Venerdì 12 dicembre, un nucleo armato delle Brigate rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo il boia, aguzzino di migliaia di proletari, Giovanni D’Urso, magistrato di Cassazione, direttore dell’ufficio III della Direzione generale degli Istituti di prevenzione e di pena del ministero di Grazia e Giustizia. Ciò significa che questo porco è il massimo responsabile per tutto ciò che concerne il trattamento di tutti i proletari prigionieri sia nei carceri normali sia nei carceri speciali. Tutto ciò che, in esecuzione delle direttive impartite dalle centrali imperialiste, riguarda il trattamento generale e particolare dei prigionieri, la differenziazione fra le carceri, i trasferimenti, le pratiche di tortura e di annientamento politico-psichico-fisico passa per le sue mani.
O meglio passava, perché ora è in un carcere del popolo e verrà sottoposto al giudizio del proletariato, che il porco credeva di poter massacrare impunemente.
Chiariamo subito che il processo a cui verrà sottoposto non ha nulla a che spartire con i riti ed i codici della giustizia borghese, ma ha i suoi ferrei riferimenti nel profondo senso di giustizia, che nelle sue lotte il proletariato non manca mai di manifestare con puntuale ed inesorabile fermezza. Ai criteri della giustizia proletaria ci atterremo nell’emettere il giudizio.
Compagni, la crisi strutturale in cui lo Stato imperialista delle multinazionali si dibatte si fa di giorno in giorno più profonda e lacerante. Essa nasce e si nutre nel meccanismo stesso dell’accumulazione capitalistica e investe inesorabilmente alle radici il modo di produzione. A nulla valgono le ricette miracolose ed i piani economici che la borghesia inventa per risolvere problemi che trovano la loro vera origine nel carattere superato dei rapporti sociali di produzione. Solo producendo per distruggere, distruggendo per poter produrre il capitale multinazionale può sperare di ritardare la sua fine. La crisi del modo di produzione capitalistico si traduce così in offensiva generalizzata della borghesia imperialista contro il proletariato metropolitano. Questa offensiva nel suo divenire assume sempre più i caratteri della controrivoluzione preventiva, di una strategia il cui aspetto dominante è la tendenza alla guerra imperialista ed alla ristrutturazione sul piano interno. Ciò significa che su ogni strato proletario si abbatte la repressione, che le conquiste di un decennio di lotte operaie vengono rimangiate ad una ad una. Il “nuovo modo di produrre” oggi, non può essere altro che quello che Agnelli ha prepotentemente indicato a tutti: la ristrutturazione in Fiat è passata, in un anno, dalla decimazione delle avanguardie iniziata con i licenziamenti alla espulsione in massa dalla fabbrica nel tentativo di far pagare tutti interi gli enormi costi della crisi alla classe operaia e di distruggere ogni sua capacità di lotta e di organizzazione.
Licenziamenti, mobilità, nocività e militarizzazione sono le medicine del padrone per la fabbrica ammalata. Il progetto padronale è all’interno di una strategia complessiva della borghesia imperialista, che trova nell’annientamento di ogni antagonismo di classe l’unica politica valida che, nell’attuale situazione, gli permetta di tenere in piedi il suo sistema di potere. Ma se per i capitalisti crisi significa guerra imperialista e controrivoluzione preventiva per i proletari vuol dire rivoluzione proletaria!!!
Al progetto della borghesia imperialista si oppone infatti un vasto movimento di resistenza proletaria che vive e combatte per una società comunista.
Nelle fabbriche, nei quartieri, nelle carceri questo movimento si esprime in mille forme di lotta e dimostra la sua reale maturità costruendo i livelli di mobilitazione e riorganizzazione sotterranea in grado di estendersi continuamente anche in presenza di un’offensiva controrivoluzionaria sempre più feroce. Lo scontro affrontato questo autunno dalla classe operaia Fiat non lascia dubbi in proposito per quanto ha saputo realizzare in termini di mobilitazione autonoma, di chiarezza e coscienza dei suoi nemici, e per questo ha saputo sedimentare nella prospettiva vincente di riorganizzarsi in modo nuovo. Anche la borghesia non si fa illusione ed è evidente il suo tentativo di arginare questa crescita adottando l’unica soluzione possibile: la strategia di guerra in mano ai militari. Cioè la guerra al proletariato su tutti i fronti e con tutti i mezzi a partire dai punti più alti dello scontro di classe: la Fiat e le carceri.
Compagni, il carcere è al centro della strategia di guerra dell’imperialismo. Il carcere non è un bubbone di questa società ma la risposta della borghesia all’attuale livello della lotta di classe. La strategia differenziata non è svincolata dalla ristrutturazione nelle fabbriche ma parte integrante di essa: il momento più alto di annientamento delle forze rivoluzionarie.
