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Aggiornamento della Direzione Strategica N.2

(testo ricostruito)

Scopo di questo lavoro è di dare un contributo all’aggiornamento dello statuto dell’O. Un aggiornamento che si è reso necessario alla luce del complesso riadeguamento operato dall’O. in questi anni di RS, quindi degli insegnamenti conseguiti nel percorso pratico sul carattere della guerra di classe e come questi si riflettono sull’impianto politico-organizzativo.
Parliamo di aggiornamento in quanto si tratta di adeguare quegli aspetti dell’impianto pol-org. che sono soggetti a mutamento con il mutare delle fasi rivoluzionarie e del conseguente indirizzo politico ovvero, della parte relativa alla disposizione organizzazione delle forze in campo. Mentre risultano valorizzati dalla pratica i nodi centrali costituenti l’impianto strategico, ovvero i criteri di clandestinità e compartimentazione che permettono il carattere offensivo della guerriglia, per lo specifico dell’O., la sua strutturazione nel modulo politico organizzativo descritto nello statuto (DS2) e i principi di costruzione del PCC.
L’esperienza fin qui accumulata permette di mettere a sintesi e precisare, rispetto alla parte generale contenuta nello statuto, il contesto storico e politico dello sviluppo, della LA nei paesi a capitalismo maturo, che seppure ne sottintende e traccia la sostanza di fondo, risente ancora di un certo ideologismo; questo è palese nella caratterizzazione della autonomia di classe in cui viene dato all’antirevisionismo un peso maggiore di quanto politicamente ha avuto nella formazione della stessa; invece va ricordato, e il dibattito di allora lo ha ben messo in risalto, che il carattere principale dell’autonomia di classe è dato dall’essere antistituzionale e antistatuale, solo secondariamente e di riflesso al ruolo assunto dalle rappresentanze istituzionali è antirevisionista. L’affermazione quindi, che il ruolo che si poneva (nodo) alle avanguardie era la risoluzione del problema della violenza in ogni fase del processo rivoluzionario, deve trovare la sua giusta collocazione nelle ragioni storiche della LA e non solo con la rottura con la politica del PCI in quanto aveva alimentato false speranze (benché vada tenuto conto quanto ciò rappresenti una peculiarità nella storia dello scontro di classe in Italia).
Già sul finire degli anni ’60 il ricco dibattito che si era sviluppato tra le avanguardie rivoluzionarie, sia nel centro che nella periferia, si coagula intorno ai nuovi termini che assume la politica rivoluzionaria nell’affermarsi della LA, della guerriglia, quale suo modo di esprimersi adeguatamente, a questo dibattito non furono estranee le esperienze della rivoluzione cinese, di quella cubana e del guevarismo, in generale dei movimenti di liberazione del terzo mondo (Algeria, Angola ect.) e non ultima la guerra popolare Vietnamita e indocinese. Le espressioni più mature di tale dibattito sintetizzarono le prime linee teoriche e politiche di quello che va considerato sul piano dell’esperienza rivoluzionaria, uno sviluppo del marxismo, un dibattito sintesi dell’attività rivoluzionaria di forze come i Montoneros, i Tupamaros ecc. per quanto riguarda l’America latina, la RAF, la Gauche Proletarienne, le BR per quanto riguarda l’Europa, tenendo conto anche dell’esperienza particolare del Black Panter Party e dei Weathermen negli USA.
Le ragioni storiche e politiche dell’affermarsi della LA sono date dai mutamenti che lo sviluppo dell’imperialismo con il secondo conflitto mondiale ha posto in essere sia sul piano storico/politico che economico/sociale. Sul piano storico/politico tali trasformazioni che già emergevano all’interno degli sconvolgimenti operati dalla guerra stessa a partire dalla necessità per l’imperialismo di assestare a suo favore gli equilibri che configureranno il bipolarismo, un contesto questo in cui si sviluppa una controrivoluzione imperialista alla cui testa stanno gli USA con l’intento di pacificare le aree attraversate dai risvolti rivoluzionari che si erano formati durante il conflitto, questo a partire dal punto critico costituito dalla Germania.
Controrivoluzione imperialista e piano Marshall furono il binomio con cui fu normalizzata l’Europa, aiuti economici e interventi militari pur rispondendo ad esigenze diverse, costituirono il necessario complementarsi di un duplice piano, da un lato preparava il terreno alla penetrazione del capitale finanziario USA, dall’altro lato doveva garantire condizioni politiche dei paesi per la ripresa del ciclo economico, dato che il permanere di condizioni “sfavorevoli” agli investimenti si sarebbe tradotto in una grave recessione della economia USA. In che modo sia passata la “normalizzazione” è storia recente, nello specifico del nostro paese i proletari sanno bene cosa ha significato il disarmo politico e militare della resistenza date le spinte rivoluzionarie e proletarie che vi dominavano. Un disarmo che ha preparato il terreno agli anni di Scelba e alla restaurazione borghese. Quello che importa qui rilevare è come il “ripristino” dell’ordine imperialista, le condizioni dettate dalla controrivoluzione, andranno a formare l’ossatura stessa della controrivoluzione preventiva, un dato che cioè permanentemente caratterizzerà il rapporto politico tra le classi.
Sul piano economico/sociale, il processo di sviluppo monopolistico dell’imperialismo, il piano di internazionalizzazione ed interdipendenza economica che lo caratterizzano, ha dato luogo al formarsi di una frazione dominante di borghesia imperialista aggregata al capitale finanziario USA, attorno a cui ruotano le altre frazioni di borghesia all’interno dell’ambito di concorrenza definito da questo sviluppo economico e nel contempo al formarsi del proletariato metropolitano. Il movimento economico che ha scompaginato le figure di piccola e media borghesia rurale e cittadina spingendole all’interno di un processo di proletarizzazione. Una tendenza alla polarizzazione tra le classi che non vuol dire scomparsa degli strati intermedi, ma modifica di quegli strati che nel periodo tra le due guerre avevano la loro base materiale in quello stadio economico di sviluppo prevalentemente su base nazionale.
I mutamenti delle condizioni politico/sociali determinate dallo sviluppo dell’imperialismo sono alla base della inadeguatezza della strategia terzinternazionalista dell’insurrezione, ovvero il fallimento delle tattiche dei PC di allora, prima di essere dato dal “tradimento e dallo sciovinismo” dei loro capi era determinato da questa situazione di fondo. In questo senso possono essere lette le sconfitte dei movimenti insurrezionali europei che caratterizzano le fasi precedenti e tra le due guerre, la sconfitta nella guerra civile spagnola e in quella greca che aprono e chiudono il ciclo rivoluzionario nella fase di crisi che troverà sbocco con il secondo conflitto mondiale.
In sintesi le nuove condizioni storiche possono così essere riassunte:

(1) il quadro del bipolarismo che stanti le ragioni per cui si è formato e le caratteristiche assunte non permette il riprodursi delle condizioni per un conflitto interimperialista come la seconda guerra mondiale, questo per il conseguente grado di integrazione economico/politico/militare tra gli stati della catena, quindi viene meno il dato del momento eccezionale che nel passato era riferito alle condizioni create in termini controrivoluzionari dalla guerra interimperialista (per lo meno con le caratteristiche avute allora)

(2) la diversa caratterizzazione delle forme di dominio e quindi del rapporto classe/stato con l’affermarsi della controrivoluzione imperialista; questi i dati storici che unitamente ai dati economico sociali hanno costituito il terreno oggettivo su cui si e misurata la soggettività rivoluzionaria, fino ad affermare la LA come il suo modo di operare in queste condizioni e specificamente per il centro imperialista nella necessità di operare nell’unità del politico e del militare presupposto che si confermerà come indispensabile per la guerriglia nelle metropoli imperialiste, unitamente al carattere di lunga durata della guerra di classe.
Questo quadro complessivo è quindi il riferimento generale su cui si afferma la LA, la guerriglia nei centri imperialisti, lo specifico contesto dello scontro di classe in cui si inserisce, ne determina politicamente il tipo di strategia da seguire e le particolarità di sviluppo. Per questo affermiamo che le ragioni dello sviluppo della LA in Italia non risiedono solo nel ciclo di lotte sviluppato dall’autonomia di classe a cavallo degli anni ’70 da qualità maturate dalle avanguardie operaie di quel periodo che ponevano all’ordine del giorno la questione del potere, che ha costituito invece il terreno della specificità di sviluppo del processo rivoluzionario in Italia, caratterizzando la proposta strategica dell’avanguardia rivoluzionaria della LA alla classe.
Operare un tale riduzionismo, oltre a declassare la funzione dell’avanguardia rivoluzionaria (in questo caso la guerriglia) a mero prolungamento della lotta di massa, e la natura stessa dello scontro ad un succedersi lineare di flussi e riflussi, si è poi rivelato il terreno di gestione dagli esperti antiguerriglia coadiuvati dagli ex militanti elevati al rango di collaborazionisti.
L’acquisizione della complessità dello sviluppo del processo rivoluzionario è un dato che per molti versi solo la verifica pratica poteva mettere in luce non solo per gli aspetti generali ma anche per quanto riguarda l’originalità in parte assunta nello specifico percorso nel nostro paese, in questo senso l’approssimazione e gli errori che la prassi ha poi evidenziato sono anche naturale portato di un processo rivoluzionario che non ha ancora precedenti compiuti da cui trarre esempio ed insegnamenti generali, tenendo anche conto della giovinezza politica, stante il fatto che un tale processo è obiettivamente prolungato nel tempo.
Quello che possiamo affermare indipendentemente dalla relativa originalità del nostro percorso specifico è che i caratteri generali e fondamentali della guerriglia, validi in ogni stato a capitalismo maturo, determinano un processo di maturazione del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che obbligatoriamente si generalizza in ogni contesto ed in ogni Stato. Cosicché lo sviluppo di nuove Forze Rivoluzionarie (poiché niente è mai nuovo in questa materia, ma affonda le sue peculiarità nelle radici storiche dello scontro di classe in cui si situa e negli insegnamenti del movimento comunista internazionale) devono (sono costrette) a prendere atto di cosa è già stato determinato sul piano generale dell’attività dalle altre Forze Rivoluzionarie. Relazionarsi a ciò non significa travalicare il necessario calibramento politico che ogni forza rivoluzionaria è tenuta a misurare nel radicare la sua proposta politica tra le classi entro cui si racchiudono, le specifiche forzature, ma relazionarsi anche al livello che si è stabilito sul piano generale tra rivoluzione e controrivoluzione. L’esempio delle Cellule Belghe (CCC) e del loro coraggioso esordio è lampante di come una così giovane forza rivoluzionaria si sia dovuta misurare con un piano di scontro dello Stato belga il quale ha tenuto conto (in termini relativi) delle esperienze degli altri Stati europei (la strage di Stato anticellule della cosiddetta banda del Brabante-Vallone ect), un fatto questo che ha a che fare con l’accresciuto peso della soggettività nello scontro sia politico che rivoluzionario nei centri dell’imperialismo.
Sul piano del funzionamento della guerriglia negli Stati a capitalismo maturo, l’esperienza dell’O. permette di precisare le importantissime implicazioni che condizionano tutto con cui si sviluppa la guerra di classe. In questo senso possiamo dire che l’unità del politico e del militare agisce come una matrice nel processo rivoluzionario, dai meccanismi che permettono ad una forza rivoluzionaria di essere tale, al suo modo di sviluppare prassi rivoluzionaria, al processo rivoluzionario nel suo complesso. Per quanto riguarda l’esperienza dell’O. possiamo affermare ciò: la guerriglia nelle metropoli non è sola e semplice guerra surrogata, essa agisce e può sviluppare la sua efficacia muovendosi ben dentro ai nodi centrali dello scontro tra le classi 1’attacco al nemico perciò, per essere disarticolante, per incidere ed aprire spazio, deve riferirsi strettamente a questo piano politico generale.
La guerriglia esplicita dunque nella sua attività la natura di guerra di classe che pure vive nello scontro di classe, una natura che perciò influenza tutte le dinamiche dello scontro di classe dal piano generale al piano rivoluzionario.
La guerriglia essendo direzione dello scontro rivoluzionario, muovendosi dentro ai criteri obbligati dell’unità del politico e del militare, deve affrontare contemporaneamente e globalmente tutti i piani del processo rivoluzionario, quindi la sua direzione è volta ad organizzare e disporre le forze in maniera adeguata ai livelli dello scontro ed ai fini delle forze rivoluzionarie. Il processo rivoluzionario è processo di attacco militare al nemico (cuore dello stato, politiche dell’imperialismo) dentro ai nodi politici centrali che oppongono le classi e nel contempo è costruzione ed organizzazione delle forze sulla LA al grado definito dallo scontro e dai diversi livelli delle forze che vi concorrono (Forze rivoluzionarie, spezzoni di avanguardie di classe, etc.).
Questo complesso andamento (la guerra di classe) si muove all’interno dei caratteri che ha assunto lo scontro di classe negli stati a capitalismo maturo, e quest’ultimo ne influenza fortemente la dinamica di movimento e ne definisce la peculiarità. I caratteri del processo rivoluzionario soprascritti comportano il fatto che l’avanguardia armata del proletariato si configuri come una Forza Rivoluzionaria, più precisamente le BR operano e si dispongono come un vero e proprio esercito rivoluzionario ovviamente in relazione alle particolari condizioni e peculiarità dello scontro proprie al centro imperialista, in altre parole le BR sono una forza rivoluzionaria che pur essendo il nucleo fondante il Partito non sono il Partito. Questo perché il nodo della direzione rivoluzionaria della guerra di classe di lunga durata non si scioglie con un atto di fondazione, ma esso è un processo vero e proprio di fabbricazione/costruzione del Partito che si configura come tale all’interno del percorso di costruzione delle condizioni stesse della guerra di classe, nella sua più precisa definizione e progettualità le BR si costruiscono come Partito Comunista Combattente. In sintesi la direzione rivoluzionaria dello scontro si realizza agendo da Partito per costruire il Partito. Questa concezione fondamentale, unitamente ai criteri di clandestinità e compartimentazione e al modulo politico organizzativo secondo cui si sono strutturate le BR, costituiscono gli elementi sempre validi affinché la guerriglia possa agire con il suo portato rivoluzionario in queste condizioni dello scontro tra le classi (storicamente determinate).
La prassi di questi ultimi anni ha reso evidente la discontinuità dello scontro rivoluzionario, esso cioè non si svolge in modo lineare, ma è fatto di ritirate ed avanzate, successi e sconfitte, il superamento di una visione lineare ha perciò comportato una ripuntualizzazione più completa delle varie fasi dello scontro rivoluzionario il quale veniva compreso in ultima istanza in due sole fasi rivoluzionarie: quella dell’accumulo di capitale rivoluzionario e il suo successivo dispiegamento nella guerra civile, la realtà ha dimostrato, soprattutto a fronte della controrivoluzione degli anni ’80, come sia più complesso questo procedere e come il succedersi delle fasi rivoluzionarie non sia definibile a priori dall’inizio alla fine.
Fatto salvo l’indirizzo strategico entro cui si collocano, la connotazione della fase rivoluzionaria dipende quindi anche dall’esito della fase precedente e dagli obiettivi definibili nel complesso più generale della evoluzione dello scontro. Il giusto affermarsi della fase della Ritirata Strategica oltre a dimostrare ciò evidenzia come all’interno del processo prassi-teoria-prassi sia possibile imparare dagli errori. Questa acquisizione per una forza che necessariamente sviluppa con caratteri di esercito rivoluzionario data la natura del processo rivoluzionario nei paesi del centro imperialista, ha comportato l’adeguamento nella disposizione ed organizzazione delle forze in campo nonché dell’impianto politico/organizzativo ad esso relativo.
In altri termini ferma restando la disposizione generale strategica delle forze sulla LA, è data la disposizione ed organizzazione delle forze in campo relativa ai caratteri dello scontro e alle finalità delle forze rivoluzionarie. All’interno di ciò vanno distinti due diversi livelli di organizzazione disposizione, uno riguardante le forze interne all’O., l’altro le forze che si dispongono sulla LA intorno all’attività dell’O (istanze, avanguardie, reti proletarie), nella dialettica tra questi due piani si definisce il tipo di direzione organizzazione politica che la guerriglia stabilisce all’interno dello scontro dato.
Il muoversi della guerriglia si è misurato con la necessità di adeguare l’impianto politico organizzativo che risentiva di linearità e di schematicità. Una visione lineare che (in parte favorita dallo sviluppo di massa della LA) si discostava anche dalla giusta intuizione che lo scontro rivoluzionario nelle metropoli non poteva che essere di lunga durata e della necessità di assestare le forze dinanzi al profilarsi dell’approfondimento del rapporto controrivoluzione/rivoluzione. In sintesi la visione linearista dello sviluppo dello scontro rivoluzionario se in parte è anche il naturale prodotto dell’inesperienza e giovinezza politica, in parte risentiva dell’applicazione un po’ manualistica dell’impianto. In tal modo si spiega come la disposizione delle forze era rispondente al fine di attaccare lo Stato in tutte le sue componenti nello stesso tempo (a tenaglia) fino a paralizzare la macchina statale. Uno schema che non coglie la complessità del funzionamento dello Stato, pone sullo stesso piano funzioni ed apparati (politici, economici e militari) e che ha la sua validità nella fase finale dello scontro, appunto in una fase di guerra dispiegata. Questa visione di fatto ha influenzato l’impianto in quelle direttive politico organizzative che daranno poi vita ai Fronti di Combattimento: la maturazione ovvero sul piano politico organizzativo di tale concezione lineare sia dello scontro che dello Stato.
La realtà dello scontro, l’esperienza stessa del processo rivoluzionario diretto dalle BR, ha dimostrato che il rapporto classe/Stato si è modificato negli strumenti, nella sostanza: via via che l’attività della guerriglia s’inseriva nel contesto politico dello scontro di classe, di fatto la proposta strategica della LA alla classe si è imposta come uno spartiacque tra posizioni arretrate (i gruppi, il doppio livello, ect.) e la giusta risoluzione della questione del potere. Questi solo apparentemente sembrano cavalcare le condizioni della lotta assumendo solo l’estremismo sterile dell’operaismo, di fatto scivolando nella riproposizione di vecchie strategie.
La guerriglia fa assumere allo scontro la dimensione rivoluzionaria imposta dal rapporto di scontro nella sua attività realizzando la dialettica con le espressioni avanzate dell’autonomia di classe, influenzandone di conseguenza le caratteristiche di sviluppo. Nel contempo lo Stato misurandosi con la qualità dello scontro di classe dopo un primo inevitabile smarrimento ha maturato al suo interno la risposta controrivoluzionaria che come abbiamo visto (verificato) nella sua essenza ha finito con l’influenzare in ultima istanza la mediazione politica tra classe e Stato. Questo perché lo Stato non è una sommatoria di apparati. Lo Stato sviluppa una forte centralizzazione nell’apparato politico delle sue funzioni, un dato che se da un lato si riferisce alla necessità di dare risposte adeguate allo sviluppo economico, dall’altro è riferito al governo del conflitto di classe. La dinamica d’accentramento dei poteri è solo un effetto delle caratteristiche dello Stato, più sostanzialmente gli organi esecutivi e politici devono misurarsi con le capacità di esprimere la mediazione politica idonea al governo del conflitto di classe che più precisamente è l’affinamento degli strumenti non solo di contenimento della spinta delle lotte di classe, ma del loro coinvolgimento negli strumenti della “democrazia rappresentativa”.
In sintesi la complessità della macchina statale, se è vero che la sua sostanza era già presente, si è poi sviluppata con l’evolvere dello scontro in cui la dinamica rivoluzione/controrivoluzione ha influenzato i caratteri odierni del rapporto politico tra classe e Stato.
La centralità dell’attacco allo Stato costituisce oggi per l’O. uno dei principali assi programmatici attorno a cui si costruisce organizzazione di classe sulla LA.
L’esperienza su questo terreno ha posto concretamente i criteri con cui si dà attacco al cuore dello stato. Si dà efficacemente disarticolazione e si ha il massimo profitto politico incentrando l’attacco sui criteri di centralità, selezione e calibramento.
Centralità: nell’attacco del progetto politico dominante della BI che si forma all’interno della contraddizione politica che oppone le classi.
Selezione: del personale che di questo progetto costituisce l’elemento di equilibrio che lo fa maturare.
Calibramento: ai rapporti di forza interni al paese e tra imperialismo e antimperialismo col grado d’assestamento delle forze rivoluzionarie e proletarie.
Per tornare alla visione lineare e manualistica delle due fasi (accumulo e dispiegamento) dobbiamo rilevare come essa abbia comportato una conseguente disposizione ed organizzazione delle forze che l’esperienza concreta ha mostrato essere inadeguata soprattutto per la guerriglia del centro imperialista, che per le sue peculiarità opera in condizioni di accerchiamento strategico, priva di “santuari” e retrovie, essa non può accumulare forze al di fuori del piano politico raggiunto dallo scontro e quindi del grado di assestamento politico organizzativo che essa è in grado di consolidare a fronte della controrivoluzione e all’interno dell’alterno andamento dello scontro rivoluzionario.
L’accerchiamento strategico è una condizione generale ed immanente che sovrasta lo sviluppo del processo rivoluzionario, data dal fatto che essendo il potere nelle mani del nemico sino al suo abbattimento, questo determina una situazione di perenne accerchiamento per cui il vantaggio nei rapporti di forza a favore del campo proletario operato dall’avanguardia rivoluzionaria è sempre relativo, nel contempo vive il principio che la guerra di classe è strategicamente vincente perché: se il nemico non può distruggere il proletariato la sua avanguardia rivoluzionaria può distruggere il nemico di classe.
Va messo in evidenza che l’accerchiamento strategico nel contesto dello scontro che si sviluppa negli Stati a capitalismo maturo acquista delle peculiarità politiche riconducibili in ultima istanza all’aumentato peso della soggettività nello scontro generale, più specificamente v’influiscono i termini della controrivoluzione preventiva.

CRITICA ALLA FORMULAZIONE DELLA RISERVA. La prassi ha reso evidente l’inadeguatezza del criterio politico organizzativo della riserva così come è inteso nello statuto perché inattuabile e di fatto non attuato se non nel suo modo più deleterio con la riserva dei dirigenti. Essendo 1a guerriglia nelle metropoli per eccellenza una guerra senza fronte, ed operando essa nel cuore del nemico di classe, né strutture fisiche né militanti possono essere immuni da questo dato.
Nella pratica di un processo rivoluzionario nei paesi a capitalismo maturo che si svolge in perenne condizione di accerchiamento, nell’impossibilità di mantenere zone liberate, ciò che invece necessita è attivizzare tutte le forze disponibili, da quelle militanti a quelle rivoluzionarie e proletarie (pur nelle diverse funzioni assegnate) nella concreta attività che all’interno del principio dell’unità del politico e del militare è complessiva e investe tutti i termini dello scontro. È l’attivizzazione delle forze sul piano complessivo di attività dell’O. che ne fa conseguire anche la necessaria formazione, il piano di attivizzazione delle forze intorno all’attività generale dell’O. vive in termini organizzati ed il criterio organizzato del lavoro trova nella Cellula (al suo interno come verso l’esterno per le forze che essa centralizza e dirige) l’unità elementare in grado di riprodurre l’attività dell’O. nel suo complesso, questo tenuto conto che il rapporto di militanza ha come presupposto la formazione del militante complessivo.
L’esperienza concreta ha dimostrato come la mancata attivizzazione delle forze abbia reso problematico il loro reinserimento poiché impedisce ad esse di essere adeguatamente formate al livello raggiunto dallo scontro ed ai compiti della fase rivoluzionaria, la mancata attivizzazione genera dispersione ed impoverimento delle forze cioè l’esatto contrario di quanto ci si prefiggeva con il principio della riserva, per cui la riserva per la guerriglia può essere intesa politicamente come capacità di formare quadri militanti complessivi in grado di riprodurre il patrimonio politico ed organizzativo su cui si basa la guerra di classe in ogni condizione dello scontro. Per altro verso sono i principi strategici di clandestinità e compartimentazione nella loro accezione politica sostanziale (base per la condizione offensiva) e non formalmente intesi, l’attenzione continua al loro ripristino quando all’interno delle esigenze e dell’attività concreta vengano meno, che garantiscono il mantenimento della capacità offensiva della guerriglia anche in seguito agli inevitabili attacchi della controrivoluzione.
Materialmente la riserva trova applicazione nel principio della salvaguardia dei militanti responsabili dei servizi strategici (basi, ecc.) i quali sono fuori dal lavoro politico attivo.

CRITICA ALL’IMPOSTAZIONE DEI FRONTI. Lo sviluppo dell’O. per colonne corrisponde alla giusta esigenza politica di svilupparsi per poli a partire da quelli strategicamente centrali costituiti dalle zone industriali a grande concentrazione operaia. Questo perché il proletariato metropolitano a dominanza operaia è la base sociale della lotta armata. Le colonne si sviluppano nei poli di appartenenza sul principio della duplicazione d’O. L’O. coglie le contraddizioni che sul piano politico tale sviluppo può generare, al fine di superare questa contraddizione presente materialmente e mantenere l’unitarietà dell’intervento complessivo si sviluppano i Fronti di combattimento.
I Fronti hanno lo scopo di attraversare orizzontalmente l’attività dell’O. così i loro campi d’intervento (fabbriche, controrivoluzione, carceri, ecc.). Nella realtà questa contraddizione ha approfondito le contraddizioni e la tendenza al particolarismo ed al frazionismo. Infatti, i Fronti lontano dal costituire veicolo di unitarietà della linea politica nelle colonne, si sono trasformati per paradosso in settori specializzati d’intervento favorendo le tendenze particolari dei poli.
La giusta concezione dello sviluppo per poli se da un lato ha favorito lo sviluppo dell’O. nel territorio dall’altro ha potenzialmente posto la contraddizione del frazionamento dell’intervento. Ciò però è potuto avvenire anche per il persistere della visione linearista dello scontro rivoluzionario che poteva preludere ad una rapida conclusione. Nel momento in cui si rese necessario in relazione all’approfondirsi dello scontro esprimere il salto alla centralizzazione dell’attività al fine di consolidare le posizioni ottenute non facendole disperdere ed operare il necessario tipo di direzione centralizzata, l’indirizzo dei fronti e la conseguente disposizione delle forze in campo non permisero questo salto perché forti si erano fatte le spinte al frazionismo espresse politicamente dalle deviazioni dell’operaismo della colonna W. Alasia e dal soggettivismo della colonna Napoletana-Fronte carceri.
Nello statuto vengono giustamente definiti i criteri di clandestinità e compartimentazione che permettono il carattere offensivo della guerriglia. Così si mette giustamente l’accento sul pericolo della deformazione di questi criteri a logica carbonara o peggio a spirito di setta, ovvero ad una visione capovolta della loro funzione al limite misurata al piano organizzativo. L’esperienza permette di affermare che tale pericolo può aumentare a causa degli arretramenti, laddove le particolari condizioni dello scontro che subentrano ad un arretramento possono indurre ad una logica difensivistica che è al suo estremo la negazione della guerriglia stessa, contro questa malattia va posta costante vigilanza politica, sia perché sono oggettive le condizioni in cui si produce, ma soprattutto perché si traduce in errori di comportamento nell’affrontare il lavoro politico.
Tutto il complesso arco di criteri, principi, modi di esprimere prassi rivoluzionaria caratterizza lo stile di lavoro dell’O, uno stile di lavoro che in questi anni d’esperienza rivoluzionaria si è ben stagliato negli atti politici e materiali dell’O. Esso contraddistingue lo spirito della militanza d’O. e trae la sua caratterizzazione dalla natura proletaria dell’O. e dagli insegnamenti generalizzabili su questo terreno del movimento comunista internazionale. La pratica ha dimostrato che la guerriglia deve necessariamente funzionare con il modulo politico organizzativo definitosi storicamente come il più adeguato, ovvero la strutturazione delle forze rivoluzionarie deve rispondere ad un criterio che permette la praticabilità del modulo guerrigliero all’interno dei principi strategici di clandestinità e compartimentazione in quanto principi che permettono di esplicare il carattere offensivo della guerriglia e limitare le perdite (comunque sempre alte!).
Le BR hanno verificato la validità del proprio modulo e di come, venendo meno, si riflette in negativo sulle capacità di ricondurre le forze al livello politico necessario. Il modulo politico organizzativo delle BR risponde alla necessità di strutturare i diversi livelli in istanze superiori ed in inferiori all’interno del principio del centralismo democratico. L’unità di base costituita dalla Cellula è la struttura fondamentale dell’O., al suo interno si riproduce sia il funzionamento del modulo che il patrimonio politico dell’O., questo ne permette la riproduzione complessiva.

