionaria deve saper conquistare i diversi e differenziati livelli dell’antagonismo proletario al PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO che può essere sintetizzato, come programma di tutto il proletariato metropolitano nella congiuntura; solo dentro una dialettica concreta con i movimenti di massa esistenti sul terreno della lotta antimperialista e con i contenuti delle lotte espresse dalla classe operaia.

Conquistare l’antagonismo proletario al programma rivoluzionario, vuol dire orientare e dirigere le forme e contenuti delle lotte espresse dai vari settori del proletariato metropolitano entro la strategia della conquista del POTERE POLITICO. Vuol dire riunificare e generalizzare i contenuti politici più avanzati delle lotte che accomunano le condizioni e le esigenze di tutto il proletariato contro i progetti di ristrutturazione antiproletari della borghesia. Gli interessi proletari trovano in tutta Europa lo stesso antagonista al di là delle differenze esistenti tra i movimenti che si mobilitano e i contenuti che questi agitano e che costituiscono un complesso d’antagonismo proletario che investe non solo le scelte che l’imperialismo sta facendo, ma la stessa sostanza dell’organizzazione capitalistica del lavoro e della società.

Va affermandosi la consapevolezza, nel proletariato, che al di là di ogni possibile soluzione la borghesia possa escogitare per far fronte alla crisi, il suo futuro entro questo modo di produzione non può non essere che di maggior sfruttamento e miseria a fronte, paradossalmente, di uno sviluppo della ricchezza sociale disponibile solo a settori di classe sempre più ristretti. Le prospettive sono abbastanza chiare: cicli produttivi sempre più automatizzati che riducono l’occupazione, aumento dello sfruttamento della forza-lavoro rimasta occupata ecc., tutto ciò in funzione di una riduzione dei costi di produzione delle merci per favorire la quota d’esportazione verso mercati esterni, ad un grado direttamente proporzionale all’immiserimento delle condizioni di vita delle masse proletarie interne.

L’antagonismo che questa consapevolezza sviluppa nel proletariato metropolitano, va sintetizzato nei suoi aspetti politici più avanzati in programma rivoluzionario dalle avanguardie comuniste e organizzato e diretto in scontro politico per il potere.

Entro questo processo va ricercata la riunificazione delle avanguardie attorno al progetto politico rivoluzionario e sue forme organizzative (sistema di potere proletario armato) che diriga lo scontro di classe costruendo una progettualità rivoluzionaria in grado di porre in ogni fase le direttrici e gli obiettivi da conseguire per conquistare il potere politico, instaurare la dittatura operaia e proletaria come condizione per il dispiegamento della Transizione al Comunismo.

Il modo di porsi del progetto della Lotta Armata entro la Politica Rivoluzionaria condotta da milioni di proletari, oggi si ridefinisce ponendo al centro della sua teoria-prassi i contenuti politici più avanzati e generalizzati come espressione degli interessi generali del proletariato metropolitano che nella congiuntura trovano il massimo di collisione con progetti di ristrutturazione posti in atto dal “partito della guerra”.

Ciò permetterà di costruire le condizioni politiche e i rapporti di forza favorevoli al proletariato metropolitano per affrontare i problemi dell’attacco controrivoluzionario non solo dal punto di vista delle avanguardie combattenti, ma di tutta la classe.

Tutte le pratiche rivoluzionarie condotte dalle avanguardie che vengono informate da questi presupposti politici, pensiamo che costituiscano reali punti di riferimento per la costruzione del PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE in quanto, non esprimono semplicemente una “espressione”, “rappresentanza” degli interessi del proletariato metropolitano, ma una sua componente di avanguardia ad esso interna posta sotto la sua costante critica e verifica, attraverso la cui direzione il proletariato metropolitano può e deve costituirsi come CLASSE DOMINANTE.

Compagni,

le difficoltà, gli errori e le deviazioni nel movimento rivoluzionario, hanno messo in luce accanto all’enorme possibilità di rilancio della proposta rivoluzionaria nel nostro paese, anche tutta la sua debolezza.

L’attacco della borghesia alle avanguardie combattenti, la messa in atto dei piani controrivoluzionari della dissociazione e della resa, il tentativo di isolare i comunisti dal movimento di classe, ha costretto anche i più restii a riflettere sugli errori commessi che tanto hanno favorito i progetti del nemico.

Oggi pilotate e amplificate dai mass-media, si assiste alle più svariate prese di posizione che sotto l’etichetta di “processo autocritico” puntano alla proclamazione del fallimento della Strategia della Lotta Armata magari per bocca di qualche “illustre protagonista”. Al di là delle differenze di impostazioni evidenziatesi, che sono terreno di dibattito e battaglia politica tra rivoluzionari, ci interessa chiarire che le autocritiche di cui sono capaci i comunisti sono tutt’altra cosa delle teorizzazioni che nulla hanno a che fare con i reali problemi del movimento rivoluzionario.

Chi oggi, nascondendosi dietro eleganti elucubrazioni sulle novità dello scontro, rinnega la funzione dell’arma della politica rivoluzionaria, la necessità della costruzione del partito, la strategia della Lotta Armata per il comunismo come unica politica proletaria per la conquista del potere politico, rappresenta il puntello teorico più pericoloso alla liquidazione del patrimonio più prezioso di questi ultimi anni, che pur tra incertezze ed errori, ha potentemente favorito la maturazione del movimento proletario più forte d’Europa.

Intendiamo dire che i difficili compiti di questa fase lasciano poco spazio ad una convivenza pacifica tra le diverse posizioni che sono maturate nei movimento rivoluzionario.

Occorre oggi portare a fondo una battaglia politica che sia in grado di sconfiggere politicamente dentro il proletariato metropolitano tutta l’influenza nefasta di tesi che puntano coscientemente alla liquidazione di oltre un decennio di progettualità rivoluzionaria nel nostro paese.

Non si tratta più di convivere con i teorici dell’antimarxismo viscerale, con chi ripercorre la stratificazione di classe esaltandone i comportamenti trasgressivi di gruppo o addirittura individuali, con le analisi di stampo sociologico in cui sparisce ogni carattere di classe; ma capire a fondo tutta l’influenza disgregatrice che hanno nei confronti del proletariato metropolitano, denunciarne l’ultra soggettivismo insito in dichiarazioni di guerra a cui la classe non sta partecipando e i vagheggiamenti radical-chic di chi, a seconda del vento che tira, fa e disfà progetti politici a sua immagine e somiglianza.

La durezza delle condizioni dello scontro oggi mette a nudo le discriminanti politiche tra chi sta lavorando alla riconquista di un impianto strategico adeguato alla fase e chi consapevolmente punta alla distruzione di ogni capacità proletaria di organizzarsi come classe contro lo stato. Contro ogni ipotesi, più o meno mascherata di trovare la causa di tutti i mali nell’aver lottato e combattuto in questi anni, guidati dalle armi del marxismo-leninismo, si erge potente una ripresa del movimento rivoluzionarlo che, materialisticamente e fuori dall’idealismo dell’ultra-soggettivismo, si sta ponendo ben altri problemi: esattamente quelli relativi alla costruzione della teoria rivoluzionaria nelle metropoli imperialiste e degli strumenti politici, teorici, e militari adatti a sostenere una guerra di classe contro la borghesia imperialista.

È in riferimento a queste forze che le BR hanno lavorato in quest’anno nelle proposte dell’autocritica e della ricostruzione dei primi elementi di programma politico.

È con queste forze che intendiamo trovare gli elementi d’unità sul piano strategico dell’attacco al progetto dominante della borghesia, come espressione della capacità di direzione del movimento antagonista secondo i criteri dell’agire da partito per costruire il partito.

In questo lavoro politico, non ultimo è il problema di combattere accanto alle tesi apertamente di resa della piccola borghesia impaurita di non trovarsi più in cattedra, anche tutto il coacervo di tesi e di posizioni ultrarivoluzionarie a parole che, alle prime avvisaglie dell’indurimento dello scontro, hanno già dimostrato tutta l’inconsistenza e l’erroneità.

Se il movimento di classe in Italia ha dovuto assistere fin dentro la Banca di Torino al fallimento dei fautori dell’offensiva a tutti i costi, questo ha messo in luce l’estraneità dei soggettivismo trasgressivo ai reali problemi dello scontro tra le classi.

Al contrario pensiamo che la ripresa del movimento rivoluzionario e la possibilità di vittoria siano legate alla capacità dei Comunisti di avviare un percorso di confronto e di battaglia politica che, pur nelle diversità, punti alla rivisitazione critica dei limiti di analisi che ci hanno caratterizzato in questi ultimi anni. Gli errori commessi nel valutare le forme e i contenuti delle lotte espresse da grandi masse sul terreno del nucleare, della guerra, della politica economica di guerra; la sottovalutazione dell’elemento cosciente e un rapporto sbagliato con la classe, ha fatto dipingere questi movimenti come sul punto di scendere sul terreno della lotta armata ed ha ridotto la politica rivoluzionaria da una parte alla proposta armata, dall’altra ad “inascoltati” appelli alle masse ad organizzarsi immediatamente sul terreno politico-militare.

Ciò che ha favorito errori di questo tipo va ricercato nella carenza di progettualità, di programma, di teoria rivoluzionaria che sintetizzi in ogni congiuntura i passaggi necessari da operare e gli obiettivi da realizzare che i contenuti delle lotte operaie e proletarie, ovvero i rapporti di forza, rendono possibile.

Va aggiunto che in mancanza di ciò, ne deriva inevitabilmente una dispersione dell‘iniziativa combattente che non polarizzandosi attorno all’elemento centrale del programma nella congiuntura, si frammenta e ripiega su se stessa endemizzando lo scontro a livello puramente militare con la controrivoluzione, fino alla sua sconfitta.

L’autocritica deve servire a rafforzare la strategia della lotta armata per il Comunismo epurando dall’impianto rivoluzionario tutte le impostazioni soggettiviste che ci hanno fatto perdere di vista le reali condizioni dello scontro e ci hanno impedito di collocare la nostra iniziativa in un rapporto corretto col movimento antagonista, che pur lanciava messaggi significativi sul terreno rivoluzionario. Aver ridotto le indicazioni d’avanguardia al solo terreno di combattimento, dando già per scontata l’esistenza di un sistema di potere armato dispiegato sul terreno della guerra di classe, ci ha impedito di cogliere i reali contenuti di potere espressi da ben più ampie espressioni dell’antagonismo proletario contro i progetti della borghesia imperialista. Questo ha significato l’esclusione dell’attività generale delle masse dai nostri programmi riducendo le nostre capacità propositive al ristretto ambito delle avanguardie.

L’errore non sta nell’aver voluto agire da partito, ma esattamente il suo opposto: nel non aver saputo materializzare la funzione di direzione che un partito rivoluzionario deve esercitare nei confronti delle lotte e del combattimento di milioni di proletari sul terreno della trasformazione rivoluzionaria della società. Questa funzione non è sempre uguale a se stessa ma deve trasformarsi a seconda delle diverse tappe del percorso rivoluzionario.

Non aver compreso i nuovi compiti di direzione alla chiusura della fase della propaganda armata, aver continuato a riferirci e livelli d’avanguardie, vagheggiando un movimento di massa rivoluzionario sorto spontaneamente dalla crisi del modo di produzione capitalistico che bastava indirizzare contro gangli periferici del dominio capitalistico, non solo ci ha separato politicamente dal movimento di classe, ma soprattutto ci ha relegato a sua retroguardia.

L’assolutizzazione della forma del combattimento ci ha portato a disarmare politicamente la nostra proposta politica ed a non mettere al centro della possibilità di trasformazione rivoluzionaria la complessità di livelli e diversità di contenuti del movimento antagonista, da orientare sul piano della partecipazione cosciente delle masse organizzate contro la borghesia imperialista e il suo stato.

In questo senso i nostri programmi hanno assunto o il carattere idealistico di ogni Comunismo alluso o quello economicista e praticone delle conquiste immediate di tutti quei bisogni definiti “irriducibilmente inconciliabili” con l’esigenza dell’accumulazione capitalistica.

Viene così teorizzata l’irrecuperabilità delle lotte contro la ristrutturazione senza mai entrare nel merito dei contenuti e delle forme in cui tali lotte si esprimono, che sono gli elementi che consentono di approssimare punti di programma e linea politica-rivoluzionaria. Questa presunta “irrecuperabilità” è la base su cui si è costruito tutto il barocco edificio del “sistema dei programmi” con la conseguente frammentazione della pratica politico-militare.

Secondo noi si dà scontro di potere quando gli interessi generali della classe entrano in contrasto non mediabile con gli interessi della borghesia, ed intorno a questi interessi generali della classe, entrati in contrasto non mediabile, si mobilita un movimento di classe di vaste proporzioni, costituito dalla lotta di milioni di proletari su obiettivi che, in quanto generali, comuni a tutta la classe, sono politici perché antagonizzano ai padroni ed allo stato una massa di proletari che tendono oggettivamente (ed a livelli diversi, anche soggettivamente) a fare come classe “per sé”, come classe cosciente.

Ma anche questo movimento antagonista, che già tende ad uscire fuori dalla capacità di controllo sindacale e revisionista, non è di per sé “irrecuperabile” ma costituisce unicamente la base reale su cui può svilupparsi un processo di organizzazione rivoluzionario della classe.

Passaggio questo non scontato, che non è un “portato oggettivo dell’accentuarsi della crisi” ma percorso cosciente di massa che scaturisce dalla dialettica tra movimento antagonista ed avanguardie rivoluzionarie.

Il concetto stesso di “irrecuperabilità” è frutto dell’idealismo dato che l’esperienza storica insegna che l’unica cosa irrecuperabile per la borghesia è la perdita del potere politico e l’edificazione della società comunista.

Il programma nasce dunque dallo scontro tra l’attività generale delle masse ed il progetto dominante della borghesia.

È QUINDI PROGRAMMA DI TUTTO IL PROLETARIATO METROPOLITANO.

Il Partito deve leggere i contenuti generali che percorrono in modo diversificato tutti i settori della classe, deve analizzare le possibili tappe che lo scontro può percorrere e raggiungere nella direzione dello sviluppo del processo rivoluzionario in una direzione: LA CONQUISTA DEL POTERE POLITICO.

La generalizzazione dei contenuti più avanzati, il miglioramento del livello di organizzazione e delle forme di lotta, la sempre più chiara identificazione del nemico principale da abbattere, sono la concretizzazione della politica rivoluzionaria come attività complessa ed articolata del SISTEMA DI POTERE PROLETARIO ARMATO IN COSTRUZIONE, che deve trovare nelle diverse congiunture il Partito, e gli organismi rivoluzionari delle masse in grado di identificare correttamente i compiti sempre nuovi, nella diversità degli obiettivi da raggiungere in relazione al reale livello di coscienza ed organizzazione delle masse.

In questo senso il programma, nato dai livelli di massima concentrazione dello scontro tra le classi e sintetizzato dal Partito, deve ritornare come piano unitario nelle lotte, nella mobilitazione e nel combattimento di tutto il proletariato metropolitano, contro tutte le articolazioni progettuali del nemico nelle diverse congiunture.

Questo programma, in dialettica con i bisogni immediati ma soprattutto con quelli generali del proletariato metropolitano, si dà dentro le leggi della guerra: non c’è conquista permanente da parte del proletariato metropolitano, c’è però la possibilità di conquistare non questo o quel bisogno, ma TUTTO IL PROPRIO DESTINO!!

GUERRA AL “PATTO SOCIALE”, ARTICOLAZIONE CONGIUNTURALE DEL PROGETTO DI ANNIENTAMENTO DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA DEL PROLETARIATO METROPOLITANO!

GUERRA ALLA GUERRA IMPERIALISTA! GUERRA ALLA NATO!

GUERRA AL “PARTITO DELLA GUERRA”!

SVILUPPARE L’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO CONTRO LE SCELTE DI GUERRA DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA!

COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE!

COSTRUIRE IL SISTEMA DI POTERE PROLETARIO ARMATO PER LA CONQUISTA DEL POTERE POLITICO!

LIQUIDARE I PROGETTI DELLA RESA E DELLA DISSOCIAZIONE DALLA LOTTA DI CLASSE!

BATTERE LE LINEE SBAGLIATE NEL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO!

ONORE A UMBERTO CATABIANI “ANDREA” E A TUTTI I COMPAGNI CADUTI COMBATTENDO PER IL COMUNISMO!

Maggio 1983

Per il Comunismo
BRIGATE ROSSE
per la costruzione del P.C.C.

 

Campagna Dozier – Comunicato N. 3

Attaccare il progetto della borghesia imperialista. Riunificare il proletariato metropolitano sul programma politico generale di congiuntura.

Compagni, proletari,

l’accelerazione della crisi ha spostato rapidamente in avanti le contraddizioni interimperialistiche da un lato e quella tra borghesia e proletariato dall’altro. Nel quadro dominato dalle scelte imperialiste allo scatenamento dei conflitti, l’aspetto interno della politica guerrafondaia si abbatte come un maglio sul proletariato in termini di distruzione di forza-lavoro e capacità produttiva complessiva e di controllo militare come unico governo delle tensioni di classe. Oggi il problema del sale e del riso perde ogni connotazione economicista, di piattaforma rivendicativa e si inserisce nella vertenza politica più generale che si è aperta tra proletariato e borghesia, nello scontro per il potere in atto nella fase della crisi strutturale del modo di produzione capitalistico.
Concretizzare e dare forza al progetto rivoluzionario vuol dire dotarsi di un programma di lotta, mobilitazione, propaganda e combattimento che non si limiti ad alludere al comunismo, rimandando all’infinito il problema di scatenare nelle nuove condizioni, la lotta rivoluzionaria contro il regime che impedisce la piena occupazione e che abbassa vertiginosamente i costi della riproduzione sociale. Se è vero che solo l’abbattimento del regime del lavoro salariato è condizione materiale per una ridistribuzione diversa della ricchezza sociale, per finalizzare altrimenti il lavoro umano, oggi ripuntualizzare la critica di massa al regime della borghesia, significa riunificare al punto più alto le tensioni, le lotte e le aspirazioni proletarie ad una nuova qualità della vita nella fase dell’espressione dei bisogni evoluti della classe in cui il capitale può solo negarli e comprimerli prefigurando nient’altro che barbarie e distruzione. Sappiamo che l’imposizione dei punti del programma di Transizione al Comunismo sono impediti dall’esistenza di questo regime, che i nuovi rapporti di produzione possono vivere solo politicamente come prefigurazione della nuova formazione sociale, ma questo non deve costituire nessuna ragione per rimandare la lotta e il combattimento in una sorta di delega all’infinito dello ‘scontro definitivo’.
Non basta più denunciare che le masse esprimono bisogno di case, di ospedali, di non morire nei ghetti invasi dai gas… ma capire che se non ci sono più case da occupare o da requisire è perché al loro posto i padroni ci fanno costruire caserme o galere, che se non ci sono più ospedali è perché il loro profitto i padroni lo trovano solo in sofisticati reparti di medicina per pochi privilegiati; che la lotta a non morire di lavoro e di ambiente nocivo si scontra con il ricatto a morire di fame; che le possibilità date dallo sviluppo delle forze produttive cozzano contro le imposizioni della legge del profitto. Questo sposta in avanti la contraddizione rendendo più chiaro il terreno di scontro e le ragioni sociali della guerra di classe.
La fase della guerra proletaria è già iniziata e nel percorso rivoluzionario è data la possibilità dell’organizzazione adeguata all’imposizione di bisogni politici e materiali della classe, bisogni di potere perché inerenti alle aspirazioni fondamentali dell’interesse generale; perché sintesi politica dei livelli più alti delle lotte; perché autonomi dalle esigenze, dai problemi e dalle sorti del capitalismo morente; perché in stretta dialettica al programma comunista di liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato.
Costruzione qui e subito dei caratteri della nuova società in cui:
Liberazione di tempo dal lavoro necessario – ricomposizione delle molteplici attività umane – diversa finalizzazione del lavoro dell’uomo – soddisfazione di tutti i bisogni nelle possibilità date dallo sviluppo delle forze produttive – ripristino di un nuovo internazionalismo proletario.
È possibile oggi fare l’operazione insostituibile di partito che individuando i centri nevralgici del progetto nemico, dia linfa vitale e possibilità reali a tutto il sistema del potere proletario armato nella complessità e diversità di espressione e di raggiunti livelli di organizzazione e omogeneità politica.
Per tutto questo intendiamo formulare un programma politico generale di congiuntura che abbia in sé l’aspetto molteplice e multidimensionale dell’agire da partito, sia cioè nel combattimento e nella propaganda del programma, sia l’elemento reale di costruzione e conquista dei Programmi Politici Immediati nei diversi settori di classe, sia espressione di una più vasta unità politica che riguarda le ‘grandi masse’, nel percorso della guerra civile dispiegata.
Intendiamo dire che l’agire da partito in questa congiuntura, acquista valenza di direzione complessiva sia nei confronti delle diverse realtà omogenee di classe in cui già è iniziato un solido processo di organizzazione e di individuazione di programma, sia nei confronti di realtà più vaste non immediatamente riconducibili ad iniziative di Partito e singoli settori, ma che riguardano l’intero proletariato metropolitano. Il programma che intendiamo lanciare individua tre punti centrali inscindibili che caratterizzano oggi lo scontro tra proletariato e borghesia.
La crisi imperialista genera la guerra imperialista, solo la guerra civile antimperialista può affossare la guerra. Guerra alla guerra imperialista è passaggio essenziale per la transizione al comunismo.

