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Comunicato N. 1

Un problema di fondo che ha la classe operaia in lotta in questo momento è la repressione. I padroni hanno deciso che le lotte devono finire. Denunce, arresti, licenziamenti, cariche della polizia, coltellate dei fascisti sono tutti momenti del piano repressivo dei padroni. Alla Pirelli il padrone si appresta a sostenere la battaglia contrattuale. Vediamo con quali facce si presenta. Sappiamo che direzione e polizia hanno imposto al comune di asfaltare viale Sarca per poter fare caroselli e poterci legnare.

Anche in fabbrica si è organizzato ed ha al suo servizio un esercito di servi da usare contro di noi. Questi aguzzini condividono la responsabilità di chi li paga e per questo è prudente cominciare a conoscerli e a tenerli d’occhio!

Eccone un primo elenco con qualche nota di merito.

Il primo di tutti è Ermanno Pellegrini (via Spalato, 5, tel. 603.244). Capoguardie di Cocca. Ha al suo servizio una quarantina tra poliziotti e carabinieri neo-assunti. Ha il compito di schedare chiunque di noi svolga attività politica. Invia ogni giorno un rapporto al direttore del personale ed è in contatto coi commissari di PS.

Suo degno compare è Palmitessa Luigi (via Tofane, 3, tel. 28.55.152).

Capoguardie Centro, quel bastardo che nell’ultima lotta ha fermato gli ascensori durante il picchettaggio.

Questi spioni meritano la gogna!

Nassi “boia” Giovanni (via Resi 7A, tel. 696.010) ideatore cottimo Pirelli. Da fattorino a boia.

Da abolire come il suo cottimo.

Brioschi Ettore Carlo (via Zara, 147, tel. 681.125). Segreteria personale cavi. Campione dei crumiri. Durante tutti gli scioperi ha sempre trovato un buco dove nascondersi. Alla prossima lotta chiuderlo in un tombino e assicurarsi che non esca più.

Boari Alfredo (via Matteotti, 489, tel. 24.70.638, Sesto S. Giovanni, FIAT 125 bianca MI E16671). Gestisce per conto della direzione il famigerato ufficio interno UIL (ai Cavi). Il più porco dei servi del padrone. Guadagna L. 300.000 al mese più L. 160.000 di pensione.

Per ogni compagno che colpiranno durante la lotta qualcuno di loro dovrà pagare!

BRIGATA ROSSA
Novembre 1970

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

 

 

 

Campagna Moro – Comunicato N.3

L’interrogatorio, sui contenuti del quale abbiamo già detto, prosegue con la completa collaborazione del prigioniero. Le risposte che fornisce chiariscono sempre più le linee controrivoluzionarie che le centrali imperialiste stanno attuando; delineano con chiarezza i contorni e il corpo del “nuovo” regime che, nella ristrutturazione dello Stato Imperialista delle Multinazionali si sta instaurando nel nostro paese e che ha come perno la Democrazia Cristiana. Proprio sul ruolo che le centrali imperialiste hanno assegnato alla DC, sulle strutture e gli uomini che gestiscono il progetto controrivoluzionario sulla loro interdipendenza e subordinazione agli organismi imperialisti internazionali, sui finanziamenti occulti. Sui piani economici politici militari da attuare in Italia, il prigioniero Aldo Moro ha cominciato a fornire le sue “illuminanti” risposte.

Le informazioni che abbiamo così modo di recepire, una volta verificate, verranno rese note al movimento rivoluzionario che saprà farne buon uso nel prosieguo del processo al regime che con l’iniziativa delle forze combattenti si è aperto in tutto il paese. Perché proprio di questo si tratta. La cattura e il processo ad Aldo Moro non è che un momento, importante e chiarificatore, della Guerra di Classe Rivoluzionaria che le forze comuniste armate hanno assunto come linea per la costruzione di una società comunista, e che indica come obbiettivo primario l’attacco allo stato imperialista e la liquidazione dell’immondo e corrotto regime democristiano.

Aldo Moro, che oggi deve rispondere davanti ad un Tribunale del Popolo, è perfettamente consapevole di essere il più alto gerarca di questo regime, di essere il responsabile al più alto livello delle politiche antiproletarie che l’egemonia imperialista ha imposto nel nostro paese, della repressione delle forze produttive, delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori, dell’emarginazione e miseria di intere fasce di proletariato, della disoccupazione, della controrivoluzione armata scatenata dalla DC; e sa che su tutto questo il proletariato non ha dubbi, che si è chiarito le idee guardando lui e il suo partito nei trent’anni in cui è al potere, e che il tribunale del Popolo saprà tenerlo in debito conto.

Ma Moro è anche consapevole di non essere il solo, di essere, appunto, il più alto esponente del regime; chiama quindi gli altri gerarchi a dividere con lui le responsabilità, e rivolge agli stessi un appello che suona come un’esplicita chiamata di “correità”. Ha chiesto di scrivere una lettera segreta (le manovre occulte sono la normalità per la mafia democristiana) al governo ed in particolare al capo degli sbirri Cossiga. Gli è stato concesso, ma siccome niente deve essere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume, la rendiamo pubblica.

Compagni, in questa fase storica, a questo punto della crisi la pratica della violenza rivoluzionaria è l’unica politica che abbia la possibilità reale di affrontare e risolvere la contraddizione antagonista che oppone proletariato metropolitano e borghesia imperialista. In questa fase la lotta di classe assume per iniziativa delle Avanguardie rivoluzionarie la forma della Guerra. Proprio questo impedisce al nemico di “normalizzare la situazione” e cioè di riportare una vittoria tattica sul movimento di lotta degli ultimi dieci anni, e sui bisogni, le aspettative, le speranze che essa ha generato. Certo siamo noi a volere la guerra! Siamo anche consapevoli del fatto che la pratica della violenza rivoluzionaria spinge il nemico ad affrontarla, lo costringe a muoversi, a vivere sul terreno della guerra anzi ci proponiamo di fare emergere, di stanare la controrivoluzione imperialista dalle pieghe della società “democratica” dove in tempi migliori se ne stava comodamente nascosta. Ma detto questo, è necessario fare chiarezza su un punto: non siamo noi a creare la “controrivoluzione”. Essa è la forma stessa che assume l’Imperialismo nel suo divenire: non è un “aspetto ma la sostanza”, l’imperialismo è controrivoluzione. Fare emergere attraverso la pratica della Guerriglia questa fondamentale verità è il presupposto necessario della guerra di classe nelle metropoli.

In questi ultimi anni abbiamo visto snodarsi i piani della controrivoluzione; abbiamo visto le maggiori città italiane poste in stato d’assedio, lo scatenarsi dei “corpi speciali” e degli apparati militari del regime contro il proletariato e la sua avanguardia; abbiamo visto le leggi speciali, i Tribunali Speciali, i campi di concentramento; abbiamo visto l’attacco feroce alla classe operaia e alle sue condizioni di vita, l’opera di sabotaggio e repressione delle lotte dei berlingueriani e l’infame compito che si sono assunti per la delazione, lo spionaggio, la schedatura poliziesca nelle fabbriche. Ma abbiamo anche visto dispiegarsi il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo. L’iniziativa proletaria non si è fermata, anzi si è estesa ed ha assunto i contenuti e le forme della Guerra di Classe Rivoluzionaria. L’interesse del proletariato, l’antagonismo degli sfruttati verso il loro oppressore, i bisogni e la volontà di lottare per il Comunismo, vivono oggi nella capacità dimostrata del MRPO di sferrare l’attacco armato contro il nemico imperialista. Questo bisogna fare oggi. Estendere l’iniziativa armata contro centri economici-politici-militari della controrivoluzione, concentrare l’attacco sulle strutture e gli uomini che ne sono i fondamentali portatori, disarticolare a tutti i livelli i piani delle multinazionali imperialiste.

È fondamentale pure realizzare quei salti politici e organizzativi che la guerra di classe impone, costruire la direzione del MRPO, assumersi la responsabilità di guidarlo, costruire in sostanza il Partito Comunista Combattente. Solo cos∞ è possibile avviarsi verso la vittoria strategica del proletariato. La violenza e il terrorismo dello Stato Imperialista delle Multinazionali che si abbattono quotidianamente sul proletariato dimostrano che la belva imperialista possiede sì artigli d’acciaio, ma dicono anche che è possibile colpirla a morte, che è possibile annientarla strategicamente. Come pure non incantano nessuno gli isterismi piagnucolosi di chi, intrappolato nella visione legalistica e piccolo borghese della lotta di classe, si è già arreso ed ha accettato la sconfitta finendo inesorabilmente ad essere grottesco reggicoda di ogni manovra reazionaria. Il MRPO è ben altra cosa, e il dispiegarsi della Guerra di Classe Rivoluzionaria lo sta dimostrando.

Portare l’attacco allo Stato Imperialista delle Multinazionali.

Estendere e intensificare l’iniziativa armata contro i centri e gli uomini della controrivoluzione imperialista.

Unificare il Movimento Rivoluzionario costruendo il Partito Comunista Combattente.