SULLA RITIRATA STRATEGICA. All’interno del principio dell’unità del politico e del militare la RS non è risolvibile semplicemente nella ricollocazione di un corpo di tesi ma investe non solo l’adeguamento dell’impianto organizzativo quanto soprattutto il modo con cui si costruiscono i termini politico-militari della guerra di classe; quindi la RS assume un carattere di fase generale influendo sulla disposizione tattica delle forze. La disposizione tattica pur assumendo all’interno delle peculiarità dello scontro carattere dinamico è condizionata sia dal piano strategico di disposizione generale delle forze sulla LA, sia dalle finalità della fase rivoluzionaria di scontro. Nel merito della caratterizzazione della RS occorre non cadere in un’inadeguata concezione quasi fosse applicata alla “politica dei due tempi”, non tenendo conto cioè del salto di qualità comportato nella politica rivoluzionaria operando nell’unità del politico e del militare, cosa che coinvolge tutti i termini della condotta della guerra di classe, ovvero, non basta ricondurre questo salto alla definizione strategica che il processo della guerra di classe si basa sulla proposta della LA alla classe.
Come l’esperienza ha dimostrato già sappiamo invece quale particolare modo di procedere implica per le BR e per il processo rivoluzionario che dirigono tradurre la forza politica che l’iniziativa combattente produce in consolidamento delle posizioni proletarie. Tornando alla RS, è inevitabile collocarla storicamente negli insegnamenti del movimento comunista internazionale per la funzione che già con Mao è riferibile ad un processo rivoluzionario di guerra di popolo con tutto quello che comportava sul piano dell’avanzamento di un processo politico anche d’organizzazione e di definizione di una strategia militare.
Saltando alla nostra situazione la concezione di fondo della RS (ritirarsi da posizioni insostenibili) va collocata nella peculiarità di sviluppo della guerra di classe nei paesi a capitalismo avanzato, ed è elemento tutto soggettivo della capacità dell’avanguardia combattente di sviluppare le condizioni del riadeguamento che giocoforza comporta uno stretto legame con la ricostruzione delle condizioni politiche e materiali della guerra di classe, quindi niente di oggettivo, ma capacità di determinare una condizione che non può essere limitata alla sola chiarezza teorica e politica dell’impianto, dato che il riadeguamento della guerriglia ai nuovi termini dello scontro rivoluzionario comporta articolare un processo politico e militare di attivizzazione delle forze proletarie sulla LA, sul terreno rivoluzionario. Una condizione che va costruita dentro una conduzione della guerra (e d’altra parte non può essere altrimenti) che deve essere interna al mandato della RS fino al completamento di alcune condizioni politiche e militari al di fuori delle quali è impossibile parlare di uscita dalla RS, tenendo conto che l’andamento dello scontro è fortemente discontinuo (avanzate-ritirate) e quindi la condotta tattica dello scontro è sottoposta a questo movimento che non è lineare. È chiaro che pure il termine di ricostruzione delle forze e delle condizioni politiche materiali del campo proletario non è semplicemente momento congiunturale ma una fase rivoluzionaria che però è strettamente condizionata dalla funzione della RS ed è tutta interna alla RS anche se mette le basi materiali e complessive per l’uscita da essa.

LA FASE DI RICOSTRUZIONE. Si tratta di analizzare i fattori che definiscono l’attuale Fase di Ricostruzione, tenendo conto che essa prende forma e consistenza all’interno della RS perché per modi, sostanza e tempi politici a cui deve essere finalizzata l’attività rivoluzionaria complessiva, si può e si deve parlare di fase rivoluzionaria. Questa, sebbene sia influenzata dal senso generale che ha la RS, costituisce la base, le fondamenta, su cui invertire la condizione attuale dei rapporti di forza, ovvero la Fase di Ricostruzione, che già vive nell’attività rivoluzionaria, muove per creare le condizioni politiche e materiali atte a modificare e spostare in avanti il piano rivoluzionario e di conseguenza le posizioni del campo proletario.
In sintesi, una fase rivoluzionaria che condiziona fortemente l’atteggiamento tattico relativo a come organizzare-disporre le forze in campo stante la fase di scontro politico tra le classi a fronte del contesto prodotto dalla controrivoluzione e del derivato approfondimento del piano rivoluzionario.
Sono tre i fattori a cui vanno riferiti i caratteri della Ricostruzione:
A) contesto della controrivoluzione e suo riflesso sulla mediazione politica. Il riflesso degli effetti della controrivoluzione sul carattere della mediazione politica tra le classi all’interno del contesto politico generale che la guerra di classe sviluppa, mette in risalto come questo rapporto politico sia connotato da un maggior intervento diretto dall’esecutivo nelle principali questioni che riguardano il governo del conflitto di classe a partire dalle vertenze “calde” (accordi pilota) agli interventi istituzionali (diritto di sciopero e libertà sindacali). Un dato che chiarifica la natura politica dello scontro di classe e il suo grado d’approfondimento evidenzia inoltre come in questo quadro sono mutate le funzioni delle opposizioni istituzionali: siano esse politiche che sindacali nella relazione esistente tra neocorporativismo e accentramento nei poteri dell’esecutivo, un fatto che seppure contraddittoriamente li porta a ruotare nella sostanza intorno alle scelte dell’esecutivo, a farsi carico di spinte lealiste e demagogiche, come nell’uso spregiudicato dei referendum, sia nella contrattazione col fine di contenere le istanze di lotta, sia sul piano politico generale in senso filo governativo.
In sintesi, il carattere della mediazione, il modo con cui si esprime il rapporto politico è dunque riferimento obbligato nel definire il tipo d’intervento rivoluzionario adeguato ad inciderlo e che giocoforza va riferito alla contraddizione dominante che matura nel rapporto politico tra le classi.
B) evoluzione dello Stato, necessità e progetti borghesi. Le peculiarità dello Stato date in Italia dall’esistenza del terreno rivoluzionario hanno condizionato per molti versi la stessa formazione delle forze politiche che rappresentano l’interesse della frazione dominante di borghesia imperialista. Ma l’elemento di sostanza della sua evoluzione sta proprio nei processi attuali di riformulazione del poteri poiché evidenzia una rinnovata capacità da parte delle forze politiche di ridefinire un progetto complessivo non solo riferito alle esigenze della BI nostrana, ma conseguentemente all’altezza delle posizioni che l’Italia ha e deve assumere nel contesto imperialista, soprattutto nello specifico europeo.
Una capacità a tutt’oggi riconquistata dalla DC che si qualifica come forza politica complessiva matura, quella maggiormente in grado di imprimere le svolte necessarie agli interessi della BI.
Questo sintetico quadro per comprendere che l’attacco allo Stato, l’incisività necessaria a disarticolarne i progetti non può eludere alla comprensione dell’evoluzione generale dello sviluppo del paese nel contesto della catena, di conseguenza dal tipo di progetti politici che vengono definiti e di come questi si collocano di volta in volta in termini dominanti in relazione ai rapporti di forza ed agli equilibri politici tra le classi. Ciò comporta la ferma assunzione nel definire l’attacco ai criteri di centralità e selezione la cui valenza viene esaltata proprio dal grado di scontro e che danno all’attacco la necessaria portata per incidere al punto più alto di esso.
C) stato del campo proletario, condizioni politiche e materiali del movimento di classe e rivoluzionario. Lo stato del campo proletario riflette il modo con cui si è materializzata la controrivoluzione, avendo essa attraversato orizzontalmente l’intero corpo di classe a partire dalle espressioni più avanzate dell’autonomia di classe che si sono dialettizzate con la guerriglia. Una dinamica che ha scompaginato il tessuto di lotte proletarie e ridimensionato in ultima istanza il peso politico della classe, un dato che paradossalmente ha influito sul ridimensionamento delle sue rappresentanze istituzionali.
Quello che va tenuto presente è il quadro determinato nella dialettica rivoluzione controrivoluzione nel nostro paese, un processo che si ripercuote nel modo in cui lo Stato si relaziona al campo proletario, in altri termini, lo Stato ha ben presente che, se non può eliminare la componente rivoluzionaria, deve obbligatoriamente contrastare gli effetti e la valenza della sua proposta politica: in questo senso ha definito un apparato antiguerriglia con un raggio di intervento politico complesso, ovvero finalizzato a tenere sotto pressione le componenti proletarie e rivoluzionarie che esprimono antagonismo contro lo Stato, un aspetto questo che si compenetra con la mediazione politica facendo di quest’ultima un reticolo di atti politici e materiali che contrastano l’ambito stesso di formazione delle avanguardie nel tentativo di impedire all’autonomia di classe di esprimersi.
In sintesi, misurandosi con le condizioni politiche del rapporto classe/Stato per pesare sugli equilibri dello scontro stesso mette in luce i termini della necessaria dialettica guerriglia/autonomia di classe a partire dalla direttrice dell’attacco allo Stato all’interno dei criteri sopraddetti. Una dialettica che a livello dell’organizzazione di classe sul terreno della LA, tenendo conto della materialità, concretezza, carattere dello scontro, deve agire sul binomio ricostruzione/formazione, ovvero ricostruzione nell’ambito operaio e proletario delle condizioni politiche e materiali danneggiate e disperse dalla controrivoluzione; formazione delle forze che si dispongono in modo da renderle adeguatamente organizzate a sostenere il livello di scontro con lo Stato. Un termine di lavoro che attraversa orizzontalmente e verticalmente le forze in campo (seppure con le dovute differenze) a partire in primo luogo dalla formazione dei rivoluzionari (forze rivoluzionarie) i quali devono esprimere la direzione adeguata a questo piano di disposizione.
In ultima analisi questo duplice intervento recupera il patrimonio di vent’anni d’attività rivoluzionaria delle BR per rilanciarlo alla maturità e progettualità attuali.
Riassumendo, la fase di ricostruzione è un passaggio delicato e complesso ed investe il tipo di riadeguamento intrapreso dalle BR nel senso più generale, ovvero riferito alla capacità non solo di riqualificare l’impianto e il tipo di caratterizzazione del quadro militante, ma questo in interrelazione alla necessità di determinare una direzione/organizzazione delle forze in campo, di muovere sul duplice binario di ricostruzione/formazione al fine di disporle adeguatamente nello scontro.

LA CENTRALIZZAZIONE. L’adeguamento nella capacità di esprimere la direzione idonea alle mutate condizioni dello scontro è dato dal salto alla centralizzazione delle forze in campo sull’attività generale dell’O. Ovvero emerge la necessità politica che l’attività dell’O. si muova in termini di forte centralizzazione politica che nell’accezione leninista significa centralizzazione delle direttive politiche sull’intero movimento delle forze, decentralizzazione delle responsabilità politiche alle diverse sedi ed istanze organizzate.
Più precisamente la centralizzazione deve rispondere alla capacità di far muovere le forze dentro a un quadro organico di lavoro come un solo corpo, ovvero la capacità di responsabilizzare il movimento delle forze dentro un piano di lavoro di cui le caratteristiche politiche siano patrimonio di tutti ma non interpretabili spontaneamente dai diversi livelli organizzati. La centralizzazione dell’attività del movimento delle forze è perciò una necessità politica imposta dall’approfondimento dello scontro, una condizione che richiede il massimo dell’utilizzo politico delle medesime all’interno di una disposizione volta a farle muovere come un cuneo intorno all’iniziativa dell’Organizzazione, il che può avvenire solo dentro un piano di lavoro definito all’interno del quale tutte le forze concorrono, ma non per spontaneo apporto, ma disposte ed organizzate in modo da poter contribuire confacentemente. Una dinamica politico-organizzativa che può avvenire appunto nel duplice movimento centralizzazione, decentralizzazione delle responsabilità. Questo perché non è più sufficiente disporsi spontaneamente sulla LA pensando di ritagliarsi in piccolo i problemi posti dallo scontro. In altri termini una riproposizione dell’esperienza dei nuclei che al proprio livello riprendevano le indicazioni d’O., in questo contesto non è più praticabile politicamente.
Ecco perché necessariamente le istanze dei compagni rivoluzionari e i proletari coscienti che si rapportano alla linea politica dell’O. vengono disposte sin da subito all’interno del piano di lavoro centrale, così come la costruzione delle reti proletarie non ha una funzione solamente locale. Una disposizione che comporta nel contempo il calibramento delle diverse responsabilità ai differenti livelli di coscienza, ma tutti ugualmente funzionalizzati al piano generale di lavoro. Non si tratta di far fare al proprio livello esperienza alle forze che si relazionano, ma si tratta sin da subito di formarle all’interno di una disposizione che permetta di acquisire una dimensione politico-organizzativa che lo scontro richiede: la dimensione del senso organizzato del lavoro per rispondere alle necessità che assume a questo livello di sviluppo della guerra di classe. Tutto ciò all’interno dell’esigenza di operare politicamente e militarmente alla ricostruzione degli strumenti politico organizzativi per attrezzare il campo proletario, in questa fase, nello scontro prolungato contro lo Stato.
Il problema delle istanze di compagni rivoluzionari non significa inglobamento di esse nell’O., ma la dialettica, il rapporto che si forma deve rispondere all’obiettivo politico di contribuire all’avanzamento del processo rivoluzionario a partire dalle necessità poste dallo scontro.
Al di fuori di questo dato politico c’è solo un’interpretazione fumosa dell’unità dei comunisti che, muovendosi in ordine sparso, non può che trascendere dalle condizioni che lo scontro stesso impone, al limite tagliandosi un proprio spazio di intervento ininfluente ad incidere su di esso, di fatto favorendo la dispersione delle forze e delle iniziative in quanto su di esse grava, indifferentemente dalla coscienza con cui si sono poste verso lo scontro, tutto il peso delle condizioni politiche.
Quest’adeguamento ai termini dello scontro implica la capacità di esprimere un livello di direzione politico-organizzativa adeguata alla centralizzazione nella disposizione delle forze sull’attività dell’O.
La questione della direzione è questione fondamentale all’interno della fase di ricostruzione/formazione che per l’O, e data la sua strutturazione, deve esprimersi ai diversi livelli, dal carattere generale e a livello complessivo (come capacità concreta di far vivere il ruolo di avanguardia della classe all’interno dello scontro e quindi di esprimere il necessario indirizzo politico con il combattimento), sino alle sue determinazioni (cellule) e in rapporto alle forze esterne (istanze, reti, rapporti) è quindi questione che attraversa verticalmente ed orizzontalmente l’O. Tenuto conto che la disposizione delle forze in campo implica la loro funzionalizzazione all’attività generale dell’O. che ruota intorno all’attacco ed agli obiettivi di fase individuati dal piano di lavoro, e che ciò ha significato concepire l’O. come un unico cuneo indirizzato all’obiettivo, poiché questa disposizione delle forze è la sola che si è dimostrata utile e necessaria a far vivere i termini organizzati del lavoro, cioè esplicitare l’attività dell’O. in questa fase in termini adeguati alle necessità poste dallo scontro, termini organizzati che sono altro dalla semplice sommatoria d’attività di singoli; una disposizione che ha permesso la valorizzazione delle forze poiché adatta ad indirizzare l’attività dell’O. sul piano del necessario politicamente superando i limiti posti dal “possibile”, inoltre atta a rispondere alle esigenze di formazione e ricostruzione delle forze stesse all’interno del principio che solo la prassi utile e necessaria al piano di lavoro ed agli obiettivi dello stesso produce il necessario avanzamento ed adeguamento politico delle strutture, dei singoli e dell’O. nel suo complesso.
La strutturazione in istanze superiori ed inferiori all’interno del centralismo democratico e della corretta dialettica sia orizzontale che verticale ha permesso il calibramento e la centralizzazione necessaria ai compiti ed ad una simile disposizione delle forze nel movimento, centralizzazione delle forze sull’indirizzo politico del lavoro/decentralizzazione delle responsabilità ai vari livelli politici espressi.
L’esperienza concreta ha dimostrato l’importanza che assume nell’assestamento dell’attività delle cellule la funzione del responsabile quale elemento in grado di far vivere lo stile di lavoro e la capacità organizzata di operare della struttura nel complesso del lavoro d’O., non mero coordinatore ma effettivo responsabile in grado sempre e comunque di indirizzare il lavoro di struttura e delle forze da questa dirette alle effettive necessità dettate dal piano di lavoro e dagli obiettivi di fase all’interno dello scontro, nella necessaria dialettica e nella piena valorizzazione delle forze; l’esperienza chiarisce come, e in ogni attività dell’O., siano i fatti concreti sui quali si misura l’adeguatezza o meno di ruoli e funzioni e di quanto sia importante far vivere l’attenzione continua costruttivamente critica ed autocritica verso il lavoro proprio e generale, questo nell’intero corpo militante; questo sia nell’individuazione che nel governo indirizzato alla loro risoluzione in avanti delle inevitabili contraddizioni che sorgono nel rapporto e nello sviluppo con l’attività stessa.
Nell’attività di una forza rivoluzionaria che pratica la guerriglia non esistono vacche sacre né meriti acquisiti, né capacità individuali insostituibili, né contributi più o meno importanti, ma solo rispondenza alle responsabilità ed alle esigenze del lavoro che è solo utile e necessario, e che solo nei suoi termini organizzati permette il conseguimento degli obiettivi e la valorizzazione, la necessaria socializzazione delle capacità oltre al superamento dei limiti che sempre presenta il singolo.
La questione del responsabile si è dimostrata fondamentale nell’esperienza condotta con le istanze di compagni rivoluzionari: laddove possibile l’O. ha sempre privilegiato la costituzione di istanze di militanti rivoluzionari per responsabilizzare sin da subito i compagni all’interno dello stile di lavoro organizzato dell’O., in questo senso si può dire che si da istanza esclusivamente laddove essa riesce ad esprimere al suo interno la propria figura di responsabile, quando ciò non è avvenuto o è venuto meno abbiamo assistito allo svilimento delle forze, al loro impoverimento con l’emergere di contraddizioni varie, dallo spirito di gruppo alla deresponsabilizzazione verso il lavoro che ha reso necessario il loro scioglimento.
L’importanza della qualità e dello sviluppo del lavoro di direzione in relazione all’andamento dello scontro e all’interno di questa particolare fase, la sua complessità, sono tutte interne ed in stretto rapporto con la questione del Partito, nell’unità del politico e del militare, la sua adeguatezza al piano di scontro ed ai compiti, non solo risponde al giusto principio dell’agire da Partito per costruire il Partito, ma nel suo sviluppo dialetticamente legato alle condizioni politiche e materiali dello scontro stesso, misura e nel suo complesso muove verso un avanzamento del piano di scontro e del processo di costruzione-fabbricazione del PCC.

Marzo 1989 (versione originale 1988)

Bilancio ed ulteriore riadeguamento politico-organizzativo. Documento interno

Una riflessione sulle leggi generali dello scontro in merito all’esperienza dell’O. ci serve per collocare una serie di dinamiche e di contraddizioni che nell’insieme hanno condizionato in negativo il percorso d’affermazione delle risultanze del processo autocritico.

Infatti il processo di riadeguamento, ben lungi dal seguire un percorso lineare, ha dovuto fare i conti con le contraddizioni politiche di carattere generale, quale prodotto in ultima istanza dello scontro che hanno generato nella loro evoluzione vere e proprie deviazioni.

Gli effetti della sconfitta e del ridimensionamento politico-organizzativo dell’O, riversandosi sui rapporti di forza tra le classi, accanto allo scompaginamento delle condizioni politiche del tessuto proletario in cui si riproduce una forza rivoluzionaria, ha aperto dinamiche che all’indomani dell’82 non era possibile comprendere e governare in tutta la loro portata.

La Ritirata Strategica, atto dovuto, ha permesso di ricostituire l’impianto politico e di riprendere l’iniziativa su basi più adeguate; ma la sconfitta, l’impatto con lo Stato, ha comunque generato il maturarsi di deviazioni politiche che sono riconducibili al liquidazionismo. Queste hanno preteso di sottrarsi al livello di scontro attestatosi nel paese, negando la valenza della strategia della Lotta Armata e revisionandone i suoi presupposti di fondo. Per assurdo queste posizioni hanno dovuto fare i conti con la coscienza che lo Stato ha del problema, pur rappresentando l’estremo arretramento di posizioni rivoluzionarie. Un paradosso questo che dimostra come dentro ad una pesante sconfitta si innestino posizioni politiche rinunciatarie il cui unico pregio sta nel rendere evidente quanto sia facile teorizzare la propria condizione di debolezza, estrapolandola dal livello di scontro rivoluzionario attestatosi nel paese. Questa posizione politica (deviazione) pur essendo una posizione soggettiva è figlia dell’interiorizzazione della sconfitta, avendo come effetto in ultima istanza quello di delegare al movimento di massa la continuità del processo rivoluzionario che si è aperto in Italia.

L’aver espulso questa posizione e aver ridefinito l’impianto non ha significato l’aver superato e compreso la contraddizione di fondo su cui si era innestata la posizione dogmatica e ciò si è manifestato nell’oscillazione della teoria-prassi dell’O. Più precisamente si è passati dal concetto di ritirata strategica alla logica difensivistica e di tenuta.

Quello che si è verificato, è stata la non comprensione delle leggi generali dello scontro rivoluzionario. Lo scontro rivoluzionario segue un andamento discontinuo fatto d’avanzamenti e d’arretramenti, i ripiegamenti da parte delle forze rivoluzionarie avvengono quando si constata l’impossibilità, in date congiunture, di portare avanti una posizione offensiva, pertanto si ritirano allo scopo di ricostruire i termini più idonei per nuove offensive. In questo senso il ripiegare pur essendo un problema relativo alla soggettività rivoluzionaria è prodotto dal non essere adeguati allo scontro in atto, in altri termini il ritirarsi È UNA SCELTA POLITICA finalizzata a preparare nuove condizioni per sostenere lo scontro. Tutto ciò sempre e concretamente all’interno del processo prassi-teoria-prassi, metodo che permette di adeguare la propria pratica rivoluzionaria, imparando anche dagli errori.

Ripiegare non va visto come atto difensivo ma come elemento dinamico delle leggi della guerra, ignorare tale concezione porta in termini puramente militari al dissanguamento delle forze, in termini politici all’avventurismo. Considerarlo come un atto difensivo è altrettanto dannoso: perché la LOGICA DIFENSIVISTICA E DI TENUTA è la negazione della guerriglia in quanto si sottopone al logoramento del nemico e quindi di fatto all’arretramento. Quest’ultima è la contraddizione generale che ha attraversato l’O, e che ha ritardato il processo di riadeguamento teorico-politico-organizzativo provocandone l’oscillazione. La logica della conservazione delle forze ad oltranza è incapace di ridare fiato in termini offensivi alla strategia rivoluzionaria e porta per opposto al logoramento e alla demoralizzazione delle forze, alla perdita di incisività politica.

Nei fatti questa logica figlia anch’essa dell’interiorizzazione della sconfitta, si è manifestata con risposte organizzativiste ai problemi politici misurando il proprio agire a ciò che è possibile fare e non a ciò che è necessario fare, sfalsando la misura politica, influenzando negativamente persino la metodologia e lo stile di lavoro dell’O. La logica difensivistica si caratterizza per una visione statica dello scontro, di fatto elude sia una legge generale dello scontro tra le forze rivoluzionarie e Stato, sia gli aspetti peculiari che assume nelle democrazie mature.

Infatti il rapporto di guerra esistente tra le forze rivoluzionarie e lo Stato è dominato dalle caratteristiche della fase di scontro in cui si situa, che pur rispondendo alla logica del reciproco annientamento è calibrato alle condizioni politiche più generali, nella sostanza È CIÒ CHE PIÙ PAGA POLITICAMENTE (riferito al rapporto generale tra le classi) che domina il rapporto di guerra. Una legge generale che nelle democrazie matura peculiarità estremamente politiche e complesse, che ben lungi dal manifestarsi solo nel rapporto che oppone una forza rivoluzionaria allo Stato, attraversa orizzontalmente tutto il corpo di classe, pur manifestandosi su diversi piani. In altri termini, IN REGIME DI DEMOCRAZIA MATURA, nei paesi del centro imperialista, IL PROBLEMA PER LA BORGHESIA E PER LO STATO È QUELLO DI RICONDURRE IL CONFLITTO DI CLASSE NEI MECCANISMI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA, COMPRENDENDOVI ANCHE GLI ASPETTI PIÙ ANTAGONISTICI E LE FORME DI LOTTA PIÙ DURE. Quest’ultime devono essere mediate e depotenziate attraverso gli strumenti e gli organismi politici che rapportano il proletariato allo Stato, alla borghesia.

Difatti il problema della borghesia non è tanto la lotta di classe in sé, ma la coscienza che questa può maturarsi in lotta per il potere. Il problema è impedire questa possibile maturazione per questo LE POLITICHE CONTRORIVOLUZIONARIE, di controrivoluzione preventiva, non sono riferite solamente all’avanguardia rivoluzionaria, ma PRINCIPALMENTE SI RIFERISCON0 AL MODO CON CUI GLI ELEMENTI E GLI ORGANISMI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA POSSONO RICONVOGLIARE E COMPATIBILIZZARE NELL’AMBITO ISTITUZIONALE LE SPINTE DELLA LOTTA DI CLASSE.

In altri termini, nella sostanza, ciò si riflette sul carattere della mediazione politica che è possibile mettere in atto nei confronti del proletariato, il tipo di “governo possibile” delle contraddizioni di classe. Se questa, in termini generali, è la sostanza della controrivoluzione preventiva, essa si manifesta su diversi piani a seconda a chi è riferita e alla condizioni politiche più generali dei rapporti di forza tra le classi; nello specifico, la dinamica controrivoluzionaria è molto selettiva e tende a calibrare le forzature possibili. Infatti, se in termini sostanziali e generali è riferita a tutta la classe, in termini specifici si manifesta contro gli elementi più avanzati di quest’ultima, muovendosi in termini di accerchiamento ed isolamento.

