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In ricordo di Vito Principe, stralci

La sera dell’11 marzo 1975 il compagno Vito Principe è caduto a Napoli.
Il fatto che Vito sia morto dilaniato da una carica di esplosivo ha scatenato le iene borghesi e riformiste. Ricordare come gli ‘incidenti di lavoro’ capitano purtroppo ai compagni che si muovono sul terreno della lotta armata, sarebbe superfluo se non fosse per far tacere queste luride carogne.
Nel 1970 Vito Principe ha lavorato entusiasticamente con il Movimento Studentesco napoletano in tutte le esperienze di lotta, antifasciste, accademiche, antirepressive, e trasse da questa esperienza quanto di positivo poteva offrire. Non è un’accettazione ideologica del marxismo, ma la scoperta di esperienze pienamente realizzate di vita diversa, di diversi rapporti umani e politici.
È in questo anno e in quelli immediatamente successivi che matura il salto qualitativo che lo porterà nel 1973 ad essere un’avanguardia reale del movimento. In questo periodo Vito paga sulla propria
pelle il vivere da comunista; il distruggersi come intellettuale borghese segna il suo momento cruciale di crescita. Per lui l’essere un compagno, l’essere un comunista diviene sempre più un fatto
complessivo, vissuto fino in fondo, in tutti i suoi aspetti (…).
È tra i primissimi compagni dei Nuclei Armati Proletari; il suo contributo è enorme, il suo lavoro è preziosissimo. È un altro salto di qualità che Vito compie e con piena coscienza. (…)
Il suo stile di lavoro, la sua serietà fatta di azioni e non di professioni di fede, la sua ricerca di unità reale, non formale, la sua decisione sono ora il patrimonio di tutti i compagni che hanno lottato e
lavorato con lui.
Nuclei Armati Proletari
Napoli marzo 1975

Comunicato N.4

Nel secondo comunicato abbiamo detto: “Ad ogni azione repressiva che il padrone tenterà di mettere in atto nei confronti dei lavoratori a seguito della lotta che stiamo conducendo, sarà risposto secondo il principio: per un occhio due occhi, per un dente tutta la faccia.”

Poco dopo un nostro compagno, Della Torre, è stato licenziato. Così:

– Pellegrini dopo essersi trovato la macchina abbrustolita NON SI È PIU’ FATTO VEDERE IN FABBRICA. Lo spione sembra aver accettato “disciplinatamente” la sentenza emessa dal Tribunale del Popolo.

Se è così, gli faremo grazia. Intanto gli ricordiamo che di questi tempi stare coi padroni, contro gli operai, costa sempre di più.

Poi è stata la volta di:

-Loriga avvocato prof. Enrico, il boia che ha firmato per conto della direzione la lettera di licenziamento del compagno Della Torre, che pur avendo parcheggiato la sua Alfa Romeo lontano da casa, non è sfuggito all’applicazione del verdetto che, anche per lui, il Tribunale del Popolo aveva emesso.

Alle 13.05 di martedì 8 dicembre 1970 (e non di notte come scrive il “Corriere della Sera”) di quel po’ po’ di macchina non è rimasto che un rottame.

Due milioni andati in fumo. A questo personaggio, nuovo “duro” delle trattative, non è la prima volta che gli operai, a modo loro si intende, gli esprimono “riconoscenza.”

Infatti, già quando era capo del personale alla Carbosarda (Sardegna) in seguito ai grandi meriti “proletari” acquisiti, i nostri compagni sardi di Carbonia, dopo avergli messo al collo un bel cartello (come gli operai della IGNIS hanno fatto con i provocatori fascisti a Trento) lo hanno caricato su un docile asinello e lo hanno portato a “visitare” il paese, scortandolo però, perché non gli succedessero incidenti, con un lungo corteo.

Una bella festa proletaria insomma, che solo quelli come lui non hanno capito, visto che, presi dal terrore, mormoravano: “ma questa è la gogna!”

Ora all’Enrico Prof. Avv. Loriga, intendiamo dare un consiglio. Se dovesse incontrare difficoltà a recarsi al lavoro a guadagnarsi il panettone, c’è sempre l’asinello verso il quale garantiamo clemenza.

Mentre per l’asino…!

Ed ora due notizie. La direzione ha proletarizzato le macchine dei dirigenti. Infatti recentemente ha consigliato a tutti i dirigenti della Bicocca di fare uscire dai parcheggi interni i loro preziosi macchinoni e posteggiarli vicino alle scassate utilitarie degli operai, lungo i vialoni.

Come aveva promesso la direzione nel “comunicato a tutti i dirigenti” ecco qui le “opportune misure”! Un’ulteriore prova del fatto che il capitale garantisce solo i suoi profitti. La seconda notizia riguarda “il secondo della lista”, lo spione Palmitessa, che da un po’ di tempo è “caduto in malattia.” Gli auguriamo una pronta guarigione.

Infine due parole su questioni di fondo. La lotta attiva contro la repressione padronale, intesa come attacco diretto alla struttura personificata del potere, non deve farci dimenticare che il potere, oltreché sui suoi servi, si regge anche sulle “cose” e sulla “produzione.”

Vale la pena cominciare a riflettere. Per concludere:

-Della Torre in fabbrica

-Pellegrini a casa. Nel frattempo il conto rimane aperto. Per la rivoluzione comunista.

 

BRIGATA ROSSA

N.B.: Il “Corriere della Sera” cerca di far credere che la macchina abbia subito lievi danni. Forse l’avv. Prof. Loriga non è dello stesso parere!

 

Dicembre 1970

 

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

Comunicato N. 3

Della Torre, meccanico. Un buon compagno: uno dei nostri, 50 anni, 2 figli. Quadro di punta della CGIL. 25 anni di attività sindacale. Comandante partigiano. Tirava le lotte. Lo hanno licenziato. Lo hanno fatto in due: i padroni prima, i sindacati poi. Questo licenziamento ci riguarda tutti. Non è un fatto privato, È UNA LINEA POLITICA vigliacca che tende a colpire tutti gli operai in lotta. Se passa senza una decisa risposta di tutta la fabbrica unita, se passa su una resa a basso prezzo dei sindacati e sulle nostre spalle, allora Pirelli e soci avranno via libera, d’ora in poi, per sbarazzarsi di chiunque alzi la testa per affermare i suoi diritti.

Nel primo comunicato che abbiamo diffuso, si diceva: “per ogni compagno che colpiranno durante la lotta, qualcuno di loro dovrà pagarla.”

Un compagno è stato colpito.

E così uno di loro, precisamente “il primo della lista” (come hanno suggerito molti operai in fabbrica) si è trovato la macchina distrutta.