Per il Comunismo
Brigate Rosse
29/3/1978

Fonte: Archivio900

Campagna Moro – Comunicato N.2

  1. - IL PROCESSO AD ALDO MORO

Lo spettacolo fornitoci dal regime in questi giorni ci porta ad una prima considerazione. Vogliamo mettere in evidenza il ruolo che nello SIM vanno ad assumere i partiti costituzionali. A nessuno è sfuggito come il quarto governo Andreotti abbia segnato il definitivo esautoramento del parlamento da ogni potere, e come le leggi speciali appena varate siano il compimento della più completa acquiescenza dei partiti del cosiddetto “arco costituzionale” alla strategia imperialista, diretta esclusivamente dalla DC e dal suo governo. Si è passati cioè dallo Stato come espressione dei partiti, ai partiti come puri strumenti dello Stato. Ad essi viene affidato il ruolo di attivizzare i loro apparati per le luride manifestazioni di sostegno alle manovre controrivoluzionarie, contrabbandandole come manifestazioni “popolari”; più in particolare al partito di Berlinguer e ai sindacati collaborazionisti spetta il compito (al quale sembra siano ormai completamente votati) di funzionare da apparato poliziesco antioperaio, da delatori, da spie del regime.

La cattura di Aldo Moro, al quale tutto lo schieramento borghese riconosce il maggior merito del raggiungimento di questo obiettivo, non ha fatto altro che mettere in macroscopica evidenza questa realtà.

Non solo, ma Aldo Moro viene citato (anche dopo la sua cattura!) come il naturale designato alla presidenza della Repubblica. Il perché è evidente. Nel progetto di “concentrazione” del potere, il ruolo del Capo dello Stato Imperialista diventa determinante. Istituzionalmente il Presidente accentra già in sé, tra le altre, le funzioni di capo della Magistratura e delle Forze Armate; funzioni che sino ad ora sono state espletate in maniera più che altro simbolica e a volte persino da corrotti buffoni (vedasi Leone). Ma nello SIM il Capo dello Stato (ed il suo apparato di uomini e strutture) dovrà essere il vero gestore degli organi chiave e delle funzioni che gli competono.

Chi meglio di Aldo Moro potrebbe rappresentare come capo dello SIM gli interessi della borghesia imperialista? Chi meglio di lui potrebbe realizzare le modifiche istituzionali necessarie alla completa ristrutturazione dello SIM? La sua carriera però non comincia oggi: la sua presenza, a volte palese a volte strisciante, negli organi di direzione del regime è di lunga data. Vediamone le tappe principali, perché di questo dovrà rendere conto al Tribunale del Popolo.

1955 – Moro è ministro di Grazia e Giustizia nel governo Segni.

1957 – Moro è ministro della Pubblica Istruzione nel governo Zoli, retto dal Movimento Sociale Italiano.

1959-60 – Viene eletto segretario della DC. Sono gli anni del governo Tambroni, dello scontro frontale sferrato dalla borghesia contro il Movimento Operaio. La ferma resistenza operaia viene affrontata con la più dura repressione armata: nel luglio ’60 si conteranno i proletari morti, massacrati dalla polizia di Scelba.

1963 – In quest’anno parte la strategia americana di recupero della frangia di “sinistra” della borghesia italiana con l’inglobamento del PSI nel governo, nel tentativo di spaccare il Movimento Operaio. È la “svolta” del centro-sinistra e Moro se ne assumerà la gestione per tutti gli anni successivi come Presidente del Consiglio.

1964 – È Presidente del Consiglio. Emergono le manovre del SIFAR, di De Lorenzo e di Segni, che a conti fatti risulterà un’abile macchinazione ricattatoria perfettamente funzionale alla politica del suo governo. Quando la sporca trama verrà completamente allo scoperto, come un vero “padrino” che si rispetti, Moro affosserà il tutto e ricompenserà con una valanga di “omissis” i suoi autori.

1965-68 – È ininterrottamente Presidente del Consiglio.

1968-72 – In tutto questo periodo è ministro degli Esteri. La pillola del centrosinistra perde sempre più la sua efficacia narcotizzante e riprende l’offensiva del Movimento Operaio con un crescendo straordinario. La risposta dell’ Imperialismo è stata quella che va sotto il nome di “strategia della tensione”.

1973-74 – È sempre ministro degli Esteri.

1974-78 – Assume di nuovo la Presidenza del Consiglio e nel ’76 diventa Presidente della DC. È in questi anni che la borghesia imperialista supera le sue maggiori contraddizioni e marcia speditamente alla realizzazione del suo progetto. È in questi anni che Moro diventa l’uomo di punta della borghesia, quale più alto fautore di tutta la ristrutturazione dello SIM. Su tutto questo ed altro ancora, è in corso l’interrogatorio ad Aldo Moro.

Esso verte: a chiarire le politiche imperialiste e antiproletarie di cui la DC è portatrice; a individuare con precisione le strutture internazionali e le filiazioni nazionali della controrivoluzione imperialista; a svelare il personale politico-economico-militare sulle cui gambe cammina il progetto delle multinazionali; ad accertare le dirette responsabilità di Aldo Moro per le quali, con i criteri della GIUSTIZIA PROLETARIA, verrà giudicato.

  1. - IL TERRORISMO IMPERIALISTA E L’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO

A livello militare è la NATO che pilota e dirige i progetti continentali di controrivoluzione armata nei vari SIM europei. I nove paesi della CEE hanno creato L’ORGANIZZAZIONE COMUNE DI POLIZIA che è una vera e propria centrale internazionale del terrore.

Sono i paesi più forti della catena e che hanno già collaudato le tecniche più avanzate della controrivoluzione ad assumersi il compito di trainare, istruire, dirigere le appendici militari nei paesi più deboli che non hanno ancora raggiunto i loro livelli di macabra efficienza. Si spiega così l’invasione inglese e tedesca dei super-specialisti del SAS (Special Air Service), delle BKA (Bunderskriminalamt) e dei servizi segreti israeliani. Gli specialisti americani invece non hanno avuto bisogno di scomodarsi, sono installati in pianta stabile in Italia dal 1945. ECCOLA QUI L’INTERNAZIONALE DEL TERRORISMO. Eccoli qui i boia imperialisti massacratori dei militanti dell’IRA, della RAF, del popolo Palestinese, dei guerriglieri comunisti dell’America Latina che sono corsi a dirigere i loro degni compari comandati da Cossiga. È una ulteriore dimostrazione della completa subordinazione dello SIM-Italia alle centrali imperialiste, ma è anche una visione chiara di come per le forze rivoluzionarie sia improrogabile far fronte alla necessità di calibrare la propria strategia in un’ottica europea, che tenga conto cioè che il mostro imperialista va combattuto nella sua dimensione continentale. Per questo riteniamo che una pratica effettiva dell’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO debba cominciare oggi anche stabilendo tra le Organizzazioni Comuniste Combattenti che il proletariato europeo ha espresso un rapporto di profondo confronto politico, di fattiva solidarietà, e di concreta collaborazione.

Certo, faremo ogni sforzo, opereremo con ogni mezzo perché si raggiunga fra le forze che in Europa combattono per il comunismo la più vasta integrazione politica possibile. Non dubitino gli strateghi della controrivoluzione e i loro ottusi servitorelli revisionisti vecchi e nuovi, che contro l’internazionale del terrore imperialista sapremo costruire l’unità strategica delle forze comuniste.

Ciò detto va fatta una chiarificazione. Sin dalla sua nascita la nostra Organizzazione ha fatto proprio il principio maoista “contare sulle proprie forze e lottare con tenacia”. Applicare questo principio, nonostante le enormi difficoltà, è stato per la nostra Organizzazione più che una scelta giusta una scelta naturale; il proletariato italiano possiede in sé un immenso potenziale di intelligenza rivoluzionaria, un patrimonio infinito di conoscenze tecniche e di capacità materiali che con il proprio lavoro ha saputo collettivamente accumulare una volontà e una disponibilità alla lotta che decenni di battaglie per la propria liberazione ha forgiato e reso indistruttibile. Su questo poggia tutta la costruzione della nostra Organizzazione, la crescita della sua forza ha le solide fondamenta del proletariato italiano, si avvale dell’inestimabile contributo che i suoi figli migliori e le sue avanguardie danno alla costruzione del PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE. Mentre riaffermiamo con forza le nostre posizioni sull’Internazionalismo Proletario, diciamo che la nostra Organizzazione ha imparato a combattere, ha saputo costruire ed organizzare autonomamente i livelli politico-militari adeguati ai compiti che la guerra di classe impone. Organizzare la lotta armata per il Comunismo costruire il Partito Comunista Combattente, prepararsi anche militarmente ad essere dei soldati della rivoluzione è la strada che abbiamo scelto, ed è questo che ha reso possibile alla nostra Organizzazione di condurre nella più completa autonomia la battaglia per la cattura ed il processo ad Aldo Moro.

Intensificare con l’attacco armato il processo al regime, disarticolare i centri della controrivoluzione imperialista.