Ma il carcere non è solo l’altra faccia della fabbrica per chi lotta e combatte, è anche il luogo “abituale” di vita del proletariato extralegale, cioè di quello strato di classe che vive come determinazione degli strati disgregati del proletariato metropolitano che subiscono fino in fondo il costo della crisi e il peso della ristrutturazione produttiva. Nel movimento dei proletari prigionieri si sono storicamente incontrate e si incontrano queste due determinazioni del proletariato metropolitano in un programma di lotta rivoluzionaria e di costruzione del potere proletario.
La strategia differenziata nel carcere è il mezzo attraverso cui il potere tenta di contrastare, ad un tempo, la guerriglia all’esterno e il movimento dei proletari prigionieri all’interno. Essa deve isolare le avanguardie e seppellire nei campi per annientarle e, inoltre, reprimere ogni forma di lotta ed organizzazione del proletariato prigioniero. La differenziazione è lo strumento scientifico per separare, dividere ed analizzare i singoli prigionieri e i diversi strati per distruggere preventivamente la loro forza politica.
L’imperialismo ha affinato da tempo le sue tecniche di distruzione, le ha già sperimentate in Germania e in altri Paesi contro le forze rivoluzionarie, oggi le perfeziona in Italia a livello di massa tentando di costruire un’immensa rete di lager – che vorrebbe inespugnabile – per rinchiudervi migliaia di prigionieri e parallelamente edificare un circuito di differenziazione in grado di spezzare la resistenza dei prigionieri e di spegnere la loro capacità e volontà di lotta.
Ma l’ambizioso progetto del nemico, nonostante l’apparente efficienza e solidità, non può riuscire, sta già fallendo perché si scontra con la realtà di uno strato di classe (il proletario prigioniero) che è inserito a pieno titolo all’interno del proletariato metropolitano e con la realtà di un possente movimento di lotta che nel carcerario è venuto organizzandosi e rafforzandosi negli ultimi dieci anni. Alla classe operaia, vero centro motore e dirigente di tutto il processo rivoluzionario, si affianca così una componente possente e combattiva ed ineliminabile del proletariato metropolitano, che rivendica a pieno titolo il ruolo che gli spetta nella rivoluzione comunista e che la lotta di cui è protagonista ha ampiamente legittimato.
Gli alti livelli di mobilitazione, di lotta e di organizzazione di tutto il proletariato prigioniero stanno facendo franare fin dalle fondamenta il progetto imperialista e, contemporaneamente, dimostrano nella pratica di lotta l’oggettività rivoluzionaria di questo strato di classe. I livelli di coscienza che ha raggiunto nascono da un movimento reale suscitato da profonde cause oggettive, che fanno del proletariato prigioniero una delle componenti più maciullate dalla ristrutturazione imperialistica, e nello stesso tempo proprio per le lotte che ha saputo condurre rappresenta un riferimento concreto per tutto il movimento rivoluzionario e un punto di forza politica a favore del proletariato. La nascita dei Cdl in molte carceri è il risultato della maturità di questo movimento di lotta che ha saputo individuare, a partire dai bisogni di questo strato di classe, un programma immediato teso a contrastare l’offensiva del nemico ed a costruire il potere proletario armato. Nelle lotte del proletariato prigioniero non c’è nessun aspetto rivendicazionista, per abbellire le carceri e viverci meglio, ma esse sono il modo concreto di combattere oggi per abolire tutte le carceri e costruire una società di uomini liberi. Una società dominata dai proletari, che possa produrre senza sfruttare, essere giusta senza le galere e i campi di concentramento. Per questo si battono i proletari prigionieri ed in questo vive, pur nella sua parzialità che solo il rafforzamento del ruolo del Pcc può superare, il programma generale di transizione al comunismo di cui il Pcc stesso si fa portatore.
Proprio il carcere dove lo Stato imperialista ha portato fino in fondo la sua ristrutturazione e dove ha stabilito il suo punto di massima forza militare, si è trasformato attraverso le lotte di questi anni in un terreno decisivo tra rivoluzione e controrivoluzione. La battaglia del 2 ottobre all’Asinara, le lotte di Volterra, di Fossombrone, di Firenze e di altre carceri hanno dimostrato nei fatti la forza e l’unità dei Pp e la possibilità di costruire il potere proletario armato anche nelle carceri. La distruzione del campo di Nuoro – dell’infame giocattolo costruito dai Cc e dal boia Massidda sulla divisione scientifica dei proletari prigionieri – e l’esecuzione delle spie e degli infiltrati hanno indicato a tutto il movimento proletario la strada da percorrere a chiarire i termini attuali del programma immediato del proletariato prigioniero:
ORGANIZZARE LA LIBERAZIONE DEI PROLETARI PRIGIONIERI
SMANTELLARE IL CIRCUITO DELLA DIFFERENZIAZIONE
COSTRUIRE E RAFFORZARE I COMITATI DI LOTTA
CHIUDERE IMMEDIATAMENTE L’ASINARA.