Guerra allo scatenamento della guerra imperialista, guerra alla Nato, guerra all’industria della guerra, guerra alla controrivoluzione preventiva, guerra alle determinazioni militari del progetto politico di annientamento dell’antagonismo proletario; come condizione per la disarticolazione di tutto ciò che contrasta la mano armata, l’imposizione di un nuovo internazionalismo proletario e la possibilità interna a ciascun paese di liberazione dalla dittatura capitalistica. È quindi guerra per distruggere il progetto, gli uomini, i mezzi della guerra imperialista, sia sul fronte interno sia su quello esterno; è guerra per distruggere la base materiale, le scelte economiche su cui la guerra imperialista si alimenta e trae possibilità di scatenarsi; è guerra per distruggere l’apparato militare che dà le direttrici di un ripristino di un più alto livello di oppressione imperialista su tutto il pianeta. Per tutti gli strati di classe questo vuol dire costruire la capacità di attaccare questo progetto in ogni situazione cogliendo l’aspetto principale della contraddizione così come essa si presenta: ossia attacco al progetto di controllo, di controrivoluzione preventiva, di annientamento del proletariato marginale ed extralegale nei ghetti urbani; degli operai e dei lavoratori dei servizi nelle fabbriche e nei posti di lavoro, dei proletari prigionieri nei bracci più o meno speciali dei lager di Stato; è quindi terreno di costruzione e di conquista dei Programmi Politici Immediati specifici di settore contro tutto ciò che contrasta la ricomposizione di classe e lotta per i bisogni politici del proletariato metropolitano. È anche elemento di unità e mobilitazione di tutto il proletariato che si ricompone all’interno dell’unità più vasta di tutti coloro che combattono contro la barbarie imperialista, contro l’oppressione capitalistica.
È sintesi tra programma politico di rifondazione di un nuovo internazionalismo proletario e possibilità reale di sviluppo, di esistenza ed affermazione del movimento rivoluzionario.
Guerra all’attuazione del progetto di espulsione di forza lavoro, che trova alimento nella nuova organizzazione del lavoro e nella ridefinizione-governo ferreo del mercato del lavoro.
Progetto che si basa sull’attacco politico alla ricomposizione di classe, al potere e alla rigidità della classe operaia occupata e dei lavoratori dei servizi, che punta a far lavorare di più e sempre meno lavoratori, alla ridefinizione e quindi divisione di classe che parte dai comparti produttivi fino all’Ufficio di Collocamento. Guerra contro tutto ciò che favorisce maggior produttività per i padroni, maggior sfruttamento, divisione, nocività, ricatto per noi. L’attacco di Partito ai centri nevralgici di questo progetto è coniugabile fin da subito col terreno politico militare proprio della classe di attaccare, disarticolare, sabotare i punti cardine del suo funzionamento per tutti i settori di classe, che la ristrutturazione del ciclo produttivo centrale oggi ricolloca e funzionalizza al nodo principale di rimettere in moto l’asmatico meccanismo dell’accumulazione. L’azione congiunta del Partito, degli Organismi di Massa Rivoluzionari e del Movimento di Massa Rivoluzionario, legati indissolubilmente dalle parole d’ordine generali di: “abbattimento del lavoro salariato; lavorare tutti lavorare meno e per finalità diverse”, trovano comprensibile individuazione dell’elaborazione dei punti generali di programma nell’attacco di Partito al progetto complessivo del nuovo ordine capitalistico, e dei Programmi Politici Immediati che, nel rifiuto dell’espulsione come rifiuto del perpetuarsi del rapporto di mercificazione della forza lavoro, e alla stratificazione, si concretizzano a partire dall’enorme possibilità di lotta, organizzazione e combattimento; dal cuore della produzione fino ai terminali produttivi periferici, e ai centri che governano il mercato del lavoro.

Guerra al piano di compressione differenziata dei costi della riproduzione sociale, che nega il soddisfacimento dei bisogni storicamente possibili della classe, contenuti come conquista di una diversa qualità della vita nella lotta e nella coscienza di tutto il proletariato. Guerra ai vari piani di forsennata matrice antiproletaria, e ai loro ispiratori ed esecutori; guerra alle strutture in cui questi vengono elaborati, al personale imperialista che meglio oggi li interpreta e li mette in atto. Guerra quindi a tutto ciò che impedisce l’imposizione proletaria del sale e del riso… e delle rose come sintesi delle aspirazioni di tutto il proletariato all’imposizione dei bisogni evoluti della classe, in queste date condizioni storiche di sviluppo delle forze produttive. È guerra a ciò che lega le condizioni materiali e di vita della classe alla resa capitalistica misurata sul profitto, a partire dal rifiuto proletario del baratto e della mercificazione della salute nei posti di lavoro e nel territorio; dall’imposizione proletaria alla riappropriazione collettiva di reddito; alla non contrattazione nei limiti delle leggi dell’accumulazione, delle proprie condizioni di vita. La guerra ai Piani di attacco antiproletari trova terreno di organizzazione e di conquista in cui la collocazione dei bisogni materiali collettivi fonda fin da subito accanto alla distruzione di questo sistema, gli elementi della costruzione della nuova socialità e della legalità rivoluzionaria in cui conquista non è solo prefigurazione, ma realtà viva ed operante nell’incessante accumulo di forza rivoluzionaria ed erosione del regime della borghesia.

Compagni, proletari,
solo l’entrata in campo dell’organizzazione delle masse sul terreno dello scontro per il potere può oggi marcare in caratteri di fuoco il cammino vittorioso del processo rivoluzionario. Solo un Programma di Partito che dia alimento alla riunificazione politica di tutto il proletariato, in tutti gli aspetti in cui la contraddizione principale vive, può realmente fare compiere il passaggio necessario a trasformare le mille espressioni dell’antagonismo e della resistenza proletaria in un sistema di potere stabile e vincente. Solo a partire da un’unità di Programma che colga il punto più alto del progetto nemico nella congiuntura, è possibile esaltare, potenziare e riunificare le diverse articolazioni che vivono nei vari segmenti di classe. Intorno a questo Programma Generale è possibile costruire e conquistare i più alti livelli di Comunicazione Sociale delle lotte, dell’organizzazione, del combattimento proletario; costruire e conquistare i più alti livelli di ricomposizione politica; è possibile rompere le gabbie politiche, economiche, militari ed ideologiche in cui il progetto della borghesia imperialista vuole relegare e compartimentare il movimento di massa rivoluzionario.
Costruiamo il Fronte Combattente Antimperialista. Costruiamo gli Organismi di Massa Rivoluzionari. Costruiamo il Partito Comunista Combattente.

Compagni, proletari,
la prima fase dell’interrogatorio del porco yankee Dozier, ha messo in luce le sue responsabilità personali nella sua lunga carriera di massacratore. La sua collaborazione per noi non è ‘ravvedimento’, ma frutto di rapporti di forza mutati, né sgravio di responsabilità verso i popoli di tutto il mondo.
L’interrogatorio prosegue su questi temi: politica della Nato in Europa e nel Mediterraneo; lo sviluppo della controrivoluzione armata; il progetto politico, economico e militare della borghesia imperialista in preparazione della 3a guerra mondiale.

Rendiamo noti a tutti i proletari, a tutti i rivoluzionari, i passi più significativi di questa prima fase dell’interrogatorio:
Lo sai perché ti abbiamo catturato?
- No non so, non capisco.
Sai cosa sono le Br?
– Sì, un gruppo di guerriglia, ma prima della mia cattura io pensavo fosse solo un problema italiano, ma ora ho capito che è differente.
Bene ora ti spiegheremo perché sei stato catturato e rinchiuso in un carcere del popolo. Attraverso di te processiamo la struttura di occupazione militare, la Nato, e la politica imperialista dell’America nei confronti del proletariato italiano. Questa politica che si è estesa dal ’45 ad oggi ha permesso agli Usa, sotto il ricatto delle armi, prima con l’esercito di occupazione americano, poi con l’esercito integrato della Nato, di costruire un ceto politico militare completamente subordinato agli interessi delle multinazionali Usa. La storia di questi governi è la storia del terrorismo di Stato, costruito dalla Cia. Dal piano Marshall all’asservimento alla politica di Reagan con i missili di Comiso, significa tracciare la storia dell’asservimento dei capitalisti italiani e di un ceto politico che nonostante la dimostrata delegittimazione politica e sociale, rimane in piedi solo grazie al terrore dei corpi speciali addestrati dagli americani e alla politica economica delle multinazionali Usa. La tua carriera militare è la storia dell’aggressione americana contro le lotte di liberazione e le rivoluzioni del sud-est asiatico, contro le lotte del proletariato in Europa.
Questo processo è un nuovo episodio della lunga battaglia che oppone le forze rivoluzionarie e i popoli in lotta contro l’imperialismo Usa. In questa situazione, per te, non macchiarti di nuovi crimini significa collaborare con le forze rivoluzionarie per smascherare il progetto Usa di dominio e di guerra contro il proletariato internazionale e i popoli che combattono per la propria liberazione. Diversamente prenderemo atto che anche oggi tu continui a difendere l’imperialismo, rivendichi la sua politica, continui ad essere complice e responsabile.
- Complice… no, io ho capito quello che chiede, io dico la verità. Quello che so io dico.
Ora iniziamo a parlare della tua carriera militare. Per ogni tappa specifica le date, i luoghi e chi aveva gli incarichi più importanti.
- Io capito. Nel ’52 sono entrato a West Point. Nel ’51 ero studente in Florida e facevo parte della Guardia Nazionale. Era il periodo della guerra in Corea. In settembre c’era l’opportunità di entrare in una scuola di preparazione di West Point. Poi finita questa scuola sono entrato a West Point.
Il comandante (superintendent) della scuola era Ltc B. Bryan (gen. a 3 stelle). Quando sono uscito ero tenente. Dal ’56 al ’57 ho fatto un addestramento di un anno alla scuola di paracadutisti di Fort Benning in Georgia e di carristi a Fort Knox in Kentucky. Poi sono stato in Germania dal ’57 al ’61 nel 2° reggimento di cavalleria corazzata a Bemberg. Il comandante del reggimento ora non mi ricordo chi fosse in quel periodo, ve lo dico più tardi ma il comandante del mio squadrone era Ltc Whitick.
Eri volontario?
- Sì, volontario. Il mio reggimento non faceva parte della divisione, era separato e aveva il compito di pattugliamento nella zona di confine tra le due Germanie. Nel ’61 sono tornato in Usa a F. Knox e immediatamente prima della scuola di F. Knox sono stato promosso capitano. Durante quel periodo c’erano due livelli di scuole: il corso di base e quello avanzato per servizi come ufficiale, comandante di compagnia ecc.. Ci sono rimasto 9 mesi. Il comandante della scuola era il gen. Myers, due stelle. Dopo sono andato a Tukson e ho studiato ingegneria aeronautica per entrare a West Point come professore. A West Point ho insegnato per tre anni, sono entrato nel ’64 come capitano, quando ho finito ero maggiore.
Chi era il comandante all’epoca?
- Il superintendent era MG, si chiama Bennet. Dopo sono stato alla scuola di comando e Stato del Kansas. Questa scuola è di preparazione per posizioni di Stato Maggiore. Si imparano i compiti di ufficiali di Stato: preparazione dei documenti anche tattica, molto tattica a livello di divisione e livelli inferiori. È Fort Leavenwort comandato da MG Davison. Sono uscito nel ’68 con il grado di maggiore.
In quegli anni c’era stata la crisi con Cuba e l’azione della Baia dei Porci cosa ne pensi di questi avvenimenti che ti hanno trovato come ufficiale che iniziava ad entrare negli alti gradi di direzione dell’esercito Usa?
- La crisi dei missili era una cosa molto importante per gli Usa, perché c’erano dei missili proprio fuori dalla porta degli Usa. Era assolutamente necessario che i missili se ne andassero da Cuba. Ma probabilmente l’operazione non era ben organizzata, non ben preparata. Io non ero là, ma da quello che ho saputo le probabilità di successo erano molto scarse. È stato un errore L’esecuzione è stato un errore.
Si sa che è normale attività degli Usa addestrare fazioni di paesi per sovvertire i governi popolari di quei paesi. Dove venivano addestrati in quel periodo gli anticastristi?
- Sicuramente in basi segrete. Ma io non so dove, non so chi era allora il comandante.
E dopo che hai fatto?
- Dal ’67 al ’68 sono stato in Vietnam, ero ufficiale di Stato, divisione operativa, 3° corpo dell’esercito del Sud-Vietnam. Il Vietnam era diviso in 4 zone di intervento, il 1° corpo al Nord, il 2° corpo al Centro, il 3° corpo al Centro-Sud, il 4° al Sud.
Che compito avevi nella zona del 3° corpo?
- Io ero in un reggimento di cavalleria, l’XI, il nostro compito era di intercettare i reggimenti nemici quando loro venivano dalla Cambogia al Sud. Poi loro si ritiravano e noi anche alla base. Dopo una settimana, 10 giorni di nuovo così via. Era una zona di grandi infiltrazioni nel sud. Noi facevamo continuamente delle operazioni di ‘Reconnaissance in Force’ o Rif e ‘Hunt and Kill’ (ricognizione in massa e caccia e uccidi).
In che zona di preciso operavi?
- In tutta la zona di frontiera ed ai confini della Cambogia. Noi la chiamavamo zona di guerra ‘Delta’ e o ‘Charlie’.
La base a che punto era?
- In molti posti il nostro reggimento aveva una grande mobilità. Ma in genere la nostra base logistica era a Long Bin. Il comandante di questa zona era un sud-vietnamita Do Cao Tri, il comandante Usa era il colonnello Patton.
Che spiegazione dai della vostra sconfitta politico-militare in Indocina e in Vietnam in particolare?
- Noi non abbiamo mai interrotto, non siamo mai riusciti ad interrompere il movimento di rifornimento di uomini e logistico dal Nord al Sud. In questa situazione per proseguire la guerra al Sud era necessario interrompere questo movimento. Non ci siamo riusciti.
Tra il ’65 e il ’69, quando c’eri tu, avevano distribuito già 4,5 milioni di tonnellate di bombe dal Nord al Sud che servivano anche a questo, perché secondo te non siete riusciti ugualmente ad interrompere il sentiero di ‘Ho Chi Min’?
- I bombardamenti al Nord erano ‘insufficienti’. Erano interrotti troppe volte non erano sufficientemente costanti; duravano 2 settimane, 3 settimane e dopo stop; poi periodi di pausa e poi ancora sempre così. Non costante.
Come ti spieghi questi stop?
- Io credo perché il popolo degli Usa era stanco della guerra. Molti giovani non volevano andare in Vietnam, perché io credo che il popolo americano non era preparato per la guerra. Anche il corso della guerra non proseguiva molto bene. Era un periodo molto brutto.
In Vietnam gli americani oltre a fare la guerra ‘convenzionale’ hanno addestrato i reparti sudvietnamiti e insieme a loro hanno fatto dell’antiguerriglia.
- Sì, questo addestramento è iniziato nel ’62 – 63…
Tu hai detto che in Vietnam avete risolto ‘bene’ il problema della guerriglia e tutti sappiamo che genocidio è stato. In occidente come siete preparati ad affrontare la guerriglia? Sappiamo che corpi come i paracadutisti, lagunari, commandos, subacquei incursori e gli alpini sono già preparati a questa eventualità attraverso esercitazioni di rastrellamenti di paesi e già armati con armi non convenzionali.
- Io credo che dipenda dalla grandezza del combattimento, comunque se sarà una guerra di piccole unità noi siamo preparati, perché fa parte del normale addestramento, si chiama ‘tattica di piccola unità’. Ma quello che lei diceva (lagunari eccetera) quelli sono reparti per guerra non convenzionale, noi la chiamiamo ‘guerra speciale’ (antiguerriglia Ndr). In Usa abbiamo una scuola per imparare dalla nostra esperienza in Vietnam per quanto riguarda la guerra speciale.
Come si chiama questa scuola?
- Si chiama JF Kennedy Special Warefare Center. Questa scuola è solo per il nostro esercito, ma ci sono molti ufficiali dei paesi alleati che vengono inviati a pagamento dai propri stati in questa scuola. Esistono scuole simili anche in Francia e in Inghilterra, non so se anche in Germania, Italia, Portogallo. Credo che comunque il compito principale per questa guerra speciale spetti ai CC e ai corpi che lei diceva, ma se alcuni reparti sono lontani dal teatro dell’attacco convenzionale, possono essere utilizzati per ‘guerra speciale’.
- A che livello sono gli alpini per un impiego nella guerra speciale?
- Per il loro tipo di guerra: montagne, terreni difficili, ecc., sono ad alto livello. Bene attrezzati ed addestrati ed hanno un grande spirito di corpo.
Sia su questo che sul Vietnam torneremo in seguito. Continuiamo a parlare della tua carriera. Con che grado sei uscito dal Vietnam?
- Maggiore. Poi sono stato al Pentagono dal ’69 al ’71. Ero Ufficiale di Stato Operativo, responsabile dell’area South East Asian, nella mia divisione era a capo un colonnello, Watkins. Io ricevevo due volte al giorno da Saigon notizie circa le azioni in Vietnam. Una volta alla settimana facevo la synopsis di tutte le azioni della settimana per tutti gli alti ufficiali di Stato Maggiore, il capo di SM, i capi delle varie divisioni. Questo serviva per sapere come andava la guerra giorno per giorno.
Lo Stato Maggiore del Pentagono come trasmetteva le decisioni per la conduzione della guerra in Sud Vietnam?
- In Vietnam c’era un comando, si chiamava Macv (Military Assistant Comand Vietnam) il capo di quel comando deve riportare direttamente al capo di Stato della Difesa degli Usa. In Pentagono ci sono 4 stati Difesa Marina Aeronautica Esercito. Tutti sono separati, ma lo stato più alto è la Difesa. Tutti i servizi dipendono da quello Stato. Le decisioni sulla guerra venivano prese in Vietnam e dallo Stato della Difesa. Gli altri non prendevano decisioni fornivano uomini e mezzi per combattere nel teatro della guerra.
Continua…
- Nel ’72 ero andato in Germania ero tenente colonnello, sono rimasto fino al ’73.
Quale era il tuo compito?
- Comando di squadrone di cavalleria corazzata.
Base?
- Schwabach presso Norimberga, comandante Buckingaham (BM).
In Germania in quel periodo c’è stata una campagna offensiva della Raf contro gli Usa e la politica imperialista. Quindi è smentita l’affermazione che hai fatto all’inizio, che prima della tua cattura tu pensavi che la guerra fosse solo un problema interno al paese in cui si nasce.
- …(silenzio)
Tu cosa ne pensavi allora?
- Io so solo che era una cosa terribile c’erano molte bombe 2 o 3 morti, grandi esplosioni e molte strutture danneggiate. Non era un buon periodo.
Nel giugno del ’73 sono andato alla scuola di guerra Carlisle in Pennsylvania, comandante MG Davis.
Che tipo di cosa è? Spiegala…
- È una scuola in preparazione per alti livelli dell’esercito ci sono 3 livelli. Il secondo livello è il corso avanzato e prepara a un più alto livello stati minori e un servizio per comandanti di compagnia ecc.. Il terzo livello è il Collegio di Stato e ho già detto l’ultimo livello è Collegio di Guerra dove si impara come funziona nelle varie strutture il governo.
Mi stavo preparando su questo.
Ti preparavi a rientrare al Pentagono?
– Sì ma non ero sicuro. Probabilmente al Pentagono. Senza dubbio ad un livello alto.
Chi comandava la scuola?
- Credo il generale Snif; ma non sono sicuro. Sono uscito nel ’74 col grado di tenente colonnello e sono entrato al Pentagono.
Quale era il tuo compito al Pentagono?
- Ero addetto del Segretario di Stato per il Bilancio e la Finanza.
Chi era il tuo superiore al Pentagono?
- Il capo segretario era Martin Hoffman, sono uscito nel ’76 come colonnello. Dopo a Fort Hood nel Texas nel ’76 e sono uscito nell’80 come generale.
A Fort Hood inizialmente ero comandante di una brigata di carri armati. Poi Capo di Stato Maggiore del corpo di Fort Hood. Fort Hood è molto grande: 50 mila soldati, 2 divisioni e molte strutture minori.
E poi a Verona…
- Sì sono stato a Monterey a imparare l’italiano.
Abbiamo letto che un capitano dei CC ti aveva avvertito del pericolo di un attacco guerrigliero. Puoi dirci il nome?
- Credo che si chiami cap. Fedele è responsabile della sicurezza del Comando di Verona. Ufficialmente ricordo, di aver ricevuto due volte comunicazioni circa la possibilità di azioni nella nostra zona contro militari americani.
Queste notizie arrivavano da un ufficiale americano nel Comando. È nelle trasmissioni, è un ufficiale di Stato.
Queste notizie da chi arrivavano?
- Sicuramente dai servizi segreti italiani, comunque dopo l’attentato a Kroesen abbiamo aumentato la sicurezza a Vicenza e a Verona.
Noi abbiamo visto uomini in borghese fuori palazzo (…) e palazzo Carli.
- In maggior parte dovrebbero essere italiani, non so se americani.
Chi è a Verona il Rappresentante della Navsouth e della Strikforsouth?
- Per la Strikforsouth (VI flotta) abbiamo un capitano di vascello: cap. Lishter, e tenente colonnello della marina Ltc Shinnich che abita in Preati a Verona.

Per il comunismo,
Brigate rosse per la costruzione del Pcc.
6-1-82

Fonte: PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996.

A tutto il movimento rivoluzionario – Volantino che annuncia la Ritirata Strategica

A TUTTO IL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO

Gli ultimi avvenimenti hanno mostrato come siano mutati i termini dello scontro di classe nel nostro paese. Bisogna prendere atto che una fase si è chiusa, e a chiuderla è stata la borghesia imperialista.
Il compito che si pone oggi ai rivoluzionari è imparare dalle sconfitte per condurre in modo vittorioso la guerra di classe nelle metropoli vero centro dell’attacco della controrivoluzione.
La borghesia imperialista ha costruito le sue vittorie sugli errori dei rivoluzionari, sull’inadeguatezza nella conduzione della guerra di classe nelle metropoli. La borghesia imperialista vuole dimostrare con ogni mezzo l’impossibilità di vivere della guerriglia, e nel perseguire questo scopo ricorre alle peggiori nefandezze: HA ELEVATO LA QUALITÀ DEL PROPRIO SISTEMA DI POTERE INTRODUCENDOVI LA TORTURA. La prima risposta a questo è stata un immenso sdegno da parte delle masse: DI FRONTE AD UNO STATO CHE RICORRE A TALI MEZZI, ALLE MASSE NON RESTA CHE UN UNICO OBIETTIVO: DISTRUGGERLO!

Compagni, ribadiamo che, per quanto la tortura pone grossi problemi al processo rivoluzionario, non è mai stata in grado di bloccarlo. Questo è l’insegnamento delle rivoluzioni del passato; questo c’insegna attualmente El Salvador, dove la ferocia imperialista fa inorridire perfino i borghesi benpensanti.
Nell’epoca dell’imperialismo delle multinazionali, la guerra assume caratteri nuovi: da un lato l’esistenza di un nemico cosciente delle dinamiche della lotta di classe, in grado di intervenire in modo preventivo, di sabotare sul nascere tutte le condizioni favorevoli al processo rivoluzionario; dall’altro lato un’avanguardia giovane ed un movimento di massa che si misura con la più efferata cricca di criminali mai apparsa sulla faccia della terra. Per tutto ciò gli errori, le deviazioni, gli eccessi, inevitabilmente presenti come portato spontaneo dello scontro di classe, se non vengono compresi fino in fondo, se persistono, generano inevitabilmente la sconfitta.
Il problema che l’avanguardia di classe deve affrontare accettando il nuovo livello di scontro è come condurre la guerra rivoluzionaria nelle metropoli in questa fase. È importante coglierne i caratteri peculiari. L’attacco della borghesia imperialista si inserisce oggi in un contesto che tende a stabilire condizioni simili ad un’economia di guerra:
1) riappacificazione forzata degli operai occupati, spinta in particolare nei settori trainanti del mercato;
2) regolamentazione delle tensioni di classe e governo del mercato del lavoro per determinare quantitativamente l’offerta di manodopera, qualificandola secondo le esigenze dell’industria;
3) ripristino di un più dispotico comando, distruzione di qualsiasi forma di organizzazione operaia, fino a punte d’annientamento, sia con lo stillicidio dei licenziamenti e della cassa integrazione che vorrebbero ridimensionare l’esistenza della classe, la forza contrattuale, la stessa identità di classe, sia con gli arresti in massa.
Questo è reso possibile dall’alto ricambio di manodopera favorito dalla massiccia espulsione di forza-lavoro e dalla riqualificazione alle esigenze dell’azienda attraverso i corsi professionali.
L’obiettivo della borghesia imperialista è quello di garantirsi la continuità e la funzionalità delle fabbriche in qualsiasi periodo di tensione politica. Dall’altro lato la classe operaia si è resa completamente conto che le vecchie forme organizzative non gli permettono di lottare neanche per gli interessi immediati, e proietta le proprie tensioni su uno scontro che vede come obiettivo lo Stato. In questo senso vanno le ultime manifestazioni della classe, l’ultima in ordine di tempo IL RIFIUTO DEL CONTRATTO, contratto di saldatura della politica economica alla politica statale (PATTO SOCIALE).