Ma non è finita.

Abbiamo detto infatti che “per un occhio, due occhi…” e la 850 dello spione Ermanno Pellegrini… è per noi molto, ma molto meno di un occhio. Senza contare poi che la sua vera macchina è una giulia 1300 junior GT bianca che da un po’ di tempo “inspiegabilmente” tiene gelosamente custodita nel suo garage.

Ma noi abbiamo pazienza…!

A meno che lo spione Pellegrini SI LICENZI e allora può essere che il Tribunale del Popolo gli concederà grazia. Comunque Della Torre deve rientrare, rientrare al lavoro per continuare la lotta di tutti gli sfruttati contro i padroni. Collette, avvocati gentilmente offerti dal sindacato, solidarietà, non bastano. Perciò fino a che Della Torre non tornerà con noi, la partita tra noi operai tutti e i servi e gli aguzzini del padrone non si deve chiudere e non si chiuderà. La lista è lunga, la fantasia non manca.

Per la rivoluzione comunista.

 

Brigata Rossa
Dicembre 1970

 

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

Comunicato a seguito di azioni di provocazione

In questi giorni abbiamo assistito ad un susseguirsi di azioni terroristiche di chiara impronta fascista e di altrettanto chiara ispirazione poliziesca. Ci interessa qui sottolineare quelle compiute contro le fabbriche “Rossari e Varzi” di Trecate di Novara, “Norton internazionale” di Corsico (Milano) e la “Necchi” di Pavia, e contro le caserme di Rieti, L’Aquila e Lamezia Terme, e a Vibo Valentia. Gli attentati all’esplosivo sono stati accompagnati da volantini in cui si inneggia, tra le altre cose, alle “Brigate Rosse.” I fascisti – esecutori – ed i carabinieri – mandanti – hanno inteso, “firmando” con la sigla della nostra organizzazione, perseguire alcuni obbiettivi:

  1. Mettere in relazione azioni antiproletarie e fasciste con una organizzazione rivoluzionaria comunista.
  2. Rendere con ciò odiose e impopolari quelle organizzazioni che hanno scelto la via dell’azione diretta, della azione partigiana e della propaganda armata, svuotando il loro lavoro di ogni senso politico e presentandole come organizzazioni di criminali che perseguono fini contrari agli interessi delle masse popolari.
  3. Terrorizzare la sinistra alimentando con “fatti” l’ipotesi che da un po’ di tempo si cerca subdolamente di far circolare che le Brigate Rosse siano organizzazioni provocatorie dirette da mestatori fascisti e porci delle varie polizie.
  4. Creare un clima di tensione praticando azioni violente terroristiche e gratuite che consentano in nome degli “opposti estremismi” di colpire la sinistra rivoluzionaria e più in generale la classe operaia.
  5. Preparare il terreno ad una più vasta provocazione che si intenderebbe impiantare in qualche fabbrica, addebitandola alla sinistra e, perché no… alle Brigate Rosse. In realtà fascisti e poliziotti vogliono colpire alle radici sin dal suo nascere l’ipotesi strategica che li seppellirà, insieme ai loro padroni, per sempre:

La guerriglia di popolo

I lavoratori delle fabbriche e dei rioni dove operiamo, sanno che le Brigate Rosse sono organizzazioni comuniste, lo sanno perché esse non hanno mai fatto un’azione contraria agli interessi dei lavoratori. Abbiamo colpito nelle fabbriche i despoti, i servi dei padroni, i più odiati dalla classe operaia, quando ciò si è reso necessario perché erano stati colpiti dei compagni;

Abbiamo colpito i fascisti perché essi sono l’esercito armato che il capitale usa oggi contro le lotte operaie e la richiesta proletaria di potere;

Abbiamo colpito sempre nemici del popolo e sempre li abbiamo colpiti all’interno di vasti movimenti di lotta. Per questo se da un lato siamo convinti che nessun compagno cadrà nella trappola tesa da queste azioni fasciste, “firmate” con la nostra sigla, dall’altro diamo un avviso alle forze della reazione:

Chi scherza col fuoco si brucia le dita…

Stiamo indagando su chi sono i diretti responsabili di queste provocazioni. Può darsi che lo sapremo presto, può darsi che ci vorrà più tempo, comunque siate certi che:

Niente resterà impunito!

Ai poliziotti ed ai fascisti diciamo una cosa chiara: Nei vostri confronti non vi sarà alcuna pietà. Il pugno della giustizia proletaria si abbatterà con forza tremenda su chiunque trami, mesti e operi contro gli interessi di noi proletari.

LEGGERE, FAR CIRCOLARE, PASSARE ALL’AZIONE
COMANDO UNIFICATO DELLE BRIGATE ROSSE

 

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

Autointervista

  1. Come giudicate la fase attuale dello scontro di classe?

Ci sembra che ci sia una concordanza di vedute nella sinistra sulla situazione attuale. Non sfugge né ai riformisti né alle forze extraparlamentari il progetto di riorganizzazione della borghesia su una prospettiva reazionaria e violentemente antioperaia. E più in generale tutti riconoscono che è iniziato uno scontro decisivo nel quale si giocano da una parte, cioè dalla parte della borghesia, la possibilità di un nuovo equilibrio politico ed economico, dall’altra, cioè da parte dei lavoratori, la prospettiva di un capovolgimento dei rapporti di produzione. Ma a parte i riformisti la cui strategia si dimostra sempre più suicida di fronte all’attacco reazionario, ciò che ci interessa mettere in evidenza è lo stato di impreparazione in cui si trovano le forze rivoluzionarie di fronte alle nuove scadenze di lotta. Alla sinistra rivoluzionaria è mancata la consapevolezza che il ciclo iniziato nel ’68 non poteva che portare agli attuali livelli di scontro e non vi è stata quindi la predisposizione degli strumenti idonei a farvi fronte. La nostra esperienza politica nasce da questa esigenza.

  1. Quali cause stanno alla base della crisi attuale?

Oggi ci troviamo davanti ad un capovolgimento delle prospettive politiche della borghesia. Esso è dovuto al mancato congiungimento delle prospettive di sviluppo del capitalismo e dei progetti politici dei partiti riformisti. La borghesia infatti posta di fronte all’iniziativa della classe operaia che ha rifiutato il riformismo come progetto di stabilizzazione sociale ponendo all’ordine del giorno la fine dello sfruttamento, e alle oggettive contraddizioni dell’imperialismo che impediscono la programmazione pacifica dello sviluppo del capitalismo nei singoli paesi, ha dovuto riorganizzare a “destra” l’intero apparato di potere.