Questi sono gli obiettivi principali del programma immediato dei Pp. In completa sintonia con i bisogni e le aspirazioni dei PP, facendosene carico in modo concreto, le Br da tempo lavorano, dentro e fuori le carceri in questa direzione; senza sovrapposizione né confusione di ruoli fra le due determinazioni del potere proletario: gli organismi di massa e il Pcc. E’ per questo che occorre sviluppare una linea di combattimento che sia incentrata sul raggiungimento degli obiettivi dei programmi immediati. Ma non solo questo. Lo Stato imperialista va attaccato e distrutto in una strategia di lungo periodo, disarticolato ed incalzato con l’azione guerrigliera, scardinato delle rotelle che lo fanno funzionare. Ecco il duplice compito che spetta all’organizzazione oggi:
ORGANIZZARE LE MASSE SUL TERRENO DELLA LOTTA ARMATA, ATTACCARE E DISARTICOLARE LO STATO IMPERIALISTA.
Questi due momenti non sono separati ma l’uno è conseguenza e prodotto dell’altro. La battaglia che stiamo combattendo con la cattura ed il processo al porco Giovanni D’Urso è in questa strategia che si colloca. Processare questo servo del potere preposto alla gestione del più infame strumento di annientamento usato dall’imperialismo, vuol dire oggi processare l’intera borghesia imperialista e combattere perché i rapporti di forzare nelle carceri si ribaltino a favore dei proletari.
Compagni, oggi il compito dell’Organizzazione è quello di agire da partito per costruire il partito e dimostrare nella realtà dello scontro di classe la capacità di essere la punta più avanzata dell’intero movimento rivoluzionario, la sua avanguardia comunista. La linea politica espressa dalla Risoluzione della Direzione Strategica ottobre 80, è sintetizzata nella parola d’ordine: “DOBBIAMO ACCETTARE LA GUERRA E ATTACCARE IL CUORE DELLO STATO, FACENDO VIVERE I CONTENUTI DI DISTRUZIONE E DISARTICOLAZIONE DENTRO UNA LINEA DI MASSA CHE DIALETTIZZI I PROGRAMMI IMMEDIATI CON IL PROGRAMMA GENERALE DI TRANSIZIONE AL COMUNISMO”.
Chi non fa questo oggi è un opportunista, perché non collega l’azione di partito ai programmi immediati dei vari strati di classe, non costruisce il potere proletario armato ma svincola dal compito storico che spetta alle OC. Chi crede che il problema sia sparare o eliminare qualche nemico del popolo, costruisce nel vuoto. Lo abbiamo detto ma lo ripetiamo all’infinito: IMPUGNARE LE ARMI NON BASTA!!! Chi si limita a questo dimostra di non aver capito nulla del percorso fin qui compiuto dalla lotta armata e il suo avventurismo non ha giustificazioni di sorta. Gli opportunisti, come i soggettivisti più sfrenati non vedono il peso storico che oggi spetta alle forze rivoluzionarie, e di fronte allo scontato fallimento dei loro programmi mostrano tutta la miseria della loro linea e delle loro scelte: la loro sconfitta viene interpretata come la liquidazione della rivoluzione proletaria.
L’incapacità di capire che la lotta armata è una strategia rivoluzionaria radicata nell’interno della classe operaia e non l’espressione delle loro tensioni e frustrazioni piccolo-borghesi, li trasforma in facili prede della controguerriglia che troppo spesso su di loro costruisce le sue brillanti operazioni. Non ci sono scorciatoie nel processo rivoluzionario. Compito della guerriglia oggi è la conquista delle masse alla lotta armata per il comunismo, costruendo il Pcc e gli Omr. Compito del partito è farsi carico di tutte le esigenze e dei bisogni politici e materiali che il proletariato in tutte le sue componenti pone sul tappeto. Non far questo, che si impugnino delle armi o no, vuol dire scadere nel peggiore e velleitario opportunismo. L’unità di tutti i comunisti a costruirla a partire da questa chiarezza e da questa scelta, ben coscienti che ciò potrà avvenire solo combattendo le concezioni errate e le pratiche sbagliate. Le Brigate Rosse lavorano per l’unità nella chiarezza, unico metodo per costruire il partito.
Roma, 13 dicembre 1980
PER IL COMUNISMO BRIGATE ROSSE
ONORE AI COMPAGNI ROBERTO SERAFINI E WALTER PEZZOLI TRUCIDATI DAI CARABINIERI A MILANO.
Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. .
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