LA CLASSE INIZIA A SCRIVERE LA SUA STORIA IN UN RAPPORTO DI SCONTRO CHE HA COME OBIETTIVO IL POTERE STATALE.

La classe impara, in una fase di RESISTENZA ATTIVA, a forgiare gli strumenti che la porteranno all’offensiva: ORGANIZZAZIONE E FORME DI LOTTA ADEGUATE AL LIVELLO DI SCONTRO SONO OGGI L’ORDINE DEL GIORNO PRIVILEGIATO E IL DIBATTITO CHE STA VIVENDO NELLE MASSE.

L’avanguardia deve imparare a praticare la RITIRATA STRATEGICA: ritirarsi in seno alle masse e costruire al loro interno il sistema di potere proletario armato, coniugando con intelligenza il lavoro illegale con quello legale, portando alle estreme conseguenze la natura reale della democrazia borghese, fino a sviluppare, nel rapporto Stato-classe, la critica radicale e la pratica conseguente: l’illegalità di massa.
LA TORTURA, applicata sistematicamente e scientificamente è in grado di percorrere tutti gli anelli dell’organizzazione proletaria, a partire dall’individuazione delle aree proletarie. Perciò il primo compito è proprio impedire quest’individuazione.
NELLA RITIRATA STRATEGICA, l’avanguardia in stretta dialettica con le masse prepara l’offensiva.
I terreni aperti nella campagna contro la NATO rimangono validi per la
COSTRUZIONE DELL’UNITA’ DEI COMUNISTI E DELL’UNITA’ DELLE MASSE SUL PROGRAMMA POLITICO GENERALE DI CONGIUNTURA.
GUERRA ALLA GUERRA IMPERIALISTA!
COSTRUZIONE DI UN NUOVO INTERNAZIONALISMO PROLETARIO!
ABBATTIMENTO DEL SISTEMA DEL LAVORO SALARIATO!

Compagni, le “gloriose vittorie” che tanto declama la borghesia imperialista le ha ottenute praticando in modo scientifico, sistematico e massificato, nelle varie caserme di CC e PS un livello di repressione che rappresenta la continuità ed esperienza accumulata nella pratica controrivoluzionaria di attacco alle lotte di emancipazione del proletariato e dei popoli di tutto il mondo. Non è un caso che alcune immagini rievocano il Vietnam, l’America Latina, il Medio Oriente; tortura come continuità con le stragi di oggi in El Salvador, Guatemala, Turchia: compagni prelevati e sequestrati per giorni e giorni dai torturatori di Stato con due obiettivi: estorcere informazioni ed annientare l’identità dei rivoluzionari.
La TORTURA non è un moto di rabbia o sadismo di qualche sbirro, è invece una scelta cosciente e determinata dalla borghesia imperialista, e il proseguimento della strategia del “pentimento e della dissociazione”, il tentativo di distruggere la guerriglia dal suo interno.
Costruire attraverso la tortura, e accreditare attraverso i mass-media, l’immagine delle Brigate Rosse come di quelli che sparano e, poi, appena catturati, collaborano, risponde all’obiettivo di attaccare non solo l’avanguardia e il nascente sistema di potere, ma indurre sfiducia nelle masse, distruggere la volontà e le prime esperienze di organizzazione, isolare e delegittimare l’avanguardia rivoluzionaria, cioè far apparire le Organizzazioni Combattenti Comuniste come corpo estraneo alla classe, la loro pratica come estranea alle tradizioni di lotta della classe.

Compagni, questo decennio di lotte, con vittorie e sconfitte, errori e giuste individuazioni della linea rivoluzionaria è tutto interno alla dinamica dello scontro di classe. L’attacco a questa realtà viaggia da anni, perseguito – per chi non ha memoria – con le stragi di Stato, con la ristrutturazione produttiva, con l’espulsione di migliaia di proletari dalle fabbriche, e nessun opportunista può mistificarlo, nascondendosi dietro gli errori dei rivoluzionari.
La tortura, dicevamo, non è né eccesso di qualche apparato, né pratica momentanea suscitata dalla guerriglia, come vorrebbe accreditare certa stampa.
Non c’è esempio nella pratica delle Brigate Rosse, né negli eccessi, né negli errori inevitabili che anche la guerriglia può commettere, che possa essere paragonabile a ciò che sta avvenendo in questi giorni – un esempio per tutti: il boia Taliercio e il compagno Di Lenardo.
Il primo a fondamento della “sua bontà” aveva un unico principio: PROGRAMMARE IL NUMERO DEGLI OPERAI DA SACRIFICARE IN NOME DELL’EFFICIENZA DEGLI IMPIANTI. In parole povere: se fare la manutenzione ad un tale impianto costa 100 in termini di costi e produzione, è più economico sacrificare in nome della produzione la vita di 10 operai. QUESTI SONO I VALORI CHE ABBIAMO PROCESSATO!

Di Lenardo, e tutti i compagni catturati e torturati pongono la loro esistenza come proletari e comunisti, non programmando omicidi, ma sul come costruire una società senza più classi, dove la schiavitù del lavoro salariato sia definitivamente abolita. È QUESTA LA QUALITA’, “LA PASTA”, COME VOI DITE, DI CUI SONO FATTI I BRIGATISTI. QUESTO, E LA RICCHEZZA DEL DIBATTITO CHE ABBIAMO SUSCITATO FARÀ GIUSTIZIA DEGLI ERRORI, DELLE TENDENZE SBAGLIATE E SOPRATUTTO DELLO SCIAME DI TRADITORI E DISSOCIATI. SU QUESTI ULTIMI NON COMMETTERE L’ERRORE DI LIQUIDARLI SOLO CON LA BOLLA DI TRADITORI E INFAMI, CIÒ È GIÀ STORIA: VERRANNO ESTIRPATI INSIEME A QUESTA SOCIETÀ. E PIÙ CONCRETAMENTE FACENDO VIVERE LE RAGIONI SOCIALI DELLA GUERRA ALL’IMPERIALISMO NELLE FORME E CONTENUTI CHE CI LEGANO SEMPRE PIÙ INDISSOLUBILMENTE ALLE MASSE PROLETARIE, DI QUESTO, STATENE CERTI, NE SAREMO CAPACI!

Compagni, sappiamo bene che la tortura misura un nuovo livello di scontro, che immediatamente, una stretta componente, che senza enfasi definiamo eroica, riesce a resistere senza farsi distruggere l’identità politica; né farsi estorcere informazioni. Ad un’altra fascia di compagni sottoposti a torture vengono estorte informazioni, ma alla prima occasione denunciano questo e riaffermano il loro antagonismo al sistema. Questi rimangono tutti interni alla classe e al processo rivoluzionario, pur non rappresentandone un punto di riferimento come avanguardie.
Ma coloro che per proprio tornaconto MIRANO AI BENEFICI DELLA “LEGGE PENTITI” E SI METTONO IN PRIMA FILA NELLA LOTTA CONTRO IL PROLETARIATO, IL RAPPORTO CHE SCELGONO È DI GUERRA, E CONSEGUENTE SARÀ LA NOSTRA RISPOSTA!

La crescita costante dell’offensiva rivoluzionaria ha posto seri problemi alla borghesia imperialista, che già da tempo si preparava ad “indurire” la sua risposta in termini di repressione. La linea che i democratici chiamano della fermezza e che, con ritardo e a nostre spese abbiamo capito, si era già espressa chiaramente nel carcerario con i massacri di San Vittore e Pianosa.
Il duro colpo inflitto alla borghesia imperialista con la cattura e il processo del boia Dozier, massacratore di vietnamiti come lui stesso ha confessato, toglieva ogni velo a questa strategia e ne accelerava i tempi di attuazione. Da questo momento in poi i “casi” di cattura e tortura con modalità argentine – a cominciare da Petrella e Di Rocco – cominciavano a non contarsi più; persino gli organi d’informazione della borghesia stessa cominciavano a denunciare la pratica della tortura.
Solo Rognoni e “il rimbambito nazionale” mandato in giro per il mondo a sbafare sulla democrazia, lo ignorano volontariamente e vendono fumo sui diritti civili, la pace e contro gli armamenti, mentre le decisioni centrali parlano un altro linguaggio, come la partecipazione italiana alla forza multinazionale del Sinai (partecipazione italiana e inglese che ha messo in crisi la già mediata proposta di pace nel Medio Oriente sul Piano Fahd che ha già visto l’Europa schierarsi privilegiando gli accordi di Camp David). Sì: l’Italia gendarme del Mediterraneo per conto USA: ingaggia militari di leva “volontari” svendendoli come mercenari.

Guerra interna e guerra esterna sempre più difficilmente si distinguono, esse si presentano come scelte integrate, sia la partecipazione alla forza multinazionale nel Sinai che la tortura hanno come carattere dominante la volontà politica dell’imperialismo USA.

Nella riunione del CIIS è stato dato l’avallo alla tortura, Spadolini ha provveduto in riunioni separate a comunicarlo ed accordarsi con tutti i segretari dei partiti, compreso il PCI, a quest’ultimo ha mostrato lo spettro di un’inversione militare pilotata dagli americani.
Così si sono garantiti l’assenso completo e il silenzio sulla tortura. Il PCI e il sindacato, anche quando gli arresti li riguardano da vicino, recitano con monotonia lo stesso ritornello: “ribadiamo la nostra fermezza per la lotta contro il terrorismo; sospensione cautelativa”.

Compagni, la complicità di questi miserabili rende il grande servizio di “tenuta democratica”: in qualsiasi Stato in cui la repressione assume questi connotati di massa, e ricorre a mezzi che solo la barbarie imperialista può concepire, c’è la denuncia pubblica dei caratteri repressivi dello Stato. Questi luridi servi coprono persino la realtà di un intero sindacato che sta nelle galere assieme alle avanguardie di 10 anni di lotta.

Compagni, lasciamo coscientemente aperte queste tematiche aprendo un confronto per l’unità con tutti i comunisti per comporre l’unità delle masse.

UNITÀ DEI COMUNISTI NELLA COSTRUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE!
UNITÀ DELLE MASSE SUL PROGRAMMA POLITICO GENERALE DI CONGIUNTURA NELLA COSTRUZIONE DEGLI ORGANISMI DI MASSA RIVOLUZIONARI!
COMBATTERE INSIEME UNITI PER VINCERE CON TUTTI I COMUNISTI E CON TUTTI I POPOLI CHE LOTTANO CONTRO L’IMPERIALISMO!

Per il Comunismo, BRIGATE ROSSE
per la costruzione del PCC

18 Marzo 1982

Campagna Dozier – Comunicato N.2

La crisi capitalistica genera la guerra imperialista. Solo la guerra civile antimperialista può affossare la guerra!!!
Nell’epoca dell’imperialismo delle multinazionali il proletariato metropolitano si costituisce come avanguardia del processo di rivoluzione proletaria in tutto il mondo!!!
Guerra al dominio dell’imperialismo americano!!! Attaccare l’imperialismo delle multinazionali e la sua struttura di occupazione militare: la Nato!!!
Il sistema imperialista produce: morte per sfruttamento, morte per disoccupazione, morte nei lager di Stato nella pianificazione della distruzione totale. Il carcere imperialista è il laboratorio centrale dell’annientamento dell’antagonismo di classe! Distruggere il carcere imperialista!!!
Costruire il fronte combattente antimperialista per un nuovo internazionalismo proletario, combattere insieme ed uniti per vincere con tutti i comunisti e con tutti i popoli che lottano contro l’imperialismo!!!

Compagni, proletari,
il progetto della borghesia imperialista prevede che l’Europa, oltre ad essere integrata e subordinata agli USA, deve diventare un polo attivo della politica aggressiva dell’imperialismo americano. La politica di Reagan accelera questo passaggio e i vari esecutivi a livello nazionale ridefiniscono in modo più marcato e sempre più apertamente la fedeltà agli USA e in generale propagandano tra le masse la ‘fedeltà all’Occidente’ come il patriottismo dell’epoca moderna.
L’obiettivo politico degli USA in Europa, epicentro dello scontro tra i due blocchi è quello di sviluppare e potenziare un polo subalterno e del tutto integrato sia sul terreno economico, che politico, che militare.
Nei singoli poli nazionali questa politica, assunta dalla quasi totalità dei partiti dell’arco parlamentare, ora cerca di coinvolgere le masse con campagne propagandistiche che hanno come obiettivo privilegiato la guerra di classe per il Comunismo. Le lotte di massa in Europa hanno fatto saltare questo progetto con la nascita di un movimento contro la guerra imperialista e contro l’installazione dei missili alla cui testa si è posta la guerriglia comunista nel programma contro la Nato. Questo ha già seriamente ostacolato le scelte annunciate da Reagan, ma la partita è ancora tutta aperta. Nodo fondamentale della politica imperialista è quello di vincere sui vari fronti interni: annientare cioè l’antagonismo di classe, per avere le mani libere e poter aggredire sul fronte esterno con l’obiettivo strategico di imporre l’egemonia degli USA su tutto il pianeta.
La costituzione di un Parlamento europeo, la funzione economica della Cee, quella militare della Nato, danno il punto e il livello di integrazione raggiunti. Il polo europeo ha i suoi propri strumenti per sviluppare in più campi le sue attività; in campo economico significativa è la proposta di Davignon sulla necessità ormai matura di una maggiore integrazione tra i piani di settore, in particolare il bellico e il nucleare nella tendenza in atto della 3a guerra mondiale, è tutta all’interno delle scelte strategiche della borghesia imperialista sulla riconversione industriale verso quelle produzioni che maggiormente tendono a supportare il ripristino del controllo e del dominio del blocco occidentale, USA in testa, su tutta l’area mediterranea e mediorientale, cioè sui paesi produttori di petrolio. Questo significa chiara politica di aggressione a quei paesi del 3° mondo le cui lotte di liberazione dall’imperialismo, hanno rovesciato i rapporti di forza e messo seriamente in discussione l’egemonia USA su un’area strategica dello scontro tra i due blocchi. È per questo che il Comitato di Pianificazione della Difesa della Nato presiede le Divisioni che dirigono e impongono le scelte economiche e le politiche di guerra ai vari paesi membri.

Compagni,
la crisi del sistema capitalistico è profonda e non è facile nasconderla dietro la sceneggiata del potere: solo in Italia ci sono 2 milioni di disoccupati, i ‘sospesi’ tra la Fiat e l’Alfa sono 100 mila, migliaia di medie, piccole e grandi industrie vengono chiuse o ridimensionate: far lavorare di più sempre meno operai è la logica che guida ogni progetto di ristrutturazione. D’altro lato, migliaia di prigionieri politici nei lager di Stato danno il polso del livello di massa raggiunto dalla guerra di classe e della capacità di riprodursi della guerriglia, nonostante i colpi inferti dal nemico, capacità data dal profondo radicamento della Lotta Armata nelle masse.
Poiché la crisi ormai mondiale del capitalismo non lascia spazi socio-economici con cui illudere e manipolare la coscienza proletaria, i singoli Stati ricorrono a soluzioni repressive istituzionali con caratteri marcatamente militari. Quello che sta succedendo in Italia è un esempio molto sintomatico di un ormai consolidato principio borghese: quando le varie forme di democrazia non si dimostrano all’altezza dei compiti, basta modificare le regole del gioco! È in questa direzione che va la ‘grande riforma costituzionale’ tanto osannata dai partiti dell’arco costituzionale, di cui Craxi si fa portavoce in prima fila. Ogni successivo governo rappresenta una ridefinizione, un aggiornamento, un perfezionamento dello Stato Imperialista delle Multinazionali; un governo produce il successivo, selezionando un personale politico sempre più adeguato ad assolvere compiti tattici e strategici dell’imperialismo. I vari partiti, oltre a rappresentare gli interessi corporativi di specifici stati, concorrono a candidarsi come servi privilegiati dell’imperialismo e a questo oggi subordinano i propri interessi particolari. Quale democrazia ci prospettano? Secondo le decisioni del 12 dicembre 79, prese a Bruxelles dalla Nato e caldeggiate dai governi europei dietro le pressioni americane, entro il 1983 devono essere installati sui territori belga, britannico, olandese, italiano e tedesco occidentale, 572 missili atomici di media portata, di cui 464 Cruise e 108 ‘Pershing 11’ a sei testate nucleari, ciascuno dotato di potenza distruttrice pari a quella che ha raso al suolo Hiroshima. Ma quale peso ha la tanto decantata volontà popolare, visto che le manifestazioni contro l’installazione di missili si sono susseguite in tutta Europa?
La produzione della bomba ‘N’ rende realizzabile la guerra nucleare limitata tanto cara al ‘democratico’ Reagan che non vede l’ora di trovare qualche fetta del mondo su cui sperimentarla! L’Europa e, in particolare il Sud Europa, è al centro di questa strategia di ‘guerra limitata’ in termini antisovietici; l’Italia, con Turchia e Spagna è il fronte avanzato del Mediterraneo: questo fronte è predisposto all’intervento contro tutto ciò che ostacola l’egemonia americana (è nota a tutti la funzione della Nato nel colpo di Stato in Turchia). In questo senso vanno la creazione di una forma mista di intervento nel Sinai in cui anche l’Italia, con molto orgoglio del governo, è partecipe; l’insistenza di Lagorio per un maggiore integrazione tra società civile ed apparati militari; le richieste di Capuzzo e Santini di un maggior peso politico dei vertici militari nel governo; gli aumenti delle spese militari. Questo fronte trova maggior compattezza tra gli imperialisti sulla guerra ‘interna’ quella che ha come obiettivo l’annientamento dell’antagonismo di classe; il susseguirsi di vertici internazionale sul ‘terrorismo’, la costituzione di una banca dati in Europa, lo scambio di conoscenze, di metodi, di mezzi, di uomini, tutto questo costituisce la ‘santa alleanza’ antiproletaria.
La sceneggiata dei mass-media sulla calata degli esperti americani e tedeschi, per lavorare alle indagini sulla cattura del boia Doizier, non è che la ridicola parata con cui tentano di nascondere la realtà. L’integrazione delle forze della controrivoluzione a livello dei paesi del blocco Nato ha da tempo costruito una rete stabile di superesperti della lotta di classe e dei movimenti di massa oltre che di ‘antiguerriglieri’ di professione. Alcuni di questi personaggi molto ben conosciuti dai vari Craxi e Martelli che cominciano ad essere identificati anche dai comunisti combattenti di tutta Europa, fanno parte ai massimi livelli degli apparati integrati della controrivoluzione. Sono queste le teste pensanti che muovono le varie marionette a livello nazionale, come da noi, per esempio, i vertici delle confederazioni sindacali, Benvenuto in testa, promotori della costituzione di un centro ‘antiterrorismo’ per il settore delle fabbriche.

Compagni, proletari,
la borghesia imperialista è completamente consapevole che la sua crisi non lascia più margini di mediazione politica con l’antagonismo di classe, sa che le esigenze della legge del profitto nella crisi si scontrano frontalmente con i bisogni politici e materiali del Proletariato Metropolitano, sa che nelle metropoli dove si genera e riproduce il capitale e la sua crisi, è anche sorto il suo nemico mortale: il nuovo proletariato metropolitano che trova soddisfatti i suoi interessi e i suoi bisogni, nella lotta per la distruzione del sistema del lavoro salariato, che sta costruendo la capacità politica di organizzazione, di lotta e di combattimento adeguati al livello raggiunto dall’attacco della borghesia a ogni espressione del movimento di classe; attacco contro ogni cosa che si muove prima ancora che si muova. Per questo, per far ingoiare al proletariato una sconfitta storica senza precedenti, unica condizione per il ripristino del nuovo ordine imperialista, il carcere diventa una determinazione fondamentale del progetto della borghesia imperialista, come laboratorio centrale per l’annientamento dell’antagonismo di classe e massimo deterrente contro le lotte, contro ogni proletario che si collochi fuori e contro i giochi imposti dalla borghesia. Il carcere oggi, come anello fondamentale di un meccanismo molto più ampio e complesso di controllo, divisione, isolamento, ricatto, tortura e annientamento politico e fisico del progetto di controrivoluzione globale preventiva, è la risposta della borghesia alle lotte e alle ispirazioni proletarie a non morire di sfruttamento, di disoccupazione, di guerra imperialista. Per questo è oggi realtà vissuta a livello di massa, per questo attira tanta attenzione da parte degli strateghi della controrivoluzione internazionale nell’infame tentativo di isolare dalla ‘società civile’ queste strutture dove vivono, lottano e si organizzano migliaia e migliaia di proletari e di comunisti, per spezzare l’unità di classe raggiunta dai Pp, per imporre il silenzio e la morte più o meno ‘pulita’. Nella propaganda di questi signori il carcere deve diventare un bubbone in una società sana che partecipa responsabilmente all’eroico sforzo nazionale di salvare le sorti del capitalismo in putrefazione. Per i proletari, per i rivoluzionari il carcere è ormai da anni, uno dei punti più importanti di lotta, organizzazione, comunicazione e combattimento di un intero stato di classe, uno degli anelli fondamentali del Potere Proletario Armato. Nel progetto di distruzione globale della guerra imperialista, il carcere come punto cardine di pacificazione armata, di annientamento proletario nelle metropoli, deve essere nel programma rivoluzionario, fronte costante di combattimento per disarticolarlo e per costruire organizzazione proletaria. I proletari e i comunisti rinchiusi a Stammhein e negli H-Block inglesi, a Marion e nei Qhs francesi, nei carceri speciali e nelle sezioni di ‘lungo controllo’ italiani, trovano oggi terreno unificante di lotta, ricomposizione politica con tutto il Proletario Metropolitano, nelle parole d’ordine di ‘distruzione di tutte le carceri’ e ‘liberazione di tutti i proletari prigionieri’ come punti irrinunciabili nel Programma di Transizione al comunismo. Far saltare uno dei gangli fondamentali su cui si basa il sistema del lavoro salariato è tutto all’interno della possibilità storica della distruzione dello stato Imperialista delle multinazionali e della costruzione della società senza classi. Inserire questo fronte nella proposta più generale di ricostruzione del nuovo Internazionalismo Proletario sulla base della lotta comune all’Imperialismo, è uno dei passaggi fondamentali per la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista, uno dei nodi politici da sciogliere nel confronto con i comunisti e tutti coloro che combattono a livello internazionale contro il carcere imperialista.