Costruire l’unità del movimento rivoluzionario nel Partito Combattente.

Onore ai compagni Lorenzo Jannucci e Fausto Tinelli assassinati dai sicari del regime.

Per il Comunismo
Brigate Rosse
25/3/1978

Fonte: Archivio900

Campagna Moro – Comunicato N.1

Giovedì 16 marzo un nucleo armato delle Brigate Rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo ALDO MORO, presidente della Democrazia Cristiana.

La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati Corpi Speciali, è stata completamente annientata.

Chi è ALDO MORO è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino ad oggi il gerarca più autorevole, il “teorico” e lo “stratega” indiscusso di quel regime democristiano che da trent`anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la DC è stata artefice nel nostro paese, dalle politiche sanguinarie degli anni ’50, alla svolta del “centro-sinistra” fino ai giorni nostri con “l’accordo a sei” ha avuto in ALDO MORO il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste. È inutile elencare qui il numero infinito di volte che Moro è stato presidente del Consiglio o membro del Governo in ministeri chiave, e le innumerevoli cariche che ha ricoperto nella direzione della DC, (tutto è ampiamente documentato e sapremo valutarlo opportunamente), ci basta sottolineare come questo dimostri il ruolo di massima e diretta responsabilità da lui svolto, scopertamente o “tramando nell’ombra”, nelle scelte politiche di fondo e nell’attuazione dei programmi controrivoluzionari voluti dalla borghesia imperialista.

Compagni, la crisi irreversibile che l’imperialismo sta attraversando mentre accelera la disgregazione del suo potere e del suo dominio, innesca nello stesso tempo i meccanismi di una profonda ristrutturazione che dovrebbe ricondurre il nostro paese sotto il controllo totale delle centrali del capitale multinazionale e soggiogare definitivamente il proletariato.

La trasformazione nell’area europea dei superati Stati-nazione di stampo liberale in Stati Imperialisti delle Multinazionali (SIM) Φ un processo in pieno svolgimento anche nel nostro paese. Il SIM, ristrutturandosi, si predispone a svolgere il ruolo di cinghia di trasmissione degli interessi economici-strategici globali dell’imperialismo, e nello stesso tempo ad essere organizzazione della controrivoluzione preventiva rivolta ad annichilire ogni “velleità” rivoluzionaria del proletariato.

Questo ambizioso progetto per potersi affermare necessita di una condizione pregiudiziale: la creazione di un personale politico-economico-militare che lo realizzi. Negli ultimi anni questo personale politico strettamente legato ai circoli imperialisti è emerso in modo egemone in tutti i partiti del cosiddetto “arco costituzionale”, ma ha la sua massima concentrazione e il suo punto di riferimento principale nella Democrazia Cristiana. La DC è così la forza centrale e strategica della gestione imperialista dello Stato. Nel quadro dell’unità strategica degli Stati Imperialisti, le maggiori potenze che stanno alla testa della catena gerarchica, richiedono alla DC di funzionare da polo politico nazionale della controrivoluzione. È sulla macchina del potere democristiano, trasformata e “rinnovata”, è sul nuovo regime da essa imposto che dovrà marciare la riconversione dello Stato-nazione in anello efficiente della catena imperialista e potranno essere imposte le feroci politiche economiche e le profonde trasformazioni istituzionali in funzione apertamente repressiva richieste dai partner forti della catena: Usa, RFT.

Questo regime, questo partito sono oggi la filiale nazionale, lugubremente efficiente, della più grande multinazionale del crimine che l’umanità abbia mai conosciuto.

Da tempo le avanguardie comuniste hanno individuato nella DC il nemico più feroce del proletariato, la congrega più bieca di ogni manovra reazionaria. Questo oggi non basta.

Bisogna stanare dai covi democristiani, variamente mascherati, gli agenti controrivoluzionari che nella “nuova” DC rappresentano il fulcro della ristrutturazione dello SIM, braccarli ovunque, non concedere loro tregua. Bisogna estendere e approfondire il processo al regime che in ogni parte le avanguardie combattenti hanno già saputo indicare con la loro pratica di combattimento. E questa una delle direttrici su cui è possibile far marciare il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo, su cui sferrare l’attacco e disarticolare il progetto imperialista. Sia chiaro quindi che con la cattura di ALDO MORO, ed il processo al quale verrà sottoposto da un Tribunale del Popolo, non intendiamo “chiudere la partita” né tantomeno sbandierare un “simbolo”, ma sviluppare una parola d’ordine su cui tutto il Movimento di Resistenza Offensivo si sta già misurando, renderlo più forte, più maturo, più incisivo e organizzato. Intendiamo mobilitare la più vasta e unitaria iniziativa armata per l’ulteriore crescita della GUERRA DI CLASSE PER IL COMUNISMO.

PORTARE L’ATTACCO ALLO STATO IMPERIALISTA DELLE MULTINAZIONALI.

DISARTICOLARE LE STRUTTURE, I PROGETTI DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA ATTACCANDO IL PERSONALE POLITICO-ECONOMICO-MILITARE CHE NE È L’ESPRESSIONE.

UNIFICARE IL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO COSTRUENDO IL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE.

Per il comunismo
Brigate rosse
16/3/78

Fonte: Archivio900

Campagna D’Urso – Comunicato N. 6

ORGANIZZARE LA LIBERAZIONE DEI PROLETARI PRIGIONIERI. SMANTELLARE IL CIRCUITO DELLA DIFFERENZIAZIONE. COSTRUIRE E RAFFORZARE I COMITATI DI LOTTA.
CHIUDERE IMMEDIATAMENTE L’ASINARA.

Il proletariato prigioniero continua la sua lotta. L’ultima iniziativa al kampo di Trani ci dà la misura della grande unità e mobilitazione che il movimento dei proletari prigionieri ha raggiunto, e dimostra anche la sua capacità organizzativa ed offensiva. I contenuti espressi nel comunicato che il Comitato di Lotta di Trani ha emesso sono una chiara indicazione del programma su cui continuare a combattere. Le Brigate Rosse sono incondizionatamente al fianco dei proletari prigionieri in lotta, e nella valutazione del proseguimento della battaglia iniziata con la cattura del boia D’Urso, si atterranno strettamente ai termini politici con cui i proletari prigionieri esprimono i loro bisogni. Da questo momento in poi la nostra battaglia e quella dei prigionieri di Trani sono indissolubilmente unite. Qualunque cosa il governo sta tramando per reprimere le lotte dei proletari prigionieri a Trani, sappia che troverà un’immediata risposta anche dalle Brigate Rosse. Finora alle legittime richieste dei Comitati di Lotta il governo ha risposto con la minaccia di far intervenire i sicari dei corpi speciali. Questo oggi non vi sarà permesso impunemente. La censura che avete impostato sui comunicati di Palmi e Trani non possiamo più sopportarla. Facciamo nostro e pubblichiamo il comunicato di Trani, ed è giunto il momento di imporvi la fine immediata del black-out. Gli organi di stampa e in vostri mezzi radiotelevisivi devono smetterla di essere solo gli strumenti della controguerriglia psicologica, ed essere una volta tanto mezzi di informazione: I COMUNICATI EMESSI DA TRANI E DA PALMI DEVONO ESSERE PUBBLICATI IMMEDIATAMENTE ED INTEGRALMENTE. CIO’ CHE HANNO DA DIRE SUL LORO PROGRAMMA I PROLETARI DI QUESTI DUE CAMPI VA RACCOLTA DALLA LORO VIVA VOCE.

Se quanto detto sopra verrà disatteso, in tutto o in parte, trarremo la conclusione che la vostra politica omicida non ammette da parte delle forze rivoluzionarie alcuna esitazione: agiremo di conseguenza. Se c’è chi tra le fila della borghesia ha ancora un minimo di ragionevolezza, sappia che è il momento di dimostrarlo: non siamo più disposti ad inutili attese.

 

PER IL COMUNISMO BRIGATE ROSSE

29 dicembre 1980.

 

Segue il comunicato n. 1 di Trani

Oggi 28-12-1980, i proletari prigionieri di Trani organizzati nel Comitato di Lotta hanno occupato militarmente una parte consistente di questo carcere speciale e catturato alcuni agenti di custodia. Con questa operazione politico-militare, il C.d.L. di Trani si propone di propagandare le linee generali del programma politico immediato del movimento del PP, di modificare i rapporti di forza generali nelle carceri a vantaggio dei PP, e di imporre una prima sostanziale modifica del trattamento riservato in carcere ai PP e fuori al proletariato extralegale ed ai militanti comunisti che cadono nelle mani del nemico. In questo modo i PP di Trani si dialettizzano con le Brigate Rosse trasformando l’aguzzino D’Urso in un loro prigioniero. L’insieme di questa operazione politico-militare raccoglie, sintetizza e sviluppa la campagna che l’intero movimento dei PP ha aperto sul fronte delle carceri.