È proprio per le peculiarità politiche e sociali dello scontro rivoluzionario odierno nel nostro paese che la logica difensivistica è quanto mai incapace di contribuire ad uscire sostanzialmente, e non solo virtualmente, dalla Ritirata Strategica. Una logica in ultima istanza che si presta, non collocandosi al punto più alto dello scontro, alle politiche di depotenziamento della guerriglia e di possibile endemizzazione. Per concludere, l’insegnamento che bisogna trarre da questi dati si può così sintetizzare: la necessità di ripiegare, di essere soggetti a possibili ridimensionamenti, è facente parte dello sviluppo del processo rivoluzionario (che precisiamo, soprattutto in riferimento alla nostra attività, è teso ad indurire lo scontro, non ad aprire spazi democratici), questo però non deve tradursi in una logica difensivistica, perché ciò porta a subordinare le esigenze politiche poste dallo scontro al puro dato organizzativo, e ciò ha come portato ulteriore il collocare su due piani distinti il politico ed il militare, mentre quest’ultimo deve essere sempre il riflesso delle esigenze politiche; in altri termini, si dà organizzazione ad una strategia, e ad una linea politica, e non è l’organizzazione che produce linea politica.

Sul piano generale non va mai persa la dimensione che sul piano storico ha l’organizzazione per quello che rappresenta in termini politico-strategici, al di là del dato organizzativo del momento. La logica difensivistica riducendo in organizzativismo la capacità di lettura politica dello scontro ha prodotto un’ulteriore contraddizione che per le sue caratteristiche riguarda gli aspetti più interni della vita dell’O. Ossia ha dato luogo a un’involuzione del modulo politico-organizzativo e del centralismo democratico su cui si basa un’organizzazione comunista: anche questo ha fatto da contributo al rallentamento del processo di riadeguamento, la cui risoluzione deve andare di pari passo all’assestamento teorico-politico-organizzativo dell’O.

Con questo intendiamo dire che deve cessare il carattere d’eccezionalità con cui a suo tempo, dentro una legittimità politica e condizioni materiali ben precise, furono varate modifiche sostanziali fra le istanze dell’O. Queste modifiche, allora necessarie e rispondenti ai problemi politici posti dalla Ritirata Strategica, nell’evolversi dei fatti e nell’approfondirsi della logica difensivistica, si sono tramutati in un meccanismo che si può sintetizzare in un rapporto semplificato tra un’unica istanza di direzione (che si perpetua per cooptazione) ed un insieme di singoli militanti che si rapportano ad essa. Questo modulo, proprio del democraticismo comporta inevitabilmente un impoverimento politico che può aprire spazi alla logica di gruppo.

Ciò che si è verificato è stato uno squilibrio tra risultanze del processo autocritico e il riadeguamento politico-organizzativo dell’O; in altri termini erano fragili le gambe su cui doveva marciare la messa in pratica e l’approfondimento della linea politica generando più di una contraddizione; paradossale per un’organizzazione dello spessore delle BR. L’anomala situazione che si è verificata non ha permesso di usufruire a pieno dell’energia del corpo militante, da un lato all’impegno possibile dei singoli e, dall’altro, accentrando il dibattito alla sola istanza di direzione. Il limite non è tanto il verticismo in sé, ma quanto il fatto che in tal modo non si produce il dibattito ma lo s’impoverisce venendo meno agli strumenti politico-organizzativi in cui questo può marciare. I fatti stanno a dimostrarlo.

Inoltre si verifica l’incapacità di attivizzare ed organizzare le forze perché va ribadito: che in un’organizzazione come la nostra niente può vivere in termini spontanei né tantomeno il dibattito che invece va organizzato. La capacità d’organizzare le forze, attivandole in riferimento alle esigenze politiche del momento, è tale nella misura in cui i provvedimenti presi rispondono alla concezione strategica dell’O e non alla contingenza immediata.

Se questi sono gli errori che si sono espressi all’interno dell’O, ben più gravi politicamente le contraddizioni riversatesi nel rapporto con l’esterno. La logica difensivistica e di contenimento ha estremizzato un punto cardine dell’ultima battaglia politica, ossia la critica alla centralità del lavoro di massa. In altri termini, la tendenza al settarismo che inevitabilmente tale logica produce non ha permesso la necessaria dialettica tra l’O e il movimento rivoluzionario, e tra l’O e l’autonomia di classe; riflettendosi persino nell’attività indispensabile di riproduzione dell’O dentro al campo proletario. A coprire le deficienze di questo modo di rapportarsi è stato l’uso improprio della critica alla centralità del lavoro di massa, di fatto usato come alibi alla chiusura.

In poche parole il rapporto con il movimento rivoluzionario e con l’autonomia di classe si è limitato al solo utilizzo dei compagni disponibili su base fiduciaria e di cooptazione trasmettendogli la logica di chiusura propria dell’O. È inutile dire che in tal modo si è venuti meno alla metodologia e allo stile di lavoro dell’O, criteri che sono stati conquistati dentro la decennale esperienza pratica dell’O, e che costituiscono il patrimonio del suo modus operandi.

Il venir meno alla sostanza di questi principi non è giustificato né dal ridimensionamento, né dall’opera della controrivoluzione, ma è lo snaturare la logica dell’O a Blanquismo.

Quello che va compreso è che la critica alla centralità del lavoro di massa non può tradursi nella negazione del normale lavoro di massa. Nel fare questo bilancio volutamente sono stati messi in rilievo gli elementi di contraddizione poiché questi rappresentano un serio impedimento alla riqualificazione ed arricchimento dell’impianto politico dell’O.

Riqualificazione che deve tenere conto dello spessore acquisito dall’O sul piano storico, e dei mutamenti che riguardano la complessità dello scontro politico in Italia. Altrimenti, fuori da questi termini non è dato rilancio del processo rivoluzionario pur esistendo uno spazio politico su questo terreno. Ciò che va ribadito è la capacità della proposta rivoluzionaria di muoversi nella dialettica distruzione/costruzione, il che significa intendere l’attività dell‘O non limitata alla sola disarticolazione. Se questo rappresenta il punto più alto dell’attività dell’O, essa non ne esaurisce i compiti, essa apre spazi politici su cui può instaurarsi la dinamica della costruzione nei termini dati dalle condizioni dello scontro. Non assolvere a questi compiti politici comporta l’incapacità di sostenere le dinamiche che l’attività politico-militare determina, che è ovvio sarebbe riduttivo e deviante misurare nella sola tenuta militare dell’O, ma va inquadrata nei termini politici riguardanti il rapporto classe/Stato. È attraverso la capacità politica di calibrare l’attività in relazione ai rapporti di forza interni ed internazionali, allo stato del movimento di classe, allo stato del movimento rivoluzionario, che si ha avanzamento e tenuta nello scontro rivoluzionario.

Due sono le direttrici su cui deve instaurarsi il piano di lavoro dell’O a medio termine:
– riorganizzazione delle forze;
– indirizzo politico dell’attività dell’O.

Riteniamo fondamentale per affrontare questo problema fare riferimento alla risoluzione della Direzione Strategica N° 2 poiché nella sua sostanza e nella sua portata strategica rimane a tutt’oggi più che mai valida. Quello che è importante nel farvi riferimento, è l’impostazione relativa alla sostanza dei principi cardine del funzionamento dell’organizzazione comunista clandestina. Il ripristino nella sostanza di questi principi permette di affrontare la riorganizzazione delle forze in relazione alle condizioni date dalla materialità del momento. Per questo proponiamo la costituzione di cellule, d’istanze di dibattito interne all’O costituite da almeno tre militanti, possibilmente là dove svolgono lavoro politico; questa proposta è solo il ripristino del modulo politico-organizzativo dell’O, il quale prevede che tutti i militanti (regolari ed irregolari) siano organizzati in istanze politiche. Data la materialità delle condizioni prescindiamo dal numero delle cellule possibili ed anche dalla collocazione geografica, ciò come passaggio transitorio al definitivo costituirsi, nei modi e nei tempi possibili, di vere e proprie strutture d’O. Queste cellule saranno la base per il ricostituirsi d’una futura Direzione Strategica, reale espressione dei migliori militanti d’O.

Ogni cellula si farà carico in termini generali di portare avanti per quanto gli compete il lavoro d’O. Più precisamente, per contribuire al dibattito seguendo l’indirizzo politico-programmatico dell’O. In tendenza ogni cellula deve raggiungere un’autonomia organizzativa, ossia deve essere una vera e propria struttura d’O. I contributi e le critiche politiche devono essere scritti. La circolazione del dibattito tra le cellule momentaneamente avverrà esclusivamente per iscritto. È la struttura di direzione che garantirà la circolazione del dibattito. Qualsiasi proposta d’iniziativa deve essere presentata e motivata all’istanza dirigente; le iniziative per passare operative dovranno avere l’avallo della Direzione; in riferimento alla ristrutturazione ogni cellula deve avere un bilancio spese.

Data la situazione attuale che dobbiamo considerare transitoria, anche il ruolo della DS in carica resta anomalo e continuerà a centralizzare questo passaggio affinché avvenga in termini rigidamente indirizzati per evitare possibili sbandamenti. L’attuale istanza dirigente, per le competenze che ha avuto e che oggi deve svolgere, è nella sostanza un Esecutivo oltre ad una vera e propria DS. Proprio per questi motivi il controllo tra le istanze inferiori e l’istanza superiore deve essere massima.

Uno dei compiti principali che viene perseguito per questo passaggio transitorio è di costruire le condizioni per riformulare la nuova DS, la quale, una volta definito il suo lavoro, eleggerà il Comitato Esecutivo.

È l’attuale Esecutivo che propone la formazione e la composizione delle cellule, che ne nomina i responsabili; le eventuali controproposte sia nell’immediato che in futuro devono essere presentate e motivate per iscritto.

L’Esecutivo ha l’obbligo di promuovere, indirizzare e sintetizzare il dibattito ed il lavoro politico e tutti quegli incarichi riportati nella DS2 a pag. 11 e 12. L’Esecutivo in carica risponde alle cellule del proprio operato e viceversa.

Il rapporto all‘interno delle cellule e all’interno dell’O preso nel suo complesso è regolato dal centralismo democratico.

Come dato generale le cellule, nel rapportarsi con l’esterno, devono tendere ad impiantare organizzazione là, nei posti dove svolgono lavoro politico. L’O si riproduce per duplicazione, quando una struttura riesce ad allargarsi (dentro i criteri di reclutamento dell’O) quantitativamente, si divide e costituisce due cellule, l’insieme di più cellule costituirà una brigata.

L’indirizzo politico nel relazionarsi a strutture del movimento rivoluzionario o a singoli compagni rivoluzionari è quello di attivizzarli all’interno della strategia e della linea politica dell’O, lavorando sin da subito a dargli dimensione d’O in termini politico—organizzativi. Questo non va inteso come costruzione di strutture che articolano poi la linea dell’O per conto proprio e, logicamente, al loro livello, ma dev’essere teso a costruire militanti d’O, precisando che comunque la militanza è un percorso singolo e che bisogna tenere presente tutti i diversi livelli di coscienza e disponibilità per poterli tutti organizzare.

Quest’indirizzo è oggi quello che risponde meglio alle esigenze politiche poste dalla fase di scontro e che materializzano fin da subito la parola d’ordine dell’unità dei comunisti per la costruzione del PCC.

Per quanto riguarda il rapporto con le avanguardie di classe, questo deve seguire l’indirizzo politico del lavoro di massa; nella situazione odierna deve tendere a recepire le contraddizioni politiche che si agitano nel movimento di classe, andando oltre la semplice fotografia, ciò va inteso come elaborazione e sintesi politica dei dati di cui si è in possesso; ciò è necessario per avere il polso politico del movimento di classe e più precisamente, dell’autonomia di classe esistente. Comprendere, sintetizzare, elaborare le tensioni politiche che l’autonomia di classe esprime passa attraverso l’individuazione della contraddizione dominante che essa vive e che la oppone allo Stato. Anche il dibattito politico che le avanguardie di classe svolgono e le proposte politiche che pensano vadano fatte alla classe per uscire dalla situazione di difensiva, diventano dati da elaborare, sempre all’interno della strategia dell’O, per realizzare e arricchire il programma politico che in tendenza dovremo sempre più affinare.

Quindi il polso politico è fondamentale per avere gli strumenti politici necessari a consolidare la dialettica possibile che l’attività rivoluzionaria mette in campo.

Se in prospettiva e dentro l’evoluzione della fase di scontro, punto di programma è quello di attrezzare il campo proletario partendo dai suoi reparti più avanzati, nei termini politico-organizzativi adeguati allo scontro rivoluzionario contro lo Stato, nella situazione odierna ciò non è materialmente dato. Comunque mai tale obiettivo è derogabile al solo lavoro di massa, ma è a partire dall’attività della guerriglia che si aprono gli spazi per la costruzione possibile e realistica di tale dialettica, relazionandola inoltre alle condizioni politiche dello scontro. Affrontare questo nodo non significa cercare di risolverlo con una formuletta elaborata a tavolino, ma significa prendere atto delle condizioni del movimento di classe nella sua reale dimensione politica, per potervi intervenire nella maniera più proficua senza disegnarsi il movimento di classe a propria immagine e somiglianza.

Tornando al rapporto con le avanguardie di classe, esso, in termini generali è teso a quanto detto sopra, in termini specifici è teso a stringere il rapporto sui termini di programma dell’O, tenendo ben presente il grado di coscienza e disponibilità. In questo senso sarebbe un gravissimo errore filtrare il rapporto solo in relazione all’adesione ai termini politici dell’O. Ribadiamo che soprattutto nel rapporto con le avanguardie di classe la sensibilità politica va nel saper valorizzare tutti i piani di contributo.

Il lavoro di massa risponde altresì all’esigenza strategica della riproduzione dell’O per linee interne al campo proletario.

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L’attività dell’O che va dall’82 all’84 matura la ridefinizione dell’impianto politico attraverso anche l’espulsione delle posizioni dogmatiche. In questo passaggio virtualmente si chiude il periodo della Ritirata Strategica; virtualmente perché non è l’espulsione delle posizioni dogmatiche in sé che risolve l’assestamento dell’impianto politico, ma il suo adeguamento sostanziale e complessivo ai termini dello scontro.

Il problema politico che abbiamo di fronte è relativo al rilancio della strategia rivoluzionaria, al rilancio dell’offensiva dell’O all’interno di una condizione di difensiva della classe, all’interno di rapporti di forza favorevoli alla borghesia, con il conseguente arretramento delle posizioni politiche e materiali della classe, con un impoverimento delle espressioni dell’autonomia politica di classe, con lo scompaginamento del tessuto proletario che produce avanguardie. Nonostante ciò lo spazio politico per la LA è sempre presente: spazio politico che si è attestato all’interno dello sviluppo dello scontro rivoluzionario in Italia, uno scontro che è il prodotto dell’evolversi della dialettica tra l’autonomia di classe e la Strategia della Lotta Armata, da una parte, e le politiche dello Stato dall’altra.

Ma se spazio politico c’è occorre il massimo d’intelligenza e sensibilità politica per occuparlo, proprio perché l’offensiva si relaziona alla difensiva di classe e ad uno Stato che ha fatto esperienza nel governo delle contraddizioni di classe e del suo antagonismo, così come nel combattere le avanguardie rivoluzionarie.

Una situazione così mutata può portare a ricercare scorciatoie e soluzioni artificiose senza fare tesoro dell’esperienza che l’O ha messo in campo sul terreno dello scontro tra le classi, perdendo di vista l’indirizzo strategico a cui è rivolto l’agire d’O.

Quello che vogliamo porre all’attenzione è che mai come adesso è importante equilibrare il proprio intervento a tutti i fattori facenti parte dello scontro di classe, ciò perché la fase politica odierna è caratterizzata dalla continua evoluzione e trasformazione dei fattori in gioco e degli equilibri esistenti, il tutto in un contesto internazionale che fa da amplificatore ad ogni evento messo in campo soprattutto da forze rivoluzionarie sia mediorientali che europee. In altri termini, si tratta di analizzare ciò che il proprio agire mette in campo sia rispetto allo scontro con lo Stato sia rispetto al movimento di classe, comprendendo ciò che si modifica nella contraddizione tra classe e Stato. Più precisamente, la dialettica distruzione/costruzione deve tenere presente ciò che si determina e lavorare al rilancio del movimento rivoluzionario e del movimento di classe. Se l’obiettivo per la borghesia è la rifunzionalizzazione dello Stato (del funzionamento dei suoi apparati e della definizione delle relazioni con la classe), il realizzare quest’ulteriore passaggio non è certo privo di contraddizioni e di squilibri, ma anzi la definizione di questo passaggio porta in luce tutti i contrasti provocando una relativa instabilità. Quest’ultima vive e matura nel periodo necessario alla distruzione dei vecchi equilibri e il costituirsi dei nuovi. Instabilità che attraversa le forze politiche, ma che si risolve con un nuovo equilibrio raggiunto, non tanto all’interno delle mediazioni tra le forze politiche (sempre necessarie), ma dando risposte adeguate alla situazione del paese tenendo conto dei rapporti di forza tra le classi, in particolare tra borghesia e proletariato. La crisi politica attuale è la manifestazione dell’importanza del passaggio politico che si sta attuando rispetto ad un ulteriore accentramento dei poteri e della leadership che a ciò vuole far capo.

Questo quadro interno è strettamente inserito nello scontro internazionale dove si sono aperti ampi margini di manovra al piano politico-diplomatico all’interno di una fase preparatoria tesa ad assestare equilibri e coalizioni nella più generale tendenza alla guerra. Tutto ciò pur in presenza di diversi tipi di contraddizioni, sia portate dalla politica estera dell’Unione Sovietica, sia per il peso degli equilibri delle forze nelle aree calde, sia per i contrasti sugli indirizzi economici sul piano internazionale. Infatti, il quadro della crisi economica risente fortemente degli squilibri generati dalle politiche economiche neoliberiste con pesanti riflessi anche nel rapporto Nord/Sud.

In altri termini, l’internazionalizzazione delle economie comporta che, con l’esaurirsi della reaganomics, le esigenze odierne dell’economia Usa si riversino obbligatoriamente nelle scelte economiche degli altri paesi industrializzati anche se al loro interno l’evoluzione della crisi segue tempi diversi.

Infatti, il disavanzo degli USA viene fatto pesare, come problema, su tutta l’economia occidentale. A parte ciò, la necessità di operare contromisure rispetto agli effetti più negativi del neo-liberismo (recessione, disoccupazione, stagnazione) riguarda tutta la catena, e le ricette convergono nel ridare parzialmente slancio alla domanda interna, anche attraverso il sostegno alle piccole e medie imprese con le conseguenze del caso in termini di contrasto tra esigenze di protezionismo e di liberalizzazione dei mercati.

Non a caso fino ad ora non è stato possibile definire nuovi GATT.

Ciò che va ribadito è che il cambio di gestione politica sul piano internazionale non è sganciato dall’evoluzione del quadro di crisi economica e relativa gestione politica.

Fonte: processo per banda armata 1988

La sintesi

(documento interno – 1983)

 

Il dibattito autocritico scaturito dal documento: “Elementi del bilancio politico della sconfitta del soggettivismo”, dibattito non privo di contraddizioni, ha avuto dall’inizio due presupposti fondamentali:

1) non si mette in discussione un caposaldo fondamentale sviluppatosi negli ultimi dodici anni, la Lotta Armata come strategia per la transizione al comunismo, come unica politica proletaria e rivoluzionaria; la guerriglia come: “….soluzione al bisogno strategico di mantenere l’offensiva”, come acquisizione più avanzata dello sconto di classe.

2) non si apre la porta allo scioglimento dell’avanguardia comunista combattente all’interno del movimento rivoluzionario, non ci proponiamo come “area di dibattito”, ma come OCC BR che con il suo patrimonio teorico pratico, nel bene o nel male, ha rappresentato il punto giù alto di direzione del processo rivoluzionario.

In questo senso, pur in una situazione che abbiamo definito di emergenza (peraltro niente affatto conclusa), abbiamo mantenuto istanze di dibattito, di lavoro, di direzione. Così come nel confronto con le avanguardie comuniste presenti nel movimento rivoluzionario, pur affrontando questioni di ordine teorico e strategico per la ridefinizione di un impianto generale, non abbiamo mai abbandonato i principi di: organizzazione che differenziano i membri effettivi, i membri candidati, dai contatti. Tuttavia era in inevitabile che questa riflessione, proprio per il suo carattere di messa in discussione dell’impianto strategico, producesse, insieme a posizioni positive, altre negative, contraddizioni, riserve, perplessità e sfiducia. Va quindi fatta una precisazione preliminare: dobbiamo imparare a correggere le impostazioni sbagliate che tendono ad emergere costantemente, come L’IPERCRITICISMO e LA CATTIVA STORICIZZAZIONE.

L’ipercriticismo mette sullo stesso piano in modo indifferenziato momenti principali ed aspetti secondari della contraddizione, concepisce l’autocritica approfondita come analisi di parte … isolare singoli problemi particolari (lavoro questo da cui potrebbe derivare tutt’al più un elenco di cose da fare) piuttosto che spingerla ad individuare la matrice politica di errori diversi che hanno attraversato tutto il corpo militante e tutta 1’O., e coinvolgerli nel lavoro teorico pratico di rifondazione di una strategia e di un impianto organizzativo adeguato. Riaffermiamo quindi che non è possibile ridurre od assolutizzare l’autocritica ad alcuni aspetti particolari dell’impianto e del lavoro d’O. Non si può, ad esempio, identificare nel burocratismo o nel militarismo la radice comune di problemi diversi.

Allo stesso modo, storicizzare schematicamente porta a considerare il manifestarsi delle contraddizioni legandole alla presenza o all’assenza di questo o quel compagno, porta a dividere la storia dell’Organizzazione in un periodo positivo e in uno negativo; in ultima analisi, concepire successi ed errori come intuizioni individuali piuttosto che come processi collettivi. Le contraddizioni in un’O. rivoluzionaria sono il riflesso dello scontro tra concezione borghese e concezione proletaria del mondo, tra idealismo e materialismo storico dialettico. Infiltrazioni ideologiche borghesi tendono a ripresentarsi in forme e con pesi diversi nel corso del processo rivoluzionario. Ciò che dobbiamo affermare è che nella fase della transizione, nella guerra di classe, nella fase dell’organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata per il comunismo, della costruzione del Sistema del Potere Proletario Armato, le infiltrazioni di soggettivismo, la loro derivazione economicista militarista risultano antagoniste all’affermazione della linea proletaria rivoluzionaria.

 

PERCHé NELLA DIALETTICA CONTINUITÀ/ROTTURA ABBIAMO PRIVILEGIATO LA ROTTURA.

 

Ogni processo autocritico passa per una sconfitta (almeno finora) e la portata dell’autocritica dipende dall’entità della sconfitta. Ravvisare questo […] è sicuramente indice di maturità, soprattutto è condizione […] per individuare la natura dei problemi senza soffermarsi superficialmente al loro aspetto esterno, al modo in cui si presenta e ripresenta.

Sarebbe stato molto semplice, ad esempio, spiegare l’epilogo disastroso dell’operazione Dozier con la presenza degli infami, o dicendo di non aver mobilitato a sufficienza i Nuclei Comunisti Rivoluzionari, o teorizzando sbrigativamente di aver fatto un passo troppo lungo rispetto alle potenzialità del movimento antagonista, ancora con una preparazione militare inadeguata.

Molto meno semplice, anzi impossibile, sarebbe ricostruirci (attraverso questo tipo di bilancio) sia l’identità politica che la presenza ed il lavoro all’interno delle masse. Dunque bisognava guardare più a fondo il tipo di dialettica che aveva presieduto fino ad allora alla costruzione delle campagne, dei programmi, al rapporto con le masse, così come alla battaglia politica, alla costruzione del Partito e del Sistema del Potere Proletario Armato. Esattamente la rilettura critica di questi compiti che eravamo andati materializzando, in particolare dopo la DS 80, significava PRIVILEGIARE LA ROTTURA. Insomma, a poco sarebbe servito soffermarci più di tanto sui presupposti teorico pratici su cui le BR si sono costruite e la guerriglia si è sviluppata, avrebbe significato dare al dibattito un taglio di “conservazione”, riaffermandoci come patrimonio storico piuttosto che adeguarsi ai nudi compiti; non spiegare perché, dalla chiusura della fase della Propaganda Armata ad oggi, non si è ridefinito compiutamente un impianto adeguato nella direzione delle masse verso la guerra di classe dispiegata per il comunismo. D’altra parte è vero che una simile riflessione è complesso dirigerla, ed uscirne in positivo significa imparare a capire le contraddizioni e governarle (non certo mediando quelle antagoniste) individuandone la natura, il modo in cui entrano in dialettica, il modo in cui possono ripresentarsi su piani più avanzati; significa imparare a produrre teoria e pratica rivoluzionarie senza delegare a nessuno questi compiti. In questo lavoro si mettono a nudo, insieme al potenziale politico che vive nell’O, le sue debolezze, non solo, ma la situazione in cui si svolge questo lavoro è inizialmente di debolezza (debolezza di linea politica), all’interno di condizioni generali difficili da interpretare (e da vivere): rapporti di forza pesantemente sfavorevoli al Proletariato Metropolitano, vivace ripresa del movimento antagonista, presenza di grosso dibattito nel movimento rivoluzionario intorno alle teorie che da più parti vengono formate.

Ciò spinge alcuni compagni verso posizioni estremizzate: dal non vedere più punti fermi e confondersi nel marasma, al non voler criticare nulla, aggrappandosi all’unica certezza: ciò che si conosce, tutto ciò che è stato fatto.

Così, l’aver privilegiato la rottura ha fatto credere ad alcuni compagni che l’autocritica porta a considerare la Lotta Armata per il comunismo come una “forma di lotta”, e che 1’O. tendesse a negarsi aprendo la strada al movimentismo. Altri compagni, l’unità distinzione tra tattica e strategia, tra particolare e generale, ed inoltre tra il generale che vive in determinate fasi (e quindi all’interno di ogni sua specifica congiuntura) ed il generale processo rivoluzionario per il comunismo, hanno pesato che la sconfitta del Sistema del Potere Proletario Armato in costruzione dovesse essere definita tattica perché non costituiva sconfitta generale del processo rivoluzionario per il comunismo.

L’O. parlando di sconfitta generale non l’ha riferita al generale processo rivoluzionario di lunga durata per il comunismo; ciò che pure andava e va sottolineato, conferma l’influenza di questa sconfitta sugli attuali rapporti di forza complessivi, non perché questi derivino unicamente dalla guerriglia. La guerriglia tuttavia è un elemento non indifferente nella loro determinazione, come non indifferente è stata la sconfitta di una campagna del peso che aveva quella Dozier e il corollario di tradimenti, dissociazioni e carcerazioni. Inoltre la sconfitta non riguarda solo le BR e la concezione della campagna come “operazione politica” di O; seguiva, ad esempio, la sconfitta preventiva della campagna del Partito Guerriglia ed investiva fasce consistenti del SPPA [Sistema di potere proletario armato] in costruzione. Parlare di sconfitta tattica era ed è sbagliato, in quanto si esalta l’oggettività delle allusioni al comunismo e si sminuisce la necessità dell’autocritica delle Avanguardie Comuniste Combattenti rispetto agli errori generali, strategici commessi nel vivo dello scontro di classe.

Altri compagni ancora, per controbilanciare il portato dell’autocritica, pur riconoscendo nell’impianto generale il vizio di soggettivismo (che ha impedito di adeguarsi ai nudi compiti), salvano “alcuni aspetti” come le azioni di Roma del 79-80, la costruzione dei Nuclei Clandestini di Resistenza, la costruzione dei quadri dirigenti. Qui necessitano alcune precisazioni, altrimenti si appiattisce tutto in un unico calderone. Non intendiamo “buttare il bambino con l’acqua sporca”; cioè non diciamo che oggi inizia la battaglia contro il soggettivismo dopo un periodo di cupo torpore. Proprio la DS 80 ha rappresentato la prima sedimentazione di una battaglia che era vissuta nell’O. già negli anni precedenti, ripercuotendosi A FASI ALTERNE sulle iniziative di combattimento, così come nella linea di massa il dibattito interno (cellule o nuclei), ad esempio, rappresentava ancora l’incomprensione del salto nel modo di operare nel rapporto con la classe verso l’organizzazione delle masse e non più solo dei comunisti.