  1. In quale direzione ritenete quindi che si svilupperà nei prossimi tempi la situazione politica?

La borghesia ha ormai una strada obbligata: ristabilire il controllo della situazione mediante un’organizzazione sempre più dispotica del potere. Il dispotismo crescente del capitale sul lavoro, la militarizzazione progressiva dello stato e dello scontro di classe, l’intensificarsi della repressione come fatto strategico sono due conseguenze obiettive ed inesorabili. Nella situazione italiana assistiamo infatti alla formazione di un blocco d’ordine reazionario quale alternativa al centro-sinistra. Esso prospera sotto le bandiere della destra nazionale e tende a riassicurarsi il controllo della situazione economica e sociale e cioè alla repressione di ogni forma di lotta rivoluzionaria ed anticapitalista.

  1. Pensate dunque ad una riedizione del fascismo?

Il problema non va posto in questi termini. È un dato di fatto incontestabile che questo disegno repressivo per ora si estende e mira non tanto alla liquidazione istituzionale dello stato “democratico” come ha fatto il fascismo, quanto alla repressione più feroce del movimento rivoluzionario. In Francia il “colpo di stato” di De Gaulle e l’attuale “fascismo gollista” vivono sotto le apparenze della democrazia. Nei tempi brevi questo è certamente il modello meno scomodo. Sarebbe però ingenuo sperare in una stabilizzazione moderata della situazione economica e sociale in presenza di un movimento rivoluzionario combattivo.

  1. Quali dunque le vostre scelte?

Avevamo due strade oltre la via riformista che abbiamo rifiutato insieme alla sinistra rivoluzionaria da diversi anni: ripetere l’esperienza storica del movimento operaio secondo le versioni anarco-sindacaliste o terzinternazionaliste o viceversa congiungersi all’esperienza rivoluzionaria metropolitana dell’epoca attuale. I gruppi della sinistra extraparlamentare tutto sommato non sono usciti dalla prima prospettiva poiché non hanno saputo sottoporre ad una analisi critica le sconfitte del movimento rivoluzionario del primo dopoguerra. Essi hanno ripreso nella sua essenza la teoria delle due fasi del processo rivoluzionario (preparazione politica, agitazione, e propaganda prima, insurrezione armata poi) ed oggi stanno ripercorrendo la prima fase mentre la borghesia già dispiega la sua iniziativa armata. Ne fanno testo l’attacco padronale alle forme di lotta più incisive, i processi politici e le condanne contro i militanti più combattivi, il rinato terrorismo squadrista, le aggressioni fasciste ai picchetti operai e quelle poliziesche alle piccole fabbriche, agli sfrattati ed agli studenti, i rastrellamenti nei quartieri insubordinati, l’assunzione di provocatori sbirri e fascisti nelle fabbriche, ecc. Lo scontro armato è già iniziato e mira a liquidare la capacità di resistenza della classe operaia. L’ora X dell’insurrezione non arriverà. E quello che molti compagni tendono a raffigurarsi come lo scontro decisivo tra proletariato e borghesia altro non è che l’ultima e vittoriosa battaglia della borghesia. Come è stato nel 1922.

  1. In definitiva quale è il filone ideologico e storico al quale vi collegate?

I nostri punti di riferimento sono il marxismo-leninismo, la rivoluzione culturale cinese e l’esperienza in atto dei movimenti guerriglieri metropolitani; in una parola la tradizione scientifica del movimento operaio e rivoluzionario internazionale. Questo vuol dire anche che non accettiamo in blocco gli schemi che hanno guidato i partiti comunisti europei nella fase rivoluzionaria della loro storia soprattutto per quanto riguarda la questione del rapporto tra organizzazione politica e organizzazione militare.

  1. Puoi specificare meglio questo punto di vista?

I compagni brasiliani sostengono che l’origine dell’involuzione socialdemocratica dei partiti comunisti è da ricercare nell’incapacità della loro organizzazione a far fronte ai livelli di scontro che la borghesia progressivamente impone al movimento di classe. Non c’è quindi all’origine di tutto il “tradimento” dei capi quanto l’inadeguatezza strutturale dell’arma che essi utilizzano e cioè della loro organizzazione. Di questo hanno tenuto conto le organizzazioni armate metropolitane le quali sin dall’inizio si sono costituite per far fronte globalmente a tutti i livelli dello scontro.

  1. Il problema per voi è quindi quello di iniziare la lotta armata?

La lotta armata è già iniziata. Purtroppo in modo univoco, cioè è la borghesia che colpisce. Il problema è dunque quello di creare lo strumento di classe capace di affrontare allo stesso livello lo scontro. Le Brigate Rosse sono i primi sedimenti del processo di trasformazione delle avanguardie politiche di classe in avanguardie politiche armate, i primi passi armati nella direzione di questa costruzione.

  1. Siete per una concezione “fochista” dell’avanguardia armata?

No. Il nostro punto di vista è che la lotta armata in Italia debba essere condotta da un’organizzazione che sia diretta espressione del movimento di classe e per questo stiamo lavorando all’organizzazione dei nuclei operai di fabbrica e di quartiere nei poli industriali e metropolitani ove maggiormente si condensano rivolta e sfruttamento.

  1. Siete dunque in una fase di preparazione?

Da un punto di vista generale non possiamo essere che in questa fase in quanto la strada che abbiamo scelto ha bisogno di un lungo periodo di accumulazione di esperienze e di quadri. Però non è una fase staccata dalla lotta di classe ma si realizza tutta all’interno di essa.

  1. Questo vuol dire quindi che le Brigate Rosse anche in questa fase sono impegnate nello scontro?

Esiste una tendenza nel movimento di classe non riconducibile ad alcuna delle organizzazioni extraparlamentari operanti che esprime l’esigenza di nuove forme di organizzazione della lotta rivoluzionaria: organizzazione dell’autodifesa, prime forme di clandestinità, azioni dirette…

Le Brigate Rosse hanno colto questa esigenza e si propongono di passare da queste prime esperienze che costituiscono una fase tattica necessaria, alla fase strategica della lotta armata.

  1. Quali sono le condizioni perché questo passaggio avvenga?

Nessun movimento rivoluzionario armato che lotta per il potere può affrontare lo scontro senza essere in grado di realizzare due condizioni fondamentali: 1) misurarsi con il potere a tutti i livelli (liberare i detenuti politici, eseguire condanne a morte contro i poliziotti assassini, espropriare i capitalisti, ecc.) e naturalmente dimostrare di saper sopravvivere a questi livelli di scontro; 2) far nascere un potere alternativo nelle fabbriche e nei quartieri popolari.