La battaglia del 2-10-1979 all’Asinara, le azioni di liberazione di S. Vittore e Volterra, la battaglia di Nuoro, di Fossombrone, l’annientamento del direttore sanitario Furci, e le iniziative armate di Cuneo e Firenze sono momenti più significativi della lotta di classe sul fronte delle carceri che l’hanno preceduta. Così su questo fronte si è realizzato concretamente e nel modo corretto il rapporto fra Organizzazioni Comuniste Combattenti e movimento di massa, tra programma politico generale e programma immediato di uno strato di classe del proletariato metropolitano: il proletariato prigioniero. Questa campagna prolungata contro il carcere investe uno dei nodi fondamentali della lotta tra rivoluzione e controrivoluzione, fa emergere una delle contraddizioni più laceranti nel campo nemico. Fa emergere l’incapacità dello Stato imperialista di pacificare e normalizzare il sistema carcerario, di contenere e neutralizzare nei suoi campi di concentramento una frazione irriducibile del proletariato metropolitano e alcune migliaia di combattenti comunisti. E questo è particolarmente vero in presenza di una vasta e generale lotta di classe e di una profonda e irreversibile crisi economico-politica, di un visibile radicamento sociale – nonostante la controrivoluzione preventiva – della guerriglia proletaria. Compagni, capire e discutere l’operazione D’Urso e la battaglia di Trani significa capire quanto queste siano inserite, a tutti gli effetti, all’interno di quello che sempre più si configura come un attacco generale che il proletario, nel suo complesso, e le sue avanguardie organizzate stanno sferrando allo stato imperialista. Capire per agire significa farsi carico dei contenuti di questa azione sostenerla e intensificarla. Significa estendere e sviluppare la battaglia di cui questa azione è parte integrante. Una battaglia per la disarticolazione la distruzione di tutte le carceri che, a partire da questa stessa battaglia ed al suo interno, realizzi livelli sempre più alti di unità tra PP e tra i PP e gli altri strati dell’intero proletariato metropolitano.

È all’interno dei PP in quanto proletari, che siamo chiamati a dare un grosso contributo pratico-teorico affinché le nostre lotte e questa azione si trasformino in una battaglia complessiva che riesca a scuotere e ad incrinare una delle articolazioni fondamentali dello Stato: il carcere imperialista. Il contenuto reale di un programma è sempre la classe, o uno strato di classe, a determinarlo nelle mete e negli obiettivi, e vive nella pratica rivoluzionaria di questa classe. Come PP non ci interessa solo stabilire chi, come e quando tra le varie OCC riesce a cogliere, sotto forma di programma, le tensioni e i livelli di coscienza esistenti all’interno dei PP. Ci interessa anche e soprattutto che l’azione guerrigliera esterna rifletta correttamente quelli che sono i nostri interessi di classe. Il cartello che il porco D’Urso è stato costretto suo malgrado, a reggere, racchiude i contenuti di un programma in cui noi come PP ci riconosciamo. Questo programma nasce direttamente dalle lotte che i PP hanno espresso in questi ultimi anni. Ne raccoglie i bisogni e i contenuti di lotta, ne raccoglie e sintetizza la pratica. Questo programma è sintesi delle lotte passate e progetto di lotta per la realizzazione di contenuti in esso racchiusi e per la loro estensione. Questo programma è frutto dell’organizzazione che le lotte dei PP hanno saputo creare, è leva per la costruzione di effettivi organismi di massa rivoluzionari. Obiettivo del programma dei PP è la modificazione e il ribaltamento dei rapporti di forza che incatenano e costringono questo settore di classe tra le mura delle carceri. Obiettivo del programma è costruire rapporti di forza favorevoli ai PP che gli permettano di liberarsi. La realizzazione del programma può essere data soltanto attraverso una lotta unitaria e di lunga durata, per questo ci siamo fissati dei compiti immediati e generali. La distinzione degli aspetti del programma in immediati e generali significa semplicemente battaglia immediata per la realizzazione strategica della liberazione di tutti i PP e per la distruzione di tutti i carceri.

Significa anche muoversi verso una sempre più vasta mobilitazione di massa sui contenuti unificanti per l’intero movimento dei PP. Questo vuol dire lottare anche per la realizzazione di tutte quelle esigenze particolari che i proletari esprimono e collegare queste lotte parziali ad un programma più generale di potere. ORGANIZZARE LA LIBERAZIONE DEI PROLETARI PRIGIONIERI significa in primo luogo portare all’ordine del giorno la liberazione come frutto delle lotte e della forza accumulata dall’intero movimento dei PP in tutte le sue forme possibili e praticabili nelle varie situazioni specifiche dei diversi circuiti del sistema carcerario. Questo significa che tra liberazione e disarticolazione non c’è contraddizione, se non nel senso assai preciso che la liberazione rappresenta il livello massimo della disarticolazione, e la disarticolazione è una delle condizioni della liberazione. SMANTELLARE IL CIRCUITO DELLA DIFFERENZIAZIONE significa in primo luogo GUERRA ALLA DIFFERENZIAZIONE e cioè abolizione del trattamento differenziato, abolizione delle carceri speciali e di tutti gli annessi e connessi – bracci speciali, ordinamenti speciali, celle di isolamento, trattamento speciale, ecc. Ciò naturalmente vale anche per il circuito speciale delle carceri femminili, da Messina alle sezioni speciali dei grandi giudiziari metropolitani, dove vi è la massima concentrazione del proletariato prigioniero femminile differenziato, fino al “buchi periferici” che articolano questo circuito speciale con la funzione di sviluppare il massimo isolamento e di disgregazione possibile del PPF. Una delle armi del trattamento differenziato, in particolare nel circuito cosiddetto “normale” e nei GGM, è quello dell’uso, della gestione e dell’applicazione di una serie di istituti quali amnistia, riforma dei codici, 40 giorni, libertà condizionata, semilibertà ecc. che sono i fondamenti dell’individualizzazione della pena e del trattamento differenziato. Lo scopo di questi istituti è quello di disgregare il PP e di porre i prigionieri, isolati tra loro, di fronte allo Stato. Potere proletario non significa gestire il carcere o la detenzione. Potere proletario armato significa liberarsi per distruggere il carcere, distruggere il carcere per liberarsi. Non dobbiamo gestire questi strumenti ma dobbiamo togliere dalle mani del nemico la possibilità di usarli, come è stato fino ad ora, contro di noi. Dobbiamo – raccogliendo le esperienze dei CdL delle Nuove e più in generale di tutte le lotte che si sono sviluppate nel circuito “normale” – utilizzare tutte le possibilità che questi offrono per imporre con la lotta la loro applicazione generalizzata a tutto il PP, rendendo possibile in questo modo e in questi termini la trasformazione di questi istituti di divisione e di ricatto in momenti di unità tra tutto il PP nei vari circuiti del sistema carcerario. CHIUDERE IMMEDIATAMENTE E DEFINITIVAMENTE L’ASINARA significa chiudere immediatamente e definitivamente l’Asinara. L’Asinara è l’epicentro della controrivoluzione imperialista, il punto più alto, è il cuore strategico del progetto complessivo di annientamento. Questo lager concentra in sé il massimo della capacità terroristica dell’annientamento psicofisico che in questa fase il potere riesce ad esprimere. L’Asinara è il luogo dove oggi si sperimentano i caratteri futuri del trattamento che il nemico intende imporre al PP dentro i carceri. È questa funzione che deve essere attaccata per battere il progetto nemico nel suo punto di massima forza e di irradiazione. In questo senso ci sarà sempre un’Asinara nel circuito carcerario da chiudere. Ci sarà cioè un punto più altro da attaccare. Ma l’Asinara non deve essere vista come un bubbone in un corpo sano, come un’eccezione nel circuito dei carceri speciali. Ogni carcere speciale ha la sua funzione specifica e ogni funzione è finalizzata all’obiettivo dell’annientamento complessivo del PP. Il campo di Palmi rappresenta un primo momento di separazione e di isolamento dei comunisti prigionieri del proprio referente di classe e un laboratorio antiguerriglia per l’analisi e la distribuzione scientifica delle OCC. Il campo di Ascoli conferma specularmente questa tendenza, qui si sperimenta la pacificazione di uno strato di classe, con l’arma del riformismo in quanto funzione dell’annientamento. Il campo di Trani, per certi versi, nel circuito degli speciali si colloca all’opposto dell’Asinara. La sua funzione è quella di addormentare e addomesticare i PP e contemporaneamente – come a Cuneo – di costruire una rete di infiltrati e di delatori. Rete, per altro, che già il PP si è assunto il compito di annientare. COSTRUIRE, RAFFORZARE GLI ORGANISMI DI MASSA RIVOLUZIONARI del proletariato prigioniero, significa costruire l’organizzazione capace di portare avanti, sviluppare e realizzare questo programma. Significa ricomporre l’unità di tutto il PP tra i campi, dai campi ai grandi giudiziari, nel circuito speciale e nel circuito “normale” tra femminile e maschile. Significa costruire cicli unitari di lotta che si inseguono, ondata dopo ondata, in tutto il carcerario e in tutto il PP. Significa dialettizzarsi strettamente con il proletariato extralegale, significa infine considerare il proletariato prigioniero come parte del proletariato metropolitano, e sottolineare il fatto che il carcere è una funzione legata allo sfruttamento e che sfruttamento in ultima analisi significa carcere per chi non vuole essere sfruttato. Carcere e fabbrica sono due aspetti di una stessa medaglia e per eliminare definitivamente il carcere è necessario eliminare ogni tipo e forma di sfruttamento. Costruire e rafforzare gli OMR dei PP significa costruire potere proletario armato nelle carceri, attraverso lo sviluppo delle lotte e la modificazione dei rapporti di forza a favore dei PP. LOTTA, PROGRAMMA, POTERE PROLETARIO non potrebbe compiersi e concretizzarsi senza l’organizzazione del PP. Non si parte da zero. Il movimento dei PP ha la sua storia, le “pantere rosse”, i “collettivi politici”, i “NAP”, i “CdL” sono le tappe organizzative che questo movimento si è dato in questi anni per portare avanti le sue lotte contro il sistema carcerario. I CdL sono organismi che i PP hanno costruito nella lotta e attraverso la lotta per i loro bisogni immediati. Dicendo ciò diciamo anche che: non bisogna e non si può restare fermi e quindi mentre rivendichiamo una continuità affermiamo anche l’esigenza di compiere un ulteriore balzo in avanti. Avevamo detto, nella prima fase di costituzione dei CdL, che questo tipo di organizzazione sarebbe stata come una meteora che compariva e scompariva con il comparire e lo scomparire delle ragioni della lotta. Ma questa meteora ha tracciato un percorso, ha costruito militanti, ha creato un patrimonio continuo di lotte, di esperienze, e di organizzazione. In questa fase l’organizzazione di CdL ha assunto e deve assumere un carattere di stabilità e di continuità per riuscire a realizzare pienamente il programma in tutti i suoi contenuti: deve diventare una stella permanente che viaggia insieme a tutti gli organismi di massa del proletariato metropolitano. I Comitati di Lotta dei PP devono raggiungere la massima integrazione e unità con tutte le componenti proletarie e rivoluzionarie dei campi. Il CdL non è articolazione di nessuna OCC in quanto si basa in primo luogo e soltanto sulle esigenze e sugli interessi di classe specifici dei PP. Ma la sua azione e il suo programma possono essere realizzati solo in stretta unità con tutte le forze proletarie e rivoluzionarie. Il CdL non è un “intergruppo” né un’organizzazione di soli comunisti, “ma è l’organizzazione di tutti i PP del campo, che lottano per la distruzione delle carceri e la liberazione di tutti i PP”.