La contraddizione intorno alla frase famosa “….Organismi di Massa Rivoluzionari sono sorti e sorgono…”, se da una parte testimonia una critica alla concezione dell’organizzazione rivoluzionaria delle masse come portato spontaneo dell’acutizzarsi della contraddizione BI/PM, dall’altra non si proietta verso i nuovi compiti, ma tendeva a conservare la funzione dell’O per quella che aveva nella fase precedente.

Le stesse direttive di combattimento rappresentano questa contraddittorietà: la separazione tra disarticolazione dello Stato e organizzazione delle masse, pur rispecchiando il massimo luogo di odio proletario, oscillando tra il tentativo di aprire una dialettica sui bisogni (come nella campagna sulle forze militari) e l’apparente ignoranza di una campagna in corso (come nelle azioni Bachelet e Minervini rispetto al movimento dei Proletari Prigionieri).

La DS 80, pur avendo rappresentato il primo punto fermo nella comprensione dei nuovi compiti, non ha tuttavia sconfitto definitivamente il soggettivismo, né immunizzato il suo ripresentarsi. In che senso ?

La comprensione dei nuovi compiti era prevalentemente assunzione della elaborazione teorica contenuta nell’“Ape..”, calata su un impianto ancora pesantemente influenzato dai compiti precedenti, che ruotava attorno alla centralità dell’O e stentava a rapportarsi con i differenti livelli di espressione delle lotte di massa. Non a caso l’esperienza maggiormente positiva è stata la campagna per la chiusura dell’Asinara, una campagna che già viveva in uno strato di classe che aveva maturato livelli di organizzazione e di antagonismo irripetibili meccanicamente in altre situazioni. Il dibattito intorno a “Nuclei o OMR” pur essendo tutto interno ai nuovi compiti (e rappresentando quindi un livello diverso di battaglia politica contro il soggettivismo, da quello che si esprimeva intorno a “cellule o nuclei”), rispecchiava un approccio ridotto alla problematica dell’organizzazione della masse, il cui referente di fatto erano quelli d’accordo con la linea politica e con le campagne dell’O, mentre scomparivano o venivano sottovalutati i movimenti di massa pur con contenuti e livelli di maturità differenti. Il SPPA risultava essere un modello stereotipato a cui adattare una realtà ricca di molteplici espressioni e forme di organizzazione. Il combattimento non era sintesi di una attività molto più complessa e vasta di direzione rivoluzionaria, non rilanciava in avanti la mobilitazione di massa, ma in parte la esaminava, inconsciamente cercava di compensare la debolezza della linea di massa. Aver introdotto nel dibattito la “questione del lavoro legale” non significa ripiegare dopo una sconfitta perché non siamo certo in presenza di riflusso del movimento rivoluzionario, quanto spingere la nostra attenzione ed il nostro referente non solo alle esperienze più mature ed organizzate clandestinamente, ma anche a quelle che si mobilitano a livelli di semilegalità.

Insomma si tratta di capire che i movimenti non sono un tutto piatto da cui emerge l’avanguardia rivoluzionaria, si tratta di imparare a rapportarsi ai livelli differenziati a cui si esprime la lotta di classe, senza per questo dire che ogni lotta ha lo stesso peso e lo stesso contenuto antistatuale ed anticapitalistico.

Un’ultima considerazione a proposito della costruzione dei quadri di partito. Anche qui non possiamo sopravvalutare ciò che si è trasformato da necessità in virtù. Un quadro politico formatosi sui documenti d’O, un quadro di propaganda armata, capace di “riportare la linea politica”, ma disabituato ad elaborare, certo proveniente dal vivo della lotta di classe e non dalle cattedre universitarie, ma ciò testimonia il radicamento dell’O e non di essersi dotata di strumenti adeguati a trasformare avanguardie di massa in quadri di partito. Alla luce di come il dibattito si sta sviluppando, dei contributi che tutti i compagni sono impegnati ad elaborare, dalla positività del confronto con le avanguardie comuniste non militanti dell’O e con realtà di massa interne al movimento proletario antagonista, oltre che dalle contraddizioni che da questo dibattito si sprigionano dando il polso della qualità del corpo militante, esprimendo gli elementi avanzati e quelli arretrati, possiamo riaffermare la giustezza e la necessità dell’impostazione che, nella dialettica continuità/rottura, ha privilegiato la rottura.

 

PERCHé ABBIAMO PARLATO DI DIFENSIVA STRATEGICA

 

La guerriglia nasce all’inizio degli anni ’70 dentro condizioni di controffensiva padronale e statuale, non tanto per rispondere ad una crisi che ancora non si manifestava concretamente come crisi generale del Modo di Produzione Capitalistico (MPC) (il cui primo segno premonitore è l’inconvertibilità del dollaro con l’oro, nell’agosto 1971), ma essenzialmente per mantenere l’offensiva dell’operaio massa sviluppatasi, se pur non linearmente e sempre per cicli di lotta, negli anni ’60 e culminata nel biennio ’68 69. La guerriglia, quindi, non aspetta il concretarsi del nesso crisi ristrutturazione per interpretare l’allusione al comunismo presente nelle lotte operaie. Se comunque, nel primo periodo della fase della propaganda armata (’71 ’74) l’offensiva guerrigliera si scagliava contro le gerarchie di fabbrica, con l’acuirsi di processi di crisi ristrutturazione e con l’evidenziarsi del dominio “politico” all’interno della Formazione Economico Sociale (FES), l’offensiva guerrigliera (in dialettica con 1’esigenza operaia di rompere lo accerchiamento della fabbrica) si pone sull’asse strategico dell’attacco al Cuore dello Stato (’74 ’78). La fase della Propaganda Armata si conclude grazie alla “Campagna di Primavera” del ’78, che non solo individua con più precisione rispetto al passato qual’é il “cuore dello Stato” da disarticolare, ma riesce a radicare ulteriormente la Lotta Armata per il comunismo tra le avanguardie del Proletariato Metropolitano (PM). Entrati nella fase di transizione dalla Propaganda Armata alla Guerra Civile dispiegata, l’offensiva guerrigliera non solo deve disarticolare il cuore dello Stato e propagandare la necessità della strategia della Lotta Armata per il Comunismo (LAxC), ma deve farsi carico di dirigere i1 processo di costruzione del Sistema del Potere Proletario Armato (SPPA) (PCC, Organismi di Massa Rivoluzionari OMR , Movimento di Massa Rivoluzionario MMR ).

Quindi l’offensiva guerrigliera è oggi reale ed offensiva soltanto se è adeguata ai compiti di fase. Di fronte ad una sconfitta del SPPA in costruzione, diventa vitale difendere strategicamente il processo di costruzione del SPPA. Questa difesa strategica è in primo luogo politica, cioè significa preparare nuove controffensive partendo da rettifiche e salti politici in dialettica con la classe. Ritirarsi nelle masse, cioè rifondare il processo di costruzione del SPPA in dialettica e all’interno stesso del movimento antagonista, significava e significa sviluppare una battaglia politica dentro il movimento rivoluzionario contro il soggettivismo, contro le sue varianti economiciste militariste che trasformano l’avanguardia rivoluzionaria non solo in apparato separato, ma soprattutto in retroguardia del PM!! Ritirarsi nelle masse e, colpendo le posizioni conquistate dal nemico all’interno del SPPA in costruzione, vuol dire individuare terreni unitari di lotta del movimento rivoluzionario al cui interno sviluppare questa battaglia politica.

Per tutto ciò abbiamo parlato di difensiva strategica. Dato che questi concetti si sono storicamente definiti come concetti militari, delle leggi della guerra sviluppate da Mao, probabilmente sono stati troppo “stretti” per esprimere compiutamente i contenuti politici ed i principi politici che intendiamo difendere strategicamente!

Quando abbiamo parlato di quadro strategico generale caratterizzato dalla difensiva, intendevamo ricordare ai soggettivisti che il rapporto di forza generale tra BI e PM è favorevole alla BI, che non è sufficiente ad esempio – un’azione contro i CC per affermare che già esiste un SPPA. che processa il “sistema di potere imperialista”. Intendevamo sostenere che il rapporto di forza generale tra il nesso crisi ristrutturazione per 1a guerra imperialista e il nesso crisi rivoluzione antimperialista per il comunismo, vede come aspetto dominante il primo nesso ed il secondo. come tendenza principale.

Volevamo rompere con l’ideologismo soggettivista, recuperando il metodo del materialismo storico e dialettico. Volevamo ricordare che – come su tutte le contraddizioni – la tendenza principale (in questo caso 1a rivoluzione) diventa aspetto dominante se distrugge l’aspetto dominante (in questo caso la ristrutturazione per la guerra imperialista).

Fatte queste considerazioni, entriamo nel merito di alcuni concetti e valutazioni espressi sopra che rappresentano inoltre un primo punto sul dibattito in corso, questo documento vuole essere però anche un primo contributo sui nodi teorici e strategici che si agitano nel movimento rivoluzionario, spesso plasmate da concezioni ultrasoggettiviste e metafisiche come nel caso del Partito guerriglia. L’obiettivo politico è lavorare all’arricchimento della teoria e della pratica della rivoluzione comunista nella metropoli imperialista; rimettere il materialismo storico e dialettico con i piedi per terra, riaffermare il metodo scientifico di analisi della crisi, la centralità della fabbrica e della produzione di merci, il rapporto dialettico fra Forze Produttive (FP) e Rapporti di Produzione (RP), tra guerra e politica.

 

LA DOMINANZA DEL POLITICO NELLA FES. FUNZIONE E CUORE DELLO STATO

 

Con la crisi le diverse regioni della FES hanno movimenti caotici e differenziati e si […] definitivamente, il POLITICO domina sulle altre regioni, crescentemente all’interno delle altre regioni stesse (nell’economico, nel giuridico, nel culturale, nel religioso, ecc..). In ultima istanza il dominio del politico è dettato […] regione economica del Modo di Produzione Capitalistico (MPC) proprio per favorire la riproduzione del rapporto di produzione capitalistico. Mentre ai tempi di Marx e Lenin era soprattutto “gendarme” “banda amata” per difendere i rapporti di produzione capitalistici, nella fase dominata dal capitale monopolistico multinazionale lo Stato diventa Stato Imperialista delle Multinazionali (SIM) che favorisce la riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici in qualità di Stato “capitalista collettivo” di Stato, “banca” di Stato, “capitalista reale”. Col dispiegarsi della crisi generale del MPC lo Stato accentua i processi di controrivoluzione preventiva e di statalizzazione della “società civile”, per questo lo stato si caratterizza come “Stato sociale” (che è il contrario dello Stato “riformista”). La militarizzazione della società civile, 1a statalizzazione dei sindacati, dei partiti politici, dei mass media, ecc. sono il riflesso del caratterizzarsi delle Stato come “Stato sociale”, sono il riflesso della dominanza del politico. Infatti il movimento Stato fabbrica è dominante rispetto al movimento fabbrica-Stato, così come è dominante il movimento più generale Stato società civile rispetto al movimento società civile Stato. Con la crisi il capitale non mantiene il suo dominio in maniera forzosa (come puro capitale…. come diceva PL), ma per poter superare la crisi stessa e poter nuovamente estendere il suo dominio riprendendo il ciclo economico, necessita di ristrutturazione per la guerra imperialista. La legge del valore lavoro non si estingue con la crisi è imposta, “forzosamente” dà l’intervento della violenza statale, ma al contrario dimostra la sua impietosa validità suscitando processi di ristrutturazione per la guerra imperialista IN BASE ALLA LEGGE DEL VALORE LAVORO, legge inesorabile del capitalismo la crescita del capitale che determina l’estensione del dominio capitalistico con l’estensione multinazionale della massa del lavoro salariato. Perciò l’estensione del dominio non è la semplice moltiplicazione dei centri di controllo e di comando, ma è in primo luogo estensione di un rapporto sociale che si dà a partire da quello principale, la produzione di plusvalore. È la stessa legge del valore lavoro in dialettica con la legge di caduta tendenziale del saggio di profitto (che ne è parte integrante) a rendere possibile e necessaria, cosi come è la stessa legge del valore lavoro, l’uscita dalla crisi attraverso i processi di ristrutturazione per la guerra imperialista. È la stessa legge del valore lavoro, è la regione economica, il MPC a promuovere la dominazione del politico mediante la rifunzionalizzazione dello Stato.

Lo Stato in qualità di macchina del dominio capitalistico, quando il capitale necessita e sviluppa processi di ristrutturazione per la guerra imperialista (per favorire la ripresa del ciclo economico), è reale organizzazione del rapporto sociale esistente fra le classi: nel favorire la riproduzione del Rapporto di Produzione Capitalistico (RPC) si funzionalizza in termini di Stato della ristrutturazione per la guerra imperialista, La funzionalizzazione concreta dello Stato in questo senso è qui data dal “partito della guerra imperialista”, insieme di consorterie presenti nei partiti (in particolare nella DC e nel PSI), nei ministeri (in particolare quelli più importanti dal punto di vista della politica economica oltre che in quelli squisitamente militari), oltre che dalle associazioni padronali (Confindustria, Intersind), nei mass-media la […] si é ormai impossessata dello Stato, cioè dall’insieme degli apparati di dominio. E questo partito è espressione organica di questa frazione dominante della borghesia e delle sue determinazioni sovrannazionali.

Per questo possiamo affermare che il “partito della guerra imperialista” in questa fase è il CUORE DELLO STATO che guida e tenta di egemonizzare i molteplici fronti della ristrutturazione secondo i ritmi e le priorità di questa tendenza in atto, la guerra imperialista in atto, non a caso questo “partito” si contrappone frontalmente al PM in quanto non essendo possibile un allargamento della base produttiva, garantisce peggiori condizioni di riproduzione della forza lavoro (fl) complessiva comprimendo i costi di tale produzione (ad esempio il taglio della spesa sociale, l’aumento delle spese militari e dei fondi per le multinazionali), fornendo una nuova organizzazione del lavoro con cui intensificare lo sfruttamento ed espelle fl eccedente; favorendo la ristrutturazione del mdl per spezzare la rigidità della forza lavoro e per sviluppare mobilità.

Lo Stato come “Stato sociale” il cui cuore è il “partito della guerra imperialista” favorisce l’accelerazione-sviluppo dei processi di ristrutturazione per la guerra imperialista all’interno della società civile e, quindi, prepotentemente contro il PM. Per questo far vivere il “generale”, cioè le direttrici del “partito della guerra imperialista” sempre di più in ogni particolare […] di diversi settori del PM (anche se non tutti i particolari “hanno lo stesso peso specifico” e diverso è il loro rapportarsi con il “generale”).

In questa fase, infatti, dominanza del politico significa anche massima polarizzazione politica tra BI e PM in quanto anche i Bisogni Immediati (favorendo “pesi specifici diversi”) si scontrano con il Modo di Produzione Capitalistico (MPC) e lo Stato; pertanto lo SIM si caratterizza come Stato della ristrutturazione per la guerra imperialista, nella misura in cui è Stato della controrivoluzione preventiva scatenata.

In questo quadro la contraddizione principale; 1a contraddizione BI PM arriva ad una maturità superiore diventando contraddizione antagonista; il rapporto SIM PM, la lotta di classe, si materializzerà sempre di più in termini di scontro di potere in guerra di classe. Venutesi a creare nuove condizioni favorevoli alla rivoluzione proletaria ria stante i processi internazionali di crisi ristrutturazione per la guerra imperialista che partono dalle metropoli e stante la controrivoluzione preventiva scatenata, è possibile e necessario trasformare lo scontro di potere in scontro per il potere, la guerra di classe. in. guerra. rivoluzionaria antimperialista per il comunismo.

 

SULLA GUERRA E SULLA POLITICA

 

Ogni società divisa in classi ha sostanzialmente alla sua base la guerra, pertanto è sbagliato dire che oggi “la guerra informa la politica” perché ciò potrebbe essere inteso come dominanza del militare sul politico; in eguale misura é scorretto separare il politico dal militare. Separando il politico dal militare lo stesso processo rivoluzionario verrebbe ricondotto ad una interpretazione terzointernazionalista, dividendo ciò che è tendenzialmente unito nel PM e che da ora è unito dall’avanguardia comunista. combattente e dai livelli più significativi dell’antagonismo proletario. Inoltre si metterebbe in secondo piano la politica rivoluzionaria necessaria per trasformare la guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo, per trasformare l’attuale antagonismo del PM in “inimicizia assoluta” del PM nei confronti della BI.

Se affermiamo che già esiste “l’inimicizia assoluta” (che per Lenin è la guerra dispiegata della classe) a cosa servirebbe la politica rivoluzionaria?

Nella guerra di classe metropolitana la guerriglia è la forma di guerra rivoluzionaria che riunendo il politico ed il militare sulla base della “politica che guida il fucile” fa unire la strategia della LAxC per trasformare 1’autonomia proletaria in “inimicizia assoluta” con la borghesia e lo Stato. Cioè la guerra civile dispiegata di lunga durata per il comunismo.

Per questo la politica rivoluzionaria non é una semplice appendice di una “inimicizia assoluta” di una “guerra sociale totale”: la politica rivoluzionaria serve proprio per poter realizzare la trasformazione verso la “inimicizia assoluta” (comunque) per favorire la costruzione del SPPA deve canalizzare scientificamente le lotte proletarie ed il combattimento proletario contro lo Stato. Non si tratta di colpire i “mille cuori” del potere sociale, ma di dirigere e organizzare la lotta ed il combattimento proletario contro il potere politico, contro lo Stato ed in primo luogo contro il suo cuore [….] “partito della guerra imperialista” a livello centrale e periferico.

In questa fase solo attaccando il “partito della guerra imperialista” il PM può trasformare i rapporti di forza nel sociale. Solo attaccando le determinazioni di questo “partito” a livello centrale e periferico il PM può avere un peso politico reale in questa società.

Il PM non deve avere un generico “potere sociale” ma proprio per i contenuti sociali della necessità/possibilità della transizione al comunismo deve conquistare ciò che la borghesia vuole negargli: il potere politico che per il PM è esclusivamente potere politico rivoluzionario per il comunismo. La politica rivoluzionaria non […] il politico ed il militare sin da ora, ma il politico, il militare e il sociale vive nella società soltanto nella misura in cui esiste progettualità rivoluzionaria. Progettualità rivoluzionaria è sapere condensato per la transizione al comunismo, è memoria storica della possibilità/necessità dell’arricchimento maturo del marxismo leninismo nella metropoli imperialista: è progettualità basata sul metodo del materialismo storico e dialettico; è lotta contro l’ideologismo e il soggettivismo, la metafisica. Comunismo non è un ideale, è una comunità reale, cioè una società senza classi da costruire non mediante una “metafisica rivoluzionaria permanente totale” di trotskiana memoria, ma attraverso la rivoluzione realizzata per tappe storicamente determinate. La guerra di classe non è un concetto dell’avanguardia comunista combattente per meglio definire le molteplicità dei compiti presenti nel processo rivoluzionario e per definire particolarmente la sua attività. L’avanguardia comunista combattente del PM non è solo soggetto portatore di teoria rivoluzionaria, ma è parte e direzione della guerra di classe per trasformala in una guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo. La LAxC non è più soltanto come nella fase della propaganda armata la strategia che l’avanguardia politica pratica o propaganda tra le masse, ma sempre nelle lotte che si proiettano verso il comunismo; la strategia della LAxC è sempre più l’unica e reale politica rivoluzionaria e proletaria.

La possibilità/necessità della trasformazione della guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo è un movimento, un rapporto dialettico con i processi di crisi/ristrutturazione per la guerra imperialista che fanno del nostro paese un anello debole proprio quando cerca di saldarsi meglio alla catena imperialista ed in primo luogo agli usa. L’attività dispiegata dall’antagonismo del PM maturato da profonde cause oggettive non si ricompone “oggettivamente” né tanto meno questa attività può essere ricomposta a livello superiore un [….] operato dell’avanguardia comunista combattente (che in questo caso viene relegata al ruolo di retroguardia).

L’attività generale del PM determinata dalla contraddizione principale (BI/PM) […] e non vivendo allo stesso livello dei rapporti di forza si trasforma e riduce la società con la modificazione dei rapporti di forza generali.

In questo processo il Partito in costruzione all’interno del SPPA in costruzione ha un’importanza fondamentale. Il Partito non deve “riassumere” tutto ciò che dalle masse si sviluppa. Non tutti i contenuti dell’antagonismo alludono al comunismo, molti bisogni immediati alludono ad un comunismo povero!!!

Il movimento di attività generale che le masse proletarie svolgono è un movimento complesso perché differenziato al suo interno dalla scomposizione operata dalla BI: compito del Partito è ricomporlo al livello più alto dentro la strategia della LaxC. L’attività generale delle masse va colta per intero in tutta la sua “scomposizione”, in tutti i suoi diversi livelli di antagonismo e contemporaneamente il Partito deve individuare i livelli più significativi che nella fase tendono alla ricomposizione della classe in classe per sé.

Dentro l’attività generale delle masse si colloca l’iniziativa molteplice dell’avanguardia comunista combattente per dirigere il processo di costruzione del SPPA; le attività, i contenuti, gli obiettivi più significativi espressi dall’antagonismo proletario vanno ricomposti-unificati dal Partito mediante il Programma Politico Generale (PPG) che in questa fase è necessario per la disarticolazione proletaria dei processi in atto sviluppati dalla BI per la costruzione di nuovi rapporti di forza. Il rapporto di forza esistente tra BI e PM, tra guerra imperialista in atto e rivoluzione proletaria si può ribaltare soltanto trasformando i rapporti di forza generali, solo con la conquista del potere politico. La trasformazione dei rapporti di forza generali mediante la conquista proletaria del potere politico, quindi con l’abbattimento dello Stato e la disarticolazione del MPC è tappa preliminare rispetto alla possibilità necessità della dittatura rivoluzionaria per il comunismo. Solo con la conquista proletaria del potere politico, solo con il raggiungimento di questa tappa preliminare è possibile trasformare quello che è l’aspetto dominante della contraddizione principale in questa fase e cioè il processo di guerra imperialista in atto, in aspetto secondario, e la rivoluzione proletaria da tendenza principale in concreto aspetto dominante della contraddizione principale. CONTRADDIZIONE CHE PUO’ MORIRE SOLO CON IL COMUNISMO, SOLO CON LA SOCIETA’ SENZA CLASSI.

 

MOVIMENTO PROLETARIO ANTAGONISTA, COSTRUZIONE DEL SPPA INTORNO AD UN PROGRAMMA POLITICO GENERALE.

 

Con la crisi il capitale non riesce a procedere ulteriormente alla propria valorizzazione complessiva, la lotta di classe, stante il dominio del capitale monopolistico multinazionale, si accentua a livello mondiale. Possiamo affermare che oggettivamente in ogni diversa FES, sia in quella in cui il capitale “domina realmente” come nelle metropoli, sia in quella in cui domina (in)formalmente come nella periferia imperialista, la lotta di classe ha in sé i contenuti latenti della possibilità/necessità della transizione al comunismo. Malgrado la lotta di classe si esprima in modi diversi a livello quantitativo e qualitativo, malgrado la diversità dei processi rivoluzionari, malgrado le diverse tappe dei processi rivoluzionari nelle periferie rispetto a quelle dei processi rivoluzionari nelle metropoli, possiamo affermare che la possibilità/necessità della transizione al comunismo viva latentemente a livello mondiale […] in un nuovo internazionalismo proletario.

Nella nostra FES la lotta di classe ha raggiunto un alto livello di maturità e si esprime in termini di rapporto di guerra; in questa fase i processi in atto di ristrutturazione per la guerra imperialista, pur dentro rapporti di forza sfavorevoli congiunturalmente al PM, costituiscono condizioni oggettivamente favorevoli per la rivoluzione proletaria in quanto costituiscono la causa della contraddizione Stato/PM. Sono nel [….] della lotta di classe in termini di scontro di potere, di guerra di classe. Quando la lotta proletaria ai sviluppa e tende a generalizzarsi e ramificarsi non è recuperabile in alcun modo dalla BI e non può essere finalizzata ad un ulteriore sviluppo del capitale, cosa che poteva avvenire in una fase di crisi ciclica del MPC.

La guerra di classe è dunque il risultato dell’approfondimento della contraddizione FP/RP nella crisi a partire dai punti focali dove più forte e maturo è l’antagonismo: la grande fabbrica metropolitana. I processi di crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista fanno aumentare lo sfruttamento capitalistico della classe operaia che essendo DENTRO i rapporti di produzione capitalistica e crescentemente CONTRO questi stessi rapporti possiede le maggiori potenzialità dell’antagonismo assoluto e complessivo del modo di produzione borghese: fanno peggiorare le condizioni di vita e di lavoro del proletariato marginale; fanno aumentare le quote di proletariato emarginato a cui appartiene il proletariato extralegale inteso in senso stretto (perché le attività extralegali tendono a coinvolgere tutti i diversi settori del PM) ed il proletariato prigioniero in senso stretto (cioè aumentano i PP “stabili” relativamente al PP “instabile”). Il proletariato emarginato possiede la forza lavoro che il capitale non può più impiegare né esportare e quando si nega come forza lavoro […] il proletariato extralegale; ciò non vuol dire che i proletari emarginati ed in particolare i proletari extralegali siano di per sé antagonisti assoluti e complessivi del MPC. Da questo punto di vista è sbagliato parlare di una enorme massa di capitale variabile vagante che il capitalismo stesso non può più impiegare né esportare e che a sua volta si nega come forza lavoro, affermando se stessa come antagonista assoluto e complessivo del MPC (crisi, guerra internazionalismo proletario. PG, Palmi) Infatti all’MPC e allo Stato si contrappone un movimento proletario antagonista caratterizzato dalla resistenza attiva a partire a dalla lotta DENTRO e CONTRO i rapporti di produzione capitalistici, FUORI e CONTRO lo Stato.

A differenza della resistenza passiva della disobbedienza civile “LA RESISTENZA ATTIVA È RESISTENZA OFFENSIVA” in quanto il movimento proletario antagonista oltre a resistere contro i processi di ristrutturazione per la guerra imperialista è offensivo per 1’allusione della transizione al comunismo esistente nel vivo della lotta al MPC e allo SIM. Le lotte proletarie che tendono a generalizzarsi con difficoltà relative stante una controrivoluzione preventiva scatenata, non sono le lotte economico politiche, ma le lotte proletarie contro lo Stato! Il no operaio al tetto antinflazione sugli aumenti salariali imposti dal governo Spadolini; il no! operaio all’attacco della confindustria della scala mobile; il no! operaio alla politica economica dello Stato basata sul taglio delle spese sociali e sull’aumento delle spese militari e dei fondi destinati alle imprese multinazionali in testa; il no! proletario alla NATO e ai blocchi militari in generale e complessivamente alla guerra imperialista. Queste lotte hanno contenuti molto avanzati e fanno parte del movimento proletario antagonista, la base sociale in cui è possibile e necessario costruire le basi sociali rivoluzionarie e cioè il SPPA con le tre determinazioni: il Partito, gli OMR, i MMR.