Compagni, proletari,
il processo proletario al porco Dozier è iniziato.
Questo porco, questo assassino è un ‘eroe’ dei massacri americani in Vietnam, dove per i suoi ‘meriti’ ha guadagnato varie decorazioni.
La sua lunga carriera di porco lo ha portato lì dove necessitava all’imperialismo reprimere e soffocare le lotte di liberazione dei popoli, a preparare i piani di occupazione e di provocazione per conto dei suoi padroni.
Suo ultimo incarico, interrotto dalle forze rivoluzionarie, è il comando effettivo delle forze terrestri alleate del Sud Europa (Landsouth).
Nella divisione in aree dell’Europa, la Nato ha suddiviso le sue forze in tre regioni: Nord, centro e Sud. In questa fase della guerra antimperialista il fronte Sud (Europa meridionale) rappresenta il punto fondamentale dello scontro, e comprende le forze navali di intervento e sostegno, due forze terrestri, una per l’Europa meridionale e una per quella sud-orientale, le forze aeree dell’Europa meridionale e le forze navali dell’Europa meridionale. Il Comando Generale del fronte meridionale e tutti i Comandi operativi (escluso uno) delle forze del Sud sono in Italia; uno a Verona e quattro a Napoli, ciò a ulteriore conferma del ruolo strategico svolto dalla base Italia. Di questo ‘sistema difensivo degli interessi dell’imperialismo’ fa parte la VI flotta americana, che scorrazza nel Mediterraneo, inalberando bandiera americana o Nato a seconda delle opportunità. Quali siano i reali compiti e cosa intenda per ‘difesa dei propri interessi’, l’imperialismo ce ne ha dato una inequivocabile dimostrazione con l’attacco provocatorio al golfo della Sirte contro il popolo libico. Nella fase attuale di guerra la Nato non ha alcun carattere di difesa interalleta, ma è puro strumento in mano all’imperialismo e per l’aggressione ai popoli del terzo mondo e per le politiche di guerra e di annientamento del proletariato nelle metropoli. Il Landsouth, comandato fino al 17 dicembre dal porco Dozier, è inserito in questa area; rappresenta il fianco sinistro della regione sud. Le sue forze disponibili consistono di circa 20 brigate (8meccanizzate, 5 corazzate, 5 alpine e 2 motorizzate) più una brigata missilistica e diverse unità di combattimento e servizio di supporto. Queste forze ammontano a circa 270 mila uomini, 1.200 carri armati, 1.000 cannoni, e 4.000 APC. Dell’uso e della funzione di questo apparato, il porco Dozier deve rispondere al proletariato internazionale.

A tutto il movimento rivoluzionario,
in questi ultimi due anni si è sviluppata un’intensa battaglia politica nella nostra Organizzazione. Le contraddizioni sorte non hanno trovato soluzione all’interno della stessa struttura organizzativa e dello stesso impianto strategico.
Noi delle Brigate Rosse, rivendicando la continuità storica con 10 anni di vita della nostra Organizzazione, riteniamo ancora una volta necessario ribadire l’unico banco di prova per il salto di qualità al Partito: la verifica sul terreno della pratica sociale, sul terreno della costruzione degli Organismi di Massa Rivoluzionari.
Per questo rifiutiamo la logica delle sommatorie delle parzialità, della federazione, dei patteggiamenti e intendiamo prenderci tutte le responsabilità di fronte al movimento rivoluzionario, della nostra linea politica così come essa si è determinata nella Risoluzione della Direzione Strategica – dic. ’81, e ricreare su questa base e con questi criteri la possibilità di nuovi livelli di unità con tutti i comunisti.
Le Br, per fare il massimo della chiarezza nel movimento rivoluzionario, forniranno un bilancio di questi due anni di battaglia politica.
Per tutti questi problemi politici, e non per necessità formali, riteniamo giusto distinguerci anche nel nome delle altre OCC.
Da questo comunicato in poi assumiamo il nome:
Per il comunismo. Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente.
Avanti con il programma generale di congiuntura!!! Trasformare la guerra imperialista in guerra di classe a partire dalle metropoli, costruire l’unità internazionalista con tutti i popoli che combattono contro l’imperialismo!!! Guerra alla guerra imperialista, guerra alla Nato!!! Attaccare i centri, gli strateghi della guerra e le basi della macchina militare americana!!! Distruggere il carcere imperialista!!! Costruire il Fronte Combattente Antimperialista!!!

 

Per il Comunismo.
Brigate rosse per la costruzione del Pcc
27/12/1981

 

Fonte: PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996.

Campagna Dozier – Comunicato N.6

A tutto il movimento rivoluzionario.
I fatti di questi giorni, successivi alla liberazione da parte della borghesia del boia Dozier, impongono un’attenta riflessione ed un bilancio che permetta di ridefinire e continuare, con la forza necessaria, l’iniziativa rivoluzionaria sul programma generale di congiuntura.
L’attacco portato dalla guerriglia alla struttura portante della guerra imperialista, la Nato, il più alto attacco mai portato all’imperialismo: la guerriglia che cattura un generale dell’esercito Usa! Non lo possono certo cancellare con un blitz, con una battaglia vinta dalla borghesia imperialista.
Le parole d’ordine: “costruzione del fronte combattente antimperialista” ; “distruzione del carcere imperialista e liberazione del proletario prigioniero internazionale”, non sono e non possono essere annullate perché vivono nelle lotte del proletariato metropolitano italiano ed europeo, e nelle lotte dei popoli oppressi dall’imperialismo.
La chiarezza e i contenuti rivoluzionari della cattura-processo al boia Dozier che ha segnato la campagna sul programma generale di congiuntura, rappresentano nello scenario internazionale dello scontro di classe, i punti più alti su cui avanzare per la costruzione della nuova società fondata sulle aspirazioni di milioni di proletari che vogliono essere liberi dalla schiavitù del lavoro salariato e dal giogo dell’imperialismo.
Può essere annientato il movimento di massa antagonista che in questi mesi è sceso in piazza contro la guerra imperialista? Può essere sradicata la coscienza che solo la guerra civile antimperialista può affossare la guerra imperialista? Può essere eliminato con un colpo di mano il terreno di lotta su cui far vivere anche parole d’ordine come “ fuori la Nato dall’Italia” e “ via i missili da Comiso”?
Tutto ciò fa parte del patrimonio di dieci anni di lotte proletarie, a cui la borghesia risponde con un solo modo: accelerazioni della guerra imperialista, il cui costo economico, politico e militare lo deve pagare il proletariato.

Compagni,
per tutti questi 42 giorni la borghesia e l’esercito più forte del mondo hanno tentato di risolvere le contraddizioni che l’iniziativa rivoluzionaria aveva aperto, presentando lo scontro di classe come guerra privata tra le Occ e lo Stato, con i vari inviti alla trattativa, con la solita tattica di ‘svalorizzare il prigioniero’, con l’utilizzo convulso dei mass-media… “ Il generale non parla”… “ Il generale non è poi tanto importante”… “Il governo non cede al ricatto”.
Intanto… veniva introdotta la pratica della taglia, senza che il governo avesse la forza di rivendicarla né smentirla. Proponevano l’utilizzo dell’esercito in funzioni di ordine pubblico, e doveva intervenire Capuzzo a dire che ciò avrebbe prodotto guasti e contraddizioni piuttosto che risolto i problemi. Per la prima volta nella storia delle cosiddette democrazie costituzionali si varavano leggi segrete, e Spadolini tanto ridicolo per quanto laido si affannava a dire che non è vero, ma che… l’iter delle leggi segrete va avanti e il governo se ne assume la piena responsabilità!
Certo, signori della guerra, avete la piena responsabilità di aver scatenato la guerra civile antiproletaria, di questa responsabilità dovete rispondere, e per questo dovete pagare, di fronte a tutto il proletariato!!
Cosa emerge da questo quadro se non la debolezza, la delegittimazione di un regime lacerato dalle contraddizioni!!
(…), questo baluardo politico-militare della civiltà occidentale, come vorrebbero presentarla, in realtà apparato di dominio e di aggressione, (…) Dozier della guerra in Vietnam, dagli amerikani degli aiuti alle dittature latino-americane e turca, questo baluardo di barbarie e di guerra (…) essa accusa i colpi, anche al suo interno si lacerano contraddizioni. Nemmeno sulle sanzioni alla Polonia, i membri della Nato riescono ad accordarsi perché ciò che prende il sopravvento è la necessità di tutte le borghesie di uscire dalla crisi, di essere competitivi, di conquistare mercati … (…) il Cocom, altra struttura clandestina dell’imperialismo delle multinazionali, che supervisiona i rapporti industriali e commerciali con i paesi del (…) riesce a bloccare contratti convenienti ad alcuni settori della borghesia imperialista… però, i paesi europei mandano la loro task-force a fare la guerra in medio oriente!
Eccolo, allora, l’unico terreno su cui tutti ritrovano l’unità: la guerra imperialista e la guerra interna contro il proletariato.
Chiamiamo per nome lo strumento con cui la borghesia ha vinto questa battaglia: è stata la tortura!
L’unica arma per arrestare la costruzione del Sistema del Potere Proletario Armato, e la crescita dell’iniziativa rivoluzionaria; scelta inevitabile per ogni regime in agonia; specchio della putrefazione della società del lavoro salariato.
Questa barbarie è l’unica sostanza che ricompone e unifica in un solo fronte di lotta contro la guerriglia, paesi che vanno dall’Italia alla Turchia al Salvador.
Ministro Rognoni, non ti affannare a raccontare minchiate: l’Italia unico paese in cui la guerriglia si sconfigge senza misure speciali? No!! La differenza è un’altra: nel nostro ‘paese democratico’ la tortura deve passare attraverso la gestione dei mass-media, e non potrebbe essere diversamente: l’Italia fa parte della Cee, del Consiglio Europeo, accetta formalmente il gioco ‘democratico’, a differenza della Turchia e del Salvador dove nessuno più cerca di negare la pratica dei massacri.
La tortura diventa rispetto del ‘dettato costituzionale’ ; la tortura sulle pagine dei giornali, diventa ‘ brillante operazione’, coro di elogi alle varie ‘ teste di… cazzo’ per il loro efficientismo.
Quale efficienza, se il tutto è un gancio al soffitto a cui appendere proletari e comunisti da seviziare, e un bastone con cui sodomizzarli!!!
Generale Dozier, lo abbiamo visto cosa significa catturare un generale dell’esercito americano! Non era forse la Nato, nella prigione del popolo, a chiedere di trattare con la guerriglia!!! Non era forse la Nato, nella prigione del popolo, a dire che l’Italia è un paese destabilizzato e che il governo italiano era imbarazzato nei suoi confronti!!
Signori della guerra, c’è un abisso tra la vostra identità di boia massacratori imperialisti, e la coscienza dei proletari e dei comunisti che combattono contro l’imperialismo.
Non bastano le vostre idiozie sugli ‘intrighi internazionali’, sulla (…); gli sforzi che fate per costruire sulla pelle dei compagni immagini che sono solo vostre e di questo regime; la realtà non può essere offuscata: operai, studenti, ferrovieri sono la forza del partito e del movimento rivoluzionario.
Non permetteremo che alla distruzione fisica dei compagni si aggiunga anche la distruzione della loro identità politica.
I comunisti sanno riconoscere chi tradisce per passare nelle file del nemico e chi a tutti gli effetti appartiene alle file dei rivoluzionari.
L’apparato e le strutture delle pratiche di tortura, dai Sica ai Simone ai giornalisti dal sorrisetto facile li conosciamo bene. Ripetiamo: li conosciamo bene. Statene certi niente resterà impunito.

Compagni,
la borghesia ha indubbiamente segnato un punto a suo vantaggio. Questo punto non si può più racchiudere solo nella solita carnevalata di regime fatta di ‘ super man’ con le buste di plastica in testa; la borghesia ha capito un dato politico di importanza fondamentale: come individuare e smantellare le aree di movimento di massa da cui sta nascendo la forza che la distruggerà; da cui sta nascendo il sistema di potere proletario armato per la transizione al Comunismo.
Il problema per i rivoluzionari, per tutto il movimento rivoluzionario è capire che la battaglia iniziata dalle Brigate Rosse col processo al boia Dozier interrotta dalla borghesia, non è un incidente che poteva essere evitato con qualche accorgimento in più, ma un episodio che sta all’interno di un mutamento generale dei rapporti di forza a favore della borghesia.
Le centinaia di arresti in pochi giorni dimostrano che contro il nascente sistema di potere proletario questo regime sta sferrando l’attacco più duro su tutti i piani, da quello politico a quello militare. E questo, proprio perché si è reso conto dell’enorme possibilità rivoluzionaria contenuta nel programma che il proletariato e gli embrioni degli organismi delle masse hanno lanciato; delle ragioni sociali della guerra di classe, del radicamento della lotta armata dentro la classe.
Se da parte nostra l’aver individuato i punti centrali del programma rivoluzionario ed aver cominciato a praticarlo, ha reso chiaro quanto potere disarticolante ha per la borghesia, e quanto potere unificante ha per il proletariato questo programma; se questo ha scatenato la più grossa offensiva controrivoluzionaria che si ricordi; dobbiamo anche capire che tutto questo non basta più.
Accanto alla chiarezza e alla giustezza delle ragioni sociali della guerra rivoluzionaria, dobbiamo anche capire qual è la teoria rivoluzionaria che ci rende capaci di condurre questa guerra.
La conduzione della guerra rivoluzionaria non è un problema di affinamento degli strumenti militari, ma la comprensione del modo con cui la politica rivoluzionaria può continuare a vivere, dei modi cui è possibile conquistare i programmi in queste condizioni dello scontro.
I problemi non sono quindi i blitz, né la presunta abilità con cui li portano a compimento, ma la capacità, raggiunta da questo Stato, di scompaginare le fila rivoluzionarie a partire dall’individuazione politica delle aree, dei movimenti, dei proletari che costituiscono la rete, il referente politico, il modo di esistenza e di costruzione del sistema di potere proletario.
Per la borghesia essere riuscita ad entrare dentro questo tessuto, ha significato porre i suoi avamposti dentro al movimento, attaccarlo dall’interno con gli strumenti del terrore, la tortura, i massacri, i ricatti per migliaia e migliaia di proletari.
Per il movimento rivoluzionario è vitale impedire che questo avvenga, è vitale impedire che la borghesia sia in grado di capire come avviene il processo di costruzione rivoluzionaria, quali sono i punti di aggregazione, dibattito, organizzazione rivoluzionaria, quali gli strumenti del lavoro politico tra le masse. Questo significa rafforzare il sistema di potere in costruzione, abbandonando ogni illusione di poter affrontare questa guerra con gli strumenti del passato. Questo significa che la parola d’ordine della clandestinità di massa, della clandestinità dei nostri canali di comunicazione e di lotta devono adeguarsi al livello che ci viene imposto; significa impedire l’individuazione, prima politica, poi militare, da parte del potere; significa che nonostante l’inevitabile prezzo da pagare per liberarci dalla barbarie imperialista, venga preservata la continuità e lo sviluppo del processo rivoluzionario, a partire dai presupposti su cui poggia: gli strumenti politico-militari-organizzativi che permettono al programma rivoluzionario di affermarsi, vivere e vincere.
Nell’attacco che stiamo subendo, siamo convinti che può riemergere un rafforzamento di tutto il sistema del potere proletario armato, perché i limiti della borghesia li abbiamo visti, la sua immagine di onnipotenza non ha alcuna legittimità sociale, perché nello scontro stiamo imparando a costruirci anche le nostre armi: il programma e la teoria rivoluzionaria della guerra civile nelle metropoli.
Su questo non si torna indietro, su questo la borghesia non riuscirà a farci retrocedere nonostante i suoi vigliacchi tentativi di portarci sul piano dello scontro militare. Quello di cui ha paura è la forza politica delle nostre parole d’ordine, la sua impossibilità di rispondere alle ragioni sociali della guerra di classe: questa è la nostra forza, questo imporremo insieme alle masse.
Neutralizzare e smantellare l’edificazione delle basi controrivoluzionarie dentro al movimento rivoluzionario. Guerra alla guerra imperialista! Guerra alla controrivoluzione! Guerra all’informazione di regime! Guerra alla tortura e al sequestro ‘con modalità argentine’!
Trasformare il progetto della borghesia in guerra civile antimperialista!

Per il comunismo
Brigate rosse per la costruzione del Pcc.

5-2-82

Rivendicazione azione contro Lando Conti

Il 10 Febbraio 1986 un nucleo armato della nostra Organizzazione ha giustiziato Lando Conti, dirigente della SMA e stretto collaboratore del ministro della guerra, il porco sionista Spadolini.
Lando Conti faceva parte di quel ceto politico-imprenditoriale ossatura della Borghesia Imperialista nei suoi progetti congiunturali. Ceto politico che coniuga direttamente gli interessi economici legati al settore bellico con le scelte generali dell’imperialismo occidentale.
Infatti, è stato instancabile animatore delle forzature politiche per una più diretta partecipazione dell’Italia, anche in senso militare, nell’alleanza atlantica.
Lo ritroviamo costantemente a fianco del ministro detta guerra attivizzato a promuovere e sostenere apertamente la posizione americana nel Mediterraneo.
La SMA (segnalamento marittimo ed aereo), piccola ed agile azienda per autodefinizione, partecipa ai più importanti sistemi d’arma e principalmente al programma USA delle guerre stellari SDI, attraverso il consorzio italiano per le tecnologie strategiche (CITES) promosso dall’Agusta. Essa fa parte del “club Melara”, circolo che racchiude il meglio detta produzione bellica italiana, controlla diverse aziende del settore con diramazioni anche all’estero, la sua produzione spazia dai sistemi radar alle componenti elettroniche per missili. Produzioni qualitative queste che in un mercato in espansione hanno suscitato l’interesse della Fiat ad una consistente partecipazione azionaria.
L’espansione produttiva e nei mercati mondiali della SMA è provata dalle sue esportazioni in tutte le parti del mondo, non disdegnando tra l’altro i sionisti israeliani, i golpisti NATO della Turchia, il regime segregazionista sudafricano, il regime filippino del dittatore Marcos ed i vari regimi sudamericani per citarne solo alcuni.
Il ruolo svolto da Lando Conti sia nel consiglio d’amministrazione della SMA, sia come esponente di rilievo del PRI, nonché nel panorama del potere politico locale è indicativo per comprendere fino in fondo le interconnessioni d’interesse politico-economico-militare assunte oggi dal settore bellico.
Se si sfoglia un qualsiasi manuale inerente ai problemi della guerra, vi si troverà citato il principio per cui il massimo di difesa è direttamente proporzionale alla capacità offensiva. Una legge generale della guerra che, non uno, ma nemmeno mille caminetti ginevrini possono invalidare.
La cosiddetta “Iniziativa di Difesa Strategica” promossa dagli USA determina necessariamente una corsa al riarmo, corsa che non riguarda soltanto lo spazio, investendo pesantemente il riadeguamento tecnologico-offensivo dei sistemi d’arma convenzionali, nel solco dell’idea guida dello “scudo stellare” consistente nel realizzare le condizioni per rendere praticabile (correndo un rischio accettabile) l’uso dell’arsenale nucleare. Sarebbe comunque riduttivo presentare lo SDI esclusivamente come un gigantesco strumento militare, sarebbe come essere ciechi di fronte alle sue motivazioni di carattere economico. Motivazioni che stanno alla base della diretta partecipazione al programma di vasti settori dell’economia generando una stretta relazione tra il politico, il militare, l’industriale e lo scientifico accademico.