Elenchiamo qui di seguito le condizioni che poniamo per liberare D’Urso e gli agenti di custodia che sono nostri prigionieri, per lasciare intatte le strutture di questo carcere speciale:

1) Chiusura immediata e definitiva del campo di concentramento dell’Asinara e trasferimento immediato in altre carceri di “tutti” i prigionieri che sono detenuti nella sezione speciale.

2) Non proroga e definitivo decadimento del decreto legge sulle carceri speciali che scade il 31/12/80.

3) Modifica sostanziale del vigente regolamento carcerario: aumento della socialità interna (aumento delle ore d’aria e degli spazi di vita collettiva tra i prigionieri, abolizione delle celle di isolamento ecc.) e con l’esterno (abolizione censura e del blocco dei pacchi, abolizione dei colloqui col vetro, aumento del tempo e del numero dei colloqui settimanali ecc.).

4) Riduzione sostanziale della carcerazione preventiva, abolizione del “fermo di polizia” e di ogni pratica di tortura nelle carceri e nelle caserme.

5) Pubblicazione integrale di questo comunicato sui seguenti quotidiani: “La Stampa, La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Messaggero, La Nuova Sardegna, Il Tempo, Lotta Continua”.

Ribadiamo che le sorti di D’Urso e degli agenti di custodia che sono nostri prigionieri sono strettamente vincolati all’accoglimento di queste richieste e così vale anche per la possibilità di non distruzione carcere che preventivamente abbiamo minato con esplosivo. Non tentate inutili colpi di mano perché non siamo disposti a tollerarli. Ogni vostra mossa avventata pregiudicherebbe ogni possibilità di trattativa e metterebbe a repentaglio la stessa vita dei prigionieri.

 

COMITATO DI LOTTA DEI PROLETARI PRIGIONIERI DI TRANI
TRANI 28 dicembre 1980.

 

Pubblicato in PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. 208-212.

Rivendicazione azione contro Guido Rossa

Mercoledì 24 gennaio, alle ore 6,40 un nucleo armato delle Brigate Rosse ha giustiziato GUIDO ROSSA, spia e delatore all’interno dello stabilimento ITALSIDER di Cornigliano dove per svolgere meglio il suo miserabile compito, si era infiltrato tra gli operai camuffandosi da delegato. A tale scopo era passato da posizioni notorie di destra ai ranghi berlingueriani. Sebbene da sempre, per principio, il proletariato abbia giustiziato le spie annidate al suo interno, era intenzione del nucleo di limitarsi a invalidare la spia come prima ed unica mediazione nei confronti di questi miserabili: ma l’ottusa reazione opposta dalla spia ha reso inutile ogni mediazione e pertanto è stato giustiziato. Il suo tradimento di classe è ancora più squallido e ottuso in considerazione del fatto che, il potere ai servi prima li usa, ne incoraggia l’opera e poi li scarica.

Compagni, da quando la guerriglia ha cominciato a radicarsi dentro la fabbrica, la direzione Italsider con la preziosa collaborazione dei berlingueriani, si è posta il problema di ricostruire una rete di spionaggio, utilizzando insieme delatori vecchi e nuovi; da un lato ha riqualificato fascisti e democristiani, dall’altro ha moltiplicato le assunzioni di ex PS ed ex CC, dall’altro ancora ha cominciato a utilizzare quei berlingueriani che sono disponibili a concretizzare la loro linea controrivoluzionaria fino alle estreme conseguenze:

FINO AL PUNTO CIOÈ DI TRADIRE LA PROPRIA CLASSE, MANDANDO IN GALERA A CUOR LEGGERO UN PROPRIO COMPAGNO DI LAVORO.

L’obiettivo che il potere vuol raggiungere attraverso questa rete di spionaggio, non è solo quello propagandato della “caccia al brigatista o ai cosiddetti fiancheggiatori” ma quello ben più ampio ed ambizioso di individuare ed annientare all’interno delle fabbriche qualsiasi strato operaio che esprima antagonismo di classe.

È l’intero movimento di resistenza proletario che oggi è nel mirino di questa campagna di terrore controrivoluzionario, scatenata dal potere e sostenuta a tamburo battente dai loro lacchè berlingueriani: questa caccia alle streghe non colpisce solo chi legge e fa circolare la propaganda delle organizzazioni comuniste combattenti, ma anche chi lotta contro la ristrutturazione, chiunque si ribelli alla linea neocorporativa dei sindacati, chiunque anche solo a parole si dialettizza con la lotta armata, senza unirsi al coro generale di “deprecazione o condanna”. Una riconferma di tutto ciò viene dall’Ansaldo dove, come già successo alla Fiat e alla Siemens, i berlingueriani hanno consegnato alla direzione una lista coi nomi di operai “presunti brigatisti”, compilata anche in base agli interventi fatti nelle assemblee precontrattuali.

QUESTA È L’ESSENZA DELLA POLITICA BERLINGUERIANA ALL’INTERNO DELLE FABBRICHE, IL TENTATIVO CIOÈ DI DIVIDERE LA CLASSE OPERAIA CREANDO UNO STRATO CORPORATIVO, FILOPADRONALE E PRIVILEGIATO DA CONTRAPPORRE AGLI ALTRI STRATI DI CLASSE E PROLETARI.

A chi si presta a questa lurida manovra ai vari Rossa e a tutti gli aspiranti spia, ricordiamo che, proletari si è non per diritto di nascita ma per gli interessi che si difendono e all’interno di questa discriminante sapremo distinguere, come sempre, chi è un proletario e chi è un nemico di classe.

All’interno di questo progetto, Rossa faceva parte della rete spionistica dell’Italsider, come membro dei gruppi di sorveglianza interna, istituiti dai vertici sindacali per affiancare i guardioni nei compiti di repressione antioperaia. ECCO QUAL ERA IL SUO VERO LAVORO!! La sua grande occasione, nella quale ha raccolto i frutti di tanto costante e silenzioso lavoro è venuta il giorno in cui è riuscito a consegnare al potere un operaio che conosceva e assieme al quale lavorava da anni, il compagno Franco Berardi, “reo” di aver avuto per le mani propaganda della nostra organizzazione.

La conferma del rapporto diretto tra spioni e direzione si capisce dal fatto che Rossa, dopo aver pedinato per ore il compagno Berardi, insieme al suo degno compare Diego Contrino, È ANDATO DIRETTAMENTE IN DIREZIONE a denunciarlo, mettendo di fronte al fatto compiuto lo stesso Consiglio di fabbrica che infatti si era spaccato quando i bonzi sindacali gli avevano imposto di coprire politicamente l’azione di spionaggio.