Il SPPA si costruisce a partire dalla lotta proletaria e si estende DENTRO e CONTRO i rapporti sociali di produzione capitalistici, FUORI e CONTRO lo Stato. Se invece si credesse possibile costruire tale sistema esclusivamente fuori e contro i rapporti di produzione capitalistici, non solo mancherebbe la centralità operaia, ma addirittura si arriverebbe a riproporre un programma immediato unico per tutto il PM basato sull’esproprio proletario, si privilegerebbe la lotta alla distribuzione capitalistica dei redditi e delle merci. Nella contraddizione valore d’uso valore di scambio si privilegerebbe l’aspetto esistente nella distribuzione senza capire che i rapporti di distribuzione e di scambio sono determinati in ultima analisi dai rapporti di produzione. Inoltre con il concepire la costruzione del SPPA separatamente dai rapporti di produzione capitalistici è frutto di un’analisi del MPC in cui le forze produttive ed i rapporti di produzione non vengono evidenziati come un’unità di opposti anche quando raggiungono il massimo livello di tendenza divaricante, ma esclusivamente come rapporto tra elementi separati.

Così come gli elementi più avanzati di lotta del PM si sviluppano dentro e contro i rapporti di produzione capitalistici, fuori e contro lo Stato, nelle metropoli imperialiste ed in particolare in questa fase costruire il SPPA non vuol dire costruire le “basi rosse”, le “zone rosse in cui esercitare il potere rosso, perché non ci sono zone liberate, territori da difendere e non esistono, come è stato in Cina, territori da difendere e masse armate: basi sociali rivoluzionarie non significa neanche “basi rosse invisibili” perché l’ambiguità del concetto di invisibilità ha pontato e porta il SPPA in costruzione a diventare invisibile alla classe, la clandestinità in riferimento agli OMR in costruzione, non deve significare invisibilità al movimento rivoluzionario e al movimento antagonista, ma esclusivamente clandestinità rispetto allo Stato.

I1 SPPA non si costruisce per linee esterne al movimento antagonista, si può costruire solamente per linee interne al movimento antagonista e a partire dall’alto, cioè dai livelli di lotta più alti in termini di contenuti e forma che debbono essere “condensati” dalla guerriglia mediante un Programma Politico Generale (PPG) per dirigere, mobilitare organizzare la lotta ed il combattimento proletario contro lo Stato della ristrutturazione per la guerra imperialista. (Le campagne non sono “campagne d’O” bensì campagne per organizzare l’offensiva proletaria nelle nuove condizioni di controrivoluzione preventiva scatenata.)

Nella dialettica masse Partito-masse si dà possibilità concreta di costruzione della linea di massa rivoluzionaria per attaccare il cuore dello Stato partendo dai contenuti più avanzati presenti nelle lotte del PM. Il rapporto masse/Partito/masse è storicamente determinato e attualmente si esprime come rapporto: movimento proletario antagonista/Partito in costruzione. Movimento proletario antagonista in cui è possibile e necessario costruire il SPPA e trasformare le scontro di potere in scontro per il potere.

A proposito del SPPA vanno fatte alcune doverose precisazioni. Se con la DS 80 si superava l’idealismo presente in certe tesi sviluppate nel ’79, come quella in base alla quale “gli OMR sono sorti e sorgono in conseguenza del divenire oggettivo della crisi” (2° delle 20 tesi finali pubblicate nell’Ape e il comunista), perché in realtà gli OMR non nascono spontaneamente come ci dimostrano questi ultimi anni di pratica sociale, oggi è fondamentale battere sempre nel vivo della pratica sociale tutte le concezioni soggettivistiche del SPPA alla cui base c’è sempre l’idealismo. L’esistenza di un SPPA in costruzione. non deve, ad esempio, far considerare la costruzione del PCC come già realizzata, l’esistenza del movimento di massa rivoluzionario come già DATA, come se fosse qualcosa di statico e non invece unito/distinto dal movimento proletario antagonista, e gli OMR in costruzione come “anello permanentemente mancante”, o meglio “permanentemente mancante” anche quando esistono migliaia di OMR […] allora a SPPA costruito e considerato le tre determinazioni (PCC – OMR – MMR) essendo in continuo mutamento nel loro reciproco e nel rapporto con il movimento antagonista, da un lato, e nel rapporto con lo Stato e con il MPC, dall’altro lato sarebbero permanentemente mancanti! Costruzione del PCC e OMR sono processi distinti ma in stretta unità dialettica, tanto che non si dà PCC senza la costruzione direzione e conquista degli OMR; così come non si dà costruzione degli OMR senza una loro direzione del movimento di massa antagonista in movimento di massa rivoluzionario.

In questa fase: trasformare lo scontro di potere in scontro per il potere, trasformare la guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista vuol dire costruzione del SPPA intorno ad un programma generale che, congiuntura dopo congiuntura, disarticolando lo Stato della ristrutturazione per la guerra imperialista e della controrivoluzione scatenata, si costruisce in dialettica con i contenuti più avanzati delle lotte del PM (contro la guerra, la cassa integrazione, la nuova organizzazione del lavoro, contro la ristrutturazione del mercato del lavoro, contro lo Stato del terrore e della tortura) che alludono, in continuità con le lotte degli anni ’70, ad un programma generale di transizione al comunismo.

Il Programma Politico Generale vive all’interno dei diversi settori di classe del PM mediante il Programma Politico Immediato, e in questa fase di transizione dalla propaganda armata alla guerra civile dispiegata ha come obiettivo la CONQUISTA DEL POTERE POLITICO. Conquistare il potere politico vuol dire costruire rapporti di forza generali favorevoli al PM; vuol dire distruzione abbattimento dello Stato e disarticolazione del MPC; conquistare il potere politico come tappa preliminare per la possibilità necessità del suo movimento rafforzamento ATTRAVERSO LA DITTATURA RIVOLUZIONARIA DEL PM nella prospettiva dell’abolizione insieme alla classe di ogni potere dell’uomo sull’uomo.

Nelle metropoli imperialiste la dittatura rivoluzionaria del PM può e deve darsi soltanto sul terreno politico mediante la POLITICA RIVOLUZIONARIA, può e deve materializzarsi in ogni rapporto sociale caratterizzandosi come dittatura rivoluzionaria integrale (a livello economico culturale, ecc) per la CONTINUA DISTRUZIONE del MPC e quindi per la costruzione della società senza classi. La dittatura rivoluzionaria del PM, periodo storico ineliminabile per la transizione dal capitalismo al comunismo, considerando sempre che il comunismo o è per tutti o non è comunismo, non può esistere senza eliminazione globale dell’intero sistema imperialistico mondiale. (Da questo punto di vista internazionalismo proletario, che per altro non concede spazio ad alleanze tattiche con nessuna forza imperialistica specie per il proletariato delle metropoli dell’est e dell’ovest, è elemento centrale e decisivo del programma rivoluzionario.)

 

 

SULLA CENTRALITÀ DELLA PRODUZIONE DI MERCI

 

La legge del valore lavoro, legge fondamentale del MPC, dimostra da un lato l’origine dello sfruttamento nell’estrazione capitalistica di plusvalore (grazie all’uso capitalistico della forza lavoro) e, dall’altro, dentro una tendenza verso zero del valore, la necessità capitalista dell’aumento tendenziale del saggio di plusvalore (o saggio di sfruttamento pv/v); comunque la produzione di valore e plusvalore trova un limite nella riproduzione capitalistica allargata, nella accumulazione capitalistica in cui vive la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto (pv/c+v) grazie al continuo aumento della composizione organica del capitale (c/v).

L’aumento tendenziale del saggio di plusvalore e la caduta tendenziale del saggio di profitto costituiscono la causa oggettiva in ultima istanza della necessità e sviluppo del dominio reale del capitale (basato sulla produzione di plusvalore relativo) e del suo attuale stadio superiore dettato dal CAPITALE MONOPOLISTICO MULTINAZIONALE e dal suo processo MULTI PRODUTTIVO.

Infatti è questa la pausa dello sviluppo a fianco e dentro le due branche della produzione (produzione di mezzi di produzione e produzione di beni di consumo di massa in cui sono compresi anche i beni di lusso), della produzione di “modelli di consumo” e di “sistemi ideologici”. Questa produzione non è una nuova branca di produzione finalizzata esclusivamente alla “realizzazione riproduzione del plusvalore relativo, del rapporto sociale dominante”. La produzione delle forme della coscienza si divide in due: infatti lavoro produttivo di plusvalore e lavoro improduttivo di plusvalore necessario alla sua realizzazione riproduzione, vivono ora nella produzione delle forme della coscienza e quest’ultima si sviluppa a fianco e dentro le due branche della produzione. Ciò è dimostrato, per esempio, dal rapporto multinazionali mezzi di comunicazione di massa (vedasi i diversi testi di Mattelart).

La produzione di sistemi ideologici e di sistemi di consumo non solo è finalizzata alla realizzazione riproduzione del plusvalore relativo, ma anche alla produzione diretta di plusvalore, stante una crescente mercificazione della produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo.

La produzione di merci non è esclusivamente produzione di merci salari ma anche – ad esempio di merci lezioni, come diceva Marx già un secolo orsono. La produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo non è esclusivamente produzione di nuovi bisogni e creazione di nuovi valori d’uso, ma anche produzione di merci, aventi come tutte le merci un valore d’uso ed un valore di scambio, originato dal valore incorporato.

Nelle metropoli l’estensione del lavoro improduttivo di plusvalore, necessario alla realizzazione riproduzione di plusvalore (a cui per esempio corrisponde l’estensione del proletariato dei servizi) si sviluppa grazie al gigantesco aumento di produttività di plusvalore del capitale monopolistico multinazionale).

I1 lavoro produttivo di plusvalore non si riduce però alla sola produzione di merci salari, ma si diversifica nel continuo processo multiproduttivo del capitale monopolistico multinazionale fino a coinvolgere la stessa produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo grazie ai processi intestini di mercificazione dettati dal crescente dominio reale del capitale.

Nel dominio reale del capitale non esiste una branca produttiva di merci ed una produttiva di nuovi bisogni e di nuovi valori d’uso, proprio perché non solo la produzione di merci è egemone e centrale, ma anche perché la produzione di merci si estende e diversifica coinvolgendo la stessa produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo.

In caso contrario la tendenza oggettivamente divaricantesi valore d’uso – valore di scambio verrebbe considerata metafisicamente come tendenza realizzata stante l’esistenza di una vera e propria branca produttiva di nuovi valori d’uso […] come sembra credere chi, cercando di “forzare l’orizzonte” non fa che rispolverare le vecchie tesi marcusiane della “società dei consumi” e dell’uomo ad una dimensione, questa volta è chiamato uomo merce.

Nella fase del capitale monopolistico multinazionale, essendo ormai creato il mercato mondiale, non solo si deve sviluppare una nuova qualità del rapporto produzione/consumo, per continuare l’espansione economica, ma si devono avviare processi di mercificazione della stessa produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo. Questa mercificazione è il riflesso storico della divisione interna alla produzione di merci, del lavoro in lavoro manuale e intellettuale, della generale divisione sociale del lavoro. Col dominio reale del capitale sul lavoro, sulle forze produttive, non solo il lavoro intellettuale domina e controlla il lavoro manuale ed il lavoro morto domina sul lavoro vivo, ma si mercifica la produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo in cui il lavoro si divide, anche qui, in lavoro manuale ed intellettuale, Quindi, dominio reale del capitale, dominio del lavoro intellettuale sul lavoro manuale e del lavoro morto sul lavoro vivo significa anche e crescentemente mercificazione imposizione di sistemi ideologici e di modelli di consumo.

Per questo la contraddizione valore d’uso valore di scambio anche nella fase del dominio reale del capitale, anche nel suo stadio di ulteriore sviluppo dominato dal capitale monopolistico multinazionale, deve essere analizzata a partire dalla produzione di merci, produzione che possiamo anche definire produzione multinazionale e multiproduttiva di merci.

 

SULLE CAUSE OGGETTIVE DELLA CRISI DI SOVRAPPRODUZIONE ASSOLUTA DI CAPITALE

 

La contraddizione fondamentale del MPC è la contraddizione valore d’uso valore di scambio (forma fenomenica del valore) insita nel duplice carattere della merce, tendenza all’illimitato sviluppo del valore d’uso e tendenza verso zero della produzione di valore. Tale dinamica divaricante trasferita al capitale sociale rimanda ad un’altra contraddizione, cioè la contraddizione tra il contenuto materiale della produzione in rapporto a tutta la società e le forme in cui si distribuisce il prodotto che ne risulta.

A partire dalla produzione capitalistica la contraddizione valore d’uso-valore di scambio si esprime come contraddizione nella diversa dinamica tra le determinazioni nella concreta esistenza delle singole categorie del capitale (composizione tecnica del capitale) e loro composizione in valore, cioè tra mezzi di produzione, forza lavoro e plusprodotto da un lato e capitale costante, capitale variabile e plusvalore, dall’altro; quindi anche nelle contraddizioni: mezzi di produzione/capitale costante, forza lavoro/capitale variabile, plusprodotto/plusvalore. Ma nella dinamica dello sviluppo capitalistico si manifesta una contraddizione anche nelle diverse dinamiche delle singole categorie tra loro.

“In altre parole mentre il capitale costante si riproduce su scala allargata, con una dinamica di sviluppo tendente verso l’alto, il capitale variabile, relativamente a quello costante, tende a decrescere. Già questo fatto ci impone di considerare la composizione organica del capitale sia dal punto di vista della sua composizione in valore, che da quello della sua composizione tecnica. E’ importante richiamare la duplice determinazione della composizione organica di capitali perché è da questi rapporti che scaturisce il plusvalore e, data la diversa dinamica con cui questi elementi si riproducono, ne risulta che il capitale non è da parte sua riproducibile all’infinito, ma è limitato nella riproduzione di tali rapporti. Se è vero che il plusvalore si realizza nell’ambito della circolazione è pur vero che esso ha alla sua base un plusprodotto che risulta dal processo di produzione […] Nel modo di produzione capitalistico il tempo di lavoro necessario tende verso zero, ne deriva che il plusvalore aumenta in rapporto inversamente proporzionale. Da qui sorge un’altra barriera: poiché il plusvalore è la base di un diverso rapporto, ossia è la base su cui si fonda il profitto, ne consegue che, mentre il saggio di plusvalore in quanto saggio di sfruttamento tende ad aumentare, nella sua metamorfosi, nella sua proiezione, il saggio di profitto tende verso la caduta. È proprio qui la diversa dinamica del rendimento del valore, unica determinazione del profitto, motore principale dello sviluppo capitalistico, sta la ragione ultima, oggettiva della crisi di sovrapproduzione assoluta di capitali”. (da Corrispondenza Internazionale: la FES in Lenin pag. 241)

Nella fase dominata dal capitale monopolistico multinazionale (nelle due varianti: multinazionali occidentali e società miste internazionali a polo dominante russo) la produzione, a partire dalle metropoli diventa essenzialmente produzione di PLUSVALORE RELATIVO, anche se permane la produzione di plusvalore assoluto, essenzialmente nella periferia del sistema imperialista mondiale. Il capitale monopolistico multinazionale è capitale il cui livello sociale risiede nelle metropoli, vive e si realizza nelle metropoli a livello intermetropolitano e nell’intreccio metropoli periferia del sistema imperialista mondiale. Pertanto le metropoli non possono essere definite “fabbrica totale” perché oltre a non produrre e realizzare esclusivamente plusvalore relativo, non esauriscono in sé i rapporti di produzione, distribuzione e scambio capitalistici multinazionali: in caso contrario si arriverebbe a credere, con schemi tardo luxemburghiani, all’esistenza di “aree capitalistiche” e di “aree non capitalistiche”. In eguale misura, le metropoli non sono “fabbriche diffuse” perché altrimenti non si distinguerebbe più il lavoro produttivo di valore da quello improduttivo; inoltre le metropoli non sono basate sul “decentramento produttivo” perché altrimenti si scambierebbero alcune controtendenze alla caduta del saggio di profitto, quali l’estensione del lavoro salariato produttivo di tipo nero e/o precario, per controtendenze principali e quindi si arriverebbe ad affermare più o meno indirettamente che nelle metropoli la produzione di plusvalore e principalmente produzione di plusvalore assoluto grazie al massimo prolungamento della giornata lavorativa, ed ai salari bassissimi, caratteristica peculiare delle fasce produttive di proletariato marginale.

Fatte queste dovute precisazioni possiamo riaffermare che, a partire dalle metropoli, la produzione capitalistica diventa essenzialmente produzione di plusvalore relativo, diventa produzione di […] centralità della classe operaia e delle grandi concentrazioni industriali all’interno del PM, il quale è la forma principale del movimento antagonista e rivoluzionario.

La diminuzione del tempo di lavoro necessario avviene mentre aumenta il tempo di lavoro superfluo, il tempo di lavoro che origina il plusvalore: il tendenziale aumento del saggio dì plusvalore avviene nell’ambito di una crescente diminuzione del tempo e il lavoro astratto socialmente necessario cristallizzato nelle merci e cioè nell’ambito di una tendenza verso zero del valore.

Poiché la forza lavoro è l’unica fonte del valore e del plusvalore, nel processo di accumulazione capitalistica, con l’aumento della composizione organica del capitale, il plusvalore prodotto è troppo piccolo relativamente al valore del capitale complessivo accumulato, cioè non riesce a valorizzare l’intero capitale e non riesce a fargli compiere il necessario salto di composizione organica. Pertanto si ha una caduta tendenziale del saggio di profitto.

L’aumento tendenziale del saggio di plusvalore e la caduta tendenziale del saggio di profitto, nella fase in cui, principalmente a partire dalla metropoli, domina realmente il capitale sul lavoro, sulle forze produttive sociali, nella fase dominata dal capitale monopolistico internazionale, portano con sé contraddizioni esplosive. Per questo la tendenza oggettivamente divaricantesi tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto è in ultima analisi, la causa oggettiva della possibilità necessità della CRISI DI SOVRAPPRODUZIONE DI CAPITALE (sopra tutto in termini di capitale costante e variabile ed in misura del tutto secondaria come sovrapproduzione di merci) […] così come era stata 1a causa oggettiva della nascita, sviluppo e dominio del capitale monopolistico multinazionale.

 

CRISI DEL RAPPORTO FORZE PRODUTTIVE CAPITALISTICHE/RAPPORTI DI PRODUZIONE CAPITALISTICI

 

La crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale tende a portare al limite la contraddizione valore d’uso valore di scambio, lavoro necessario pluslavoro, lavoro vivo lavoro morto, lavoro concreto lavoro astratto, lavoro manuale lavoro intellettuale, sapere sociale generale espropriazione culturale del lavoro salariato, lavoro alienato mezzi di produzione e merci, cervello: sociale braccio manuale […] e più in generale la contraddizione forze produttive rapporti di produzione (FP/RP) si sviluppa ad un livello superiore all’interno del dominio dei rapporti di produzione capitalistici, non solo sulle FP (con il rapporto di proprietà privata dei mezzi di produzione), ma soprattutto e crescentemente, dentro le FP stesse.

È il passaggio dalla produzione di plusvalore assoluto a quella di plusvalore relativo, è il dominio del lavoro morto sul lavoro vivo, è il passaggio storico dall’operaio professionale dei tempi di Gramsci allo operaio massa attuale, elemento centrale del proletariato metropolitano, in quanto figura centrale della classe operaia. Nella contraddizione FP/RP capitalistici, i rapporti di produzione capitalistici non sono stati mai esterni alle FP (anche nella fase del dominio formale del capitale sul lavoro) e, quindi le FP non sono mai state neutrali o progressive (così come credevano i revisionisti Kautsky e Bukharin).

Come già diceva Marx un secolo fa: “il capitale produce essenzialmente altro capitale; e lo fa nella misura in cui produce plusvalore. Analizzando il plusvalore relativo così come la conversione del plusvalore in profitto, abbiamo visto come questo principio sia alla base del modo di produzione proprio dell’era capitalistica; forma particolare dello SVILUPPO DELLE FORZE PRODUTTIVE SOCIALI DEL LAVORO, ma in quanto FORZE AUTONOME DEL CAPITALE, CONTRO L’OPERAIO ed in opposizione diretta con il suo sviluppo proprio” (dal Capitale, libro III°). Nello stesso capitolo leggiamo che: “….. la tendenza a ridurre i costi di produzione al loro minimo diventa il mezzo più potente per soffocare la forza produttiva sociale del lavoro; ma questa crescita risulta essere la crescita delle forze produttive del capitale.

La separazione che il capitalismo opera tra lavoro e mezzi di produzione costituisce la possibilità del rapporto di produzione capitalistico. Quindi la forza lavoro è la prima ed essenziale forza produttiva in qualità di rapporto di produzione capitalistico, forma salariata del lavoro sociale.

Per una concezione metafisica della realtà una forza produttiva non può al contempo essere anche rapporto di produzione e viceversa. Per una concezione metafisica della realtà le forze produttive sono viste come separate dai rapporti di produzione. Con la crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale, il rapporto FP/RP è sempre più contraddittorio pur rimanendo una contraddizione interna al MPC in quanto la loro dinamica divaricante può essere realizzata soltanto dalla vittoria rivoluzionaria del PM sul capitale. Tra la contraddizione FP/RP e la lotta di classe esiste un legame dialettico e non meccanico determinista come vedono i soggettivisti metafisici. Pertanto è sbagliato richiamarsi esclusivamente al Manifesto del 1848 “la forza motrice della storia è la lotta di classe”, o esclusivamente alla prefazione di “Per la critica dell’economia politica” dove si afferma che “….. ad un certo grado di sviluppo le FP entrano in contraddizione crescente con i RP ed allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”. La lotta di classe è il reale motore della storia e la sua base è la contraddizione FP/RP.

Nella fase del dominio reale del capitale sul lavoro, sulle FP essendo il capitale un rapporto sociale di produzione: il rapporto di produzione capitalistico, le FP sono sempre plasmate dai rapporti capitalistici grazie alla divisione del lavoro imposta dall’organizzazione capitalistica in forma scientifica del lavoro (è bene ricordarlo a tutti gli operaisti soggettivisti e a tutti i neosoggettivisti “schizometropolitani” ).

Per questo la contraddizione FP/RP non deve essere analizzata in maniera meccanicista determinista, ma dialettica (logica dialettica, quindi metodo dell’astrazione con analisi della tendenza o del limite) e questa dialettica deve planare verso il concreto, dall’astratto bisogno arrivare al concreto, al concreto storico.

 

“Le tendenze oggettive che emergono dalla dinamica contraddittoria fra le FP/RP possono REALIZZARSI solo grazie alla lotta di classe, all’interno della classe rivoluzionaria. In tal modo il marxismo perde qualsiasi carattere evoluzionistico fatalistico e dimostra non solamente una SPIEGAZIONE (materialistica) della storia, ma uno strumento con cui FARE la storia.

Al contrario se le teorie che privilegiano unicamente la contraddizione oggettiva fra FP/RP finiscono con l’attribuire alla rivoluzione un carattere di INEVITABILITA’ OBIETTIVA ed alla sociologia un’impronta meccanicista, l’accentuazione soggettiva o volontaristica del ruolo della lotta di classe, oltre a rimandare ad una concezione del comunismo “ideale” o a comportare una perdita di scientificità della analisi storica, si prelude ogni capacità di incidere completamente sulla situazione storico sociale.

Infatti qui il carattere arbitrario dell’intervento soggettivo affonda le sue radici in un modello teorico conoscitivo che, ignorando e sottovalutando la struttura fondante MATERIALISTICA della sociologia marxista finisce per ricadere nell’idealismo”.

(da C.I. pag.7 “La fes in Lenin”)

Attribuire alla rivoluzione un carattere di inevitabilità obiettiva vuol dire essere metafisici così come si è metafisici parlando di “rivoluzione permanente” (da Trotskij ai neosoggettivisti invece di RIVOLUZIONE ININTERROTTA PER TAPPE. È invece possibile battere una concezione metafisica, idealistica della rivoluzione; è possibile e necessario attribuire alla rivoluzione un carattere STORICAMENTE DETERMINATO se dall’astratto, dalle tendenze al limite, si arriva al concreto, al concreto storico mediante l’analisi delle controtendenze di quegli anelli di congiunzione tra astratto e concreto che sono i processi in atto, mediante la leninista analisi concreta di cose concrete.

 

CRISI, TENDENZA AL LIMITE E CONTROTENDENZA

 

Con la crisi il capitale tende al limite alla distruzione delle forze produttive pur di mantenere dominanti i rapporti di produzione capitalistici. Con la crisi diventa più chiaro che “il limite del capitale è il capitale stesso”, che l’imperialismo delle multinazionali è superputrescente; la crisi dimostra che 1’imperialismo delle multinazionali è tendenzialmente sulla difensiva pur non perdendo la capacità di attaccare e offendere il proletariato internazionale; l’imperialismo delle multinazionali è una tigre di carta ma con i denti (bombe) al neutrone, perché è […] guerra al proletariato.

Poiché la contraddizione FP/RP materializzandosi storicamente conduce alla lotta di classe reale motore della storia e determina la base materiale da cui, in ultima analisi la lotta di classe si emana, quando con la crisi il capitale tende al limite della distruzione delle forze produttive, nella lotta di classe la BI tende al limite all’annientamento del proletariato internazionale […] e così tende al limite alla propria distruzione, perché senza proletariato internazionale […] niente BI! Il capitale monopolistico multinazionale, quindi, tende al limite al crollo, ma ciò non significa, e non deve significare terrorizzare la crisi-crollo come fanno al di là delle buone intenzioni i soggettivisti di ogni specie presenti nel movimento rivoluzionario. “Mentre per i soggettivisti il concetto di TENDENZA è pura proiezione in avanti della realtà fenomenica, per Marx è RIFLESSO ANTICIPANTE DELLA REALTA’ EMPIRICA. Marx, in altri termini, spinge la simulazione concettuale del MPC al PUNTO LIMITE in cui le contraddizioni giungono alla loro piena maturità, si mette nella condizione migliore per fissare, a partire dalla previsione dì una situazione futura, i criteri adeguati alla prassi rivoluzionaria. Il modello della tendenza al limite pone le condizioni dell’agire cosciente che costruisce il proprio scopo senza abbandonarsi al fatalismo deterministico, senza abbandonarsi all’ubriacatura irrazionale dell’utopia” (Ape e il comunista, pag.59).

Tra la tendenza al limite del modello teorico e la realtà storica ci sono scarti da colmare. Dall’astratto al concreto ci sono degli anelli di congiunzione che chiamiamo controtendenze o processi in atto controtendenziali. Tendenza al limite in base al materialismo dialettico (logica dialettica) non vuol dire immediatamente materialità storica perché esistono di fatto le controtendenze. Le controtendenze sono gli unici anelli di congiunzione che ci consentono l’ascesa dal piano della teoria a quello della storia. Le controtendenze non devono servire per negare l’oggettiva tendenza al limite, al crollo del MPC, ostacolando momentaneamente la fine del MPC, ma nello stesso tempo confermano e rafforzano la validità della legge valore lavoro e la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. Analizzare le tendenze a1 limite senza analizzare le controtendenze, significa passare dall’astratto al concreto in modo soggettivista, antimarxista, anche se lo si nega formalmente è proprio il metodo soggettivista di analisi delle contraddizioni capitalistiche a condurre sostanzialmente a teorie della crisi come crisi crollo. L’analisi delle tendenze al limite dell’MPC nella fase del dominio del capitale monopolistico multinazionale non porta, e non deve portare, a fatalistiche teorie della possibilità necessità della rivoluzione proletaria per il comunismo: il comunismo è possibile e necessario!