  1. Che intendete per potere proletario alternativo?

Intendiamo dire che la rivoluzione non è solo un fatto tecnico-militare, e l’avanguardia armata non è il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma il suo punto di unificazione più alto, la sua richiesta di potere.

  1. Su quali direttrici intendete muovervi in questa fase?

Nei mesi passati la nostra preoccupazione fondamentale è stata quella di radicare nel movimento di classe un discorso strategico. Oggi riteniamo che sia decisivo lavorare alla sua organizzazione. Si tratta cioè di radicare le prime forme di organizzazione armata nella lotta quotidiana che nelle fabbriche, nei rioni, nelle scuole mira a spezzare l’offensiva tattica della borghesia. E ciò combattendo il terrorismo padronale nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi senza separare la lotta alla organizzazione capitalistica del lavoro e della vita sociale dalla lotta all’organizzazione capitalistica del potere; affrontando lo squadrismo fascista e colpendo con durezza adeguata nelle persone e nelle cose i suoi organizzatori politici e militari; non concedendo impunità agli sbirri, alle spie e ai magistrati che attaccano il movimento di classe nei suoi interessi e nei suoi militanti. Da un punto di vista immediato questa azione deve consentirci di mantenere alti livelli di mobilitazione popolare impedendo l’affermarsi di correnti pessimistiche e liquidatorie. E piú in generale questo scontro non si concluderà con un ritorno alla situazione precedente ma costituirà la premessa per lo scontro strategico: per la lotta armata per il potere.

  1. Ma allora le Brigate Rosse sono organismi di transizione?

No, perché la lotta armata non può essere affrontata con organismi intermedi come potrebbero essere i comitati di base, i circoli operai-studenti o le stesse organizzazioni politiche extraparlamentari. Essa necessita sin dall’inizio dell’organizzazione strategica del proletariato.

  1. Intendete dire il Partito?

Esatto. Le BR sono i primi punti di aggregazione per la formazione del Partito Armato del Proletariato. In questo sta il nostro collegamento profondo con la tradizione rivoluzionaria e comunista del movimento operaio.

  1. Che posizione avete nei confronti dei gruppi extraparlamentari?

Non ci interessa sviluppare una sterile polemica ideologica. Il nostro atteggiamento nei loro confronti è innanzitutto determinato dalla posizione sulla lotta armata. In realtà nonostante le definizioni rivoluzionarie che questi gruppi si attribuiscono al loro interno prospera una forte corrente neo-pacifista con la quale non abbiamo niente a che spartire e che riteniamo si costituirà al momento opportuno in una forte opposizione all’organizzazione armata del proletariato. Mentre invece, sicuramente un’altra parte dei militanti accetterà questa prospettiva. Con essi il discorso è aperto. Certo questa non è l’unica discriminante, rimangono questioni fondamentali relative ai tempi e alla tattica da seguire oltre che la questione fondamentale della proletarizzazione dell’organizzazione. Noi non accettiamo la mistificazione che tende ad identificare le attuali avanguardie per avanguardie di classe. Il problema della costruzione della avanguardia politica ed armata del proletariato è tuttora aperto e non può essere risolto battendo la strada dei facili trionfalismi di gruppo, né con progetti di aggregazione di forze non significative dal punto di vista di classe.

  1. Come considerate le accuse che alcuni gruppi della sinistra extraparlamentare hanno mosso nei vostri confronti?

Dobbiamo qui distinguere due tipi di accuse: l’una è in sostanza una critica al nostro “avventurismo” e a proposito della quale abbiamo solo da dire che avventurismo è affrontare lo scontro con la borghesia armata senza adeguato strumento. E a questa verifica non potrà sfuggire neppure chi ci muove questa critica con spirito militante. L’altra che è una calunnia con la quale si tende a presentarci come provocatori o fascisti non ammette una risposta politica ma costituirà al momento opportuno un fatto di cui dovranno rendere conto coloro che l’hanno formulata. Più in generale al di là di queste accuse, noi crediamo che la sinistra subirà col progredire dello scontro di classe un processo di polarizzazione in cui la discriminante sarà inevitabilmente la posizione sulla lotta armata. In questo processo verrà coinvolto anche il PCI. Per questo rifiutiamo ogni settarismo ideologico, proprio degli intellettuali pseudorivoluzionari e riaffermiamo la nostra posizione fortemente unitaria con tutti i compagni che sceglieranno la via della lotta armata.

Brigate Rosse
Settembre 1971

Pubblicato in PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996.

Rivendicazione incursione nella sede MSI di Cesano Boscone (MI)

Le Brigate Rosse hanno occupato e perquisito la sede del MSI di Cesano Boscone rendendo all’impotenza il fascista presente. L’unica democrazia per gli sfruttati è il fucile sulla spalla degli operai. La strada che hanno preso è dunque quella della risposta diretta alla controrivoluzione armata dei padroni, e quella della giustizia proletaria esercitata dal popolo in armi. I fascisti assassini non devono disporre di alcuna agibilità politica nei nostri quartieri, nelle nostre fabbriche né altrove. Per questo ora diciamo: “Questa sede si deve chiudere, si deve chiudere in fretta”. Altrimenti ci penseremo noi e sarà peggio. A Milano, a Torino, a Roma e altrove le Brigate rosse insieme al movimento di resistenza popolare hanno combattuto al grido “contro il fascismo guerra di classe”. Hanno distrutto sedi, perquisito case, requisito armi, sequestrato documenti, incendiato macchine, case, negozi, arrestato e interrogato squadristi. Nessun fascista si illuda. Le Brigate rosse andranno avanti su questa via, la via della lotta armata contro il fascismo e contro lo stato. Il voto non paga! Prendiamo il fucile!

Brigate Rosse

Fonte: Vincenzo Tessandori, BR. Imputazione: banda armata. Cronache e documenti delle Brigate Rosse, Garzanti, Milano 1977 e succ. ed.

Sarà che nella testa avete un maledetto muro

Il documento che segue, scritto in carcere e firmato da alcuni imputati al processo che si è svolto nel 1983 a Torino contro Prima linea, esprime le conclusioni del dibattito interno nell’ultima Conferenza di Organizzazione, che si è tenuta alle Vallette dal momento che i militanti erano ormai quasi tutti detenuti. Può quindi essere considerato l’ultimo documento di organizzazione.