Brigate Rosse

 

Campagna D’Urso – Comunicato N.9

  1. La fermezza

In questi giorni abbiamo visto una pantomima del regime, dal titolo: la grande fermezza. È stata una gara a rincorrersi tra le varie componenti dello Stato imperialista a dimostrarsi granitiche, salde come rocce. Un’orgia di dichiarazioni dei potenti del regime, con pipa o senza, a dimostrare di essere fermi, che più fermi non si può. La regia dello spettacolo è accurata e ferrea, ma non riesce a nascondere che si tratta soltanto di una recita. I volti lugubri della gang democristiana, dei suoi complici, nei vari partiti, le loro voci roboanti e isteriche tradiscono una debolezza che non può essere coperta neanche con l’impegno assillante dei mass media. La realtà che non riescono a nascondere è che questo regime, questo Stato assediato, circondato da ogni parte, mostra i segni di una disgregazione inarrestabile. Il regime della disoccupazione, del supersfruttamento, dei campi di concentramento è oggi attaccato senza tregua dal proletariato, che vuole farla finita con il sistema dei padroni, con la miseria materiale ed umana in cui è costretto a vivere. Un regime di uno Stato arrogante quanto corrotto, che trova l’unica ragione della sua esistenza nella ferocia dei suoi mercenari. Sotto la sferza della guerriglia il regime si sforza di apparire forte e compatto, ma il tessuto politico che governa la nazione controrivoluzionaria e antiproletaria si mostra con tutta evidenza sfilacciato e lacerato. La crisi della borghesia è irreversibile e i suoi rappresentanti politici, le oscene marionette delle multinazionali imperialiste, possono soltanto rattoppare con il loro putridume qualche pezza verbale raccattata dalla pattumiera della retorica fascista, ma si rivelano sempre più dei tragici clown. La loro fermezza è solo ridicola messa in scena, inutile cortina fumogena per nascondere una totale impotenza, per nascondere l’impossibilità di trovare una sola ragione politica e sociale del loro sistema di potere. Più strillano la loro fermezza più ci dichiarano la loro debolezza. La borghesia imperialista non avendo più ragioni politiche e sociali per giustificare il suo dominio è costretta ad affidare ai soli carabinieri di Forlani ogni sua possibilità di sopravvivenza. Ma anche questa strategia, per quanto brutale e sanguinaria, ha il fiato corto. Questo governo può scatenare i suoi gorilla più addestrati, come ha fatto contro la lotta dei Proletari Prigionieri di Trani, ma sarà sempre l’iniziativa rivoluzionaria delle masse ad avere il sopravvento. Anche a Trani la grande ed indistruttibile unità   dei Proletari Prigionieri ha   permesso   di condurre una   battaglia formidabile, che nonostante l’ovvia disparità dei mezzi, i compagni in lotta hanno saputo volgere a loro favore. La brutalità ed il sadismo dei mercenari in divisa non sono riusciti a sconfiggere, la grande mobilitazione, l’intelligente organizzazione e la capacità offensiva che questa componente di classe ha espresso a livello di massa. L’unità politica che in questa campagna di lotta si è stabilita tra gli Organismi di Massa rivoluzionari e l’avanguardia di partito ha consentito di mantenere l’offensiva e ha trasformato quella che doveva sembrare una prova di forza del regime in una squillante vittoria del movimento rivoluzionario e dei proletari prigionieri. I carabinieri possono sembrare invincibili quando assassinano con i loro sofisticati “mezzi proletari inermi”. Ma quando vengono attaccati da un movimento che sa armarsi, organizzarsi e combattere come è accaduto a Trani o che sa scovarli dalle loro tane come ha fatto la guerriglia con Galvaligi, ognuno li vede per quel che sono: mercenari ammaestrati, feroci e sanguinari robot. Noi rifiutiamo ogni trionfalismo, sappiamo che le battaglie si vincono e qualche volta si perdono, ma la grande forza dimostrata con la saldatura del movimento di Massa con la guerriglia dice a tutti che “la guerra la vinceranno i proletari, la vincerà il movimento rivoluzionario che lotta per una società comunista. Il regime dell’annientamento, dei massacri, dei campi di concentramento non ha speranza, perché continueremo a combattere costruendo il potere proletario armato, che lo seppellirà definitivamente nelle fabbriche, nei quartieri, nelle carceri”.

  1. La paura

La borghesia è in crisi, ma vede oggi chi gli scaverà la fossa: il movimento rivoluzionario che lotta per una società comunista. È questo un movimento che costituisce già un potere, che sa esercitarlo; che sa presentarsi, seppure ancora in una fase iniziale, come l’unica vera alternativa alla barbarie del sistema imperialista. È un movimento di massa che sa riconoscersi in una strategia, sa darsi un programma di lungo respiro e su obiettivi immediati, sa costruire i movimenti organizzativi di massa e di partito che gli consentono di combattere e vincere. E questo alla borghesia fa una tremenda paura!!! Tutti i suoi piani controrivoluzionari, tutte le sue manovre repressive, per quanto portati con artigli d’acciaio, sono caratterizzati da un profondo e insopprimibile terrore. La realtà della crescita del movimento di massa rivoluzionario, la determinazione e la chiarezza del suo programma non devono essere conosciute, ma devono essere mistificate per rassicurare in qualche modo le fila della borghesia. A questo scopo serve la stampa, perché è stampa di regime. Il suo è un ruolo attivo, che non è solo censura, ma costruzione a tavolino della propaganda controrivoluzionaria della controguerriglia psicologica secondo le veline governative. Ma questo è bastato fino a ieri. Oggi qualche pennivendolo non riesce a contenere la propria isterica paura e si illude che staccare la spina voglia dire cancellare la realtà. Ciò che non si riesce più a mistificare bisogna negare che esista. Ma non si può cancellare un movimento che avanza con un ridicolo quanto impossibile black-out! Siamo molto soddisfatti che la stampa di regime pilotata dai boss democristiani abbia persino paura delle parole delle forze rivoluzionarie. Ciò significa che la forza delle idee, dei programmi, dell’organizzazione che tutto il movimento proletario rivoluzionario è in grado di elaborare e di esprimere, è così grande da costituire un punto di riferimento per una mobilitazione sempre maggiore della classe operaia e di ogni strato proletario. Si rafforza così la nostra convinzione della giustezza delle ragioni e della validità storica della lotta armata per una società comunista.

  1. La lotta dei Proletari Prigionieri continua

Avevamo detto, mentre comunicavamo   la condanna a morte del boia D’Urso, che l’opportunità di eseguire o sospendere la sentenza doveva essere valutata dal comitato di lotta di Trani e dal Comitato Unitario di Campo di Palmi. Finora è stato impedito a questi organismi di esprimere integralmente sulla stampa quotidiana le valutazioni che stanno alla base del loro orientamento. Eravamo sicuri che il potere avrebbe approfittato della segregazione e dell’isolamento in cui tiene i compagni per raccontare quello che adesso fa comodo mentre a tutto il movimento rivoluzionario interessa conoscere integralmente il loro punto di vista e il loro giudizio. Noi non abbiamo alcuna intenzione di prolungare la prigionia di D’Urso oltre il necessario e se entro 48 ore dalla pubblicazione di questo comunicato non leggeremo integralmente sui maggiori quotidiani italiani i comunicati che dagli organismi di massa di Trani e di Palmi sono stati emessi, daremo senz’altro corso all’esecuzione della “sentenza a cui D’Urso è stato condannato”. Noi sappiamo assumerci le nostre responsabilità, e anche i potenti di questo regime e la sua stampa si assumeranno le loro. E toccherà a loro, se intendono seppellire la voce dei Proletari Prigionieri di Trani e di Palmi, la responsabilità effettiva di aver impedito alla giustizia proletaria un possibile atto di magnanimità.