Perciò, ricapitolando possiamo affermare che la causa della crisi strutturale dell’MPC va individuata a partire dalle tendenze oggettivamente divaricantesi fra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto. Ogni teoria della crisi che separa, più o meno evidentemente, produzione capitalistica e accumulazione capitalistica, legge del valore lavoro e legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, porta ad analisi soggettiviste: da qui il soggettivismo inizia ad essere nudo, pazzo e nelle migliori delle ipotesi “schizometropolitano”. Privilegiare, più o meno rozzamente, nell’analisi della crisi la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto (come si fa nelle tesi di fondazione del PG) porta inevitabilmente al di là delle buone intenzioni ad analisi soggettiviste, porta necessariamente a teorie della crisi come crisi crollo: in ogni caso la tendenza al limite al crollo del capitale, diventa meccanicisticamente tendenza realizzata. Dobbiamo ricordare a chi se ne fosse dimenticato quanto segue: “il fascino dell’estrapolazione logico dialettica di Marx ha scatenato molte fantasie, non ultima quella degli operaisti soggettivisti che hanno pensato dì individuare nella realtà fenomenica dei nostri giorni elementi di conferma empirica del modello: la tendenzialità. ” (Ape e comunista, pag. 59).

La crisi è necessitata di fatto da una caduta reale del saggio di profitto, ma questa caduta reale del saggio del profitto stimola la rigenerazione ad un livello superiore della sua stessa causa, e cioè la dinamica oggettivamente divaricantesi tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto. Inoltre nel dispiegarsi della crisi si accorciano i cicli, si fanno più ravvicinate le diverse ed ulteriori cadute reali del saggio di profitto sempre dentro la dinamica divaricante tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto.

La crisi, nel favorire il dispiegarsi di controtendenze non porta ad una caduta reale lineare, una caduta crollo del saggio di profitto ma a processi di ristrutturazione per la guerra imperialista per riplasmare rimodellare le forze produttive, distruggendo forze produttive sovrapprodotte sovraccumulate; distruggere forze produttive sovrapprodotte sovraccumulate riplasmando e rimodellando forze produttive […] per creare e alimentare il saggio di profitto. II MPC distrugge par produrre e produce per distruggere, per cercare di aumentare i saggio di profitto.

I1 MPC spinge, per cercare di uscire dalla crisi, al dispiegarsi scatenarsi della guerra imperialista in atto (dentro cui si nascondono in primo luogo le due superpotenze). Il carattere di crisi generale si è evidenziato con molta chiarezza con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro con l’oro (agosto 1971), che fino a quel momento fungeva da moneta equivalente generale. Comunque le controtendenze economico finanziarie che da allora si sono materializzate non hanno portato al superamento della crisi stessa; in ultima analisi hanno favorito una più violenta concentrazione centralizzazione capitalistica nelle multinazionali più forti e competitive, ma anche in questo caso, il plusvalore prodotto ha valorizzato soltanto una parte del capitale complessivo accumulato.

Pertanto la guerra imperialista è l’unico sbocco capitalistico alla crisi. La tendenza alla guerra mondiale imperialista non è una semplice tendenza perché la guerra imperialista è già in atto, sia pure in nodo ancora non dispiegato. La guerra delle Falkland tra Argentina e Gran Bretagna è una guerra dietro cui hanno manovrato le due superpotenze, non solo per interessi “politici”, ma soprattutto economici in riferimento al continente Antartico.

La guerra in Libano tra israeliani e libanesi falangisti da un lato, e palestinesi e siriani, dall’altro, è anch’essa manovrata dalle due superpotenze per una nuova divisione del medioriente in zone d’influenza. L’appoggio della Siria ai palestinesi è formale: alla Siria non interessa realmente la causa della rivoluzione palestinese, per cui il genocidio del popolo palestinese e il ridimensionamento di questo focolaio di “terrorismo”, come 1o definisce il presidente degli USA, non è in contraddizione con la formalità dell’appoggio siriano. Dietro 1a Siria si nasconde 1’URSS, che, minacciando Israele, in realtà intende difendere esclusivamente i propri interessi di superpotenza nell’area mediorientale.

I processi di guerra imperialista in atto mettono a nudo il revisionismo (ad esempio la direzione dell’OLP) e fanno sviluppare la tendenza rivoluzionaria. Così nella metropoli i processi di crisi ristrutturazione per la guerra imperialista, generano la tendenza opposta: crisi rivoluzione antimperialista di lunga durata per il comunismo.

Altri compagni affermano quanto segue: “l’evolvere del processo della crisi assume forme diverse per ogni ordine dì contraddizione e configura nella sua manifestazione fenomenica una chiara tendenza a tramutarsi in guerra mondiale imperialista. Occorre tuttavia ricordare che all’interno di questa tendenza generale alla guerra, la contraddizione principale è quella fra proletariato e borghesia imperialista e, allo interno di quest’ultima è la tendenza rivoluzionaria ad avere una posizione dominante” (crisi, guerra e internazionalismo proletario, Brigata Palmi PG).

Poiché la guerra mondiale imperialistica non è una semplice tendenza, ma un processo in atto, è sbagliato affermare che la tendenza rivoluzionaria ha una posizione dominante, mentre è giusto sostenere che la tendenza principale è la rivoluzione e la contraddizione principale è quella tra il proletariato e la BI, e 1o sviluppo della rivoluzione in qualità di tendenza principale, è dovuto ad un livello “più basso” cioè alla contraddizione FP/RP che nella crisi porta i rapporti di produzione capitalistici a distruggere le forze produttive sovrapprodotte come unico sbocco capitalistico alla crisi di sovrapproduzione assoluta di capitali e cioè ai processi dì crisi ristrutturazione per la guerra imperialista.

La contraddizione fondamentale FP/RP si manifesta nella crisi mediante processi di ristrutturazione per la guerra imperialista: e questa contraddizione fondamentale acutizza la contraddizione principale tra proletariato e borghesia imperialista. La guerra si sviluppa all’interno stesso della BI, la quale sì fa sempre la guerra per interposta persona, attraverso i proletari, contemporaneamente si estende contro tutto il proletariato mondiale per piegarlo alle necessità dell’MPC. Questi due aspetti che hanno forme e sviluppi diversi, non coincidono materialmente, ma ugualmente interagiscono a partire dalle metropoli in un unico processo, quello di ristrutturazione per la guerra imperialista. La crisi genera infatti processi di ristrutturazione per la guerra imperialista nell’illusione capitalista di risolvere la causa della crisi e superare la tendenza oggettivamente divaricantesi tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto nell’illusione di aumentare le ragioni sociali della tendenza principale presente nel mondo, da essa stessa accelerata: la rivoluzione proletaria per il comunismo.

Con la crisi il capitale monopolistico multinazionale “tende al limite” alla distruzione delle forze produttive ed al contempo favorisce la materializzazione concreta di “controtendenze”. Per non distruggere complessivamente le forze produttive il capitale monopolistico multinazionale determina la materializzazione di controtendenze che, nel concreto, distruggono forza produttiva sovrapprodotta sovraccumulata. Da un lato, la tendenza al limite della distruzione delle forze produttive non deve essere intesa come pura precisazione in avanti della realtà fenomenica, delle controtendenze: per questo è sbagliato parlare di crisi ristrutturazione distruzione delle forze produttive. D’altro canto, le contraddizioni contrastando in maniera relativa la tendenza al limite non fanno che confermare la validità, le controtendenze […,] relativa ad un livello chiaramente contraddittorio di materializzazione dialettica e non meccanico della tendenza al limite e ciò è evidente in un periodo di crisi assoluta del MPC.

Le controtendenze alla tendenza limite al crollo del capitale, sono i processi in atto operati dalla BI e cioè i processi di ristrutturazione per la guerra imperialista. Infatti ristrutturazione e guerra imperialista vivono concretamente una strettissima unità dialettica in quanto i processi di ristrutturazione si sviluppano in funzione della guerra imperialista: non c’è una guerra interimperialista, è una guerra esterna poi, perché non esista separazione tra guerra esterna e guerra interna.

Sicuramente il nostro paese è ben lontano dall’essere pacificato sul fronte della lotta di classe nel polo tra BI e PM, comunque ciò non ha impedito ad esempio che il governo mandasse una task force nel Sinai a far rispettare l’accordo antipalestinese di Camp David tra Egitto e Israele, così come avevano deciso organi sovrannazionali.

La guerra non essendo esterna rispetto alla contraddizione fondamentale del MPC (FP/RP), produce due movimenti opposti che accentuano la contraddizione principale, cioè la contraddizione BI/PM. La guerra imperialista è guerra per stabilire il ciclo della valorizzazione ed accumulazione del capitale distruggendo notevoli quote di forza lavoro e mezzi di produzione eccedenti, stabilendo una diversa divisione del mondo in sfere di influenza (conquistando nuovi mercati ed accaparrandosi materie prime), ed una diversa divisione internazionale del lavoro; è guerra per difendere l’imperialismo in crisi e poter mantenere i putrescenti rapporti di produzione capitalistici; è guerra per il mantenimento del potere della BI sul proletariato internazionale.

I processi di ristrutturazione per la guerra imperialista fanno della lotta dì classe tra BI e PM una guerra di classe, uno scontro per il potere.

Nella guerra di classe, il PM tende a sviluppare la guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo. La guerra rivoluzionaria del PM col suo sviluppo accelera l’agonia del MPC; la guerra rivoluzionaria, all’opposto della guerra imperialista, nasce e si dispiega per distruggere definitivamente la guerra stessa abolendo la causa che in questa epoca storica genera 1a guerra e, cioè, il MPC.

Mentre la sostanza della guerra imperialista è distruggere per mantenere in vita il MPC, cioè per tornare nuovamente a distruggere, la sostanza della guerra rivoluzionaria sta nel distruggere il MPC, cioè per tornane nuovamente a distruggere, la sostanza della guerra rivoluzionaria sta nel distruggere il MPC, e costruire un nuovo e diverso ordinamento sociale: LA COMUNITà REALE, LA SOCIETA’ SENZA CLASSI.

 

Fonte: Atti del processo Ruffilli

Bozza di riflessione sugli arresti di settembre – Documento interno 1989

Per comprendere i passaggi salienti che hanno costituito il processo di riadeguamento dell’O, all’interno della RS fino alla sua attuale situazione vanno considerati due piani:

1) Quello del contesto attuale dello scontro.

2) L’altro relativo alle dinamiche che fanno vivere l’O. in questo scontro. Piani dialetticamente connessi ma che separeremo nell’analisi per meglio individuare, nel processo discontinuo che dall’82 ad oggi ha segnato un percorso di avanzate e ritirate, di sviluppo non lineare nella coscienza che ne ha acquisito l’O.

Analizzare questi passaggi salienti è necessario per entrare nel merito delle contraddizioni e leggi di movimento interne ad una FR. che agisce in un paese capitalisticamente avanzato in modo da non isolare i fatti specifici dal contesto generale che li produce. All’interno va valorizzato per intero il bilancio interno sintetizzato dall’allora Esecutivo in carica.

Lo stato generale dei rapporti di forza usciti dalla controrivoluzione degli anni ’80 determinarono condizioni durissime nel lavoro rivoluzionario, si trattava e si tratta di ricostruire i complessi termini politico-militari della guerra di classe al livello dato dallo scontro all’interno della presa d’atto che l’attività della controrivoluzione oltre a ridisegnare i termini del rapporto politico tra le classi ha materialmente scoperto (scompaginato nel senso di ambiti toccati, conosciuti dalla controriv) l’ambito di riproduzione delle avanguardie (in senso relativo ovviamente e non assoluto) soprattutto nei poli industriali e serbatoi storici di riferimento e di riproduzione delle BR. La necessità di ricostruzione si pone prima che nella coscienza d’O. come esigenza politica impellente oggettivamente dovuta all’approfondirsi dello scontro avvenuto sia sul piano politico generale che rivoluzionario anche perché il dato storico e politico raggiunto dallo scontro di classe in Italia è tale che a fronte della controrivoluzione ha fatto sì che permanessero ampi margini politici di recupero e rilancio dell’attività rivoluzionaria. Il processo Prassi/Teoria/Prassi che si sviluppa all’interno della Ritirata Strategica, per quanto non lineare, permette all’O., misurandosi con lo scontro, di prendere coscienza del tipo di contraddizioni che la controffensiva dello Stato e gli effetti della controrivoluzione nel campo Proletario hanno immesso al suo interno.

È superfluo entrare in questa sede nell’analisi delle condizioni interne che hanno prodotto la logica difensivistica in quanto ampiamente trattata nel Bilancio interno e testimoniata dall’oscillazione nella Teoria/Prassi dell’attività svolta dall’82 fino alla battaglia politica con “seconda posizione” Ci interessa qui mettere in evidenza un aspetto dì quel periodo che solo nel medio periodo ha prodotto i suoi effetti negativi. Ci riferiamo alle modifiche avvenute nel modulo Politico-Organizzativo giustificate dal momento eccezionale e che dovevano essere temporaneamente adottate.

L’incapacità di uscire da questa eccezionalità per le contraddizioni politiche sopraddette ha comportato un impoverimento del corpo militante poiché privato del mezzo e del modo (la strutturazione del modulo) per formarsi e disporsi confacentemente al lavoro politico in regime di clandestinità e compartimentazione. Questo impoverimento ha favorito il verticismo delle sedi dirigenti e il prodursi non governato di dinamiche centrifughe e di gruppo, la perdita in ultima istanza del senso storico e politico della funzione dell’O. Un indebolimento che si ripercuoteva in negativo nel processo di riadeguamento in senso generale e nello specifico del processo di ricostruzione e di ricambio dei quadri dirigenti. Abbiamo messo in rilievo questa contraddizione perché importante dell’acquisizione da parte dell’O. del complesso funzionamento di una forza rivoluzionaria poiché in virtù dell’impianto Politico-Militare si sviluppa e agisce dentro ai criteri di un Esercito Rivoluzionario. Il difficile percorso di riadeguamento subisce una svolta quando insieme al ricentramento dell’analisi del quadro di scontro vengono analizzati questi nodi essenziali a cui l’O. doveva dare soluzione. Inizia così un periodo di commissariamento volto a ristrutturare e ridisporre il corpo militante non solo all’interno del modulo politico-organizzativo fondamentale (Cellule) ma adeguato alla coscienza complessiva che i compiti all’ordine del giorno richiedevano.

Questo processo interno di stretto indirizzo politico e di riorganizzazione necessariamente poteva formarsi solo nella messa in pratica dell’iniziativa d’O. col suo necessario portato, nell’attività di una ferma direzione e di disposizione/organizzazione delle forze che si dispongono sulla linea politica dell’O. A questo punto va tenuto conto che insieme all’approfondimento delle vecchie contraddizioni ereditate dalla sconfitta tattica dell’82 maturavano contraddizioni e problematiche di sviluppo prodotte dal duplice piano di Ricostruzione (interno all’O./esterno di direzione sul campo Proletario) perché il piano rivolto all’esterno implicava ed implica la capacità di effettuare la direzione adeguata alla fase di scontro Rivoluzionario. È evidente che un tale passaggio è divenuto di estrema importanza al fine di assestare il punto di equilibrio necessario affinché il processo di accumulo di contraddizioni e problematiche fosse governato verso la sua risoluzione. Infatti il commissariamento ha svolto questa funzione di governo soprattutto nella fase iniziale del processo avvenuto all’interno di un controllo politico dell’evolvere delle contraddizioni vecchie e nuove. Tutto ciò sino a che il movimento prodotto dalla stessa attività dell’O, non ha posto sul terreno aspettative e scadenze incalzanti. Una dinamica di sviluppo che riversandosi dialetticamente all’interno dell’O. in quel delicato momento di assestamento, ha messo in difficoltà; e punto d’equilibrio tenendo conto del duplice piano di ricostruzione nel lavoro dell’O. Ma non è questo il fattore principale che permette l’errore, il punto critico che ha portato gli arresti di settembre; poiché anche questo movimento era governato seppure dentro una sua maggiore complessificazione, poiché previsto e analizzato dall’allora CE in carica. A questo quadro va aggiunto un altro fattore dell’analisi relativo al doversi misurare con le risposte che lo Stato avrebbe messo in campo sia per contrastare gli effetti politici dell’attività dell’O, sia per il tipo di pressione militare volta a smantellare l’O. Entrambi questi aspetti erano stati analizzati, ma la risposta pratica, le decisioni allora prese non sono state all’altezza di assorbire questo tipo d’urto (come i fatti hanno dimostrato). Quel che importa mettere in rilievo è perché le risposte non sono state adeguate; allora al quadro soprascritto del complessificarsi dei compiti e che ha creato una certa instabilità del punto di equilibrio va più precisamente collocato questo elemento di equilibrio il quale ha a che fare col famoso fattore dell’unità del politico e del militare per quel che riguarda la parte interna all’O.

Sebbene l’ordine di contraddizione sia stato preminentemente di crescita, queste andavano governate tenendo soprattutto conto che implicavano lo sviluppo di una concezione politico militare assai complessa da articolare all’interno (figuriamoci all’esterno in quanto inerente alla definizione delle modalità di sviluppo della guerra di classe). Ovvero non esistono solo risposte politiche o solo militari e organizzative, questi due piani devono vivere all’interno di una stretta interrelazione altrimenti si crea uno squilibrio pericoloso e difficile da ricucire. In parole povere, benché si fossero prodotte molte aspettative politiche, il modo con cui l’O. doveva misurarcisi non poteva solo riferirsi alla capacità di comprensione politica delle problematiche ma il loro affrontamento doveva essere condizionato dai tempi di assestamento militare nel senso più ampio del termine comprensivo anche della capacità di assorbimento organizzativo delle strutture. In questo senso il C..E. in carica pur avendo colto in termini generali il portato dei problemi, venendo meno a questo principio, non è riuscito a governare le risposte e la direzione di movimento soprattutto sul piano della controguerriglia e a fronte dei danni materiali causati dalla trattativa (Soluzione Politica). Era necessario operare un “congelamento” della dinamica di crescita lineare, un tempestivo raffreddamento del processo di riorganizzazione interna compatibilmente a ciò che imponeva i tempi di assorbimento Politico Organizzativo delle strutture anche se ciò avrebbe comportato risposte più lente alle scadenze politiche che l’O. stessa aveva contribuito a maturare. L’aver disatteso a questa realtà è stato nei fatti aver separato il piano politico dall’aspetto militare e organizzativo favorendo la divaricazione del punto di equilibrio tra questi due fattori. Ripercorrendo i passaggi dell’ultimo periodo è chiaro che il governo dello sviluppo dei diversi fattori costituenti l’O. stessa, all’atto pratico é vissuto discontinuamente attraverso successivi strappi in avanti. Il segnale politico che era necessario frenare il movimento era venuto anche dall’esito delle assemblee dei delegati. In quel contesto andava privilegiato l’assestamento delle strutture relativo al reale assorbimento organizzativo, posticipando in un secondo periodo le scadenze politiche della formazione/rinnovamento delle strutture dirigenti. La riflessione che se ne può trarre è che se la ragione di fondo dell’errore che ha favorito gli arresti sta nella rottura di questo punto di equilibrio (nel senso delle decisioni prese che prescindevano da questo) nel contesto del periodo di assestamento e del più generale riadeguamento dell’O., il fattore scatenante, il detonatore che ha acuito questo squilibrio sono state le spinte prodotte dalle scadenze politiche che stavano sullo sfondo. Le scadenze politiche sono dettate da due fattori che interagiscono tra loro: il contesto politico dello scontro tra le classi e l’intervento rivoluzionario in esso dell’O. nel momento in cui è intervenuta in questo modo ha promosso le condizioni per un avanzamento e approfondimento del piano rivoluzionario, posto che va tenuto conto che introno all’attacco l’O. ha lavorato sul duplice piano di costruzione/formazione, il movimento che si è prodotto ha ulteriormente spostato in avanti il terreno che definisce le scadenze politiche sul terreno Classe/Stato. La seconda scadenza sullo sfondo è dettata dalla politica dell’Alleanza sul terreno dell’Antimperialismo e richiede da parte dell’O. il massimo della preparazione politico/militare, il massimo dell’assestamento nella formazione delle forze per le dimensioni dello scontro Antimperialista. Queste scadenze hanno premuto per un loro affrontamento in avanti con tutto quello che ne consegue in termini di modificazioni del piano di scontro e sono maturate nell’attività complessiva dell’O. generando una spinta oggettiva per delle soluzioni linearmente intese. Uno degli errori del C.E. nel definire le direttive di lavoro è stato proprio quello di riferirsi alle scadenze politiche senza concretamente valutare il sopraggiunto livello critico nel processo di assestamento interno dell’O. È bene precisare il senso che bisogna dare al termine “assorbimento organizzativo” in modo da evidenziare la piena valenza politica al di fuori della quale è possibile il rischio di un suo riduzionismo a mero significato tecnico. “L’assorbimento organizzativo” è la cartina al tornasole della capacità della struttura d’O. di saper attivizzare intorno al proprio lavoro tutte le energie proletarie di cui dispone traducendole via via in terreni sempre più stabili di Organizzazione di classe sul terreno della L.A. (reti, strutture, organismi) il tutto all’interno delle indicazioni generali dell’O. Un lavoro deputato a posare la basi, i mattoni fondamentali della fase di ricostruzione. In questo senso l’assestamento logistico e organizzativo nel senso tecnico del termine non esiste in quanto tale ma esso è il prodotto del lavoro politico dell’O. sul campo proletario e quindi di successivi livelli di responsabilizzazione delle Avanguardie verso lo scontro Rivoluzionario. È evidente allora come già nel lavoro delle strutture sia emersa la problematica della qualità della direzione come questione che attraversa orizzontalmente e verticalmente l’O. e che a livello di struttura non poteva che esprimere tutta la contraddittorietà del processo di formazione delle stesse. All’interno di ciò si può comprendere meglio la questione del punto di equilibrio nell’assestamento politico-militare delle strutture e come il complessificarsi dei compiti, i tempi differenti di movimento dell’evolvere delle contraddizioni e delle problematiche hanno creato una “massa critica” con tutto il corollario di errori a catena che ne sono derivati.

Aver analizzato le ragioni politiche ed i piani di contraddizione, non significa annullare nella dinamica di movimento le responsabilità degli errori che ai diversi livelli che si sono manifestati. Al contrario, poiché di volta in volta, seppure in modo frammentato questo quadro era stato focalizzato dal CE, e fatto presente (anche in termini di indicazioni politiche) sono più gravi gli atteggiamenti dei singoli che venendo meno ai compiti e alle direttive hanno fatto prevalere personali modi di condurre il lavoro sino ad episodi di vera e propria indisciplina. Ad un anno dal commissariamento si manifestavano in quasi tutte le strutture contraddizioni e problemi che seppure differenziati su questioni diverse erano originati dal medesimo meccanismo. Il C.E. pensò che fosse dovuto all’eccessivo “accudimento” che il commissariamento esercitava sulle strutture a tal punto da rendere le strutture e i compagni poco responsabili verso il lavoro. Questo perché molte delle contraddizioni si manifestavano anche sul piano politico. In questo senso fu fatto l’errore di una parziale riduzione del commissariamento. Questo fu un errore perché il C.E. si riferì alla manifestazione del problema senza capire che era originato dalla spinta che oggettivamente si era creata dall’attività complessiva dell’O, e che trovava le strutture ancora giovani (problema della giovinezza politica). Quindi conseguentemente il processo di formazione doveva continuare ad essere rigidamente governato misurandolo però sui nuovi termini di riferimento (sicuramente diversi al varo delle strutture).

In tal modo sarebbe stato più facile rapportarsi al grado di “assorbimento organizzativo” in quanto al controllo politico sarebbe risultato immediato e laddove le strutture avevano difficoltà politiche nel lavoro e porre i rimedi opportuni.

Sul piano politico generale a questo stadio del processo Rivoluzionario è necessario elaborare una vera e propria condotta della guerra di classe, per quanto particolare sia, ma anzi a maggior ragione della sua complessità si imponeva questa capacità riferita ovviamente all’atteggiamento tattico da tenere in successivi momenti di sviluppo del processo Rivoluzionario.