C’è di tutto nell’orizzonte presente meno che il rischio della monotonia e della stabilità. Tra tanti episodi significativi ci sono anche timidi, occhieggianti momenti d’incontro e di reincontro, forse si comincia a non riconoscersi solo tra simili o forse è questa similarità ad essersi dilatata. Di certo la sinistra, senza aggettivazioni e specificazioni, sta riflettendo tanto su questi ultimi quindici anni di storia e di lotta quanto sui propri fondamenti, sulle proprie istituzioni ideologiche e politiche. Si tratta di rendere consapevole questo movimento, di motivare il faticoso riattraversamento critico delle esperienze compiute. Si tratta di chiarire la comunanza dei presupposti anche semplicemente passando materiali dalla non coscienza alla coscienza: per tutti diventa importante comprendere che le mille motivazioni delle frazioni forse sono un onere minore delle mille simiglianze d’ordine metodologico, politico, storico, ecc. Non ipotizziamo dei punti di arrivo, delle sintesi, per tutta la sinistra; piuttosto pensiamo ai punti di partenza, alle tesi fondanti, alla rifondazione delle differenze, se questo sarà l’esito. Non pensiamo neppure di porci al centro di questo percorso, piuttosto vogliamo rendere esplicita la nostra volontà di prendervi parte, portando tutta la consapevolezza della sconfitta della nostra particolare esperienza organizzata, ma anche la chiarezza di idee a proposito di quanto questa esperienza fosse debitrice alla tradizione ed alla prassi viva della sinistra intera. C’è un problema di strumenti, di linguaggio, di categorie, tutti usurati dalla scomparsa o dal ridimensionamento dei riferimenti e dei nessi sociali e politici che li avevano originati ed ordinati gerarchicamente: bene, l’abitudine e la consuetudine ci costringono a correre il rischio che è presente nel trattare, con una lingua morta e con una sintassi impazzita, una attuale configurazione sociale e politica che è attraversata da rapidi e sostanziali momenti di trasformazione. Noi, del resto, già anni fa abbiamo deciso di affrontare il mare aperto anche se le carte erano quelle di un mondo passato; già sconvolte le correnti ed i fondali da formidabili eruzioni. La finalità di questo testo è però molto più parziale, vi sono implicati solo alcuni temi che a noi preme affrontare immediatamente, una sorta di gradino solido dal quale sarà possibile accedere ad un ambiente più vasto. Dissociazione politica e irriducibilismo continuista non sono per noi speculari, non intendiamo restaurare alcuna sorta di teoria degli ‘opposti estremismi’, anzi nessuna estremizzazione è presente in queste due posizioni; più conseguentemente esse muovono dalle tesi di una sconfitta epocale del movimento di rivoluzione e di trasformazione positiva della società. Nel primo caso questa sconfitta è consumata e si tratta di salvarsi le brache e il loro contenuto, nel secondo essa è immanente e solo nello spirito – opzione ideologica – e nella penitenza – prosecuzione della lotta armata anche se socialmente isolata e demotivata – è la salvezza; dei principi, ovviamente.

Noi invece vogliamo partire dalla constatazione della sconfitta delle forme assestate, politiche e politico-militari, delle ipotesi organizzate e delle pratiche e degli obbiettivi concretati in una fase delle espressioni soggettive del movimento per il comunismo, legate in un modo diretto ad una esperienza sociale determinata e ad una particolare lettura dell’esperienza storica. Per noi questi anni trascorsi non vanno né rigettati col disprezzo e l’orrore di facciata dei dissociati, anche se abbiamo davanti tutti i nostri errori e peggio, né incensati e giustificati con la logica di tradizione staliniana di riscrittura accomodata della storia. Per noi all’opposto è centrale il nodo della memoria, strumento prioritario di ogni opzione critica, possibilità di comunicazione di sapere e di esperienza tra soggetti diversi; tra noi ora, e le soggettività politiche della sinistra da noi diverse ed anche opposte, tra noi e altri, nuovi, soggetti. All’opposto di un’operazione critica il dissociazionismo politico spiega le sue ragioni nella discontinuità, nella disconnessione, nella negazione di responsabilità, queste sempre addebitate ai ‘fraintendimenti’ o delegate ad altri: il suo obbiettivo, il risultato appetibile al potere, è la non-fruibilità sociale della intelligenza accumulata in questi anni, la sua rimozione. Se il messaggio immediato dei ‘pentiti’ è quell”homo homini lupus’, per i dissociati vale poi che nell’idiozia, beata di sé, della loro area omogenea, si valida il privato delle ragioni particolari, il privilegio delle relazioni del singolo con le istituzioni: essi si vogliono differenziare dagli altri e tra sé. Per noi opposta è la questione delle omogeneità, strumenti di riflessione critica, di pratica solidale che non punta a rinnovare questo o quel particolare fatto associativo ma a rendere partecipato e volontario il percorso trasformativo. Vogliamo però aggiungere che la ‘grande stagione’ della dissociazione ci pare finita, che il suo tentativo di costituirsi in Movimento è abortito, che ha avuto vita larvale solo per l’incapacità di affrontare i bisogni nuovi e le prospettive da parte della frazione politica della popolazione detenuta. Se la dissociazione opera all’ablazione di memoria (e non solo di quella militare-operativa!) l’irriducibilismo ne tenta il travisamento. Si danno due varianti, entrambe perniciose; il continuismo e l’immobilismo, variamente frammischiati. Continuista è quel Sisifo che ora spinge se stesso in guisa di pietra (abbozzo di monumento equestre) su per la china. Immobilista è quello che aspetta che la Storia gli dia ragione, almeno per il momento, per poter ricominciare ad affliggere gli altri con argomenti, ormai archiviati, che gli diano fiato per altri anni. Se i `mediocrates of pedestrium’ (di Saffiana memoria) della dissociazione costituiscono area omogenea sottraendosi a, gli irriducibili lo fanno continuamente sottraendo da sé, attraverso la chiusura settaria, la scomunica del ‘libero pensiero’, l’adorazione del passato reinventato, la prosecuzione di una pratica invalidata dalla carenza di proteine sociali. Tragica l’endemizzazione ormai raggiunta dai frantumi di lotta armata, grottesca la stupidità dell’individuazione del nuovo `cuore’ del progetto imperialista. L’irriducibilismo è ablazione del presente (ovvero di sé dal presente), è la versione dell’autismo dal campo psicologico a quello politico. Noi quindi riteniamo oggi delegittimata socialmente la pratica di lotta armata per il comunismo in Italia; ma questo è il punto di arrivo di un giudizio articolato che in parte si origina da una valutazione degli effetti perversi della sua praticazione residuale ma che comprende il riesame critico proprio di quel patrimonio teorico, ideologico e politico comune a tutta la sinistra, patrimonio da noi variamente tradotto in procedura di sistematizzazione della lotta armata e che ha originato l’espropriazione dei contenuti e dei saperi dei movimenti antagonisti, origine prima della crisi conclusiva delle O.C.C. Non si tratta di un giudizio storico ma pertinentemente politico, immediato, efficace; riteniamo si debbano esaminare criticamente i limiti fattuali che hanno pesato negativamente su presupposti ed esperimenti concreti negli anni ’70, hanno portato l’Italia ad essere quel laboratorio rivoluzionario in cui si sono sviluppati, per qualità e quantità, i livelli più significativi di guerriglia, non nazionalista o regionale, nei paesi ad alto sviluppo capitalistico. La posta in gioco è la ripresa adeguata di un processo rivoluzionario finalmente sgravato da ogni tesi totalizzante che depauperi l’enorme ricchezza e complessità delle pratiche antagoniste.