PER IL COMUNISMO BRIGATE ROSSE

Roma, 10 gennaio 1981

 

 

 

Campagna D’Urso – Comunicato n. 10

  1. La borghesia ha dei seri problemi e, come al solito, cerca di mascherarli, cercando di farli apparire come problemi delle forze rivoluzionarie. Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Sulla questione “trattare o non trattare”, diciamo che è un problema che riguarda solo le forze dello Stato imperialista, poiché noi delle BR non abbiamo proprio niente né da chiedere né da barattare. La guerriglia conquista con le armi in pugno gli obiettivi del suo programma che non è “contrattabile”, ma che si impone grazie ai rapporti di forza che via via la guerra di classe definisce sempre più a favore del proletariato. Le varie componenti della borghesia discutano pure tra di loro se trattare o no, la cosa non ci riguarda minimamente, poiché è solo sul terreno della guerra di classe che si stabiliscono i rapporti tra rivoluzione e controrivoluzione; tutto il resto è solo teatrino delle marionette e semplice propaganda della controguerriglia, che comunque mette in evidenza sempre le loro fratture. Nel caso dei comunicati di Trani e di Palmi va ribadito che la loro pubblicazione non era affatto una contropartita alla liberazione di D’Urso, non chiedevamo niente in cambio di niente. Era invece la constatazione del dato di fatto che gli Organismi di Massa Rivoluzionari dentro le carceri si sono conquistati con la lotta il diritto di essere espressione del potere proletario armato e quindi la pubblicazione del loro punto di vista sui giornali della borghesia non era una richiesta, ma una imposizione, che i rapporti di forza attuali ci consentono. Questo obiettivo ampiamente raggiunto, ne ha portato con sé un altro: la stampa di regime, tutta la stampa ha perso la foglia di fico con la quale nascondeva il suo ruolo. Dopo le roboanti dichiarazioni dei vari pennivendoli nessuno potrà più scambiarli per “giornalisti dell’informazione”, poiché si sono qualificati senza maschere per galoppini portavoce al servizio dello Stato imperialista e della gang democristiana. La stampa di regime è un’arma della borghesia contro il proletariato, e averla costretta, indebolendo il suo ruolo, a dare informazioni sul movimento rivoluzionario è un risultato non da poco.
  1. Dalle parole d’ordine che il “portatore di cartelle” D’Urso illustrava con le sue fotografie, va depennata l’ultima perché come dice il Comitato di Lotta dell’Asinara nel suo comunicato: “Il movimento organizzato dei Proletari Prigionieri, il movimento rivoluzionario in dialettica con l’iniziativa dell’Organizzazione Comunista Combattente Brigate Rosse, hanno chiuso definitivamente il kampo dell’Asinara, portando a termine la battaglia intrapresa il 2/10/79″. Il comunicato prosegue: “È la lotta del movimento dei Proletari Prigionieri, l’iniziativa del movimento rivoluzionario e della sua avanguardia armata che ha chiuso il kampo dell’Asinara e ha colpito il centro nervoso della politica carceraria imperialista”. Ciò che rappresentava l’Asinara nella strategia imperialista della differenziazione e nel circuito dei kampi è a tutti noto, e aver chiuso questo micidiale kampo di concentramento segna un grosso avanzamento della lotta per una società senza carceri e senza proletari imprigionati, e concordiamo col Comitato di Lotta ex-Asinara quando dice: “Questa vittoria è la più significativa ottenuta dal movimento dei Proletari Prigionieri negli ultimi anni e dimostra la maturità raggiunta da questo settore di classe che ha combattuto compatto attorno alla parola d’ordine di “chiudere con ogni mezzo l’Asinara”. La chiusura dell’Asinara è dunque una tappa fondamentale nella storia e nelle lotte del movimento dei Proletari Prigionieri e caratterizza l’apertura di un nuovo ciclo di lotte, inoltre definisce i rapporti di forza tra movimento dei Proletari Prigionieri e lo Stato”. Non abbiamo altro da aggiungere.
  1. Nella campagna di lotta incentrata sul processo a D’Urso, si è rinsaldata l’unità dei Proletari Prigionieri, il suo programma ha trovato nuovi formidabili momenti di mobilitazione e di combattimento. La lotta dei proletari di Trani ha dato al programma dei Proletari Prigionieri una forza ed una chiarezza che costituirà per tutto il movimento un punto di riferimento essenziale su cui continuare a combattere. Il nemico ha tentato disperatamente di annullare questo risultato con ogni mezzo: con i CC, con la magistratura di guerra dei vari Sica, e qualche buffone della corte democristiana. Ma a nulla sono valse le sanguinarie operazioni dei CC alle quali si è saputo contrapporre una indiscutibile resistenza offensiva dentro il carcere e l’iniziativa che li ha stanati dai loro covi, come si è fatto per Galvaligi. A nulla varranno i loschi tentativi ricattatori di divisione tra i proletari operati da stupidi magistrati: i proletari di Trani hanno insegnato a tutti come si fa a combattere e a vincere. La campagna di attacco per il rafforzamento degli Organismi di Massa Rivoluzionari dentro le carceri, per il perseguimento degli obiettivi del loro programma immediato, ha avuto pieno successo così come dicono i Comitati di Lotta di Trani e il Comitato Unitario di Campo di Palmi. Non solo, ma l’isolamento politico dei Proletari Prigionieri, condizione per poterli annientare, è stato letteralmente frantumato. La lotta dei Proletari Prigionieri è uscita definitivamente dalle mura delle carceri, collocando il proletariato extralegale all’interno del movimento rivoluzionario e accanto alla Classe Operaia ed alle altre componenti del proletariato metropolitano che lottano per una società Comunista. Riunificare il proletariato metropolitano è l’obiettivo politico strategico del Partito Comunista Combattente. Non c’è dubbio che l’iniziativa svolta congiuntamente in questa campagna ha ottenuto un risultato di enorme valore, proprio perché ha rotto l’accerchiamento politico dei Proletari Prigionieri, e perché negli obiettivi della sua lotta ogni proletario, ogni operaio, ha fatto riconoscere i motivi di un’unità strategica per la conquista del potere.
  1. La fase storica che stiamo attraversando vede il movimento di massa proletario appropriarsi della strategia della Lotta Armata per il Comunismo. In questa fase è essenziale procedere senza esitazioni alla costruzione del sistema del potere proletario armato, costituito dal Partito Comunista Combattente e dagli Organismi di Massa Rivoluzionari. È di vitale importanza che questo sistema di potere nasca e si sviluppi come rapporto tra il Programma Generale di transizione al Comunismo e i programmi che i vari strati di classe si danno, viva nel rapporto dialettico tra i bisogni di potere e bisogni immediati del proletariato. Solo da questa dialettica nasce uno scontro di potere condotto lucidamente contro la strategia imperialista e trasforma la naturale resistenza proletaria alla ristrutturazione in resistenza offensiva. Questo è ciò che è accaduto nella campagna contro le carceri, incentrata su D’Urso. La validità di questa strategia, la praticabilità di questa linea è stata dimostrata dall’efficacia dei colpi portati e dai risultati politici e materiali raggiunti in questa battaglia. È evidente che questo costituirà d’ora in avanti un punto di riferimento per tutto il movimento rivoluzionario. Ogni componente di classe, con in testa la Classe Operaia delle grandi fabbriche, i lavoratori dei servizi, i proletari dei quartieri-ghetto, ha oggi un altro punto di riferimento per operare una grande avanzata, per riprendere massicciamente l’offensiva. Il grande dibattito che si sta sviluppando tra le avanguardie e gli elementi più combattivi della Classe Operaia e del proletariato metropolitano, segna la riapertura di un nuovo ciclo di lotte che avrà nella costruzione del Potere Proletario Armato, il suo punto focale. Le BR agendo da partito per questo lavorano all’interno di ogni componente proletaria, costruendo e rafforzando gli Organismi di Massa Rivoluzionari, organizzando tutti i movimenti di lotta e di combattimento per definire i programmi immediati in cui far vivere lo scontro di potere. Su questa linea la pratica del movimento rivoluzionario è già ripresa con nuovo slancio ed entusiasmo in ogni fabbrica, in ogni quartiere, in ogni luogo dove vivono e lottano i proletari, così come la battaglia contro le carceri ha dimostrato che è possibile fare vittoriosamente, questo è un altro risultato da aggiungere ai successi di questa lotta.
  1. Uno stato imperialista ha un cuore, ha cioè un progetto controrivoluzionario e quando si colpisce lì gli vengono le convulsioni. Quando la guerriglia attacca i centri vitali del suo progetto, il coacervo di forze politiche, economiche e militari che lo devono gestire si spaccano e l’apparente unità delle varie componenti, dai partiti alla magistratura ai militari alla stampa va in pezzi. Le contraddizioni nascono per il semplice fatto che questo regime non ha più nessuna giustificazione per la sua esistenza se non nella forza di annientamento antiproletaria che ancora possiede; attaccata ed intaccata questa forza il regime in ogni sua componente si scopre debole ed impotente. Da qui convulsioni schizofreniche dei vari partiti e dei vari organi di magistratura eccetera. La loro debolezza, la loro crisi sta proprio nella mancanza assoluta di legittimità sociale e politica del loro potere, il fatto che sono garanti di un sistema di sfruttamento capitalistico che non ha più niente da fare e può solo cercare di ritardare la sua disfatta. Attaccando il cuore dello stato si creano perciò delle falle nel progetto controrivoluzionario, si moltiplicano gli effetti che ne ritardano l’attuazione, si impedisce che la crisi si ricomponga sulla pelle dei proletari. Approfondire la crisi della borghesia è nell’interesse proletario, aumentare la debolezza dello schieramento nemico vuol dire aumentare la forza della rivoluzione. La campagna contro le carceri delle forze rivoluzionarie ha messo a nudo tutta la debolezza politica di questo regime, ha scompaginato i patti di omertà e complicità tra le forze politiche, magistratura, stampa e carabinieri stipulati per realizzare l’annientamento proletario. Ha messo in evidenza che l’unico cemento che tiene in piedi questo regime è la corruzione e la paura. Le varie bande democristiane con i loro complici che infestano il nostro paese possono essere battute, i loro piani vanificati, le loro alleanze spezzate; e questo è quello che regolarmente è accaduto con la campagna contro le carceri.
  1. La borghesia ha adesso un altro problemino: che fare di un aguzzino pentito? Perché D’Urso è proprio questo, un aguzzino pentito. Ha collaborato con la giustizia proletaria, ci ha rivelato nei minimi dettagli i progetti, la struttura e gli uomini che a partire dal ministero di Grazia e Giustizia fino ai nodi periferici sovraintendono alla strategia dell’annientamento. In questo suo comportamento ravvisiamo non certo un ravvedimento morale di cui lo crediamo incapace ma una scelta politica di cui sappiamo tener conto. Per anni la stampa di regime si è affannata a cercare una talpa nel ministero di Grazia e Giustizia. Sappiamo che si inventeranno ancora chissà quale altra frottola, adesso gliene forniamo una noi, con nome e cognome: Giovanni D’Urso.
  1. Avevamo detto che l’opportunità di eseguire o sospendere la condanna a morte di Giovanni D’Urso doveva essere valutata politicamente dalle BR e dagli organismi di massa rivoluzionari dentro le carceri. Le valutazioni che complessivamente e omogeneamente sono state fatte confermano la grande forza del movimento rivoluzionario. Gli obiettivi politici e materiali che la campagna di attacco iniziata con D’Urso si prefiggeva sono stati ampiamente conseguiti. Il movimento dei proletari prigionieri, il movimento rivoluzionario e le BR hanno conseguito una grande vittoria. In considerazione di tutto ciò la giustizia proletaria acconsente a un atto di magnanimità. La sentenza viene sospesa e il prigioniero D’Urso viene rimesso in libertà. La lotta contro l’annientamento carcerario continua fino al conseguimento dell’obiettivo finale: distruzione di tutte le carceri e liberazione di tutti i proletari imprigionati.