Lo SDI é il programma pilota che la Borghesia Imperialista intende adottare per far fronte alle proprie necessità consistenti nel ridisegnare una nuova divisione internazionale del lavoro con la rottura degli attuali rapporti di forza interimperialistici, come condizione indispensabile per un’adeguata valorizzazione dei capitali impiegati.
Ventisei miliardi di dollari investiti solo nel campo della ricerca, una stima di 1500-2000 miliardi di dollari di spesa per la sua realizzazione vogliono dire un giro d’affari moltiplicatori che fa venire l’acquolina in bocca ai capitalisti, malcelata con le ipocrite perplessità politiche espresse dai vari governi europei.
Il lancio del cartello europeo Eureka, pur non avendo la potenzialità per competere con il Programma USA, rafforza le posizioni europee nelle acquisizioni delle commesse americane in quantità e quantità, cercando nel contempo di mascherare, dietro la demagogia di una “Europa autonoma”, la scelta dell’opzione bellica che comporta il porsi al carro dello SDI. Questa massa di capitali di tecnologia avanzata, sono un boccone prelibato per la fame inesauribile di profitti delle industrie belliche e non.
Per il capitale multinazionale USA la promozione e lo sviluppo di tale programma rappresenta il rilancio e l’amplificazione della propria supremazia nel mondo, mantenendo sotto la propria guida la ridefinizione della divisione internazionale del lavoro. Da un lato l’ulteriore cementazione dei rapporti gerarchici all’interno della catena imperialista occidentale; dall’altro il disegno di imporre all’URSS una per essa dissanguante corsa ad armamenti sempre più sofisticati, perseguendo cosi l’obbiettivo di un suo ridimensionamento anche in assenza di una vera e propria guerra diretta, costringendola ad una netta subordinazione politica.
Una velleità di vincere la guerra senza sparare un colpo che non ha possibilità di successo date anche le obbligatorie contromisure militari che all’Est si predispongono. Quella che stiamo vivendo è crisi generate storica del Modo di Produzione Capitalistico che ha origini nelle sue stesse contraddizioni interne. Essa è determinata da una sovrapproduzione assoluta di capitali, non eccesso di ricchezza, ma un’eccessiva produzione di mezzi di lavoro e sussistenza in relazione alla possibilità di un loro impiego nello sfruttamento della classe a condizioni di profitto che consentano la valorizzazione della base produttiva, l’accumulazione e riproduzione allargata.
La struttura multinazionale è condizione indispensabile al moderno capitalismo monopolistico multiproduttivo per strappare i margini di profitto ancora possibili.
Solo essa è in grado di affrontare con immense capacità tecnologiche-finanziarie gli impegni continui che si pongono sul terreno delle ristrutturazioni produttive. I capitali diversamente strutturati continuano ad esistere ma all’interno di una chiara dipendenza, destinati comunque ad essere inglobati.
La concorrenza tra capitali si sviluppa in una dimensione transnazionale e vede le strutture economiche d’ogni singolo Paese profondamente innervate ad ogni livello con capitali aventi il polo principale in altre nazioni dell’area.
La sostanza delle contraddizioni specifiche del capitale non è stata stravolta, ma è mutata la forma in cui esse si manifestano oggi. Tutto ciò comporta una complessa integrazione ed interdipendenza gerarchica che ha ovvie conseguenze sulle politiche di ogni singolo Stato, il quale non è certo uno strumento straniero che opera per conto di un capitale senza volto che annulla ogni suo carattere nazionale, anzi, ogni Esecutivo svolge una delicata funzione di articolazione delle politiche che meglio si adattano alle esigenze dei capitali, tenendo ben presente i caratteri della specifica Formazione Economico Sociale esistente, tutto questo nel rispetto delle indicazioni, generali o particolari, che in modo sempre più vincolante passano a livello internazionale, alla cui elaborazione ogni singolo governo, così come ogni capitale, partecipa in riferimento alla propria forza complessiva.
FMI, commissione esecutiva CEE, SME, banca europea per gli investimenti, svolgono un’attività di rigido indirizzo che comporta pesanti ricadute specialmente per gli Stati più deboli. Il FMI è lo strumento privilegiato con cui gli USA esercitano la loro supremazia a livello mondiale, manovrando l’emissione di finanziamenti condizionati all’adozione di politiche gradite, siano quelle antinflattive o quelle che mirano alla perpetuazione dello stato di completa dipendenza di gran parte del mondo, cercando di controllare direttamente le contraddizioni che in modo lacerante si presentano, come nel caso dell’indebitamento di dimensioni enormi che è stato accumulato dai Paesi dipendenti, autentica mina vagante per l’intero mondo capitalistico, che vede tra i massimi responsabili della sua minacciosa presenza gli stessi “artificieri disinnescatori”.
Nello specifico europeo, gli organismi CEE stabiliscono dai limiti d’oscillazioni delle monete alle quote di produzione in vari settori produttivi.
Per quanto riguarda la situazione italiana, queste decisioni hanno comportato ad esempio nel siderurgico, la disattivazione di importanti impianti, cosi come dei limiti sono stati posti in campo agricolo. Ovviamente queste misure provocano reazioni e scontri, come prova la sofferta storia di questi organismi, nessuno è disposto ad attuare con indifferenza restrizioni di questo genere, ma è verificabile un sostanziale allineamento ad esse nella coscienza del quadro generale di crisi, dei propri limiti di potenza, nella mancanza di alternative praticabili.
Non un pacifico affratellamento tra capitali e Stati, ma neanche un piatto riprodursi di quadri politico-economici già visti, cogliendo le differenze tra quantità e qualità e il punto in cui una può trasformarsi nell’altra.
È a partire da questa situazione che possiamo trovare le basi reali che portano poi alle politiche degli Stati imperialisti, sia rispetto alle condizioni di vita del proletariato, continuamente attaccato dai singoli governi, che allo stato di sempre maggiore conflittualità tra i due blocchi. È in questo vulcanico crogiolo che vivono le basi di una sempre più marcata tendenza alla guerra.
La storia ci insegna che altre gravi crisi hanno scosso il MPC e che esse sono state superate con lo scatenamento di guerre interimperialistiche che con le immense distruzioni di mezzi di produzione, di forza lavoro, di merci consentono poi la ripresa espansiva del ciclo economico, una diversa ripartizione delle aree di dipendenza nel mondo.
Nella necessità d’espansione del capitale maggiormente sviluppatosi vanno inquadrati tutti gli attacchi che l’amministrazione USA rivolge contro gli accordi di Yalta, perché essi rappresentano la sanzione d’equilibri tra i due blocchi oggi non più accettabili.
Indichiamo gli USA ed i suoi alleati europei come responsabili principali dell’attuale tendenza alla guerra, non per una valutazione di tipo ideologico positiva nei riguardi del blocco a dominanza URSS, anzi affermiamo che anche in questo caso ci troviamo davanti ad un Paese capitalistico dato che la proprietà statale dei mezzi di produzione non significa automaticamente socialismo.
Non di questo dunque si tratta ma della valutazione del diverso tipo di sviluppo del capitale e delle contraddizioni che lo percorrono, che conseguentemente lo portano a scelte politico-economiche diverse, per cui possiamo dire che in questa fase la corsa al riarmo, in generale, non gioca un ruolo economico positivo nell’Unione Sovietica, data la necessità di investire capitali in settori dove si registrano croniche carenze, pur nella determinazione a mantenere la propria area d’influenza.
Per quanto riguarda il campo occidentale vari sono gli esempi del rapporto crisi economica-guerra.
In risposta alla crisi del ‘29 La borghesia adotta le politiche Keynesiane che guidano il “New Deal” americano consistenti nell’intervento massiccio dello Stato come produttore di domanda aggiuntiva, tramite opportune manovre di definizione del saggio d’interesse, il fisco, strumenti di controllo sulla massa complessiva degli investimenti. Ma nel breve arco di tempo che va dal loro dispiegarsi alla vigilia della seconda guerra mondiale, questa risposta anticiclica dimostra tutti i suoi limiti e contraddizioni: una spesa federale che quasi si raddoppia in presenza contemporanea di un netto calo del Prodotto Interno Lordo ed una sestuplicazione della disoccupazione.

La via d’uscita dalla grave crisi verrà invece imboccata con l’esplosione del conflitto, con le forniture militari ai Paesi Alleati e il successivo intervento diretto provocano l’accelerazione produttiva con la conseguente quasi scomparsa della disoccupazione. Negli stessi anni anche la Germania cerca la sua via d’uscita alla crisi con le politiche pianificatrici dello Stato nazista, ideate per risolvere con la forza la caduta di valorizzazione dei capitali. Esse erano basate sullo sviluppo della produzione bellica finanziata dallo Stato, con il controllo dei commerci con l’estero del mercato valutario, dei prezzi e, ovviamente, dei salari.
La produzione ripartì a pieno regime nel 1937. L’indice della produzione legata al bellico, rispetto al 1928 era superiore del 37,2% a fronte, nello stesso periodo, di un aumento del 4,5% in industrie producenti merci destinate ai consumi di massa. In presenza di una diminuzione dei salari l’ammontare complessivo dei profitti aumentò oltre il 100%. Una situazione che non poteva non generare nel tempo effetti incontrollabili, ma nella realtà questo tempo non sarebbe maturato data la pianificata intenzione di scaricare verso l’esterno queste contraddizioni.
Allo scoppio della guerra di Corea, in fase di ristagno dell’economia, la spesa bellica svolge ancora un ruolo di locomotiva con i suoi effetti generatori di nuovi investimenti, così come durante la guerra d’Indocina con l’80% dell’aumento degli acquisti federali riconducibili alle spese militari che portarono ad una delle più lunghe progressioni dell’economia USA; insomma si verifica ancora una volta il rapporto tra “Welfare State” e Warfare State. A questi fatti si aggiunge poi la realtà sempre operante del commercio di armi tra USA ed Europa e tra queste e il “Terzo Mondo”, con diversi gradi a seconda che si tratti di Paesi con capacità di pronto pagamento (in denaro o materie prime) o meno. In queste vendite vengono rispettati ovviamente dei rigidi criteri politici riferiti al grado di affidabilità e alla rilevanza strategica di ogni singolo Paese. Inutile dire che l’ammontare complessivo della torta bellica d’esportazione viene divorata per 3/4 dall’imperialismo occidentale.
Vediamo, ora le caratteristiche peculiari della produzione bellica… entriamo nel ventre della bestia.
Se è sempre sbagliato tracciare una netta linea divisoria tra produzione di merci e contesto politico essa è ancora più assurda nel caso della merce-arma poiché essa racchiude in sé il massimo di politicità. Politico per eccellenza è intanto l’acquirente cioè gli Stati, con conseguente uso schiettamente politico, rivolto da una parte all’interno dall’altra proiettato verso l’esterno. All’interno il suo possesso rappresenta una sorta di assicurazione sulla vita, il miglior investimento atto a perpetuare il proprio dominio di classe; le masse che con il loro lavoro forgiano gli strumenti destinati al mantenimento della loro posizione d’oppressi e che, tramite la rapina fiscale sono costrette a finanziarne l’acquisto!
All’esterno come strumento di potenza a tutela dei propri interessi già esistenti e per fronteggiare il blocco avverso cercando di conquistare nuovi spazi per i capitali multinazionali che risultano eccedenti nell’area geopolitica in cui già operano questo con logica imperiale o sub-imperiale a seconda dei casi.
Il fatto che il committente sia uno Stato rappresenta per le industrie belliche un fattore estremamente positivo perché garantisce stabilità della domanda con corrispondente stabilità, verso l’alto, dei prezzi.
La presenza di una continua corsa all’adeguamento tecnologico, unita alla possibilità di elaborare programmi a lunga scadenza, data la garanzia di questa stabilità, permette lo sviluppo d’immobilizzi di capitali maggiore rispetto al resto delle produzioni. Per tutto questo si può dire che tale settore è il più appetibile per il capitale finanziario, data la sostanziale assenza di rischio.
Infatti in anni di crisi è riscontrabile un diverso andamento del profitto tra le altre merci e quella bellica in favore di quest’ultima.
Al centro di questo colossale affare sta l’imperialismo USA, al cui interno opera da tempo, in conseguenza dei fatti storici anzidetti, un consolidato complesso politico-industriale-militare-scientifico in grado di condizionare tutti i settori istituzionali e di estendere la sua influenza in tutto il campo occidentale, materializzato anche in un interscambio del materiale bellico con gli Alleati europei, che si colloca a favore degli USA in rapporto di 10 a 1, questo come pratica conseguenza del secondo conflitto mondiale che segnò la generale dipendenza politica ancora operante.
Nello specifico settore bellico la politica americana si è articolata inizialmente in una pura e semplice massiccia fornitura di armi nello scacchiere europeo, per rispondere alle esigenze di minaccia immediata verso l’URSS e si è poi sviluppata in presenza delle varie industrie belliche europee, da una parte manovrando commesse e licenze, compartecipando direttamente con la presenza azionaria e dirigenziale, dall’altra cercando di confinare l’attività di esse a settori produttivi tecnologicamente di medio livello, riservando a sé la capacità di progettare e produrre i nuovi sistemi d’arma.
In questo panorama si comprende bene il progetto di uniformare sempre più i sistemi d’arma, ultimi quelli spaziali, poiché questo, al di là di puri problemi di tecnica militare, consente il perpetuarsi del controllo USA sul momento di progettazione e produzione del “cuore” tecnologico andando poi preferibilmente ad accordi bilaterali con ogni singolo partner. Questa politica non poteva non incontrare resistenze in Europa, queste sono state attuate in special modo dalla Francia, mentre invece per quanto riguarda l’Italia, ha sempre dominato l’avversione alla costituzione di un’autonomia produttiva, sia per il totale asservimento politico alle indicazioni di Washington, sia perché una tale ipotesi la vedrebbe comunque marginalizzata dato il prevedibile formarsi di un’egemonia anglo-franco-tedesca, globalmente meglio attrezzate.
Caratteristica fondamentale dell’industria della guerra italiana è la specializzazione delle forniture ai Paesi del “Terzo Mondo” con una progressione di un volume d’affari impressionante: si passa negli ultimi anni ad aumenti anche di dieci volte superiori rispetto alla fine degli anni ‘60, con effetti devastanti sulle condizioni di vita (o di morte) di quei popoli i cui governanti si armano sempre più per conquistare l’egemonia nelle proprie aree con una logica da sotto impero, cercando di qualificarsi come più adatti al mantenimento della “tranquillità” nelle vie d’approvvigionamento dei Paesi capitalistici loro fornitori. Ai problemi storici che in questi Paesi si sono accumulati, in conseguenza del vecchio e nuovo colonialismo, rapina delle ricchezze naturali, sfruttamento selvaggio della manodopera, insufficienza degli alimenti indotta dall’imposizione della monocoltura, indebitamento con l’estero, dipendenza politica realizzata dalle borghesie locali, si aggiunge cosi il dissanguamento per l’acquisto di materiale bellico che rappresenta un terzo delle importazioni di tecnologia avanzata, assorbendo ingenti ricchezze che rappresentano un’ipoteca sulle possibilità di uno sviluppo futuro, dato anche il corollario di ulteriori spese dovute alla manutenzione, all’aggiornamento operativo spesso condotto da personale proveniente dal Paese fornitore data la sfasatura esistente tra l’alta tecnologia incorporata nei sistemi d’arma e il sottosviluppo locale.
Nel polo italiano è esplicativo il ruolo che svolge il maggiore gruppo di capitale privato, la FIAT, che ha una memoria storica ben viva sull’importanza dell’industria bellica e della guerra stessa. Infatti alla vigilia della prima guerra mondiale si trovava al trentesimo posto per grandezza industriale in Italia, alla fine di essa la ritroviamo al terzo, con un capitale sociale sette volte più grande e con 40.000 dipendenti invece che 4.000 ed utili dichiarati pari all’80% del capitale investito.
Fare una mappa della sua presenza nel bellico vuol dire coprire l’intero panorama settoriale: dallo spaziale all’aeronautico, dal meccanico al navale all’elettronico. Quello che è interessante valutare è un suo sempre maggiore impegno in quest’ultimo periodo (in particolare nella SNIA grande produttrice di combustibile per missile) proprio in vista dello SDI, del resto Agnelli non ne fa mistero, visto che a proposito di possibili accordi con industrie del Settore auto americane, mette come fatto centrale la volontà della FIAT di usare tali rapporti per meglio inserirsi nei prossimi progetti americani del Pentagono.

Nel campo della produzione bellica italiana – tenendo presente che è italiana in modo relativo, visto che la componente tecnologica straniera, in particolare USA, non rappresenta mai meno di un quarto del valore totale – è divisa per metà tra industria pubblica privata ed è possibile rilevare che la prima prevale in quei settori dove più alte sono le spese di investimento che lo Stato deve sostenere per l’importanza strategica e esse rivestono. Come l’aeronautico (2/3) estremamente tecnologizzato e il navale (3/4) da tempo in crisi, a proposito del quale merita ricordare che proprio sull’esigenza una sua espansione è nata l’industria siderurgica ad intervento statale.
All’interno del settore pubblico esiste una divisione tra IRI ed EFIM che spesso porta a sovrapposizioni e scontri per il controllo dei vari comparti, che in questa congiuntura politica si caratterizzano come uno dei terreni di battaglia tra DC e PSI.
In ballo c’è la guida di un settore, il quale proprio per questo rapporto tra industria bellica e potere politico, si presenta come un punto nevralgico per il rafforzamento del complesso politico-economico-militare sull’esempio di quello americano.
È dunque all’interno di questa congiuntura e nella prospettiva della guerra interimperialista, che la produzione del settore bellico svolge un ruolo trainante, volano dell’economia. Non a caso la tecnologia avanzata, la ricerca di base, l’applicazione di sistemi flessibili, l’automazione spinta ed i computer di quinta generazione trovano nel settore “militare” il proprio naturale terreno d’espansione. Proprio questo ruolo trainante del settore bellico ha tali implicazioni nei confronti delle politiche economiche dei vari Stati da coinvolgerli anche direttamente nella concorrenza spietata in atto fra le più potenti multinazionali per l’accaparramento di questo mercato.
Il caso Westland è esemplificativo degli enormi interessi che ruotano intorno a questo particolare settore. La Westland, essendo strettamente legata al programma americano delle guerre stellari, ha attirato intorno al suo “salvataggio” le più forti concentrazioni economico- finanziarie (Fiat-Sikorsky da una parte e “consorzio europeo” dall’altra), appoggiati palesemente dagli Stati che con queste lobby hanno più interessi. Un aspro scontro, proprio per questo coinvolgimento, può avere ripercussioni, è questo il caso, negli assetti e negli equilibri politici fra le varie consorterie della Borghesia Imperialista.
La realizzazione del maggior impegno dello Stato nella spesa militare non è già nell’immediato socialmente indolore. Quello che infatti si verifica è una sostituzione di questa alle altre spese, in particolare quelle riconducibili alle conquiste ottenute dalle lotte proletarie. Il dato politico che emerge è quindi che i programmi militari-politici che si sono dispiegati potranno raggiungere il loro massimo sviluppo se si verificherà una sconfitta storica della classe. Obbiettivo che la borghesia intende perseguire fino in fondo, anche perché in questi ultimi anni si sono realizzati dei rapporti di forza ad essa favorevoli, figli di un’offensiva generale che si è sviluppata dal terreno economico, al politico, al militare.
L’attacco alle condizioni di vita della classe ha avuto nell’80 alla Fiat il suo momento di svolta; il successo qui ottenuto dalla borghesia con l’espulsione di migliaia lavoratori e la decapitazione delle avanguardie ha segnato il via libera al successo in tutto il Paese delle ristrutturazioni produttive. Sull’altare del Capitale sono stati immolati centinaia di migliaia di posti di lavoro che hanno incrementato il già sterminato esercito di disoccupati e cassa integrati; il tutto in un quadro di ridefinizione dell’intero mercato del lavoro, con il ristabilimento delle chiamate nominative, lo sfruttamento del lavoro nero o part-time, la prospettiva di dover saltare da un sottolavoro all’altro per garantirsi la sopravvivenza, con una situazione per i “fortunati” rimasti nelle fabbriche fatta di supersfruttamento, in un clima in cui il semplice ammalarsi viene colto come atto d’insubordinazione. Tanto che il signor Romiti ha potuto affermare con soddisfazione che in fabbrica è stato immesso “il sano elemento psicologico della paura”.
Una situazione generale che vede l’Esecutivo protagonista di due tornate di trattative triangolari con Confindustria e sindacati sulle tracce di un modello neocorporativo sul quale la nostra Organizzazione si è pronunciata colpendo Giugni e Tarantelli responsabili ai massimi livelli nella realizzazione del tentativo di patto sociale.
È tutto l’ambito istituzionale che viene investito da quella che viene chiamata la “Grande Riforma Istituzionale”, cavallo di battaglia principale del PSI Craxiano che proprio su questo terreno programmatico si è guadagnato la guida dell’Esecutivo. Proprio per la portata della ristrutturazione, per le implicazioni e le trasformazioni di carattere complessivo che l’hanno accompagnata, essa va modificando tutti gli aspetti della mediazione politica e istituzionale tra le diverse istanze dello Stato nel loro rapporto con la classe. Sul piano generale dello scontro classe-Stato, l’essenza stessa della controrivoluzione preventiva, trova il suo adeguamento a livello dei rapporti di forza che si sono instaurati; in un ambito complesso di mediazione dosa riformismo e annientamento, mettendo in atto attraverso tutte le “istituzioni democratiche” il tentativo di compatibilizzare e contenere le spinte più antagoniste della lotta di classe: il pur marginale movimento degli studenti ha esemplificato questa funzione di intervento costante dove il riformismo demagogico statuale è stato strettamente accompagnato dalla repressione poliziesca nell’intento di trasformarlo in movimento reazionario di massa in senso lealista nei confronti delle politiche antiproletarie dello Stato.
Alla riuscita di questa prima fase di dispiegamento della ridefinizione in senso reazionario dell’intera Formazione Economico Sociale non è estranea la sconfitta che in questi anni ha subito l’avanguardia comunista combattente, determinando l’impossibilità di un indispensabile direzione politica della classe.
Così come siamo netti nel sostenere senza inutili veli mistificatori, che la borghesia ha riportato significative vittorie e la classe subito i relativi contraccolpi disgregativi, siamo altrettanto risoluti nel rilevare che i cicli di lotta seguiti agli accordi del 22/1/83 e 14/2/84 hanno espresso una rilevante autonomia politica dalle mistificazioni sindacali e revisioniste e una comprensione massificata della sostanza politica che stava dentro tali accordi, rivolgendo la propria lotta contro il governo, superando la rivendicazione economica. Tali lotte hanno avuto un andamento ciclico, esplodendo in coincidenza degli attacchi più significativi che vengono portati contro la classe, rifluendo poi in situazioni di apparente stasi rotti da episodi di lotta in singole situazioni, con una ripresa di egemonia dei sindacati basata più sulla mancanza di una seria alternativa politico-organizzativa, che obbliga la classe in una situazione d’attesa, che non su qualche forma di consenso ad una impostazione che non vuole tutelare neanche i semplici bisogni economici, essendosi proposti di muoversi nel rispetto di tutte le rigide compatibilità tracciate dalla ristrutturazione e questo anche come elaboratori diretti delle stesse.
Anni di lotte egualitarie vengono descritte come “inumano appiattimento” da eliminare, nascono così le piattaforme contrattuali basate sugli aumenti molto differenziati da una categoria all’altra, la differenziazione del punto unico di contingenza – a cinque fasce nella proposta sindacale -, la minimizzazione degli aumenti automatici e la riproposizione di quelli legati al “merito” nell’ambito della generale riforma della struttura del salario. Da sottolineare il carattere “sotterraneo” che ha assunto l’ultima tornata di consultazione, materializzando, anche sul piano formale la natura reazionaria del patto sociale neocorporativo.
La classe con i suoi valori, le sue conquiste, é sottoposta ad una serie d’attacchi concentrici. Sul suo cadavere politico i suoi nemici si giocano la possibilità di essere all’interno dei momenti congiunturalmente favorevoli che si presentano a livello mondiale; momenti che non hanno certo potenzialità risolutiva rispetto alle impellenze del grande capitale, le difficoltà del quale, per restare alla situazione italiana risiedono principalmente nello sforzo che deve sostenere per stare al passo delle punte più avanzate della produzione mondiale, date le carenze strutturali del nostro Paese e per come è situato nella divisione internazionale del lavoro, sempre in bilico dall’essere parte attiva del centro imperialista ed essere estromesso dalle più importanti decisioni prese in sede internazionale dal pool dei Paesi più forti.
Nel progetto di definizione del peso politico della classe, un ruolo letale continua ad essere svolto dal PCI, che nella ricerca di una collocazione in chiave governativa, nell’ambito delle forze borghesi, si trova nel pieno di una grave crisi politica giocata sulla ricerca dei perché di questo mancato accesso. Le cure proposte sono varie, a volte anche spiritose come quella del cambio anagrafico, ma tutte evitano di dire la verità a loro ben nota: il PCI viene mantenuto all’opposizione perché da lì deve svolgere il suo ruolo di contenimento istituzionale dell’opposizione di classe attuando così la sua funzione antiproletaria che tanto viene apprezzata dalla borghesia. Una funzione deleteria che del resto è sempre più individuata a livello di massa come dimostrano gli stessi dati sul calo degli iscritti, principalmente nelle aree industriali metropolitane dove maggiormente si esplica la repellente trama.
Anche nel movimento contro la guerra il PCI tenta di far passare a livello di massa la posizione più addomesticata data dal pacifismo interclassista che mai è riuscito ad evitare un conflitto, mentre nelle sedi politiche appoggia i peggiori progetti imperialisti, dal Sinai a Beirut, all’approvazione dei finanziamenti per l’industria bellica (AMX), contrapponendosi a movimenti popolari come quello che alla Maddalena vuole l’allontanamento della base per sommergibili nucleari o approvando al parlamento Europeo la relazione del democristiano Egon Klepsch che propugna la formazione di un’agenzia europea per l’approvvigionamento di armamenti in contrasto anche con il gruppo parlamentare del PCF, linea confermata dall’aperto appoggio offerto al progetto Eureka presentato nel bollettino “Europa Italia” dai revisionisti come “rilancio sulla ricerca e sulle tecnologie avanzate”, epitaffio davvero singolare per un programma basato sullo sviluppo sofisticato degli armamenti! Forse che i popoli interessati dovrebbero esaltarsi alla prospettiva di una distruzione autoprodotta? Dopo i fasti del “Eurocomunismo” ormai tramontati, dobbiamo assistere al lancio del “Euromorte”?