Non intendiamo porre alcuna ipoteca sugli esiti di questo dibattito, ma vogliamo che il tavolo di questa discussione sia sgombro di cadaveri eccellenti. Del resto più che l’illustrazione di ipotesi generali o metodologiche vale il fatto di aprire il discorso sui temi di attualità. Oltre alla L.A. per il C. è andato in saturazione un altro pilastro portante della tradizionale ipotesi del Movimento rivoluzionario, tra l’altro un’ipotesi vissuta molto più largamente, se non più intensamente: la grande lotta economica. Ad un’altra occasione (e del resto ciò è stato già fatto) spetta illustrare il travaglio profondo che ha portato a consunzione lo Stato Sociale (o Assistenziale) e la pratica di mediazione conflittuale nel campo economico. La ristrutturazione si è prodotta come rapido colpo di mano, evento catastrofico che colpisce localmente o settorialmente abrogando le consuete condizioni di vita, gli assestamenti e soprattutto ciò che prima appariva garantito. La crisi prima latente ed ora esplosiva del contrattualismo colpisce al cuore il potere sindacale sia nei confronti delle controparti padronale e governativa, sia rispetto al controllo della ‘forza di lavoro’. Anche in questo campo l’instabilità, prima procedurale, prodotta da frazioni minori di operai, che contestano politicamente ed operativamente la pratica delle centrali sindacali, ora diviene fatto intrinseco alla pratica di lotta economica, lotta formalmente economica, in cui grandi esplosioni sono tutte affidate al riverbero di fatti politici anziché al crescere sotterraneo di contraddizioni oggettive. Così, detto per inciso, ogni valutazione sul futuro, basata su una simile metodologia oggettivamente è destinata alla bancarotta. Così, il problema della pace e della guerra, problema ecologico, problema della ridondanza merceologica della produzione (merceologica! La fame c’è e rimane), problema della produzione di merci che non sono valori d’uso altro che ai fini del potere (armi, calcolatori…) tutti questi problemi hanno un impatto drammatico sulla vita degli uomini prima per la loro carica politica e solo dopo come determinazioni economico-strutturali. Non si tratta più di ragionare sul grado di politicità delle lotte economiche ma, al massimo, sul grado di contaminazione economica di lotte politiche settoriali. Così è anche all’interno del potere statale o del sistema dei poteri di oppressione, legalizzati o non, là dove le corporations non si costituiscono più per interessi settoriali aggregati (i ‘baroni dell’acciaio’ ecc.) ma per confluenze soggettive di interessi particolari non contrastanti o comunque mediabili nella scalata al potere denaro (P2). Da qui migliaia di morti nella guerra per l’eroina a Napoli, in Sicilia; da qui decine di cadaveri eccellenti, da Pecorelli a Calvi, ultimo il Procuratore Generale di Torino Bruno Caccia. Da qui ancora, la completa devalorizzazione della morte, dopo la devalorizzazione della vita, che questa organizzazione sociale e politica ha prodotto. Da qui, ancora e ancora, il nostro rifiuto a frammischiare la nostra lotta di liberazione con questa guerra tra bande. Tutti i riferimenti e le categorie della sinistra cominciano ad essere obsoleti, a partire dal suo orizzonte culturale. In primo luogo il riferimento alla giustizia economica, come presidio della giustizia politica, mostra la corda quando non vi è più alcun criterio di economicità a governare l’economia stessa. Anche il rovesciamento dell’assioma che viene operato da una parte della Magistratura, dalla parte meno compromessa col potere politico, sia essa di sinistra o di cultura liberale, ovvero: fondare sulla certezza del diritto, della giustizia legale, un generale movimento di equità nella ripartizione sociale della ricchezza, anche questo rovesciamento viene ridicolizzato dalle corporations interne e dalle cointeressenze politico-economiche. In realtà si tratta proprio di rovesciare tutto il sistema di pensiero e operativo basato sulla giustizia come valore affermativo, si tratta di capire il desiderio profondo di libertà, delle libertà personali e collettive che percorre il corpo della società, di capire come già oggi questo riferimento sia alla base di quanto di vivo è per le strade e per le piazze di questo e di altri paesi.

Via via che si chiariscono i contenuti attorno a cui vogliamo lavorare ci si ripresenta il problema dei luoghi e delle occasioni per cui questo dibattito possa decollare. Crediamo che oggi questi luoghi e queste occasioni siano i grandi processi in corso e quelli prossimi. Essi vanno usati come spazi collettivi di riflessioni e di esplicitazione di proposte e salti innovativi, come ‘congressi straordinari’ dei comunisti imprigionati. Ma questi spazi vanno dilatati fino a configurarsi come ‘convegni permanenti’ aperti all’intervento di tutte le forze politiche e sociali, in primo luogo a quelle che fanno variamente riferimento all’autonomia di classe, ma senza preconcette preclusioni nei confronti di quanti, con tutta la loro specificità, identità ed originalità, con le loro competenze anche disciplinari e professionali, sono interessati all’utilizzo di questi ‘convegni’ come occasione di:

1) Riflessione attorno a quindici anni di storia di lotta di classe in questo paese. 2) Lotta all’emergenza.

 

1) Noi siamo fermamente intenzionati a fare del riattraversamento critico del nostro passato un elemento di socializzazione utile alla rifondazione di un progetto di radicale trasformazione sociale di questo paese. Strappare la nostra storia dalle mani dei partiti e dei vari uffici istruzione, operare contro la devalorizzazione dei processi per lotta armata che si vorrebbero ridotti a mera ratifica amministrativa di anni di galera, ciò non è nostro privato affare perché per questa via passa una gigantesca azione di rimozione dei bisogni, delle aspettative, delle speranze di una intera generazione. Si vuole sancire l’inutilità della ribellione e forzare i tempi e le forme di una pacificazione coatta che cancelli per sempre il sogno della modificazione dello stato di cose presenti. Tutti hanno giocato pesante su di noi, caricandoci addosso la responsabilità della precipitazione degli scenari, delle condizioni e delle regole dello scontro. Eppure se la Lotta Armata negli ultimi anni non è stato strumento utile alle lotte di massa, ancora più grave è la responsabilità di chi ha rimosso l’orizzonte del conflitto di classe per sostituirlo con la disarmante pratica del patteggio istituzionale, qualificandosi come gendarmeria nei confronti di qualsiasi lotta e comportamento non compatibile con i precari equilibri perseguiti dal compromesso storico. Allora, ridefinire le regole del gioco vuol dire oggi riattivare il grande volano della lotta sociale, nelle determinazioni attualizzate dai movimenti emergenti.