Brigate Rosse

14 gennaio 1981

Pubblicato in PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. 220-223.

Volantino di commemorazione di Roberto Serafini e Walter Pezzoli

A tutto il movimento rivoluzionario.

Due compagni appartenenti alla nostra organizzazione, militanti nella colonna Walter Alasia “Luca” sono caduti sotto il piombo dei carabinieri. La storia e la militanza di Roberto Serafini e Walter Pezzoli sono simili a quelle dei molti comunisti che hanno dato la vita per combattere questa società basata sul massimo profitto, che costringe milioni di proletari al supersfruttamento e a condizioni di vita sempre più miserabili, per costruire la società comunista.

I compagni provenivano da esperienze diverse da quelle che hanno formato una grossa parte della nostra Organizzazione e proprio per questo, per onorare la loro memoria, riteniamo ancora più importante il loro contributo al movimento rivoluzionario perché sono riusciti a passare – attraverso una profonda autocritica pratica e teorica – da esperienze di gruppo, soggettiviste e militariste, al lavoro con noi in un progetto e un programma rivoluzionario che ha la sua sola base di verifica nel lavoro di massa. Sono stati preziosi perché hanno messo a disposizione la loro grossa esperienza al lavoro politico-militare portato avanti dalle avanguardie di fabbrica.

Sono stati profondamente onesti e veri comunisti nell’accettare la direzione operaia sul lavoro che stavano sviluppando. E’ in questa dialettica che i due compagni stavano assumendo man mano un ruolo politico oltre che militare nel lavoro della nostra colonna che ha spazzato via ogni residuo militarista derivato dalla loro esperienza politica. Così li vogliamo ricordare e il vuoto che lasciano proprio per questa loro eccezionale presenza e chiarezza nel movimento di classe sarà incolmabile.

La campagna che abbiamo aperto in questo ultimo mese ha portato il nemico a decidere di eliminare fisicamente le avanguardie comunista combattenti, sperando di stroncare la nostra forza. Così come era avvenuto in via Fracchia, l’ordine è di sparare a vista e così i compagni sono stati falcidiati.

Sarà la coerenza e la forza di un programma politico a rafforzare la nostra organizzazione verso la costruzione del Partito ed a formare i militanti che gli daranno continuità e vita, capaci di prendere il posto di ciascun comunista che cade. Le brigate di fabbrica Alfa Romeo e Sesto San Giovanni prenderanno il nome di Walter Pezzoli “Giorgio” e Roberto Serafini “Marco”.

Proprio 4 anni fa cadeva il nostro compagno Walter Alasia “Luca”.

Onore ai compagni caduti combattendo per il comunismo!

 

Per il Comunismo Brigate Rosse Colonna Walter Alasia “Luca”

Milano, 12 dicembre 1980

 

Onore al compagno Martino Zichittella

Il compagno Martino Zichittella nacque a Marsala (TP) il 26-4-1936 ma fin da piccolo ha vissuto a Torino, la città della borghesia savoiarda, degli ex-repubblichini, la città dei Valletta, la città in cui la sperequazione capitalistica è più evidente e più umiliante. La città metropoli in cui, già negli ultimi anni del “boom”, la vita sociale è pianificata, controllata e manipolata; dove ogni attività è finalizzata alla produzione di plusvalore e di consenso, attraverso l’utilizzazione dei più rudimentali mass-media del tardo capitalismo.

Dai casermoni di via Verdi ai portici di via Roma lastricati di marmo, alla Barriera di Milano (il quartiere di Martino), alla Crocetta, i salariati di Torino si battono tra centinaia di contraddizioni giornaliere, simili a quelle di qualsiasi altra metropoli di qualsiasi altro paese capitalista, ma tutte riconducibili a una sola: quella della propria appartenenza di classe, del proprio potere di acquisto dal quale dipende la gradazione della propria identità umana e sociale. Qui l’acquisizione e l’interiorizzazione dei valori legati all’ideologia borghese non sono scelta, sono induzione violenta, costante, asfissiante.

Martino sceglie la strada dell’appropriazione violenta ed individuale del benessere padronale: quella della rapina, per cui viene arrestato nel 1966.

Durante l’alluvione di Firenze, Martino evade, vive ancora contraddittoriamente la sua realtà di proletario detenuto; salverà invece alcuni giovani dalla melma dell’Arno.

Il carcere e lo scontro che in esso si vive collettivamente gli fanno acquisire i primi elementi di coscienza rivoluzionaria e lo portano nel ’68 alla testa, come direzione ed avanguardia riconosciuta, delle prime dimostrazioni pacifiche nelle carceri “Nuove” di Torino, alle quali il potere risponde brutalmente, come sempre.

Nel ’70 Martino ha pienamente chiarificato la sua identità, ha identificato lo Stato anche nelle sua appendici carcerarie e riesce a evadere da Alessandria.

Rimane fuori poche ore con le gambe spezzate per il salto dal muro di cinta. Ripreso viene massacrato dalle guardie e rimarrà claudicante.

Nel ’71 è alla testa della rivolta delle “Nuove”. Con lui altri compagni che in quelle lotte e da quelle lotte hanno consequenzialmente maturato la scelta della lotta armata; all’interno della quale rappresentano le avanguardie più alte e più coscienti del proletariato detenuto, al quale la loro prassi fornisce le più chiare indicazioni: l’evasione e l’organizzazione combattente.

Il ’71 è l’anno di Attica per i proletari che si ribellano in USA; quello di Porto Azzurro per i compagni come Martino.

Le successive rivolte ad Alghero, Noto, Enna, lo vedono farsi carico, nella gestione delle lotte, degli interessi di sopravvivenza dei proletari prigionieri, della loro necessità di organizzarsi e combattere.

Nel ’74 a Viterbo inizia un confronto con altre avanguardie espresse dalle lotte dei detenuti sulla costituzione in organizzazione politico-militare all’esterno di alcune avanguardie rivoluzionarie.

Con la presenza a Viterbo di un militante dei NAP, il confronto prosegue e si sviluppa interno-esterno, sul piano politico quanto su quello organizzativo-militare.

Partecipa così alla costruzione e alla realizzazione della operazione coordinata con l’attacco armato interno-esterno del maggio ’75 che vede al primo posto la parola d’ordine della liberazione dei combattenti comunisti prigionieri.

L’attacco interno non coglie l’obiettivo della liberazione ma, per effetto dell’attacco esterno che vede imprigionato il boia Di Gennaro, è comunque un momento di enorme crescita politico-militare che Martino fa suo patrimonio all’interno dell’organizzazione dei NAP.

Trasferito a Lecce per rappresaglia subisce per mesi torture fisiche e psicologiche ma non cessa di porsi come direzione dello scontro organizzando e realizzando con un altro militante dei NAP l’azione armata dell’agosto ’76 che porta alla liberazione di 11 prigionieri.

La sua morte nello scontro di Roma caratterizza e definisce la sua vita e la coerenza di un combattente comunista.

 

Nuclei Armati proletari

Roma 1976

 

Pubblicato in Processo allo Stato n. 2, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano 1977.