ATTACCARE IL REAZIONARIO PATTO SOCIALE NEOCORPORATIVO! DISPERDERE LA CANEA REVISIONISTA!
I cicli di lotta sviluppati dal proletariato hanno evidenziato il loro limite che consiste proprio nell’essere movimento di resistenza; permanendo su questo terreno non possono che arretrare più o meno rapidamente sotto i colpi che, con costanza e salti politici sempre più intensi, gli vengono rivolti dalla borghesia e dalle sue rappresentanze politiche. Dare una prospettiva diversa a tale situazione vuol dire affrontare problemi che non possono essere risolti spontaneamente da un movimento di massa per quanto maturo esso sia e che proprio nei suoi aspetti più generali si pone degli obiettivi che cozzano contro il reticolo sempre più stretto delle compatibilità economiche dettate da crisi e ristrutturazioni relative.
Pur non sostenendo l’inevitabilità della trasformazione della lotta economica – che ovviamente continua ad esistere – in lotta politica è indubbio che le varie mobilitazioni si sono scontrate direttamente con politiche economiche che hanno visto la centralità del ruolo del governo, rendendo ancor più evidente la necessità di una rappresentanza politica rivoluzionaria degli interessi generali della classe che la guidi nello scontro. La legittimità storica della nostra Organizzazione sta proprio nel saper rispondere a tale esigenza ed in tale ottica si spiega la sua capacità di reazione a dure sconfitte, sia dovute a nostri errori politici che contemporaneamente dai colpi della controrivoluzione. Non è quindi di una generica “irriducibilità” o di una semplice questione di miglior preparazione materiale rispetto ad altre esperienze ormai dissolte; ma è parte viva dello scontro generale tra le classi proprio nel momento in cui risponde alla necessità di dare prospettiva strategica sul terreno dello scontro diretto contro lo Stato. L’assolvere a questo indispensabile ruolo è il miglior modo per aprire la via all’offensiva della classe.
Il rifiuto dell’impostazione per cui per catturare consenso, i comunisti dovrebbero agire con azioni combattenti per garantire singoli risultati sul terreno della lotta economica, in una logica di braccio armato o come strumento per educare le masse alla necessità della rivoluzione violenta, un’organizzazione comunista che mira a diventare partito guida del proletariato metropolitano, deve saper sviluppare il proprio intervento politico-militare attaccando le politiche congiunturali che la borghesia mette in campo sui nodi centrali che dominano lo scontro tra le classi, individuando la contraddizione politica centrale.
Quando si parla di vittorie concrete da realizzare si deve intendere non la conquista rateale del comunismo, ma la capacità di sconfiggere la borghesia nei suoi progetti congiunturali, facendo conseguentemente avanzare la classe su posizioni politiche più favorevoli per le successive fasi dello scontro.
Tradotto in pratica ciò ha significato l’azione Tarantelli, cioè capacità di espletare tattica rivoluzionaria. Scelta dell’obbiettivo in base alla contraddizione politica dominante – patto sociale neocorporativo -, colpendo nel momento più favorevole nella congiuntura che vedeva da un lato l’impatto con la classe della politica economica del governo, dall’altro l’esplodere di contraddizioni tra forze politiche e sindacali borghesi. Gli effetti ottenuti sono stati l’indebolimento dello schieramento borghese e di rafforzamento di quello proletario, di un a quel punto inevitabile successo politico dell’Organizzazione a livello di massa e di avanguardia verificabile in modo chiaro in parole ed in atti. Un elemento quest’ultimo importantissimo, ma la cui presenza immediata non deve essere vista come condizione indispensabile vincolante per l’iniziativa rivoluzionaria, questo perché l’attività di un’OCC non deve essere rigidamente vincolata al grado medio di coscienza politica che si esprime nel movimento di massa, se così fosse la sua attività si ridurrebbe a ridicolo prolungamento bellico, perdendo di vista l’elemento centrale dato dalla necessità storica di un Partito che guidi il proletariato nella lotta contro lo Stato. Rappresentando gli interessi di classe, il Partito è interno a questo movimento, ma in quanto organizzazione di comunisti sviluppa una sua distinta attività che pur tenendo, ovviamente, conto del grado di conflittualità generale che si sviluppa nello scontro Borghesia-Proletariato, non vincola il suo agire alla comprensione immediata di milioni di proletari contemporaneamente. La coscienza politica rivoluzionaria non nasce spontaneamente da questi movimenti antagonisti, i quali non possiedono la conoscenza scientifica generale di tutti gli aspetti della realtà, la quale si esprime proprio nell’attività soggettiva del Partito, tramite i suoi programmi generali congiunturali in stretta dialettica con l’obbiettivo strategico di questa tappa, la conquista del potere politico e l’instaurazione della Dittatura del Proletariato. Nella capacità di applicare questa vera e propria scienza della direzione della lotta rivoluzionaria del proletariato si assolve o meno ai motivi che, con scelta soggettiva, hanno portato alla nascita della nostra Organizzazione. Altra cosa è il pensare di poter organizzare nelle attuati condizioni le lotte di massa che si succedono, perché ciò, oltre che velleitario, significherebbe adattarsi a condizioni politiche contrastanti con i nostri fini strategici.
Nei movimenti di massa diversi sono i livelli di coscienza che convivono e un diverso modo di rapportarsi deve conseguentemente essere da noi adottato nei confronti della massa sociale antagonista qualificandoci con i punti del nostro programma congiunturale da far prevalere sull’insieme dei più vari intendimenti che in essa si agitano. Nel caso invece delle avanguardie che hanno rotto i lacci della tutela revisionista o neorevisionista, non cadendo nella loro trappola imbonitrice, allora senza indugi il rapporto si deve sviluppare nella direzione indicata dalla strategia politico-militare antistatale.
Conquista irrinunciabile dell’attività rivoluzionaria di questi anni è la consapevolezza che la Lotta Armata per il Comunismo non è uno strumento della politica dei comunisti, ma strategia politico-militare che il proletariato organizzato e diretto dal Partito deve adottare, nella prospettiva della guerra di classe di lunga durata per abbattere lo Stato e conquistare il potere politico.
Questo sapendo di seguire un percorso che si differenzia da quelli seguiti da altri Partiti in altre epoche storiche, ciò è dovuto al fatto che hanno applicato strategie e tattiche che ben si adattavano alle condizioni su cui andavano ad incidere e che, in genere vedevano il momento dell’azione armata concentrata nella fase insurrezionale. Strategia e tattica dei comunisti sono storicamente determinate e variano con il variare della situazione concreta. Il dovere dei comunisti è di adottare quelle più adeguate in base all’analisi marxista-leninista, facendo tesoro delle esperienze del movimento comunista internazionale.
In quei momenti storici era giusto partecipare ai parlamenti borghesi ed estremistico non farlo, oggi una simile operazione sarebbe atto controrivoluzionario; il Partito si dotava di sindacati e di altre strutture legali di massa, oggi questo sarebbe criminale poiché manderebbe al massacro quei proletari che si riconoscono nelle nostre impostazioni.
Le trasformazioni storiche del modo in cui si esercita il dominio della borghesia nello scontro di classe, il più maturo articolarsi delle sue forme istituzionali in dialettica con le trasformazioni avvenute nel Modo di Produzione Capitalistico e alla più generale Formazione Economico Sociale nell’attuale contesto internazionale hanno condotto fin dall’inizio della nostra attività alla scelta dell’adozione della strategia della Lotta Armata, non intesa come scontro tra apparati che si perpetua modo lineare ignorando le condizioni concrete dello scontro di classe, ma in dialettica con esso, nella coscienza comunque di operare in una condizione generale non rivoluzionaria che non vede certo una dominanza dell’aspetto militare, ma sapendo che l’intervento soggettivo dei comunisti è parte integrante nella determinazione delle condizioni materiali oggettive di tale scontro.

ATTACCARE I PROGETTI DOMINANTI DELLA BORGHESIA COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE.
Tracciare il quadro dell’attività aggressiva dell’imperialismo in questi ultimi anni vuol dire abbracciare tutte le aree del mondo.
Volendosi limitare ai fatti più significativi possiamo indicare la dislocazione in Europa dei missili “Pershing 2″ e “Cruise”, il progetto già in fase di sperimentazione delle guerre stellari oltre alle vere e proprie operazioni militari cruente: l’invasione di Grenada dichiaratamente effettuata perché non era gradita la sua politica interna ed estera; la spedizione in Libano per reprimere i patrioti libanesi e palestinesi; abbattimento degli aerei della Jamahirya libica e dell’attuale campagna terroristica dell’imperialismo – nel quadro della famigerata “lotta al terrorismo”-; il recente raid nel Mediterraneo e in Italia in particolare con il dirottamento dell’aereo egiziano, emulati poi dai loro servi sionisti con l’aereo libico; il continuo appoggio con uomini e mezzi ai mercenari che combattono contro il popolo nicaraguense, in un Centroamerica sempre più considerato “cortile di casa” dagli yankee.
Tutti i Paesi della catena imperialista sì sono sempre più impegnati in una politica aggressiva, oltre che nei confronti dell’URSS, anche verso i popoli di tutto il mondo. Il riconfermato ruolo imperiale della Francia “socialista” in Africa, nella repressione della lotta degli indipendentisti in Nuova Caledonia, al rivoltante spettacolo delle ipocrite misure economico-militari contro il Sudafrica che con l’esplodere della rivolta nei ghetti neri vede esaltato il suo ruolo di gendarme di quell’importantissima area, sia per la posizione geografica – passaggio tra oceano Atlantico e Indiano-, che per la ricchezza di materie prime d’importanza strategica che possiede, svolge un ruolo subimperiale con il controllo esercitato su Namibia, Lesotho, Botswana, Swaziland, con continue aggressioni contro i Paesi ex coloniali: Angola, Mozambico, Zimbabwe.
Ad oriente il Giappone ha decisamente imboccato, sotto stimolo americano, la via del riarmo che, grazie alla sua elevata potenzialità economica è in grado di percorrere tappe forzate; il suo ruolo è di controllo su quei mari e di rappresentare una pericolosa spina nel fianco orientale dell’URSS.
Nella situazione delineata il ruolo dell’Italia non è né irrilevante né di mera esecuzione servile. La sua politica è stata all’avanguardia in Europa, sia nell’installazione i nuovi missili, che nell’adesione al programma di guerre stellari divenendo al di là delle cautele demagogiche che adesso manifesta, sponsorizzatrice di queste nel mondo, il ministro della Guerra, il porco sionista Spadolini, è arrivato a proporle addirittura all’Argentina…
Un ruolo di rilievo viene svolto dall’Italia nel Mediterraneo e in Medio Oriente, dove sviluppa una complessa iniziativa politico-diplomatica dalle alterne fortune, dalla velleità di protettorato su Malta, ai viaggi di Craxi nel Corno d’Africa – nelle terre del posto al sole -, ai rapporti privilegiati con l’Egitto e gli altri Stati Arabi traditori della causa palestinese. Panorama condito con ingenti forniture militari (Mubarak quando è stato avvertito del dirottamento della “Lauro” stava assistendo ad una dimostrazione di lancio di missili da guerra italiani), il tutto con l’attenzione a compatibilizzare la tutela di ingenti interessi economici, con il riconoscimento dell’indispensabile ruolo strategico di Israele. Un equilibrio non sempre facile come dimostra lo scontro politico nato sul caso “Achille Lauro”, le tensioni con gli USA e conseguente messa in crisi del governo da parte del porco sionista.
Tutti fatti che non debbono far perdere di vista la realtà di un’operante concertazione con il resto dell’imperialismo occidentale sulle grandi scelte politico-militari nell’area, come stanno a dimostrare le spedizioni in Libano e la tutela armata – con soldati inviati nel Sinai – degli accordi di Camp David. Fatti questi che hanno sempre più qualificato l’Italia come bastione a tutela del Mediterraneo, data la visione materiale delle linee di sviluppo che vengono perseguite nella ridefinizione dei compiti che le Forze Armate devono svolgere. Il ministero della Guerra con le gestioni Lagorio-Spadolini ha effettuato notevoli balzi in avanti per quantità e qualità. Limitandoci ai dati ufficiali si vede che il suo bilancio passa da 5.780 miliardi dell’80 agli 11.890 dell’83 con un aumento pari al 105,7%, con una previsione – sempre ufficiale – per l’85 di 16.512 miliardi, pari al 20% in più dell’anno precedente. Emerge da questi pur purgati dati ufficiali che la spesa militare in Italia aumenta in misura maggiore di quella decisa in sede NATO, con una progressione che è la più alta tra i Paesi dell’unione Europea Occidentale.
Ancora più interessanti i mutamenti qualitativi derivati dai nuovi armamenti, ma anche da una notevole riorganizzazione interna per l’adeguamento ai nuovi compiti da assolvere. Dal sempre maggior numero di mercenari rispetto a militari di leva, in un quadro che vede il rapporto soldato-armamento modificato a favore di quest’ultimo; al diverso dislocamento delle basi USA e NATO con un progressivo spostamento a sud.
La vecchia visione per cui l’Italia con le sue basi era demandata al compito di difesa del fianco sud della NATO è sempre più errata. L’adozione della portaerei “Garibaldi” con caccia d’attacco a bordo dota la Marina di una propria forza aerea consentendole di operare sul modello militare del corpo dei Marine; l’esistenza di una forza di pronto intervento (FOPI), nonché della costituzione della forza d’intervento rapido (FIR), composte dai più qualificati assaltatori delle varie armi rendono chiaro il ruolo offensivo a largo raggio che le Forze Armate italiane svolgono nel Mediterraneo, con il confine sud dell’alleanza che si sposta sempre più “dal Corno d’Africa alle Azzorre” per Spadolini, “da Capo Horn (!) alla regione del Golfo” secondo Lagorio. Del resto la collocazione proprio a Comiso di parte degli euromissili è un chiaro segno di questa funzione aggressiva puntata verso i Paesi del nord Africa e del Medio Oriente, confermata dalla militarizzazione nella stessa isola di 22.000 ettari sui monti Nebrodi. L’importanza dell’aeroporto di Sigonella recentemente confermata dall’interessamento americano a stanziarci stabilmente la Delta Force; inoltre i nuovi aeroporti militari a Lampedusa e Pantelleria; il dislocamento a Gioia del Colle, in Puglia, di uno stormo MRCA TORNADO, un cacciabombardiere d’attacco ideato per portare nel cuore del territorio nemico sofisticate bombe atomiche; ancora in questa regione, a Birgi, c’è la base degli AWCS americani; mentre a Maddaloni (CE) stanno cominciando i lavori di costruzione del Centro Aerospaziale Nazionale, evento di portata strategica ancora incalcolabile. L’internazionalizzazione della produzione e dei capitali, determina le condizioni di una similitudine nelle politiche ristrutturative che ogni singolo Stato della catena imperialista occidentale adatta in relazione alle proprie condizioni particolari, sviluppando politiche di controrivoluzione preventiva a livello economico-politico-istituzionale contro la classe. Queste politiche, in relazione proprio al grado di aggregazione politico-economico-militare raggiunto, trovano momenti di marcata concertazione fra gli Stati nei confronti dell’attività politico-militare della guerriglia; concertazione che, pur nelle differenze, viene ricercata anche nelle politiche di aggressione ai popoli che combattono per la propria emancipazione.
Tutto ciò all’interno del quadro generale di crisi, che da un lato rafforza queste tendenze, dall’altro scompagina gli equilibri internazionali rendendoli quanto mai precari. Questo quadro di instabilità e polarizzazione sui piano internazionale influenza direttamente gli ambiti nazionali, un dato che rende velleitaria la possibilità di staccare un anello importante della catena imperialista, senza l’indebolimento politico-militare dell’imperialismo occidentale.
Lo sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro Paese, per il raggiungimento della prima tappa, si muove dentro e contro gli equilibri di questa condizione generale e non può prescindere, per il suo avanzamento, dall’indebolimento dell’imperialismo occidentale nell’area; elemento quest’ultimo comune a tutte le forze rivoluzionarie che contro di esso combattono, indipendentemente dalle finalità strategiche che esse perseguono.
L’imperialismo occidentale, USA in testa, è il nemico principale e dichiarato del proletariato internazionale e dei popoli progressisti che combattono per la propria emancipazione.
Ciò determina, oggettivamente, un vasto e variegato – sia nella forma che negli obbiettivi – fronte di lotta all’imperialismo, all’interno del quale ci rapportiamo secondo i principi dell’internazionalismo proletario, consistenti nella solidarietà militante e principalmente nel fare la rivoluzione nel proprio Paese.
È da questo complesso di fattori che trova propulsione la proposta del consolidamento soggettivo del Fronte di Lotta Antimperialista nell’area, che lanciamo come obbiettivo da raggiungere in questa congiuntura internazionale.
Fronte che opera contro il nemico principale, l’imperialismo occidentale, senza per altro schierarsi necessariamente col blocco avverso. Allo scopo di realizzare quest’obbiettivo è indispensabile approfondire un fattivo confronto con tutte le forze rivoluzionarie che combattono l’imperialismo occidentale, al di là di ogni settarismo ideologico, ma nella salvaguardia dei principi che guidano ogni forza rivoluzionaria. Confronto attraverso il quale individuare i punti d’alleanza politica contro il nemico comune, trovando i necessari livelli di cooperazione nel rispetto delle peculiarità e delle diversità che caratterizzano tali forze. In questa dialettica è possibile ricercare il superamento della contraddizione tra forma e contenuto che a volte caratterizza l’attacco all’imperialismo.
Le Brigate Rosse per il PCC collocano l’antimperialismo come parte integrante della guerra di classe di lunga durata per la conquista del potere politico, come stanno a dimostrare la cattura del generale Dozier, l’esecuzione del responsabile del FMO in Sinai, garante degli accordi di Camp David, Leamon Hunt e l’esecuzione del dirigente della SMA, Lando Conti.
Le Brigate Rosse per il PCC, lavorano all’unità dialettica tra “attacco al cuore dello Stato” e Fronte di Lotta Antimperialista.
È nella nostra area geopolitica Europa-Bacino mediterraneo-Medioriente, che le contraddizioni dell’imperialismo occidentale sono rese più acute sia dalle lotte del proletariato europeo contro le politiche ristrutturative e del crescente riarmo, sia dalle iniziative politico-militari della guerriglia in Europa e dalle Lotte di Liberazione ed emancipazione dei Paesi dipendenti.
Questo genera da un lato la relativa debolezza politica dell’imperialismo, dall’altro la tendenza oggettiva ad una convergenza fra gli interessi del proletariato europeo con quelli dei popoli progressisti nell’area.
L’intersecarsi dei diversi piani delle contraddizioni formano un coacervo d’interessi contrapposti e di precari equilibri, che rendono l’area in questo momento, il punto di massima crisi nel mondo. Infatti l’Europa, in quanto centro imperialista, concentra le contraddizioni proprie del MPC; in quanto linea di confine degli equilibri scaturiti dalla seconda guerra mondiale, concentra le contraddizioni tra i due blocchi; in quanto punto di contatto tra i Paesi dell’occidente industrializzato e i Paesi dipendenti, è investita direttamente dai conflitti che l’imperialismo occidentale produce in queste regioni – aggravati principalmente dalla questione palestinese, peraltro sempre posta dalla eroica lotta di questo popolo, nonostante il liquidazionismo dimostrato con gli accordi di Amman, dalla direzione borghese dell’OLP -. Queste contraddizioni rendono più insistenti le forzature dell’imperialismo americano, con l’intento di affermare nei confronti degli alleati – in primo luogo europei – una spinta sempre più marcata verso la propria linea guerrafondaia; linea mascherata dietro la famigerata “guerra al terrorismo internazionale”, vero scopo, invece, mantenere ed espandere il controllo nell’area.
È a partire dall’intervento americano a Sigonella che vi sono stati un susseguirsi di veri e propri atti di terrorismo, fino alla maturazione della cosiddetta “crisi libica”; questi hanno prodotto un’accelerazione dei fattori di crisi, tali da cambiare sostanzialmente il quadro dei rapporti nel Mediterraneo.
Queste modificazioni passano anche attraverso l’aperta rivendicazione degli USA e della sua fedele sentinella, i macellai sionisti, del terrorismo di Stato come metodo d’intervento quale ratifica del loro agire.
Tali atti tendono a riformulare anche sul piano politico e diplomatico la posizione degli Alleati europei, sia rispetto agli USA che ai Paesi dell’area, riconducendoli sostanzialmente ad una più stretta fedeltà Atlantica.
Per quanto riguarda la posizione italiana, essa ha conformato il suo attivismo sia in seno all’alleanza, che nelle relazioni con i Paesi arabi; in quest’avvicendamento, non ultimo il patetico tentativo del duo Craxi-Gonzales di barattare con vantaggi economici la loro posizione geografico-strategica.
Queste accelerazioni pongono alle forze rivoluzionarie il dovere di ricercare le necessarie e possibili politiche di alleanze e, di dare quindi il proprio contributo al rafforzamento del Fronte di Lotta Antimperialista.
Non è quindi caparbietà di comunisti irriducibili perseguire l’obbiettivo di staccare quegli anelli della catena imperialista dove le condizioni lo rendono possibile; così come non è sterile pragmatismo ricercare un rapporto di maggiore alleanza con le forze rivoluzionarie europee e con tutte le forze rivoluzionarie dell’area; obbiettivi questi che trovano forza e possibile soluzione nelle crescenti difficoltà che l’imperialismo trova nel dare soluzione alla sua profonda crisi.
Su quest’indirizzo programmatico intendiamo lavorare al rafforzamento del Fronte di Lotta Antimperialista, perseguendo al suo interno anche l’obbiettivo irrinunciabile dell’unità internazionale dei comunisti.
Sulla base dei principi marxisti-leninisti, il dovere dei comunisti a livello internazionale, è di costruire concretamente l’alternativa ai due blocchi dominanti nel mondo e di lavorare senza indugi, nella lotta rivoluzionaria, ai livelli necessari d’unità e alleanza contro l‘imperialismo. Unità dei comunisti che non va certo cercata all’interno del purismo dogmatico dei sempre eterni partitini “emmelle”, tanto ininfluenti nelle dinamiche sociali.
L’unità va ricercata nell’ambito dell’agire concreto delle forze rivoluzionarie marxiste che espletano pratica politico-militare, rappresentando gli interessi generali del proletariato nel vivo dello scontro tra le classi del proprio Paese.
Unità con tutti i comunisti conseguenti che, pur nella diversità delle situazioni concrete, perseguono la finalità strategica della conquista del potere politico e l’instaurazione della Dittatura del Proletariato.
La proposta strategica della Lotta Armata per il Comunismo al proletariato del proprio Paese, è la base per l’unificazione politica e organizzativa più in generale dei comunisti a livello internazionale, linfa vitale per un’effettiva politica internazionalista.
Oggi come sempre te forze rivoluzionarie marxiste rappresentano la punta più avanzata nella lotta all’imperia1ismo; è nel rapporto reale all’indebolimento di quest’ultimo che va ricercato all’interno del Fronte un rapporto privilegiato con esse, senza peraltro sminuire il ruolo che oggi svolgono le altre forze rivoluzionarie.