La nostra storia e la nostra volontà di rivisitazione critica ci consentono di ritenerci partecipi importanti al lavoro di rifondazione delle ipotesi di trasformazione a sinistra; meglio, sosteniamo che nessuno possa lavorare in questo senso pensando di riaprire dinamiche trasformative, fondate su cicli di lotta offensiva, non diciamo contro di noi ma neppure senza di noi, non solo per il significato generale e paradigmatico che possiede il problema della nostra carcerazione, ma anche per l’impossibilità di disattivare quanto di memoria, esperienza e storia noi rappresentiamo! Attorno al problema della liberazione dei prigionieri politici si va delineando una significativa area di dibattito e di iniziativa politica. Intanto va valutato positivamente questo segnale politico. Ci importa però rilevare l’impossibilità di affrontare la questione in termini di `moratoria’. In nessun caso la liberazione dei prigionieri può essere una opzione per la pacificazione, intendendo la ‘soluzione politica’ come una sorta di atto finale che retribuisce coloro ‘che ci hanno provato’ ma hanno perso. Il problema va posto in tutte le sue articolazioni possibili di lotta e praticazione, come passaggio fondamentale per la ripresa dell’iniziativa antagonista e non può essere disgiunto dalla necessità di rideterminare nuovi rapporti di forza attraverso l’applicazione della pratica trasformativa ed una complessa serie di Fronti di Lotta.

2) L’emergenza non è una semplice escrescenza repressiva; non è la reazione dello Stato alla lotta armata e, più in generale, ai movimenti antagonisti degli anni 70. Essa si configura come strategia complessa che vorrebbe dare vita ad un sistema sociale fortemente corporato ed informatizzato: una versione aggiornata dell’incubo Orwelliano. Siamo, per ironia della sorte, proprio alla vigilia del 1984! Ma questo scenario non è che uno dei futuri possibili, la realtà è più complessa e contraddittoria. Non solo per la quota di resistenza operaia e proletaria che incontra questo disegno, ma anche perché non abbiamo di fronte un cervello del capitale in grado di programmare ogni singola mossa, di sovradeterminare e captare con eleganza o con forza e ferocia le dinamiche dei movimenti e della materia sociale. Siamo in una delicata fase in cui la capacità delle istituzioni di esercitare comando e controllo sociale è soggetta a processi di inflazioni. L’emergenza come totalizzante ‘solidarietà nazionale’ è ormai un lontano ricordo e le istituzioni sono incapaci di mediare alcunché attorno ad un ipotetico ‘interesse generale’. Eppure, di fronte alla insopportabilità ed alle pericolosità del vivere, nuovi movimenti e nuove forme di aggregazione (contro la guerra, contro il nucleare, per una diversa qualità della vita, ecc.) si connotano come movimenti trasformativi capaci di impattare gli elementi costitutivi dell’emergenza ed anche veicolare e sedimentare propri elementi ricompositivi e costitutivi; capaci di ridefinire nuovi valori positivi di autonomia, di sovranità, nuove forme cooperanti e di relazioni sociali. Diciamo con chiarezza che il nostro riferimento va assai più a questi movimenti piuttosto che a fenomeni di marginalità che, per quanto portatori di pratiche di violenza, interiorizzano e rappresentano la medesima crisi di integrazione e produzione di senso che viene proposta dall’alto dal Capitale.

Il nostro orizzonte di senso trasformativo va al di là della lotta all’emergenza. La ricchezza di bisogni, di relazioni, di tensioni alla trasformazione delle determinazioni concrete della vita degli individui, di ridisegno dei loro rapporti con l’ambiente e con la natura, è troppo forte per pensare di realizzarla con il ripristino delle condizioni di esistenza precedenti. Eppure l’emergenza è un ostacolo formidabile per la possibilità di ripresa ampia dei movimenti di lotta; essa combina ogni spazio societario, chiude ogni spazio di iniziativa, lavora a quell’assenza di lotta ‘che sembra pace e invece è soltanto deserto di vita e di idee’. Definire oggi battaglie e schieramenti di un Fronte Sociale e Politico articolato, in grado di sconfiggere quella che è l’ipotesi epocale di governo, significa intervenire subito sulle componenti immediate dell’emergenza. Non possiamo attendere la battaglia definitiva, dobbiamo dare ora spessore e forza ai movimenti politici di lotta (contro la protervia del padronato che vorrebbe cancellare la classe operaia come soggetto forte e protagonista della lotta di questo paese contro le scelte di guerra e gli insediamenti militari strategici; contro la legislazione e la carcerazione speciale, ecc.) per ricostruire la capacità di incidere, di far pesare nuovi rapporti di forza anche nei luoghi più opachi del potere, più chiusi all’iniziativa di massa.

Su questo terreno rifiutiamo ogni settarismo; su questi obbiettivi va ricercata la massima ampiezza di schieramenti sociali e politici, di tutte le forze che come noi considerano la fine dell’emergenza come preliminare alla ripresa di qualsiasi progetto di trasformazione di questo paese. Il senso ed il successo della mobilitazione rispetto al carcere di Voghera concorre doppiamente a chiarire i significati di queste cose che andiamo affermando: per un verso prosegue in modo naturale le caratteristiche di mobilitazione proprie dei movimenti contro l’installazione dei missili a Comiso, contro le centrali nucleari, contro la guerra, prosegue le mille forme di mobilitazione per nuovi spazi di vita per affermarsi come possibilità generale, non semplicemente economica; d’altro lato si sviluppa immediatamente contro la pratica d’emergenza. La stessa reazione da parte del Ministero degli Interni di un Governo al tramonto, di un pentapartito dominato da una futura instabilità strutturale, non più solo politica, mette in linea Comiso e Voghera.