 

Tratto dagli atti del processo «Hunt – Prati di Papa»

 

Campagna Dozier – Comunicato N. 4

Compagni, proletari,
l’iniziativa delle Brigate Rosse, attaccando il punto più alto del sistema imperialista, la Nato, ha portato ad un livello superiore lo scontro di classe, ha reso più evidente lo scenario globale, il terreno politico  dello scontro frontale della guerra di classe. La guerra imperialista come scelta centrale su cui si adeguano le scelte complessive e specifiche della borghesia imperialista che le porta avanti in termini coscienti e con determinazione scientifica, separano sempre di più gli interessi delle masse da quelli della borghesia. Sempre più assume peso reale, come interesse delle masse la proposta rivoluzionaria della guerra civile per il Comunismo.
La crisi capitalistica genera la guerra imperialista. Solo la guerra civile antimperialista può affossare la guerra!!!
 Attaccare il proletariato, la sua capacità d’organizzazione, il suo Progetto politico con ogni mezzo è diventato il compito centrale della borghesia imperialista. Il governo usa il vestito militare, le quattro emergenze si sono riassunte in un’unica direttiva centrale: attaccare il proletariato con tutti i mezzi. Il C.I.I.S. come centro di comando integrato agli Usa ha assunto l’iniziativa: al parlamento sono stati riservati gli applausi, agli stupidi le interpellanze parlamentari. Perché la borghesia imperialista ha paura dei contenuti del Programma rivoluzionario e delle ragioni sociali della guerra di classe? Perché cerca con ogni mezzo di camuffare la proposta rivoluzionaria, ricorrendo all’uso scientifico dei mass-media? Mai come oggi la borghesia imperialista è cosciente che la guerriglia metropolitana è vicina ad un mutamento dei rapporti di forza: la conquista delle masse sul terreno della lotta armata, sul programma politico della transizione al Comunismo. E sa bene che questo è l’inizio della sua fine. La borghesia sa bene che non deve fare i conti solo con le Organizzazioni Comuniste Combattenti, ma con un processo di massa che sempre più assume caratteri globali, quelli della guerra civile sociale dispiegata.  Sa che deve fare i conti con un Fronte Combattente Antimperialista che ha come parola d’ordine centrale la guerra alla guerra imperialista. L’imperialismo appare sempre più come un “grattacielo di cartapesta” lacerato al suo interno da una crisi senza precedenti che, azzerando i suoi margini di manovra, lo fa contrarre su se stesso. Prova lampante è il progetto d’integrazione europea come blocco monolitico subordinato agli interessi degli Usa, che non riesce a trovare l’unanimismo neanche  su una questione come quella polacca, nel tentativo di ripristinare fino a livello di massa la fedeltà all’occidente, cioè il nuovo patriottismo dell’epoca moderna. Ma anche su questo problema sia la Germania che la Francia presentano differenziazioni marcate, anche se all’interno del contesto dell’alleanza occidentale. Oltretutto in Europa si è sviluppato un massiccio movimento antimperialista per la costruzione di un nuovo Internazionalismo proletario, per combattere insieme ed uniti per vincere con tutti i comunisti e con tutti i popoli che combattono contro l’imperialismo. Riteniamo essenziale assumere come asse centrale dello sviluppo rivoluzionario della lotta antimperialistica il Fronte combattente antimperialista, esso corrisponde alla fase della maturità dello scontro di classe ai livelli di coscienza raggiunti da tutto il proletariato. Il contenuto politico più importante di questa fase di scontro è tutto racchiuso nell’enorme ripresa del dibattito, della lotta e del combattimento proletario animato da un elemento di portata strategica: la volontà e la spinta all’unità del movimento rivoluzionario contro l’imperialismo. 
Contro la violenza del progetto proletario, contro la ricchezza e la vitalità delle lotte, si scaglia con tutta la sua violenza l’apparato della controrivoluzione di questo regime in agonia. Accanto ai mitra dei Cc si muove tutto il sistema che a livello di propaganda, informazione, manipolazione di coscienza, pianifica, gestisce e legittima i piani di annientamento antiproletari. Il sistema imperialista delle multinazionali vuole ghettizzare e compartimentare le questioni sociali, le lotte del proletariato metropolitano per impedire la comunicazione sociale proletaria e rivoluzionaria.
Compagni, proletari, 
 la borghesia imperialista attiva tutti i suoi mezzi di informazione per dare sostegno e legittimità all’attacco che porta contro le lotte, il bisogno del proletariato metropolitano e contro la sua avanguardia politico-militare; se il tentativo è quello di distruggere i canali di comunicazione tra le masse cercando di riprodurre l’ideologia della classe dominante dentro il proletariato; se il problema non è solo quello di manipolare l’informazione ma soprattutto quello nazista di estorcere, anche passivamente, una sorta di legittimazione proletaria alla inevitabilità della guerra imperialista, compito del sistema del Potere proletario armato è far vivere il livello di distruzione possibile dei canali della comunicazione sociale capitalistica, in quanto caratteristica predominante, nella congiuntura, della gestione, penetrazione dentro le masse del progetto controrivoluzionario e della necessità della borghesia imperialista di imporre ed estendere il suo dominio.
  Per il Proletariato e per il nascente sistema del Potere proletario armato non si tratta solo di smascherare i piani della borghesia, non si tratta più solo di controinformare rispetto alla manipolazione imperialista delle notizie, si tratta invece di disarticolare tutti i presupposti e gli strumenti su cui si regge la preparazione della guerra imperialista, si tratta di costruire la comunicazione sociale proletaria e rivoluzionaria. E’ evidente che l’attenzione proletaria e rivoluzionaria si rivolge ai propri interessi e crea unità e lotte, per questo da molti mesi gli organi di informazione capitalista tacciono su ciò che ben sanno: le torture e i massacri subiti dai proletari prigionieri nel kampo di Pianosa che si protraggono da mesi, e a Nuoro recentemente durante le lotte, e contemporaneamente la sperimentazione a Cuneo della strategia di annientamento dei proletari prigionieri e dei comunisti, e quello che accadono ai proletari e ai rivoluzionari quando cadono nelle mani della Ps e dei Cc: torturati, sequestrati per mesi e tenuti nascosti in luoghi segreti.
  I problemi, le difficoltà, anche gli errori del processo rivoluzionario sono tutti interni al terreno di confronto, di battaglia politica tra rivoluzionari. Non permetteremo che la borghesia utilizzi e stravolga questi problemi per costruire i “mostri da sbattere in prima pagina”, per costruire spaccature e lacerazioni, per legittimare, senza neanche avere il coraggio di gestirle apertamente, le pratiche argentine della tortura, dei sequestri e dei massacri. Il sorrisetto sprezzante per la vita dei militanti comunisti combattenti catturati, dei giornalisti democratici così malcelato nelle conferenze stampa, lo saprà spegnere il movimento rivoluzionario con l’unico mezzo che sono ormai in grado di capire: il piombo! Invece di sorridere stupidamente dovrebbero sorridere sulla sorte che è già toccata al torturatore Simone, grande esperto in controguerriglia armata e psicologica: è certo che lui non sorriderà più!!!
Compagni,
questi ultimi anni di dura lotta, di vittorie e anche di sconfitte, hanno messo in luce che la sua forza la borghesia la trova nelle incertezze, negli errori, nelle divisioni del fronte proletario. La rinnovata capacità offensiva del movimento rivoluzionario, la rinnovata volontà al confronto e all’unità trovano oggi le condizioni di realizzazione dentro l’unità più vasta che si sta concretizzando tra l’avanguardia comunista e tutto il movimento proletario. Trasformare il movimento antagonista proletario e le lotte per i bisogni politici ed immediati che hanno in sé tutti i contenuti della transizione al comunismo, in movimento rivoluzionario per la distruzione di questo regime e per la costruzione della società senza classi, è l’unica possibilità reale per la costruzione dell’unità di tutto il proletario nel sistema del potere rosso: il partito comunista combattente e gli organismi di massa rivoluzionari.
 Per questo, per le necessità imposte dallo scontro, non è più sufficiente avere come obiettivo l’unità sui singoli punti del programma rivoluzionario. Solo approfondendo il confronto sul bisogno politico oggi fondamentale per tutto il proletario metropolitano, la costruzione cioè di un sistema di potere, l’unico capace di imporre un programma rivoluzionario, che si dà possibilità di attaccare il progetto politico, economico, militare ed ideologico della borghesia imperialista in questa congiuntura e la conquista dei bisogni politici e materiali della classe,  dentro l’unica strategia possibile: la guerra civile antimperialista.
 Questa oggi non è un’utopia ma realtà viva ed operante nel dibattito e nelle lotte di tutto il proletariato metropolitano, non è un bel sogno ma progetto scientificamente costruito che, nella lotta alle barbarie dell’ordine imperialista, ai limiti imposti dalla legge del profitto, costruisce il nostro futuro. L’offensiva delle forze rivoluzionarie contro i centri nevralgici del progetto nemico, dal processo alla Nato contro la cattura del nemico porco yankee Dozier, all’attacco al carcere imperialista con la liberazione delle compagne dal carcere di Rovigo, dagli attacchi armati alle strutture che rappresentano il dominio della borghesia imperialista in Italia, alle lotte in fabbrica, nei ghetti urbani, nelle carceri, al rafforzamento dei canali e degli strumenti del dibattito e della comunicazione delle lotte e del sapere rivoluzionario: sono oggi gli elementi materiali da cui partire per la realizzazione dell’unità rivoluzionaria.
 Questo è il compito dei rivoluzionari in questa congiuntura: confronto serrato e battaglia politica per la sconfitta dentro al movimento rivoluzionario delle linee sbagliate: il frazionismo, il soggettivismo, l’economicismo… Queste tendenze che già tanti danni hanno prodotto nel movimento rivoluzionario oggi, in questa fase decisiva dello scontro, sono la via più facile per arrivare alla nostra sconfitta. L’obiettivo centrale della battaglia politica è la costruzione della linea giusta perché oggi questa è la posta in gioco: l’arretramento o la vittoria del processo rivoluzionario. Le fughe in avanti, gli appelli formali, l’unanimismo di facciata nascondono il problema vero da affrontare: l’unità nella chiarezza sul programma politico rivoluzionario per questa fase di scontro.
 Costruire il fronte combattente antimperialista! Combattere insieme ed uniti per vincere con tutti i comunisti e con tutti i popoli che lottano contro l’imperialismo!
Costruire gli organismi di massa rivoluzionari!
 Costruire il partito comunista combattente!
 Il carcere imperialista è il laboratorio centrale dell’annientamento dell’antagonismo di classe.
 La strategia della differenziazione è la filosofia che informa le politiche imperialiste in tutte le regioni della formazione economico sociale. La differenziazione ancora prima che come carattere proprio della politica carceraria, si definisce come strategia politica centrale dell’imperialismo, e questo al di là e indipendentemente dalle forme specifiche che può rivestire e che sono diversificate a seconda della fase e della congiuntura. Tali forme pur essendo estremamente variegate sono attraversate e percorse da un’unica sostanza: l’annientamento del processo di ricomposizione politica del proletariato metropolitano. E’ a partire dalla consapevolezza della natura ineliminabile delle contraddizioni di classe che l’imperialismo si muove. Il suo obiettivo strategico è l’annientamento dell’identità di classe, significa impedire che i diversi strati di classe che compongono il proletariato metropolitano e le lotte da essi sviluppate si ricompongano all’interno di un’unica strategia per il potere. La strategia differenziata nel carcerario assume la forma di un processo di ristrutturazione continua, finalizzato non solo a contenere e reprimere le lotte, ma risponde a due esigenze fondamentali dello stato imperialista delle multinazionali: colpire il movimento rivoluzionario e predisporre secondo una precisa linea strategica gli strumenti per sconfiggere la guerra civile antimperialista sul nascere. Il carcere imperialista, nel disegno strategico della borghesia imperialista, deve rispondere a molti compiti: la regolamentazione di grandi masse proletarie, l’annientamento scientifico e selettivo delle avanguardie comuniste, la diffusione di una immagine di terrore ed onnipotenza, lo studio e la raccolta di dati sulla guerriglia, come in un laboratorio affidato ai nuovi “cervelloni” della controrivoluzione e dell’annientamento proletario. Su questi argomenti è stato teorizzato e costruito tutto il circuito della differenziazione che oggi con i nuovi provvedimenti “ultrasegreti” la borghesia si prepara ad estendere: come se la volontà di annientare e massacrare il proletariato prigioniero potesse essere un segreto per qualcuno.
 L’attuale livello di applicazione di questo progetto rappresenta un grosso passo in avanti nell’omogeneizzazione delle pratiche controrivoluzionarie a livello europeo. La prospettiva della risoluzione dell’attuali contraddizioni fra i due blocchi, mediante la guerra imperialista, obbliga ogni singolo stato ad accelerare le tappe della pacificazione sul fronte interno, cioè lo obbliga a perseguire con ogni mezzo l’annientamento  di ogni forma di antagonismo che il proletariato metropolitano esprime.
 Smantellare il circuito della differenziazione!
 Liberare il proletariato prigioniero!
Guerra alla strategia differenziata e alla regolamentazione dell’annientamento!
 Chiudere con ogni mezzo le sezioni di lungo controllo!
 Guerra alla guerra imperialista! Guerra alla Nato! Guerra alla controrivoluzione preventiva!
 Guerra all’attuazione del progetto di espulsione della forza lavoro!
 Guerra alla nuova organizzazione del lavoro!
 Guerra alla ridefinizione – governo ferreo del mercato del lavoro!!!
 Guerra al piano di compressione differenziata dei costi della riproduzione sociale!!!

Per il Comunismo.
Brigate Rosse per la costruzione del P.C.C.

16/01/82

Brigate rosse – per la costruzione del Partito comunista combattente (Br-Pcc) Anni Ottanta

1981
Dicembre
Campagna Dozier, Comunicato N.1
Campagna Dozier, Comunicato N.2

1982
Gennaio
Campagna Dozier, Comunicato N.3
Campagna Dozier, Comunicato N.4
Campagna Dozier, Comunicato N.5
Campagna Dozier, Comunicato N.6

Marzo
Volantino A tutto il movimento rivoluzionario sulla ritirata strategica

Aprile
Volantino A tutto il movimento rivoluzionario

Maggio
In onore di Umberto Catabiani

1983
Maggio
Rivendicazione ferimento Gino Giugni
La sintesi

1984
Febbraio
Rivendicazione azione contro Ray Leamon Hunt

Novembre
Un
importante battaglia politica nellavanguardia rivoluzionaria italiana. Sviluppo della Prima posizione del settembre 1984

1985
Marzo
Rivendicazione azione contro Ezio Tarantelli

1986
Febbraio
Rivendicazione azione contro Lando Conti

1987
Febbraio
Volantino rivendicazione azione in via Prati di Papa

1988
Aprile
Rivendicazione azione contro Roberto Ruffilli

Settembre
Testo congiunto Raf Br-Pcc

Bilancio ed ulteriore riadeguamento politico-organizzativo
Documento interno

1989
Bozza di riflessione sugli arresti di settembre – Documento interno

Marzo
Aggiornamento della Direzione Strategica 2 (testo ricostruito)

Rivendicazione congiunta con la RAF dell’azione contro Hans Tietmeyer

Marzo
Rivendicazione congiunta con la RAF dell’azione contro Hans Tietmeyer

Onore alla compagna Diana Blefari – Comunicato di alcuni militanti prigionieri

Allegato all’udienza del 3/12/2009 presso il Tribunale di Lecce – Proc. N° 713/06 – 346/07

Nel ricordare la compagna Diana Blefari morta il 31 ottobre scorso e nel tributarle tutto il nostro amore rivoluzionario, vogliamo anzitutto renderle onore sottolineando il suo apporto di militante rivoluzionaria dato nel contribuire allo sviluppo del processo rivoluzionario. Un lavoro svolto in un processo avverso, segnato dal dispiegamento del processo controrivoluzionario e della difensiva di classe, caratterizzato da quel percorso aggregativo della soggettività rivoluzionaria di classe che ha agito a partire dagli anni ’90, e che, attraverso la dinamica attacco-costruzione-attacco, ha reintrodotto lo scontro di potere nelle relazioni tra le classi. Una qualità questa, di valenza politico-strategica così forte da costituire il piano di avanzamento della proposta rivoluzionaria delle BR-PCC, ineludibile per quelle avanguardie rivoluzionarie che intendono misurarsi sul terreno di sviluppo della guerra di classe. Un esempio di lavoro rivoluzionario che resterà appannaggio del campo proletario e stimolo per tutte quelle avanguardie coscienti di dover fare la propria parte nel lavorare all’emancipazione politica della classe a cui appartengono, da Diana sempre svolto con lo slancio, la spontaneità e la caparbietà di chi sa di aver fatto la scelta giusta. Un apporto umano e politico che, se per noi resterà un motivo di orgoglio e ricordo indelebile, per lo Stato e la borghesia rimarrà sempre uno spettro che disturberà i loro sonni. La morte della compagna non è affatto ascrivibile al decorso inevitabile della malattia di cui soffriva, cioè di quel che viene chiamato “mal di vivere”, una patologia ampiamente documentata sia nei sintomi clinici che nel tunnel di sofferenze che provoca alla persona colpita. Quindi facilmente riconoscibile ma che in Diana hanno fatto finta di non vedere, non per incuria, superficialità o indifferenza, e nemmeno per quel razzismo sociale, alimentato a piene mani, funzionale alla stabilizzazione controrivoluzionaria nelle relazioni sociali, che nelle galere e anche fuori di esse distribuisce tanti lutti e sofferenze. A Diana non è stata riconosciuta la malattia semplicemente per volontà politica, come diretta conseguenza di quell’indirizzo controrivoluzionario che a fronte del ritorno dell’iniziativa rivoluzionaria segnato dalle BR-PCC si è articolato per contenerne e confinarne la valenza e il peso politico assunti nell’ambito dell’opposizione e dei processi di organizzazione della resistenza di classe. Un dato di contrasto alla soggettività rivoluzionaria integratosi nell’assetto statuale della controrivoluzione preventiva e posto in riferimento al punto più alto del processo rivoluzionario, cioè rapportato al contrasto statuale alla riproducibilità della proposta rivoluzionaria delle BR-PCC  e del conseguente scontro di potere. Un dato da cui si dipanano, congiuntamente diversificate, le politiche controrivoluzionarie e antiproletarie che affiancano, con modalità d’intervento volutamente perseguite per rimarcare in termini complessivi la totale subordinazione del proletariato come classe, la rimodellazione neocorporativa degli istituti della mediazione politica tra le classi, per così incardinare il rapporto tra proletariato e borghesia sul terreno di quella “coesione sociale” a cui la soggettività della borghesia affida il governo delle contraddizioni suscitate dalla rimodellazione delle relazioni economiche e politiche volte a riorganizzare l’intera vita sociale. Da qui l’apparente mancanza di misura politica (e anche di misura e basta) nell’affrontare persino il dissenso politico di stampo proletario. L’articolazione sui prigionieri dell’indirizzo controrivoluzionario così connotato, che ha comportato una ridefinizione della politica degli ostaggi, si è subito resa evidente in particolar modo nei confronti di quei militanti espressione del rilancio dell’attività rivoluzionaria e della sua prospettiva di potere. Diana era per l’appunto espressione di quel percorso, e con decisione presa a livello di controguerriglia, avallata in sede politica, non vi è stato rispetto per il suo stato di salute compromesso dalla malattia, quindi non solo non è stata curata, ma hanno avuto l’attenzione sistematica di non mettere mai la compagna in una condizione umanamente accettabile per poter, se non altro, provare ad affrontare il “mal di vivere”. È in relazione all’attuale contesto, – reso critico dalle conseguenze sociali della crisi, dalla delegittimazione ed instabilità del quadro politico-istituzionale, dall’espandersi di forme di resistenza operaie e proletarie e di reazione agli effetti delle politiche di “sicurezza” e coercitive impiegate in modo sempre più ossessivo e su larga scala – che fa risaltare il pericolo per lo Stato di avvitarsi sui problemi che insorgono senza riuscire a perseguire l’assestamento controrivoluzionario nelle relazioni di classe, che prende forma l’esigenza tutta politica di rincorrere, senza soluzione di continuità, successi polizieschi da sbandierare, siano essi anche solo presunti. Ed è da questa esigenza politica e in relazione alla vigente contraddizione (posta in essere dal “rilancio”) caratterizzato dal fatto che anche un lungo periodo di assenza dell’iniziativa rivoluzionaria non garantisce della non riproducibilità della proposta rivoluzionaria e dello scontro di potere, che la struttura di antiguerriglia degli inquirenti architetta la “bella pensata” di concedere a Diana i colloqui con il suo ex ragazzo (un importante rapporto affettivo ed esile filo di speranza e sostegno per chi come lei soffre del “mal di vivere”) per poi brutalmente reciderlo con l’arresto di lui, un già visto la pratica di colpire gli affetti più cari. La compagna, minata dalla terribile malattia, chiarisce agli inquirenti la totale estraneità del suo ex ragazzo alla propria esperienza politico-organizzativa e poi, si toglie la vita. La gestione statuale sulla morte della compagna non stupisce, già era stata vista all’opera intorno alla salma del compagno Mario Galesi. Denigrazione, fumisterie e anche vigliaccheria, sono modalità costanti, ben rodate, di una gestione che volutamente prescinde dalla realtà dei fatti, incanalata e guidata solo dal desiderio di infangare la storia militante di Diana in quanto figura pubblica della Rivoluzione, del campo proletario, denigrandola con le solite bieche e trite rappresentazioni, più degne per un fumettone, e con la propaganda sulla sua morte rappresentata come fosse un cedimento politico derivato dalla “legittima potenza dello stato”, con lo scopo di fomentare deterrenza e desolidarizzazione negli ambiti di classe, non riuscendo però a nascondere, se non la paura, la preoccupazione dell’ineliminabile peso che la figura di Diana, il suo spessore umano e politico, e l’impegno militante, rappresenta per il processo di emancipazione politica del proletariato. Una gestione inoltre tutta improntata sul binario “informativo” precipuo a questo momento politico, che svolge il compito generale di accompagnare le peggiori barbarie di cui si rende responsabile una borghesia in crisi, col fine di dare al regresso politico culturale di cui essa è portatrice, un retroterra sociale di massa, come se tale regresso fosse il naturale divenire nelle relazioni sociali. Una nuova modernità dove anche i bambini vengono definiti stranieri, paradigma dell’abisso di abbrutimento nel quale vogliono trascinare le relazioni sociali con la costituenda “democrazia governante”. Nel rendere memoria alla compagna Diana onorando la sua figura di militante rivoluzionaria, riaffermiamo infine tutta la valenza e l’attualità delle ragioni che l’hanno immessa nel percorso rivoluzionario storicamente segnato dalla proposta strategica delle BR-PCC di sviluppo della guerra di classe in una prospettiva di potere.
Con amore rivoluzionario
Onore alla compagna Diana Blefari
Onore a tutti i combattenti rivoluzionari ed antimperialisti caduti
Proletari di tutto il mondo uniamoci!

I Militanti delle BR-PCC
Maria Cappello
Franco Grilli
Rossella Lupo
Fabio Ravalli
La Militante Rivoluzionaria
Vincenza Vaccaro

A tutto il movimento rivoluzionario

Lo Stato della tortura pretende ancora una volta di processare la rivoluzione proletaria!

Questa volta lo scopo è più che ambizioso: decretare la definitiva sconfitta del progetto politico della lotta Armata per il Comunismo imbastendo la solita farsa processuale ad una delle più formidabili vittorie riportate dai rivoluzionari sulla borghesia imperialista nel nostro paese.

Quello che vorrebbero mettere in scena stavolta è lo spettacolo della guerriglia in rotta, dei comunisti battuti e divisi, di un movimento proletario ridotto all’impotenza, tutto in nome di una rinnovata fedeltà nazionale, che ieri doveva servire agli interessi della ristrutturazione e oggi allo scatenamento della guerra imperialista.

Dietro la faccia “democratica” di questo Stato è facile scorgere la maschera grottesca dei vari aguzzini che da anni, terrorizzati dalla forza del movimento rivoluzionario e dai margini sempre più ristretti della loro crisi, preparano lo scontro diretto con ogni manifestazione dell’antagonismo proletario, armato e no, organizzato e no. È facile capire gli strumenti economici, politici, ideologici e militari con cui questi signori si illudono di chiudere una fase del cammino rivoluzionario sancendo definitivamente l’onnipotenza di questo regime. Questi strumenti li abbiamo imparati a conoscere molto bene sulla nostra pelle e portano il segno putrido di questo sistema che muore lasciando dietro di sé solo distruzione e morte.

Questi signori oggi si gloriano di aver fatto arretrare, con le sconfitte recenti, il processo rivoluzionario, usando solo e soltanto i metodi costituzionali, democratici e una volta tanto siamo d’accordo con loro: è vero, i loro strumenti non sono poi così antidemocratici, anzi sono quelli soliti di sempre usati contro il proletariato di tutto il mondo; sono gli strumenti di guerra antiproletaria come unica politica che la borghesia conosce veramente bene, perché li usa da quando esiste il suo dominio e si chiamano divisione, ricatto, galera, annientamento, tortura, guerra…

Questa è la vera faccia della più feroce e vorace stirpe di assassini mai comparsa sulla terra e di questo il proletariato mondiale ne ha ampia coscienza e memoria e saprà sempre più affinare le sue capacità politico militari che gli permetteranno di porre fine a questo secolare massacro.

Compagni

questo processo, con la distribuzione di secoli di galera ai rivoluzionari e premi-fedeltà ai pidocchi, vuole essere una tappa importante dei successi riportati dalla borghesia imperialista su tutto il movimento di classe. Far arretrare il più forte e cosciente movimento rivoluzionario nella storia del nostro paese trova oggi alimento proprio a partire dalle nostre debolezze. Per questo scopo si è mobilitato tutto l’apparato integrato della controrivoluzione: dai corpi speciali ai lacchè revisionisti; dall’internazionale dei padroni ai circuiti dei mass-media. Questo non ha impedito ad ogni proletario di capire e di vedere qual è l’unica proposta che la borghesia imperialista è in grado di fare: licenziamenti di massa, pacificazione forzata della forza lavoro, stratificazione e annientamento sul nascere di ogni possibilità di lotta, carceri speciali per migliaia di avanguardie e di comunisti, tortura come strumento per estorcere informazioni e distruggere l’identità dei comunisti catturati. Ma per i “signori della guerra” tutto questo deve rientrare nella gestione democratica della società; perciò se da un lato negano le pratiche dei sequestri nelle caserme dei CC, delle torture psico-fisiche, dei massacri continui dentro le carceri, dall’altra legalizzano tutto questo con leggi speciali sulla cattura e la detenzione. Ultimo gioiello è proprio il famigerato articolo 90 che, regolamentando ed ufficializzando il sequestro fino a tre anni nei bracci di lungo controllo in un regime di completo isolamento, è l’esemplificazione più chiara di come un regime democratico possa avere le mani libare per sperimentare ad applicare i più sofisticati metodi di tortura, condizionamento e annientamento psicofisici. Proprio contro tutto questo oggi bisogna rovesciare una rinnovata capacità rivoluzionaria, una rinnovata unità dei comunisti e delle masse organizzate, per la costruzione del Partito Comunista Combattente, degli Organismi di Massa Rivoluzionari e del Movimento di Massa Rivoluzionario.

COMBATTERE UNITI E INSIEME AL PROLETARIATO PRIGIONIERO CONTRO L’ARTICOLO 90 PER LA LIBERAZIONE DEL PROLETARIATO PRIGIONIERO E LA DISTRUZIONE DI TUTTE LE GALERE.

 

Compagni,

lo scontro di classe nel nostro paese impone a tutto il movimento rivoluzionario, le avanguardie comuniste in testa, una inflessibile autocritica rispetto ad un percorso che, dalla campagna di primavera in poi ha segnato le tappe dell’indebolirsi del progetto rivoluzionario ed ha permesso alla borghesia imperialista di rafforzarsi e decretare una decisiva battuta d’arresto al processo di unificazione del proletariato metropolitano e della costruzione del sistema del Potere Proletario Armato. I nostri nemici sono riusciti a raggiungere questo obiettivi solo grazie all’infinità di errori, incapacità, incertezze di un giovane sistema rivoluzionario che muoveva i primi passi, che non ha saputo costruire e verificare una corretta teoria della conduzione della guerra rivoluzionaria nelle metropoli imperialiste, che non ha saputo cogliere i passaggi nuovi da compiere che devono portare alla trasformazione della guerriglia in guerra di classe, del movimento antagonista a movimento rivoluzionario, delle Organizzazioni Comuniste Combattenti in Partito Comunista Combattente.

Solo grazie a questi errori la borghesia imperialista ha avuto buon gioco, rovesciando a suo favore i rapporti di forza tra le classi, riuscendo a instaurare un clima di pacificazione forzoso mascherando dietro al terrore le sue insanabili contraddizioni.

Non sono certo venute meno, come la solerzia servile di qualche pidocchio oggi vorrebbe dimostrare, né le ragioni sociali della guerra di classe, né la formidabile possibilità di liberazione dal giogo imperialista e questo perché tutte le possibilità della costruzione della transizione al comunismo poggiano su condizioni politiche e materiali storicamente a noi favorevoli: la crisi irreversibile della borghesia imperialista, l’esistenza ormai decennale di un soggetto rivoluzionario che ha segnato le tappe vittoriose del proletariato metropolitano nel nostro paese, l’affermarsi di un vasto movimento di massa che si sta sempre più caratterizzando come movimento rivoluzionario.

Per questo, a partire da una severa riflessione sui nostri compiti, siamo convinti che, da veri rivoluzionari, sapremo imparare da queste sconfitte, capire tutti i nostri limiti, acquisire tutti gli strumenti teorici e pratici adatti a questo scontro e vincere.

Per questo, per questa affinità di intenti ci riconosciamo completamente in quei compagni che nelle ultime dure battaglie non si sono fatti strumento di questo regime, ma, difendendo eroicamente la propria identità di comunisti, hanno ribadito la loro appartenenza alle fila dei rivoluzionari e la loro volontà di distruggere questo Stato, fidando proprio sulle ragioni sociali della guerra rivoluzionaria, sulla propria coscienza di appartenere al movimento proletario. Questi militanti comunisti con la forza delle proprie convinzioni ideologiche e morali, con la limpidezza delle proprie aspirazioni, sono l’esempio vivo e forte della vanità dei metodi sanguinari e terroristici dei nostri nemici quando questi si scontrano con la coscienza rivoluzionaria; questi compagni ancora una volta hanno dimostrato alla belva imperialista che, nonostante l’alto prezzo da pagare, nessun aguzzino nessun torturatore riuscirà mai a fermare un processo rivoluzionario.