GUERRA ALLA GUERRA! GUERRA ALLA NATO!
CONSOLIDARE SOGGETTIVAMENTE IL FRONTE DI LOTTA ANTIMPERIALISTA!
UNITÀ INTERNAZIONALE DEI COMUNISTI!
TRASFORMARE LA GUERRA IMPERIALISTA IN GUERRA DI CLASSE PER LACONQUISTA DEL POTERE POLITICO E LA DITTATURA DEL PROLETARIATO!

Febbraio 1986
per il comunismo
BRIGATE ROSSE
per la costruzione del PCC

In onore di Umberto Catabiani

“La morte di un reazionario è più leggera di una piuma. Quella di un rivoluzionario è più pesante del monte Tai!!!” (Mao)

A UMBERTO CATABIANI “ANDREA” CON AMORE RIVOLUZIONARIO!
L’irriducibilità dei comunisti, la scienza e la pratica rivoluzionarie, l’amore e la forza, piegheranno e distruggeranno la borghesia imperialista; costruiranno la società liberata dalla schiavitù del lavoro salariato!
Questo percorso Umberto Catabiani “Andrea” ha compiuto, passo dopo passo, coerentemente in tutta la sua vita di avanguardia comunista.
Vogliamo parlare di lui, ricordarlo ai compagni più giovani, affinché il suo impegno, il suo amore rivoluzionario, la sua morte costruisca un nuovo slancio nel tortuoso cammino di emancipazione dallo sfruttamento, di milioni di uomini e donne.
Umberto è figlio di proletari, il suo amore rivoluzionario, la sua volontà di rompere la miseria dello sfruttamento, trovano proprio nella sua condizione sociale la prima ragione di esistere.
La sua militanza inizia da giovanissimo nelle file della FGCI, poi nell’Associazione Nazionale Partigiani del suo paese, di cui diventa segretario proprio per la sua capacità di interpretare le aspirazioni comuniste di una intera generazione di proletari che ha lottato per costruire una società senza classi, aspirazioni e lotte che nonostante il revisionismo del PCI abbia tentato di soffocare vivevano e vivono tra la sua gente.
Tutta la vita e la militanza di Umberto si è costruita in quella prima battaglia politica CONTRO L’IDEOLOGIA DELLA SCONFITTA rappresentata dal revisionismo del PCI, e ciò che l’ha guidata sempre (fino alla fine) in modo coerente.
Nei primi anni ’70 è già organizzatore e dirigente delle lotte del proletariato versigliese, e fondatore dei primi gruppi che rompevano ideologicamente e politicamente con il revisionismo impadronendosi della scienza marxista-leninista. Anche nelle file dei gruppi m-l conduce una dura lotta contro l’opportunismo e lo spontaneismo soggettivista, contribuendo all’affermazione dell’idea-forza della LOTTA ARMATA come strategia di emancipazione sociale.
Fonda la Brigata d’Assalto Dante di Nanni interpretando il livello più maturo dell’antagonismo e della tradizione di lotta del proletariato toscano. Nel ’77 viene catturato e condannato a quattro anni di carcere imperialista. È il primo periodo di attuazione della strategia differenziata, le lotte del proletariato prigioniero si scagliano contro la differenziazione per la conquista del programma politico immediato, lotte incentrate sull’isolamento e la conquista della socialità interna e esterna. Dentro a queste lotte Umberto, insieme ad altre avanguardie comuniste costruisce la prima Brigata di Kampo a Volterra; Brigata che dirige il combattimento e le iniziative del proletariato prigioniero […] (cinque parole illeggibili sulla fotocopia [ndr]) rivoluzionaria continua incessantemente anche a fronte della repressione, dei pestaggi e dei ricatti personali. Trasferito nel carcere isola di Pianosa sviluppa il suo contributo nel lavoro di ricostruzione di lotte, programmi rivoluzionari e liberazione che erano state interrotte dalla infiltrazione dell’infame prezzolato Paghera. Questo periodo nella vita e nella militanza di Umberto è stato ricchissimo: confronto politico, lotta, studio, coscienza più chiara dei compiti che si andava ad assumere. Con questo bagaglio di esperienza rivoluzionaria accumulata, inizia il lungo lavoro di costruzione della Colonna Toscana delle Brigate Rosse. Enorme è stato il suo contributo al processo di costruzione del Partito Comunista Combattente e della linea politica per la conquista delle masse alla Lotta Armata per il Comunismo.
Questo Umberto ha sintetizzato nel costante rapporto con la classe, perché questo oggi la classe esprime e ci impone come comunisti: unità e ricomposizione. Su questi punti irrinunciabili: unità di tutti i comunisti nella costruzione del Partito Comunista Combattente e ricomposizione politica di tutto il Proletariato Metropolitano nella definizione più matura della corretta strategia rivoluzionaria. Umberto ha lavorato con slancio rivoluzionario in questi ultimi mesi.
La sua ultima battaglia politica, condotta con grande lucidità e vigore è stata contro il soggettivismo d’organizzazione e contro tutte le teorie e le pratiche che impediscono e rallentano lo sviluppo del processo rivoluzionario.

LAVORARE PER L’UNITÀ DEI COMUNISTI NEL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE E PER L’UNITA’ DELLE MASSE SUL PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO!
È stato questo l’impegno che si era assunto il compagno Andrea ed è questo l’impegno che ci siamo assunti e che ci assumeremo con sempre maggiore forza contro tutte le tendenze erronee e le pratiche soggettiviste avventuriste e frazioniste.
La caduta del compagno Andrea non rappresenta una perdita solo per le Brigate Rosse, tutto il proletariato ha perso uno dei suoi figli migliori, un quadro comunista generoso ed intelligente. Ma se è vero questo, se è vero che per ogni compagno che muore è come se morisse una parte di noi stessi è anche vero che la scomparsa di un compagno, chiunque esso sia non lascia “vuoti incolmabili” nello sviluppo del processo rivoluzionario.
Quello che la borghesia nei suoi sogni vuole configurare come realtà è un processo rivoluzionario impersonificabile con singoli compagni e “capi”, come ogni giorno ci propinano gli organi della controguerriglia psicologica: nella realtà è esattamente l’opposto. Ogni compagno, ogni rivoluzionario è necessario, nessuno è indispensabile. La morte del compagno Andrea pesa oggi dentro ogni proletario, dentro ogni rivoluzionario, ma la sua figura di comunista, la sua esperienza il suo contributo continueranno a vivere in ogni lotta del proletariato metropolitano e nello sviluppo del processo rivoluzionario.
Lo schifoso tentativo che le serpi della controguerriglia psicologica cercano di compiere sul compagno Andrea è quello di descriverlo, e con lui ogni comunista combattente, come una “belva” braccata, impazzita, isolata dal resto della classe operaia e ormai solo capace di gesti disperati è quello di costruire anche attraverso la sua morte, così come si è costruita sui mass-media la gestione della tortura, l’immagine di onnipotenza dello Stato imperialista, la deterrenza di cosa accade a chi osa ribellarsi alla barbarie imperialista, a chi osa combattere il regime della schiavitù del lavoro salariato.
Allo stesso modo con cui tentano di accreditare, con i pidocchi, i tradimenti, le confessioni l’immagine di un’avanguardia combattente allo sbando, completamente sganciata dalle dinamiche della classe, i pennivendoli della borghesia. imperialista cercano di contrabbandare il comportamento coerente e lucido del compagno Andrea fino alle sue più estreme conseguenze, come ulteriore dimostrazione degli “ultimi sussulti” disperati di una guerriglia ormai sconfitta.
Ma per quanto insidiosi questi tentativi sono destinati a fallire miseramente, non possono occultare il profondo legame che, nonostante errori e ritardi unisce le avanguardie comuniste combattenti al movimento proletario. E oggi proprio a partire da questo legame profondo e indissolubile tutti i comunisti insieme a tutte le altre componenti in embrione del Sistema del Potere Proletario Armato, ridefiniscono in un dibattito profondo e articolato i propri compiti e la definizione più matura di un programma e di una strategia rivoluzionaria adeguata ai nodi attuali imposti dallo scontro e dalla necessità-capacità di farli vivere dentro ogni lotta proletaria.
L’esistenza, il percorso politico e la stessa morte del compagno Andrea incarnano la volontà del proletariato metropolitano di non arrendersi, di non piegarsi di fronte all’offensiva della borghesia imperialista, del regime della miseria e dello sfruttamento.
La sua morte è una scelta lucida e coerente di chi ha scelto di dedicare la sua vita a combattere contro la borghesia imperialista e per la liberazione del proletariato metropolitano dalla schiavitù del lavoro salariato.
La tortura, l’eliminazione fisica e politica di migliaia di proletari prigionieri dentro le carceri con l’articolo 90, i […] (parola illeggibile [ndr]) ed i pestaggi, la morte dei comunisti non riusciranno a fermare lo sviluppo del processo rivoluzionario, non riusciranno ad impedire che migliaia di proletari prendano il posto lasciato dal compagno Andrea. Andrea, un fiore è sbocciato e questo fiore, nonostante la violenza […] (parola illeggibile [ndr]) posta dalla borghesia imperialista, i comunisti, i proletari continueranno a coltivarlo fino alla Vittoria!
Per il Comunismo!

ONORE AL COMPAGNO UMBERTO CATABIANI “ANDREA” CADUTO COMBATTENDO PER IL COMUNISMO!!!
AVANTI CON LA COSTRUZIONE DELLA COLONNA TOSCANA UMBERTO CATABIANI “ANDREA”!!!
COSTRUIRE L’UNITÀ DEI COMUNISTI NEL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE!!!
COSTRUIRE L’UNITÀ DELLE MASSE SUL PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO!!!

26/5/82

Per il Comunismo
Brigate Rosse
per la Costruzione del PCC

Fonte: Fedeli alla linea, Red Star Press, Roma 2015.

Campagna Dozier – Comunicato N.5

A tutto il movimento rivoluzionario.
Nel prossimo futuro, in un’Europa ridotta a zona nucleare dall’installazione dei missili, decisa a Bruxelles dai padroni americani, non correremo il rischio di essere svegliati da cataclismi come il terremoto, ma potremo dormire beati su duri cuscini di testate nucleari e magari passare ‘inavvertitamente’ dal sonno al sonno eterno. A ordigni di potenza distruttrice incontrollabile, si aggiunge l’ultimo ritrovato della tecnologia americana: la bomba ‘N’ a raggio d’azione limitato, in grado di annientare gli uomini lasciando intatte le ben più preziose cose!
Nell’ipotesi di una guerra nucleare limitata, ipotesi che prende sempre più piede tra i nuovi teorici americani il guerrafondaio Reagan ha dato il via alla produzione di ben 1200 bombe al neutrone. Le basi Nato sono già munite di mezzi di trasporto e lancio (del tipo ‘lance’) di queste bombe. Si prospetta così la possibilità di un conflitto nucleare limitato Europa-Urss, con le prevedibili conseguenze della totale devastazione dell’area geografica coinvolta.
La difesa dell’Occidente si riduce così alla salvaguardia del territorio americano, nel lucido e criminale progetto di preservare la maggiore potenza capitalista mondiale grazie al sacrificio coatto delle popolazioni europee. Questo è l’epilogo dei ‘fraterni aiuti’ americani iniziati con l’occupazione militare dell’Europa nel ’45.

Compagni proletari,
la borghesia imperialista, nel momento in cui sta scatenando la guerra al proletariato internazionale, blatera di possibili trattative col movimento rivoluzionario.
Trattare? Il proletariato non ha nulla da trattare con la borghesia, il suo solo compito è sbarazzarsene armi e bagagli!
In questi ultimi giorni le lacerazioni che l’attacco rivoluzionario ha prodotto all’interno del regime si stanno apertamente manifestando e, nel ridicolo tentativo di nasconderle, la borghesia imperialista dimostra la sua debolezza strategica. La ricerca squallida attraverso i mass-media di una trattativa come possibile soluzione al processo del boia yankee, non è un problema che possa riguardarci. I velati e insistenti inviti all’apertura di una trattativa, si inseriscono nel tentativo di isolare una battaglia e la guerriglia comunista da tutto il movimento rivoluzionario contro la guerra, come se la guerra imperialista riguardasse solo le Brigate Rosse! Il problema della guerra alla guerra imperialista non lascia ormai più spazi di mediazione su cui instaurare un confronto ‘pacifico’ né con i popoli in lotta né con il proletariato metropolitano europeo: quello che si sta affermando è la tendenza alla rivoluzione su scala mondiale, anche se si tenta di stroncarla con ogni mezzo. Infatti Nato significa anche guerra interna; i CC, punta di diamante dell’apparato controrivoluzionario sono direttamente integrati o subordinati a questa struttura. Nella fase della pace armata il controllo americano su questo apparato mantiene un carattere più o meno clandestino, mentre nell’accentuarsi della guerra civile, si rivela chiaramente nell’assunzione diretta da parte americana della direzione politica, militare ed ideologica della guerra interna. Questo è quanto è avvenuto in Turchia, questo è quanto sta avvenendo in Italia. Il colpo di stato democratico in Turchia è stato guidato dalla Nato; sono Nato gli strateghi che l’hanno diretto. Non è forse americana la strategia dell’infiltrazione nel movimento rivoluzionario? La considerazione della guerriglia come il pericolo numero 1? Non sono forse americani i metodi di tortura applicati in Turchia e quelli avviati in Italia? Per valutare il grado di ‘destabilizzazione’ politica ed economica di un paese come l’Italia è necessario tener conto del ruolo nell’equilibrio complessivo tra i blocchi e del suo inserimento nel contesto economico occidentale, caratterizzato da un preciso modo di funzionamento. Se, ad esempio, un paese dell’America Latina può permettersi una quota di inflazione del 120%, l’Italia deve mantenersi nella fascia del 16/20% fissata dalla Cee. Ciò significa che perché si determini una situazione di guerra civile in un paese come l’Italia, non occorre certo giungere ai livelli di destabilizzazione toccati da paesi quali il Cile, San Salvador, Argentina, ecc.
Lo scatenarsi della crisi nelle cittadelle della capitale e il rafforzarsi delle tendenze rivoluzionarie, provoca una modificazione della strategia imperialista: l’intervento ‘antidestabilizzante’ nei paesi della catena raggiunge livelli di intensità fino a ieri insospettabili, proprio perché qui è il centro motore del dominio imperialista, è qui che può essere messa definitivamente in discussione l’esistenza stessa del modo di produzione capitalistico.

Compagni,
il fatto che la borghesia imperialista tenta di risolvere le contraddizioni di classe con un attacco generale al proletariato metropolitano, con licenziamenti, peggioramento delle condizioni di vita e con la pratica generalizzata dell’annientamento, della tortura, dimostra non certo la forza di questo regime ma la sua reale debolezza. Abbiamo già visto naufragare tutti i tentativi dell’apparato integrato controrivoluzionario di attaccare la guerriglia dal suo interno. La stessa strategia del ‘pentimento’ e della dissociazione è ormai un’arma spuntata, in quanto il nascente Sistema del Potere Proletario Armato è stato in grado di affrontarla ed attaccarla nelle sue fondamenta: non ci sono più i Peci, i Sandalo e tutto il corollario di infami che ben conosciamo dentro il processo rivoluzionario; e infatti questa contraddizione oggi riguarda solo il regime che l’ha prodotta: finita la funzione di questi pidocchi, non sanno più cosa farsene né come proteggerli. Ma la controrivoluzione non rinuncia tanto facilmente ai suoi progetti: gettata l’arma del ‘pentimento’ e della dissociazione, non le rimane che quella della tortura per i proletari e per i comunisti catturati. Questa è una delle leggi ‘segrete’ varate dal Ciis. Quello che oggi stiamo subendo sulla nostra pelle sono gli stessi metodi usati dagli assassini americani in Vietnam, in America Latina, in Turchia… Tutto questo non è che l’ennesima dimostrazione dell’unica politica imperialista di fronte alle lotte che mascherano ed attaccano il suo progetto di dominio: la barbarie è l’elemento di massa. Tutto questo ce lo aspettavamo. Tutto questo non è nuovo nella coscienza del proletariato internazionale. Il regime ormai legittimo della lotta in fabbrica, nei quartieri, nelle carceri, reagisce col terrore. Oggi parlare della tortura, discuterne, acquisirne nella coscienza di massa questo salto operato dalla controrivoluzione, non è un appello alla democrazia ma la preparazione degli strumenti per combatterlo nella maniera più efficace. La tortura ha avuto una lunga incubazione: dai pestaggi scientifici e massificati nelle carceri speciali, alla scomparsa per mesi dei combattenti e delle avanguardie proletarie nelle camere di sicurezza dentro le caserme di CC e PS, ai massacri di giovani proletari da vigilantes, vigili urbani, equipaggi delle volanti, fino a giungere alle torture subite dagli ultimi compagni catturati. Questi compagni per giorni e giorni sono stati trasportati da una camera di tortura all’altra nei famigerati covi della sbirraglia, che altro non sono che le più note caserme CC e PS. Tenuti appesi al soffitto, bastonati con scientificità nei punti più delicati, soffocati da litri e litri di acqua salata, tagliati e cosparsi di sale, il tutto accompagnato dall’ingerimento forzato di sostanze sconosciute per fiaccarne la resistenza fisica, per poi passare alla distruzione della loro identità politica, presentandoli sulle prime pagine dei giornali come i nuovi pentiti.
I comunisti sanno riconoscere chi tradisce per passare nelle fila del nemico e chi a tutti gli effetti appartiene alle file dei rivoluzionari.
L’apparato e le strutture delle pratiche di tortura, dai Sica ai Simone, ai giornalisti dal sorrisetto facile, li conosciamo bene. Ripetiamo, li conosciamo bene! E state certi, alla fine nulla rimarrà impunito!!
L’attacco a questo apparato è un punto di programma per le forze rivoluzionarie, è un punto di programma che non riguarda solo i comunisti. Questo apparato da una parte è strumento diretto di annientamento fisico e politico delle avanguardie, dall’altra serve a terrorizzare e spianare la strada per l’annientamento di tutto il movimento antagonista. Solo una risposta è possibile: armarsi di coscienza rivoluzionaria e organizzarsi e combattere contro queste barbarie, per il potere e per il Comunismo.
Guerra all’apparato della cattura con modalità argentine, distruggere con ogni mezzo la struttura che studia, attua, gestisce la tortura!

Compagni,
ciò che ha attivamente spostato i rapporti di forza è un possente movimento rivoluzionario che ha reso instabile la ‘governabilità’, delegittimando l’attuale sistema di potere. Che significato ha il fatto che la piattaforma sindacale è stata respinta dalla stragrande maggioranza degli operai, se non quello di avere rotto col patto sociale? La piattaforma sindacale, che lega il costo del lavoro all’inflazione, è tutta all’interno del piano governativo: la classe operaia compatta ha detto no! Fare approvare la piattaforma, per il sindacato significa firmare la tregua, risarcire il Patto sociale; anche gli emendamenti sono sul terreno della riconciliazione dell’antagonismo, strada che, nella seconda tornata delle votazioni, i bonzi cercheranno di sfruttare. Ma la classe operaia ha posto un netto rifiuto mandando così in frantumi in un solo colpo il patto sociale e quello neo corporativo, vere e proprie tele di ragno che il sindacato ha tessuto per imbrigliare l’antagonismo di classe. La classe operaia dovrebbe approvare migliaia di licenziamenti, il suo rifiuto a questa dichiarazione di guerra va nel senso del rifiuto del perpetuarsi del rapporto di mercificazione, cioè, dell’abbattimento del sistema del lavoro salariato nella prospettiva rivoluzionaria di lavorare tutti, lavorare meno e per finalità diverse!
Queste lotte si inseriscono nell’ambito più vasto di un movimento nazionale e internazionale contro la guerra imperialista, generata dalla crisi. Attorno a queste tematiche si ricompone un movimento di massa capace di coagulare odio, disprezzo, coscienza organizzata contro lo Stato imperialista delle multinazionali. Il movimento rivoluzionario e il Partito in costruzione hanno come obiettivo possibile congiunturalmente quello di far saltare i piani di guerra e di ristrutturazione dell’imperialismo e di costruire pazientemente la transazione alla nuova società. L’attacco rivoluzionario sferrato al cuore della macchina da guerra americana, la Nato, ha spezzato la gabbia che la borghesia imperialista stava costruendo attorno alla ripresa delle lotte contro la guerra. La chiarezza dei contenuti che le forze rivoluzionarie italiane ed europee stanno praticando, getta le basi per la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista e della transizione al comunismo. L’annientamento del vice addetto militare a Parigi, colpito dai popoli del Medioriente in lotta per la liberazione dall’imperialismo sionista e americano, la cattura in Spagna di un servo delle multinazionali, il moltiplicarsi di attacchi alle forze e alle strutture militari dell’imperialismo in tutta Europa, a quelle economiche e commerciali in Italia, rappresentano il momento più qualificante del movimento di lotta contro la guerra imperialista; segnano un notevole salto in avanti e si pongono come riferimento e direzione per tutto il movimento di lotta all’imperialismo indicando in forme di lotta e in contenuti di potere, l’unica possibilità per sconfiggere la guerra imperialista: la guerra civile antimperialista. In questa strategia di guerra all’imperialismo, con l’attacco alla struttura centrale della Nato, è possibile il vero sganciamento dell’anello debole Italia dalla catena imperialista e la costruzione di un nuovo Internazionalismo Proletario; solo così le parole d’ordine “fuori l’Italia dalla Nato”, “via i missili da Comiso” possono diventare reale terreno di lotta e di organizzazione delle masse rivoluzionarie. Solo dentro un processo di guerra civile antimperialista si dà la possibilità di rendere concrete anche queste parole d’ordine che altrimenti rimarrebbero vuoti slogan, privi di ogni capacità offensiva e di lotta.
Attaccare gli uomini e le strutture della macchina da guerra imperialista: la Nato. Attaccare il progetto politico, economico ed ideologico della borghesia imperialista! Attaccare con ogni mezzo l’esercito di occupazione, comunque esso si presenti: nessun mercenario americano e della struttura Nato deve circolare tranquillo! Espellere le forze di occupazione imperialista e distruggere le loro servitù militari!
Compagni, il fatto che il regime mantiene segrete le leggi deliberate dal Ciis, non pone certo all’offensiva la borghesia imperialista, al contrario dimostra la sua delegittimazione di fronte a tutto il proletariato. Queste decisioni segrete vanno dal consenso di tutti i partiti alle pratiche della tortura, al varo dell’allargamento quantitativo e qualitativo della strategia differenziata a tutti i rapporti sociali che nel carcere imperialista trova ancora una volta il suo laboratorio centrale.
L’allargamento della strategia differenziata nel carcere imperialista è un ulteriore adeguamento ai livelli dello scontro di classe in Europa; la tendenza in atto è quella di parificare il trattamento dei proletari prigionieri a quello dei paesi più lacerati dalla guerriglia Proletaria e comunista; Turchia e Irlanda in testa. Tutto ciò va inquadrato nel rapporto Rivoluzione-Controrivoluzione che nel nostro paese ha sempre determinato uno sviluppo più maturo del processo rivoluzionario, disarticolando, congiuntura dopo congiuntura, il progetto della borghesia imperialista. Nel ’77 col varo delle carceri speciali il regime pensava di dividere, per poi annientare, il proletariato prigioniero e le sue avanguardie; oggi, a fronte dell’attacco portato dal movimento rivoluzionario a quel livello della strategia differenziata nel carcerario, la borghesia imperialista si vede costretta a ridefinire il suo progetto, varando un nuovo ’77. Le leggi segrete rappresentano questo passaggio di fase nel carcere imperialista: dividere le avanguardie di lotta dal proletariato prigioniero, differenziare tra comunisti e comunisti, per preparare un nuovo massacro.
Dentro questo progetto si inquadra l’utilizzo dei mass media, che, sui loro organi di informazione, stanno preparando il terreno per legittimare questo progetto. Un progetto che non ha niente di segreto e che ha già basi concrete nei ‘braccetti di lungo controllo’, nella regolamentazione dell’annientamento attraverso l’estensione dell’articolo 90 a tutto il circuito nella pratica del massacro dei proletari prigionieri più combattivi, attraverso l’impiego di killer prezzolati dai CC e marescialli degli agenti di custodia, nei pestaggi sempre più frequenti soprattutto a Pianosa e a Nuoro, nella reintroduzione dei vetri ai colloqui come totale chiusura della socialità interno-esterno. I CC si preparano ad assumere il comando, tanto per la sorveglianza esterna, quanto per quella interna, con compiti di direzione sugli agenti di custodia e sul personale ‘civile’. Queste scelte fatte dall’esecutivo sono il tentativo più vigliacco per ristabilire i rapporti di forza a suo favore, e, se vengono ancora mantenute segrete è perché dentro lo sviluppo della campagna in corso, sta cercando di costruire, preparare il momento più idoneo per attuare un nuovo massacro; per il momento utilizza la segretezza sui provvedimenti come ricatto per tutto il movimento rivoluzionario.
Tutto ciò va fatto saltare!
Va fatto saltare non solo come attacco alla strategia differenziata nel carcerario ma, a partire dalla guerra alla Nato, come attacco su tutti i punti del Programma Generale di Congiuntura. Non si tratta più di assumere volta per volta un fronte di combattimento, ma di far vivere tutto il Programma rivoluzionario contro il progetto complessivo della borghesia imperialista, per costruire le basi della guerra civile antimperialista.
Aver gettato le basi dell’unità politica intorno al Programma Generale di congiuntura e aver ristabilito sui nuovi compiti dello scontro di classe un rapporto inscindibile tra proletariato e partito in costruzione, rende possibile e necessaria l’attuazione della parola d’ordine “Unità degli organismi di massa rivoluzionari sul programma generale di congiuntura e dei comunisti nella costruzione del partito”.
È obiettivo di questa campagna fare esprimere e dare voce agli Omr, dai Comitati di Lotta nei carceri metropolitani e negli speciali, agli embrioni degli organismi di massa rivoluzionari di tutto il proletariato metropolitano. Questi momenti di organizzazione rivoluzionaria che il proletariato si sta dando, sono il materializzarsi attivo del Sistema di Potere Proletario Armato, che costituiscono i presupposti su cui realizzare e costruire la comunicazione sociale proletaria e rivoluzionaria.
Solo l’insulsa cretinaggine di questo regime non comprende che ogni tentativo di soffocare ogni forma di espressione e comunicazione è destinato a naufragare pesantemente.
Smantellare il circuito della differenziazione!!! Liberare il proletariato prigioniero internazionale!!! Guerra alla regolamentazione dell’annientamento!!! Guerra all’articolo 90!!! Chiudere con ogni mezzo le sezioni di lungo controllo!!! Dare voce agli organismi di massa rivoluzionari, costruire nella lotta la comunicazione sociale rivoluzionaria, per la costruzione del programma di transizione al comando!!!
Guerra alla guerra imperialista!!! Guerra alla Nato!!! Guerra alla controrivoluzione preventiva!!! Guerra all’attuazione del progetto di espulsione della forza lavoro!!! Guerra alla nuova organizzazione del lavoro!!! Guerra alla ridefinizione-governo ferreo del mercato del lavoro!!! Guerra al piano di compressione differenziata dei costi della riproduzione sociale!!!
Onore al compagno Lucio Di Giacomo.
Onore a tutti i combattenti caduti per il comunismo.

Per il comunismo.
Brigate rosse per la costruzione del Pcc

25-1-82

Rivendicazione azione contro Ray Leamon Hunt

Il giorno 15/2/84 un nucleo armato della nostra organizzazione ha giustiziato RAY LEAMON HUNT, direttore generale della “FORZA MULTINAZIONALE DI OSSERVAZIONE” nel Sinai, costituita a garanzia degli accordi di Camp David stipulati tra Egitto ed Israele sotto il diretto controllo degli USA.
Questo porco poteva vantare una lunga “esperienza” in quello sporco lavoro che gli imperialisti yankee svolgono quotidianamente in ogni parte del mondo. Il suo “curriculum vitae” lo testimonia in modo eloquente: da Gerusalemme alla Turchia, da Ceylon all’Etiopia, dal Costarica al Libano, giunge a ricoprire la carica di vice assistente di Kissinger nel ‘74. Nel ‘76 è a Beirut, ed allora si occupa in modo particolare dei problemi mediorientali ricoprendo infine la carica di direttore generale di una forza militare occidentale, direttamente organizzata e finanziata dagli USA.
Sono proprio questi “solerti funzionari”, sguinzagliati in tutto il mondo ad organizzare le tante nefandezze che l’imperialismo USA commette ai danni dei popoli in lotta per una reale autodeterminazione ed indipendenza. È questa gente che sta dietro ai peggiori massacri perpetrati dall’imperialismo da Tall El-Zaatar a Sabra e Chatila sino alle cannonate della New Jersey. L’aver posto fine alla miserabile esistenza di questo lurido servo dell’imperialismo costituisce un onore per la nostra organizzazione e nello stesso tempo un dovere verso il movimento rivoluzionario internazionale.
Perché abbiamo colpito RAY LEAMON HUNT? Qual è la funzione e il significato dalla “forza multinazionale di osservazione” (MFO)? La funzione di questa forza militare a cui partecipa non a caso un contingente italiano, è quella di garantire la salvaguardia dagli interessi USA in medioriente attraverso un accordo tra Egitto ed Israele, ai danni del popolo palestinese, sostenuto con miliardi di dollari. Il significato politico è di notevole importanza nell’evoluzione delle relazioni internazionali, verso lo scatenamento della guerra tra i due “blocchi” in quanto, per un verso ratifica formalmente, con strutture di carattere internazionale, apparentemente legali, interessi od influenze regionali occidentali; per l’altro dà inizio ad una pratica peculiare che ha già trovato seguito nella formazione di una seconda forza multinazionale, questa volta nel Libano, al di fuori dell’ONU e lascia chiaramente intendere un proseguimento in tal senso in regioni come l’America centrale.

Compagni, proletari,
l’evoluzione recente delle relazioni internazionali dimostra inequivocabilmente che le maggiori potenze imperialistiche stanno procedendo verso lo scontro militare. I popoli di tutto il mondo assistono ad una minacciosa corsa al riarmo, nucleare e convenzionale, che lo sfrontato cinismo dei governi borghesi vorrebbe giustificare con motivi di difesa e di sicurezza. Le spese militari aumentano palesemente in ogni nazione, pesando così sulle condizioni di vita delle masse: come se non bastasse, è il condannato stesso che paga il conto del suo supplizio! La crescente tensione internazionale si manifesta sempre più di frequente nei cosiddetti “conflitti regionali”, ove, di volta in volta, si concentrano ed esplodono violentemente quelle contraddizioni che, proprie di un determinato contesto regionale, si inseriscono comunque in un quadro generale caratterizzato dalla contrapposizione profonda dei due maggiori blocchi imperialisti.
In questo scenario che tradizionalmente precede lo scoppio della guerra diretta tra gli imperialismi, l’ipocrisia della borghesia e dei suoi governi non ha limiti: ciascuna amministrazione lamenta l’aggressione dell’altra, ciascun “blocco fa professione di pacifismo e di buona volontà circa il problema del disarmo e, in generale, riguardo l’indirizzo della propria politica estera. Nei fatti le cose stanno ben diversamente: la profonda crisi economica che investe tutto il mondo capitalistico accresce a dismisura la competizione tra grandi gruppi monopolistici o finanziari e, di riflesso, anche tra gli Stati si fa pressante l’esigenza di un allargamento dei mercati e di un rigido controllo delle materie prime al fine di un rilancio generale della produzione capitalistica. Lo scontro militare tra imperialismi s’impone come la soluzione obbligata, lo sbocco oggettivo dell’attuale crisi che, protraendosi nella sua sostanza dagli inizi degli anni ’70, ha messo in discussione le forme stesse d’accumulazione assunte dal capitale su scala internazionale dal secondo dopoguerra ad oggi.
In sostanza la borghesia non può evitare la guerra, poiché il suo stesso sistema sociale ne produce le cause di fondo. Che le cose stanno in questo modo lo si vede rivolgendo l’attenzione alla progressiva impotenza dell’ONU di fronte ai molti focolai di guerra ed al crescere della tensione internazionale in tutto il mondo. Questa organizzazione che dovrebbe rappresentare la volontà generale dei governi dei paesi membri di astenersi dall’uso della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali, ha assistito impotente, quando non acquiescente, alla guerra delle isole Malvinas, all’aggressione israeliana in Libano, all’occupazione yankee di Grenada. Quest’organizzazione assiste tuttora, gingillandosi, al massimo, con “risoluzioni di condanna” sapientemente contrattate da diplomatiche facce di bronzo, alle continue provocazioni dell’amministrazione Reagan nei confronti del Nicaragua, allo sporco e rivoltante lavorio dei razzisti sudafricani contro Angola e Mozambico, alle ingerenze del “socialista” Mitterrand in Ciad, alla prolungata occupazione sovietica in Afganistan. L’impotenza assoluta e grottesca delle Nazioni Unite è indice quanto mai eloquente del deteriorarsi delle relazioni internazionali, rimandandoci con la memoria al cadavere della “società delle nazioni” calpestato a Monaco dal “appeasement” anglo-francese, ed in ultimo schiacciata dal tallone nazifascista. Torna attuale, si direbbe, il noto adagio che vuole la storia ripetersi due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Le ragioni che sono alla base della costituzione della MFO per il Sinai sono l’esempio concreto di come si manifesti la tendenza generale esposta appena sopra; qui si vede in modo molto significativo, e che riguarda da vicino anche il proletariato italiano, come le potenze imperialistiche passino bellamente sopra l’ONU quando in ballo ci sono i loro interessi e quando si tratta d’assestare un colpo decisivo ai movimenti di liberazione nazionale e popolari che si battono contro l’oppressione e contro lo sfruttamento. La MFO per il Sinai è infatti una forza militare costituita al di fuori dell’ONU, per garantire l’applicazione degli accordi di Camp David del ’78 che, come è noto, rappresentano un duro colpo per la causa palestinese e, più in generale per l’opposizione all’imperialismo sionista. Lo sfaldamento del fronte arabo col tradimento di Sadat, il rafforzamento del prestigio dell’entità sionista legittimata a proseguire la bestiale politica di annessione dei territori occupati in Cisgiordania e Gaza, il ridimensionamento generale dell’influenza sovietica in Medioriente, sono solo alcuni dei risultati raggiunti dagli Usa e dai sionisti al seguito di Camp David. Essi sono altrettanti tasselli di un più ampio mosaico che prevede una risistemazione generale dell’area mediorientale capace di assicurare agli Usa il controllo completo di questa vitale regione, già pericolosamente messo in forse dalla penetrazione sovietica in Afganistan, dall’Iran sciita e dalle caratteristiche democratico-popolari della rivoluzione palestinese. In questo senso, vi è un evidente e criminale continuità tra Camp David e l’operazione “pace in Galilea” del giugno ’82, esiste un nesso patente tra la MFO per il Sinai e l’odierna, più nota, “forza multilaterale di pace” in Libano, entrambe rappresentanti armate dell’imperialismo occidentale, garanti ed agenti di un equilibrio funzionale agli interessi strategici degli Usa e della Nato in Medioriente.
Nonostante l’impressionante mole di nauseabonda propaganda, la posizione dei governi europei sotto quest’aspetto è molto chiara: essi sono in prima fila nella corsa ad una soluzione della questione mediorientale che, fatte salve le relazioni con i paesi arabi moderati, permetta il migliore sfruttamento delle risorse economiche (in primo luogo energetiche) nel quadro politico strategico garantito “manu militari” dal sionismo.
Come spiegare l’astensione in sede ONU di Francia, Gran Bretagna, RFT e Italia sul problema della convocazione della “conferenza internazionale sulla questione della Palestina”, se non come tacito assenso allo spudorato voto contrario degli Usa e di Israele? Non è un criminale filisteo sostegno alle nefandezze sioniste, questo? E ancora, come interpretare l’appoggio francese all’Iraq di Saddam Hussein e i mastodontici contratti militari tedeschi con l’Arabia Saudita? Infine, sono o non sono la Francia, l’Italia e la Gran Bretagna impegnate in missioni militari di chiara marca imperialistica?
Le potenze imperialiste europee non sono affatto “neutrali” in Medioriente, al contrario esse danno prova di molto attivismo, impegnate come sono a fianco dell’imperialismo americano e sionista in un’azione generale di contenimento dell’influenza sovietica e di snaturamento complessivo delle caratteristiche democratico-popolari del sentimento nazionale palestinese.
E non è neutrale il governo italiano, non è neutrale la nostra borghesia che, nel corso di un solo anno, il 1982, partecipa a ben due azioni militari in Medioriente: la MFO in Sinai e la forza di “pace” a Beirut, preoccupandosi di ospitare a Roma il quartier generale della prima – si ha una bella faccia a dichiararsi amici dei palestinesi quando si contribuisce a garantire l’applicazione degli accordi di Camp David che permettono ai sionisti l’annessione forzata delle terre dei palestinesi. Il governo italiano può riempire un aereo di bambini palestinesi e portarli in visita gratuita nel nostro paese, ma il proletariato internazionale ed i popoli che lottano contro l’imperialismo sanno bene che truppe italiane calpestano il suolo libanese complici degli Usa e dei fascisti locali, che dragamine battenti la nostra bandiera fanno rispettare un accordo fondato sul tradimento di un “faraone” che ha pagato con la vita le sue azioni. Così come sanno che nel nostro territorio vengono installati missili a testata nucleare il cui primo obiettivo non è l’Est europeo, ma soprattutto le giovani nazioni che si oppongono alle mire imperialistiche occidentali. Il governo italiano vuole fare del nostro paese il gendarme del mediterraneo, vuole aumentare il suo sporco prestigio internazionale soffocando le aspirazioni legittime e progressiste dei popoli affrancati dalla dominazione coloniale e di quelli che si battono per la liberazione nazionale, ma la lotta congiunta del proletariato italiano con quello internazionale e con i popoli progressisti di tutto il mondo farà fallire questo disegno facendo rimangiare a Craxi e soci le loro intenzioni.

LE CLASSI DIRIGENTI HANNO GIÀ SCELTO
Il maturare accelerato della crisi capitalista impone ai governi borghesi scelte di fondo e di sostanza riguardo alla loro politica complessiva. La borghesia italiana, in particolare, si trova di fronte ad un’alternativa assai netta: una ridefinizione della società in senso autoritario e bellicista in grado di sostenerla nel novero delle grandi potenze, oppure una graduale retrocessione nella cerchia dei paesi cosiddetti di “serie B”. I grandi gruppi monopolistici e finanziari non hanno alcun dubbio: solo una politica estera aggressiva ed una politica interna di segno autoritario risultano confacenti alla ristrutturazione e al salto tecnologico, in cui è impegnata l’economia italiana ed il cui costo sociale è rappresentato dalle migliaia di licenziamenti, dalla disoccupazione e dall’aumento dello sfruttamento nelle fabbriche. E le classi dirigenti hanno già compiuto lo loro scelte: il “nuovo ruolo dell’Italia” nella NAT0 e nello scacchiere mediterraneo, dall’installazione dei missili a Comiso, sino all’impegno militare in Medioriente, è la secca risposta a questo interrogativo. Spadolini, capo del governo al momento dell‘invio delle truppe nel Sinai e a Beirut, e caldeggiatore delle installazioni missilistiche, siede tronfio al ministero dalla difesa nel governo Craxi, quasi a simboleggiare la continuità guerrafondaia che anima i gabinetti delle ultime coalizioni governative. È degli ultimi giorni la notizia dell’approvazione al senato di stanziamenti militari per quasi 1.000 miliardi, stanziamenti effettuati al di fuori del bilancio della difesa, come anche quelli per il contingente italiano in Libano. A favore della proposta governativa hanno votato pure i fascisti del MSI.

C0MPAGNI, PROLETARI,
un ampio movimento di massa si è sviluppato nel nostro paese in opposizione alle scelte belliciste del governo Craxi, esso è animato dalla precisa consapevolezza dell’assoluta necessità di bloccare la corsa al riarmo o di togliere dalle mani di un manipolo di farabutti il destino di molti milioni di uomini e donne. Da questo punto di vista si tratta di un movimento che si oppone all‘imperialismo e che lotta per sconfiggere il disegno banditesco e guerrafondaio della borghesia imperialista.
Intanto è giusto ed importante appoggiare con tutte le forze e partecipare a questo movimento, in quanto è necessario chiarire che solo, il proletariato può vincere la lotta contro la guerra imperialista, perché solo questa classe sociale può modificare radicalmente i meccanismi che causano la competizione fra nazioni sino a farla sfociare nella guerra. La lotta contro la guerra imperialista deve saldarsi allora con la lotta della classe operaia contro lo sfruttamento, i licenziamenti e la politica economica del governo in un unico e compatto fronte proletario, cosciente del compito storico che è chiamato ad assolvere in questa critica congiuntura. Dobbiamo romperla con la generica ottica interclassista per conquistare la direzione proletaria di questo movimento, l’unica direzione in grado di assicurare una prospettiva reale alle aspirazioni di pace presenti nella stragrande maggioranza del popolo italiano.
Le Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente sono impegnate a fondo in questo lavoro. La nostra organizzazione è in prima fila nella lotta contro l‘imperialismo e contro il governo Craxi, suo rappresentante. Con questa iniziativa politica combattente le Brigate Rosse si inseriscono al centro dello scontro sociale in atto nel paese, interpretando in modo chiaro ed inequivocabile gli interessi generali della classe proletaria. Nello stesso tempo, quest’iniziativa politica è una parola chiara, la nostra parola è quella del proletariato rivoluzionario, nei confronti di tutti coloro i quali vorrebbero seppellire la politica rivoluzionaria nel museo delle antichità, mendicando così più facilmente pietà ai piedi della borghesia. Di fronte ai movimenti di massa in lotta contro l’imperialismo, di fronte alla mobilitazione operaia contro il decreto truffa governativo, figlio bastardo dell’accordo del 22 gennaio, che cosa sono infine i piagnistei bricconi di qualche rivoluzionario da operetta? Tutti costoro stanno, già entrando nel letamaio della storia. È necessario intensificare la lotta contro il governo per il ritiro immediato di tutte le truppe italiane dal Medioriente per il rifiuto dei missili nucleari a Comiso, per far uscire il nostro paese dalla NATO. È necessario estendere la mobilitazione di massa e d’avanguardia su questo programma politico, in unità con la classe operaia e le sue lotte e sotto la direzione del proletariato rivoluzionario. Lo scenario che il proletariato internazionale si trova innanzi è molto preciso: il capitale si appresta a fargli pagare il conto più salato che questo sistema sociale è costretto a presentare periodicamente alle masse che sfrutta od opprime: la guerra. Ma una grande parola d’ordine unisce tutti gli sfruttati: TRSFORMARE LA GUERRA IMPERIALISTA IN RIVOLUZIONE PROLETARIA PER IL COMUNISMO! Nel maturare accelerato della crisi capitalistica verso la guerra si offre al proletariato internazionale un’occasione eccezionale: quella di segnare un poderoso passo in avanti nel processo complessivo della rivoluzione proletaria mondiale, conquistando il potere politico in uno o più paesi capitalistici. In particolare, è oggi completamente maturata la possibilità di sconfiggere la borghesia nei paesi capitalistici avanzati e di assestare così un colpo di portata decisiva a tutto l’imperialismo. Ma per far ciò, per non farsi cogliere impreparati dal precipitare degli eventi, bisogna sviluppare l’unità obiettiva delle lotte del proletariato di tutto il mondo nell’unità consapevole della sua avanguardia comunista. Bisogna che i comunisti di tutti i paesi si pongano risolutamente sulla strada della costruzione della nuova INTERNAZIONALE COMUNISTA, FONDATA RIGOROSAMENTE  SUI  PRINCIPI DEL  MARXISMO-LENINISMO. La nostra organizzazione è profondamente convinta di ciò e considera questo un obiettivo storico fondamentale ed irrevocabile da raggiungere per il movimento comunista internazionale.
Le Brigate Rosse auspicano e favoriscono con ogni mezzo a loro disposizione il confronto militante tra comunisti di ogni paese e si pongono, con dovuta modestia ma anche con ferma volontà, come punto di riferimento di questo ‘essenziale processo politico’.

UNITÀ DEL PROLETARIATO CON I POPOLI PROGRESSISTI NELLA LOTTA CONTRO L’IMPERIALISMO!
INTENSIFICHIAMO ED ORGANIZZIAMO LA LOTTA CONTRO LA POLITICA GUERRAFONDAIA ED ANTIPROLETARIA DEL GOVERNO CRAXI!
ESTENDIAMO LA MOBILITAZIONE DI MASSA E DI AVANGUARDIA SU QUESTE PAROLE D’ORDINE:
RITIRO IMMEDIATO DELLE TRUPPE ITALIANE DAL MEDIO ORIENTE!
NO AI MISSILI A COMISO ED AL RIARMO! FUORI L’ITALIA DALLA NATO!

 

Febbraio 1984
Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente

 

Fonte: Fedeli alla linea, Red Star Press, Roma 2015.