Da parte nostra si tratta di lavorare alla costruzione di un ampio dibattito che ponga come centro un bilancio critico-autocritico di questi anni di lotta.

Questa necessità nasce dal confronto con la realtà oggettiva, con le dinamiche dello scontro di classe che ci impone un compito imprescindibile: COMUNICAZIONE e CONFRONTO con tutto il movimento rivoluzionario e con TUTTI i comunisti dentro e fuori le prigioni. Gli obiettivi di questo bilancio autocritico sono: L’UNITÀ dei COMUNISTI nel processo di Costruzione del Partito Comunista Combattente e l’UNITÀ delle MASSE SUL TERRENO DELLA LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO.

Il susseguirsi delle sconfitte politiche militari, lo smantellamento di interi e vasti settori del Movimento Rivoluzionario, le spaccature, il frazionismo, i tradimenti non possono trovare spiegazione e superamento se non in un dibattito che sappia leggere, nell’affermarsi del soggettivismo, gli errori d’impianto teorico-strategico che hanno menomato e spesso impedito l’uso e la più corretta appropriazione da parte dei comunisti e del Movimento Rivoluzionario del metodo del materialismo storico e dialettico.

Da parte nostra intendiamo aprire e portare avanti questo dibattito senza fermarci a mezza strada, assumendoci le nostre responsabilità per intero e ponendo immediatamente questo rilancio come contributo per l’unità dei comunisti.

Capire gli errori significa soprattutto cogliere le deviazioni soggettiviste dell’Organizzazione, nell’affrontare teoricamente e praticamente il rapporto Massa-Partito-Massa.

Questo crediamo sia il punto: aver anteposto, nell’analisi e nella definizione dei compiti dello scontro di classe, l’organizzazione di Partito all’organizzazione e alla partecipazione del proletariato

alla lotta rivoluzionaria: aver cioè assolutizzato a sé, al Partito, le contraddizioni di classe; aver agito in nome della classe, espropriandola del suo movimento molteplice, motore della trasformazione sociale.

Nella fase della transizione al comunismo, l’Organizzazione deve diventare Partito che costruisce il Partito, superare la concezione dell’Organizzazione politico-militare, riassumere il suo ruolo essenzialmente nella costruzione e nell’esercizio di un vasto e articolato sistema di Potere Proletario Armato, all’interno del quale il Partito è direzione politico-militare delle lotte e del combattimento proletario.

La base oggettiva del riproporsi del soggettivismo d’organizzazione sta proprio nelle difficoltà e incapacità di assumere questi compiti in questo passaggio di fase.

Per la classe il percorso che la sta portando alla partecipazione diretta sul terreno della Lotta Armata, non significa nell’immediato capacità. dispiegata di organizzazione politico-militare clandestina; al contrario esistono percorsi differenziati, più o meno avanzati, all’interno dei quali funzione dirigente di Partito è comprenderli e analizzarli tutti, dirigerli, assumendo sempre come riferimento principale le espressioni più avanzate. Negli ultimi quattro anni il soggettivismo ha significato una divaricazione tra presunta capacità offensiva dell’Organizzazione e il livello del tutto ridicolo di capacità dirigente rispetto alle lotte proletarie ed alle loro espressioni organizzate così come erano e sono possibili all’interno dei rapporti di forza esistenti. Questo ha determinato l’incapacità di disarticolazione reale del progetto della borghesia imperialista e l’allontanamento delle masse, causati dal permanere di teorie e pratiche legate alla fase precedente. Il punto è proprio questo: bisogna analizzare i movimenti antagonisti e coglierne il loro contenuto rivoluzionario in rapporto alla contraddizione che li oppone spontaneamente alla società capitalista. In questo quadro, a partire dalle espressioni più avanzate, costruire intorno ad un programma rivoluzionario la base materiale della determinazione del Potere Proletario Armato.

Il principio politico è che: I COMUNISTI SI ORGANIZZANO DENTRO LE MASSE e non LE MASSE DENTRO I COMUNISTI, cioè imparare ad organizzarci ad ogni livello dell’antagonismo di classe e non aspettare che l’antagonismo spontaneamente assuma le caratteristiche a noi più assimilabili.

Nella guerra di classe di lunga durata, forma e contenuto coincidono, quindi si ha l’unità del politico con il militare, ma ciò non vuol dire sviluppo lineare. Al contrario il processo rivoluzionario è complesso e contraddittorio e l’avanguardia agendo all’interno delle contraddizioni le spinge a maturazione, al loro spostamento ad un livello più avanzato. Ma non sempre è cosi; la dialettica dello scontro di classe è interna al rapporto crisi-ristrutturazione, crisi-rivoluzione, e il quadro generale, i rapporti di forza non possono prescindere da questa dialettica, pena l’interpretazione idealistica della lotta di classe stessa. Questo è il terreno su cui si è andata maturando la concezione soggettivista della guerra di classe nella metropoli imperialista, che ha portato alla concezione del rapporto crisi-rivoluzione, nella sua accezione vecchia, da gruppo guerrigliero, nell’illusione di essere sempre e comunque all’offensiva.

L’offensiva a tutti i costi, senza un quadro strategico che la fa essere possibile, si presenta oggi per quello che è: divaricazione del rapporto Massa-Partito-Massa, offrendo al nemico di classe la possibilità di accerchiare e annientare l’avanguardia rivoluzionaria e portare fino in fondo i suoi progetti di ristrutturazione e annientamento di interi strati di classe.

Parlare oggi di un quadro generale caratterizzato dalla DIFENSIVA STRATEGICA, non significa, come molti credono, riportare indietro 10 anni di Lotta Armata, cancellandone esperienze e contenuti, perché il nemico ha riportato significative vittorie sulle Brigate Rosse e sul Movimento Rivoluzionario: significa capire che l’offensiva strategica andava e va costruita in rapporto all’organizzazione delle masse sul terreno della lotta Armata e alla costruzione del Partito. Non si può scambiare, come spesso abbiamo fatto, l’offensiva tatticamente possibile dell’Organizzazione per l’offensiva proletaria espressa da un reale sistema di potere.

L’offensiva strategica in stretta dialettica con tutte le determinazioni della guerra di classe, i fattori che la rendono possibile sono molteplici e appartengono intimamente a tutto il sistema del Potere Proletario Armato. Non capire la complessità di questi problemi significa trasgredire le leggi della guerra rivoluzionaria, concependola come un evolversi spontaneo e su se stessi.

L’Organizzazione nella sua pratica sociale ha commesso l’errore di non capire a fondo i compiti di questa congiuntura di transizione, sbandando dalla propaganda armata alla guerra civile dispiegata. Per questo bisogna ricollocare la nostra iniziativa dentro il movimento reale, per questo dobbiamo imparare a praticare la difensiva strategica per capire come assolvere i compiti della congiuntura di transizione cioè: conquista e organizzazione delle masse sul terreno della Lotta Armata e unità dei comunisti per la costruzione del Partito.

Compagni,

la parola d’ordine “Unità dei Comunisti” non é un fatto contingente, una esigenza organizzativa, risultato delle ultime sconfitte, ma ha come primo obiettivo la morte della logica dello schieramento, del procedere solo attraverso spaccature indebolendo dall’interno il processo di costruzione del Partito. Ciò non significa rinunciare alla battaglia politica, ma assumerla all’interno del centralismo democratico, come vita stessa del Partito. Su queste basi é possibile superare il frazionismo, è possibile misurare le esperienze, i contenuti, i livelli più maturi che TUTTI I COMUNISTI CHE LAVORANO ALLA COSTRUZIONE DEL PARTITO HANNO ACCUMULATO, in questo si dà la possibilità di costruire la giusta linea politica e renderla direzione politica del Partito.

Compagni,

se è vero che la borghesia imperialista ha dimostrato tutta la sua capacità di comprensione delle dinamiche e degli errori del Movimento Rivoluzionario e ha scatenato tutta la sua forza per annientarlo, é un’altra la verità che sta cominciando a imporsi e questa verità parla la lingua di un nuovo internazionalismo proletario, dell’unità di classe all’interno di ciascun paese a partire dalle metropoli imperialiste: delle nuove condizioni di lotta, di organizzazione, di programma per la transizione al comunismo.

La borghesia imperialista sta preparando ancora una volta la guerra per tamponare gli effetti laceranti della sua crisi, il proletariato mondiale e i popoli che combattono contro questa barbarie stanno preparando l’unità che trasformerà questo nuovo sterminio in guerra di classe contro ogni imperialismo.

 

– SCONFIGGERE IL FRAZIONISMO E LA LOGICA DI SCHIERAMENTO
– MARCIARE NELLA CHIAREZZA VERSO L’UNITÀ DEI COMUNISTI NELLA COSTRUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE
– LAVORARE E COMBATTERE UNITI PER COSTRUIRE L’UNITÀ DELLE MASSE NEL PROGRAMMA DI CONGIUNTURA
– COMBATTERE INSIEME E UNITI PER VINCERE CON TUTTI I COMUNISTI E CON TUTTI I POPOLI CHE LOTTANO CONTRO L’IMPERIALISMO

25/4/1982 Per il Comunismo

BRIGATE ROSSE
PER LA COSTRUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE

Volantino rivendicazione azione in via Prati di Papa

Sabato 14 Febbraio l987, un nucleo armato della nostra Organizzazione ha espropriato un furgone portavalori delle poste, nel corso dell’azione la scorta armata è stata neutralizzata ed è stata requisita una pistola in dotazione agli agenti.

Per un’Organizzazione Comunista Combattente che si pone correttamente alla testa dello scontro di classe perseguendo gli interessi strategici del proletariato – la conquista del potere politico – l’esproprio è l’unico mezzo per finanziare il programma rivoluzionario; l’esproprio è altresì il mezzo più coerente poiché prefigura la totale espropriazione da parte del proletariato dei mezzi di produzione in mano alla borghesia, il problema dell’autofinanziamento è quindi elemento politico e strategico dell’attività rivoluzionaria ed è su questo piano che le Brigate Rosse per la costruzione del PCC l’hanno sempre affrontato, perciò abbiamo deliberatamente scelto le modalità d’intervento con cui abbiamo operato, salvaguardando la vita dei civili e risparmiando la vita all’agente che si è arreso.

Una scelta politica la nostra calibrata all’andamento dello scontro, scontro di classe che può subire arretramenti, permettere alla borghesia di dettare da posizioni di forza le “regole del gioco” cambiandole a suo vantaggio ma che non azzera il patrimonio storico della qualità dello scontro di classe che si è prodotto in Italia. In altri termini: la strategia della Lotta Armata, 17 anni di prassi rivoluzionaria, dialettizzandosi con le istanze più mature dell’autonomia di classe, hanno determinato il percorso strategico per dare soluzione alla questione del potere.

Per questo i piani per demotivare politicamente e socialmente la strategia della Lotta Armata messi in atto dallo Stato e dai suoi più o meno illustri fiancheggiatori post-moderni devono fare i conti con questo dato di fatto; così come l’aspetto complementare di questa politica, vale a dire il tentativo di strumentalizzare la Lotta Armata con interventi preordinati al fine di inserirsi nelle contraddizioni del movimento rivoluzionario è destinato ad infrangersi, nonostante gli sforzi fatti dai portavoce della borghesia, il duo Scalfaro-Parisi, tramaioli di vecchia data. A questi signori ricordiamo che queste elucubrazioni maturate nei vari covi della borghesia non sono che velleità; lo scontro politico tra le classi non è pianificabile a tavolino.

Tutti coloro che si uniscono al coro del “canto del cigno” sulla strategia della Lotta Armata sappiano chiaramente che i proventi dell’esproprio saranno investiti con il rigore rivoluzionario che ci ha sempre contraddistinto.

Oggi la borghesia parla di stabilità politica, di paese pacificato, decanta i successi economici e pone sul piano internazionale il rilancio della sua collocazione nella catena imperialista. Di fatto “l’azienda Italia” ha operato le fasi più salienti della ristrutturazione economica, adeguandosi al profondo salto tecnologico nella produzione, pena la perdita di posizioni nelle quote di mercato internazionale.

La borghesia imperialista nostrana incalzata dall’andamento della crisi economica, dal carattere recessivo dell’economia mondiale ha intrapreso un riadeguamento complessivo che partendo dalla produzione ha comportato e comporta una rifunzionalizzazione di tutti gli aspetti sovrastrutturali a partire dalle relazioni industriali fino alla razionalizzazione delle funzioni dello Stato.

Quello che si è verificato e si sta verificando è il risultato di un lungo scontro politico-sociale che si è risolto, allo stato attuale, con l’arretramento delle posizioni politiche e materiali della classe, ciò è stato ottenuto attraverso un attacco articolato che per proporzioni e dinamiche ha assunto carattere di vera e propria controrivoluzione. Questa ha attraversato orizzontalmente tutta l’autonomia politica di classe che si era sviluppata principalmente intorno alla strategia politico-militare delle Brigate Rosse; infatti l’attacco ha investito sia le avanguardie rivoluzionarie che quelle di classe, ridimensionando paradossalmente anche le rappresentanze istituzionali della classe. La borghesia sta rideterminando ulteriormente attraverso rotture nei rapporti di forza, tutti i termini delle relazioni fra Le classi, dalla contrattazione della forza lavoro agli aspetti più generali del rapporto politico tra classe e Stato riformulando in ultima istanza il modo di governare il conflitto di classe, il carattere stesso della mediazione politica tra te classi, allo scopo di consentire il relativo contenimento delle dinamiche antagoniste.

L’accentramento dei poteri nell’Esecutivo, la ridefinizione di “nuovi” strumenti di governo delle contraddizioni sociali, quali fra gli ultimi la staffetta – esperimento di democrazia matura ad hoc – non sono beghe interne alla borghesia, ma sono strettamente legati ai modi e ai tempi per determinare le condizioni politiche e materiali della classe. È dentro a questa nuova fase politica che operiamo per il rilancio fattivo dello scontro rivoluzionario apertosi a suo tempo nel nostro paese, e che costruiamo il riadeguamento teorico-politico-corganizzativo per essere direzione effettiva del movimento di classe e delle sue espressioni più avanzate dando così prospettiva strategica alla questione del potere.

Asse d’intervento strategico delle Brigate Rosse è l’attacco al cuore dello Stato, inteso come attacco alle politiche dominanti nella congiuntura che oppongono il proletariato alla borghesia, attacco che mira a rompere gli equilibri politici che fanno marciare i programmi della borghesia imperialista rendendone ingovernabili le contraddizioni. L’intervento politico-militare è calibrato da un lato all’andamento dello scontro di classe, dei rapporti di forza tra le classi nel paese e del movimento rivoluzionario; dall’altro ciò si misura sul rafforzamento delle forze rivoluzionarie in modo dà renderle sempre più capaci di attestarsi in modo adeguato allo scontro col nemico di classe, con l’imperialismo. Lavoriamo quindi alla modificazione dei rapporti di forza per assestarli in favore del campo proletario, affinché possano pesare nello scontro contro lo Stato e dare propulsione alla guerra di classe di lunga durata per la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura del proletariato.

Se questi sono i caratteri interni dell’attuale fase politica, la sua maturazione è informata dai cambiamenti intervenuti nel contesto internazionale che influiscono sulle scelte dei vari Stati della catena imperialista.

L’acutezza della crisi determina per l’imperialismo la necessità di una ridefinizione generale della divisione internazionale del lavoro e dei mercati tale da permettere un nuovo ciclo espansivo dell’economia capitalistica. L’approfondimento tecnologico e nell’organizzazione del lavoro con la conseguente concentrazione finanziaria determina un’aspra concorrenza fra i gruppi monopolistici-multinazionali dell’occidente; questi fattori però non sono in grado di dare superamento alla grave crisi recessiva mondiale, anzi nelle attuali condizioni questi dati provocano il loro opposto!

La sovrapproduzione di capitali non fa che aumentare i fattori di instabilità nell’economia mondiale. In sintesi il piano economico a questo stadio della crisi non è in grado di riequilibrare gli scompensi in atto, la necessità di dare soluzione alla crisi si sposta sul piano politico, poiché una ridefinizione complessiva dei mercati necessita di una nuova ripartizione delle zone d’influenza e di un nuovo assetto nelle relazioni tra i blocchi.

Nelle intenzioni dell’imperialismo ciò significa la volontà di ridimensionare il blocco Sovietico e di ricondurre nell’orbita occidentale tutti quei paesi che vi si sono sottratti attraverso percorsi di liberazione nazionale. È all’interno dell’acuirsi della contraddizione Est/Ovest che trovano convergenza le politiche imperialiste del blocco occidentale, pur fra i diversi interessi e contraddizioni che l’attraversano.

Le forzature statunitensi nell’area mediorientale hanno posto le condizioni di un passaggio in avanti della politica imperialista, coagulando in senso filo atlantico le varie iniziative dei paesi del blocco. In altri termini superata, come elemento trainante, la politica dei bombardamenti terroristici si apre una fase in cui l’iniziativa politico-diplomatica fa da battistrada ad una strategia globale tesa ad assestare alleanze ed equilibri politici favorevoli all’occidente, di cui gli europei si fanno carico pur dentro a laceranti contraddizioni provocate anche dalle batoste sul campo.

L’Esecutivo nostrano è perfettamente allineato a questa strategia guerrafondaia con un proprio ruolo attivo. Questo attivismo diventa elemento di ulteriore razionalizzazione nel processo dl accentramento dei poteri, in quanto tale pesa anch’esso sui rapporti di forza generali. In questo contesto l’antimperialismo è problema politico prioritario per ogni forza rivoluzionaria che combatte, non solo perché è posto dalle condizioni oggettive dell’aggravamento della tendenza alla guerra, ma principalmente perché posto soggettivamente dalle forze rivoluzionarie combattenti e dai popoli progressisti che lottano per sottrarsi al giogo imperialista.

La questione dell’antimperialismo, nel suo maturarsi come problema politico immanente non può essere risolto solo come problema solidaristico o rimandato in termini libreschi ad un “indeterminato” internazionalismo proletario. Esso deve trovare la sua prassi rivoluzionaria in una proposta politico-organizzativa adeguata ad impattare con le politiche imperialiste. Per questo lavoriamo al consolidamento del Fronte Combattente antimperialista.

L’opportunità politica del Fronte è problema di una politica concreta e può essere attuabile in determinate condizioni, ma per essere affrontata necessita da parte dei comunisti di un atteggiamento politico che pur nella saldezza dei propri principi, abbia la flessibilità necessaria per ricercare il massimo d’unità possibile; in altri termini una reale politica d’alleanze non passa attraverso la mercificazione dei principi e delle finalità dei comunisti: politica d’alleanze e finalità dei comunisti sono due termini che non si escludono, ma vivono un rapporto programmatico.

La praticabilità di una politica d’alleanze è determinata dell’analisi concreta della situazione concreta, cioè riferita alle dinamiche della crisi e della tendenza alla guerra, alla controrivoluzione e alle forze rivoluzionarie presenti, attive o attivabili in senso progressista ma soprattutto alla sua funzione nei confronti del nemico comune; e questo perché oggi sviluppare il processo rivoluzionario nel proprio paese non può prescindere dall’indebolimento politico militare dell’imperialismo nell’area, ossia si rende necessaria una politica d’alleanze fra le diverse forze rivoluzionarie che oggi combattono l’imperialismo, affinché operino questo indebolimento.

In questo senso l’obbiettivo politico del Fronte è parte del programma comunisti. La politica d’alleanze che ci riguarda si pone quindi all’interno della più ampia politica antimperialista da noi praticata; alleanza che deve relazionarsi con forze rivoluzionarie che possono essere caratterizzate da criteri e finalità diverse dalla conquista proletaria del potere, la cui unità politica nell’alleanza è data dalla lotta al nemico comune e la sua concretizzazione nei livelli d’unità e cooperazione raggiungibili.

È chiaro che il Fronte non è lo stadio inferiore dell’Internazionale, ma lavorare per il Fronte non preclude la ricerca dell’unità dei comunisti.

L’attività della guerriglia in Europa che pur nella specificità ha come denominatore comune l’attacco all’imperialismo USA e alla NATO, trova convergenza obiettiva con le lotte dei popoli progressisti della regione mediorientale mediterranea.

La prassi combattente di R.A.F. e A.D. per la promozione del Fronte, segna un’importante tappa politica alla quale ci rapportiamo; tale prassi pone una convergenza oggettiva che è la base politica, in termini più generali, per il rafforzamento e consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista.

È su questi termini di programma e sulla strategia della Lotta Armata che trova concretezza la parola d’ordine dell’unità dei comunisti per la costruzione del Partito Comunista Combattente.

 

ATTACCARE IL CUORE DELLO STATO NELLE SUE POLITICHE DOMINANTI!

RAFFORZARE IL CAMPO PROLETARIO PER ATTREZZARLO ALLO SCONTRO CONTRO LO STATO!

GUERRA ALL’IMPERIALISMO! GUERRA ALLA NATO!

PROMUOVERE E CONSOLIDARE IL FRONTE COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA – LOTTARE INSIEME!

ONORE A TUTTI I COMPAGNI CADUTI!

 

per il Comunismo BRIGATE ROSSE
per la costruzione del P.C.C.

 

Febbraio 1987

Testo comune Raf Br-Pcc

Il salto ad una politica di Fronte è necessario e possibile per le forze combattenti allo scopo di incidere adeguatamente nello scontro. Per questo bisogna battere e superare tutte le impostazioni ideologiche e dogmatiche che esistono oggi dentro le forze combattenti e il movimento rivoluzionario in Europa occidentale, poiché le posizioni dogmatiche ed ideologiche dividono i combattenti. Queste posizioni non sono in grado di portare le lotte e l’attacco al livello necessario di incisività politica. Le differenze storiche di percorso e di impianto politico di ogni Organizzazione, differenze (secondarie) di analisi, ecc., NON POSSONO E NON DEVONO essere di impedimento alla necessità di lavorare ad unificare le molteplici lotte e l’attività antimperialista in un ATTACCO COSCIENTE E MIRATO al potere dell’imperialismo. NON SI TRATTA di fondere ciascuna Organizzazione in un’unica organizzazione. Il Fronte in Europa occidentale si sviluppa INTORNO ALL’ATTACCO PRATICO, in un processo cosciente e organizzato in cui si maturano successivi momenti di unità tra le forze combattenti. Perché organizzare il Fronte Combattente Rivoluzionario significa organizzare l’attacco, non si tratta di una categoria ideologica, né tanto meno di un modello di rivoluzione.

Si tratta invece di sviluppare la forza politica e pratica per combattere adeguatamente la potenza imperialista, per approfondire la rottura nelle metropoli imperialiste e per il salto qualitativo della lotta proletaria. La nostra esperienza comune dimostra come sia possibile SULLA BASE DI UNA SCELTA SOGGETTIVA lavorare allo sviluppo del Fronte nonostante l’esistenza di contraddizioni e differenze, ma malgrado queste nel lavoro insieme non abbiamo MAI perso di vista l’elemento unitario dell’attacco all’imperialismo. L’Europa occidentale è il PUNTO CARDINE nello scontro tra proletariato internazionale e borghesia imperialista.
L’Europa occidentale per le sue caratteristiche storiche, politiche, geografiche è la parte dove si incontrano le tre linee di demarcazione: classe/Stato; Nord/Sud; Est/Ovest.
L’inasprimento delle crisi del sistema imperialista, l’abbassamento del potenziale economico USA, sono il motivo principale che insieme ad altri fattori determinano una perdita relativa del peso politico degli USA. Questi fattori comportano un avanzamento (sviluppo) del processo di integrazione economico, politico, militare del sistema imperialista. In questo contesto e per le ragioni sopraddette LA FUNZIONE dell’Europa Occidentale nel governo della crisi cresce d’importanza:
SUL PIANO ECONOMICO: l’Europa occidentale sviluppa un piano concertato di politiche economiche di sostegno e ammortizzamento delle contraddizioni economiche all’interno del governo della crisi dell’imperialismo.

SUL PIANO MILITARE: forzature verso una maggiore integrazione politico-militare nell’ambito dell’Alleanza Atlantica (NATO), sia con piani politici, economici di riarmo all’interno della nuova strategia militare imperialista nei confronti dell’Est, sia con un intervento politico e militare integrato contro i conflitti che si inaspriscono nel terzo mondo, principalmente verso l’area di crisi mediorientale.

SUL PIANO CONTRORIVOLUZIONARIO: la riorganizzazione ed integrazione degli apparati di polizia e dei servizi segreti contro lo sviluppo del Fronte rivoluzionario, contro le attività rivoluzionarie e contro l’estensione e l’inasprimento dell’antagonismo di massa. Riorganizzazione ed integrazione che si avvale di precisi interventi politici contro la guerriglia, come ad esempio i progetti di soluzione politica che stanno avvenendo in vari paesi europei.
SUL PIANO POLITICO/DIPLOMATICO: i progetti di soluzione negoziata dei conflitti al fine di consolidare le posizioni di forza imperialiste. Questa attività politico-diplomatica ha anche la funzione di rafforzare i processi di coesione politica dell’Europa occidentale nel quadro integrato dell’imperialismo.

Questi piani si intrecciano tra loro e concorrono alla coesione politica dell’Europa occidentale, un movimento dal quale nessun paese dell’Europa occidentale è escluso. Un dato questo da cui NESSUNA forza rivoluzionaria combattente può prescindere nella propria attività rivoluzionaria.
È da questi elementi politici di fondo che il Fronte nell’Europa occidentale si rende possibile e necessario.
I livelli di controrivoluzione maturati storicamente dall’imperialismo hanno modificato sostanzialmente il rapporto di scontro tra imperialismo e forze rivoluzionarie.
Ciò significa in primo luogo avere coscienza dell’AUMENTATO PESO DELLA SOGGETTIVITÀ come dato generale dello scontro di classe, avere coscienza cioè che il terreno rivoluzionario non è il semplice riflesso delle condizioni oggettive.
L’attacco del Fronte è contro i progetti strategici attuali della coesione politica/economica/militare dell’Europa occidentale allo scopo di indebolire il sistema imperialista per provocare la crisi politica.

La nostra offensiva comune è mirata: è mirata:

CONTRO:
la formazione delle politiche economiche e finanziarie dell’Europa occidentale, che all’interno della catena imperialista sono concepite per armonizzare e sostenere l’acutizzarsi dell’erosione economica.
Queste politiche in concertazione con quelle di USA, e Giappone fanno solo gli interessi delle banche, dei consorzi, delle multinazionali ed hanno una duplice funzione:
– dettare le condizioni della realtà dei paesi in cui operano;

– impedire la rottura del sistema finanziario internazionale.

Tutto ciò sulla pelle dei popoli metropolitani e del terzo mondo.

CONTRO:
le politiche di coesione dell’Europa occidentale che sono tese al rafforzamento delle posizioni dell’imperialismo, che attualmente intervengono per stabilizzare l’area mediorientale sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.

– L’ATTACCO UNIFICATO CONTRO LE LINEE STRATEGICHE DELLA COESIONE DELL’EUROPA OCCIDENTALE DESTABILIZZA LA POTENZA DELL’IMPERIALISMO.
– ORGANIZZARE LA LOTTA ARMATA NELL’EUROPA OCCIDENTALE.

– COSTRUIRE L’UNITA’ DELLE FORZE COMBATTENTI SULL’ATTACCO:

ORGANIZZARE IL FRONTE COMBATTERE INSIEME.

Settembre 1988

ROTE ARMEE FRAKTION
BRIGATE ROSSE
PER LA COSTRUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE

 

Fonte: www.bibliotecamarxista.org