Vive oggi una sostanziale ambivalenza dei movimenti che, se da una parte si aggregano su contenuti, desideri, opzioni sul futuro su cui fondano la propria indipendenza, dall’altra compiono incursioni, attraversamenti, intrecci con l’assetto istituzionale della società, portando anche al suo interno critica radicale, interagendo con esso per reimporre modificazioni o ‘estorcere vittorie’. È il caso concreto dei movimenti nord-europei, esperti in ‘mediazione conflittuale’ con lo Stato e ricchi di momenti di rottura di alcuni assetti societari: in cui la battaglia si dà non certo sul ‘quantum’ di distanza si riesce a mantenere dalla trama istituzionale, ma sulla capacità di occupare spazi di autodeterminazione sulle scelte fondamentali, sul futuro, sulla libertà, sulla qualità della vita, sottraendo progressivamente allo Stato terreni e luoghi di vita sociale collettiva, ma anche condizionando i processi decisionali in sede amministrativa-istituzionale; è il caso di alcune esperienze alternative di vita e di produzione, ma anche delle grandi opzioni popolari in tema di libertà sociali e di destini umani (aborto, divorzio, centrali nucleari, ecc.), che hanno sotteso alcune grandi vertenze sociali e prassi referendarie, di cui oggi si tratta di riscoprire l’efficacia e l’importanza. Per noi il problema è come partecipare dentro il carcere ma soprattutto dal carcere a questa nuova crescita di spazi di autodeterminazione di lotta, di autogestione non solo del proprio, privato ‘piccolo campo’, ma dei riferimenti generalmente umani, sociali, di libertà: pensiamo ad un movimento che rapidamente prescinda, rispetto alle questioni della carcerazione, tanto dalla ormai logorata esperienza delle organizzazioni combattenti comuniste quanto dalla logica specialistica dei ‘detenuti politici’. Si tratta di avviare un discorso generale sulla socializzazione della carcerazione e sulle condizioni generali di libertà che strappi questi temi dalle mani dell’area della dissociazione, che ne fa strumento di privati fatti, per ristabilire dinamiche conflittuali, vissute largamente da ampi strati sodali, mirate ad uno scontro con l’istituzione carcere che ponga in tempo reale ed in termini realistici il problema di una soluzione di libertà. Per questo obbiettivo indichiamo una lista di temi che non vogliono essere un programma rivendicativo ma una sorta di work-in-progress da consegnare direttamente nelle mani di chi, dentro e fuori dal carcere voglia intervenire:

– Abolizione della carcerazione speciale e di tutte le articolazioni di differenziazione (braccetti, carceri punitive, ecc.).

– Abrogazione immediata dell’art. 90 dal testo di legge di riforma carceraria del 1975.

– Abrogazione di tutte le aggravanti messe in atto dalla legge Cossiga, della legge Reale e di tutte le leggi di emergenza.

– Ritorno alla legge Valpreda rispetto alla carcerazione preventiva e sviluppo di nuove forme di garanzia.

– Depenalizzazione dei reati associativi (associazione sovversiva, a delinquere, banda armata).

– Soppressione delle pene relative ai reati cosiddetti strumentali ed ai reati c.d. di mezzo.

– Abolizione dell’ergastolo ed immediatamente delle barbarie degli anni di isolamento normalmente comminati con esso.

Su questi temi chiediamo ogni forma di contributo, dall’intervento interlocutorio alla sottoscrizione pubblica di questo testo, consapevoli che comunque non è che l’inizio.

 

TORINO
Carcere Le Vallette, 1983.

 

Comunicato azione contro il giudice Paolino Dell’Anno

Oggi 5 maggio alle ore 8 un nucleo armato ha colpito il sostituto procuratore Paolino Dell’Anno. L’attività di questo porco contro i compagni rivoluzionari e contro tutti i proletari è troppo nota perché valga la pena di dilungarvisi. Basterà ricordare che come magistrato inquirente fornì la copertura legale all’assassinio della compagna Annamaria Mantini.

Le sue imprese gli hanno meritato il soprannome di ‘ergastolino’. Paolino Dell’Anno è stato un precursore e tuttora a Roma è il principale esponente di quel tipo di magistratura che, operando a fianco degli organismi militari specializzati nella repressione, fornisce, usando gli strumenti legislativi che la democrazia borghese mette loro a disposizione (legge Reale e codice Rocco), la copertura legale al processo di repressione in atto in Italia oggi. Questi magistrati legati direttamente all’apparato militare della repressione sono indispensabili allo sviluppo e all’efficienza del progetto repressivo lasciando formalmente intatte le garanzie legali di cui si ammanta l’attuale ordine borghese per colpire i proletari.

Bisogna perciò colpirli nella maniera più dura sia per inceppare la struttura repressiva che per provocare una loro sempre maggiore separazione dai magistrati ‘normali’ e aumentare la possibilità di individuazione per tutto il movimento rivoluzionario combattente. Del resto questi magistrati son pienamente coscienti del ruolo che giocano e dei rischi che comporta (accanto a cospicui vantaggi): Paolino Dell’Anno dal mese di ottobre 1975 al mese di febbraio 1976 ha perpetuamente viaggiato con due sbirri dell’antiterrorismo in una 500 bianca, auto civetta del distretto di PS di San Lorenzo in Lucina; anche adesso che i suoi padroni gli avevano tolto la scorta si spostava cambiando spessissimo macchina e percorso. Tutto questo non è servito a molto. Per i compagni rivoluzionari che praticano la lotta armata è centrale capire che l’attacco va portato ai centri di potere economico e ai centri dell’apparato repressivo. Altri obiettivi e altre forme di lotta come il sabotaggio e la distruzione degli apparati produttivi non colpiscono l’asse portante del progetto delle multinazionali di repressione controrivoluzionaria e ristrutturazione produttiva antiproletaria, dando spazio alla calunnia riformista e alle provocazioni borghesi, e soprattutto non rappresentano un terreno reale di crescita politica e organizzativa per i proletari e le loro avanguardie armate. E’ necessario costruire forme d’organizzazione e di lotta che facciano progredire il processo di maturazione e di unificazione del movimento combattente. Questo compito è tanto più importante in questo momento che vede la crisi profonda dell’apparato politico della borghesia, per cui l’efficienza e la stabilità dello Stato borghese sono affidate essenzialmente al ricatto della disoccupazione e dell’affamamento contro i proletari e alla violenza dell’apparato militare di repressione contro le sue avanguardie comuniste, Lotta armata per il comunismo! Viva l’unità del movimento combattente! Creare e organizzare 10 100 1000 Nuclei Armati Proletari. Colpiscine uno per educarne cento!

NUCLEI ARMATI PROLTARI, NUCLEO ARMATO ANNAMARIA MANTIN

ROMA, 5-5-76

Campagna Dozier – Comunicato N.1

La crisi capitalistica genera la guerra imperialista. Solo la guerra civile antimperialista può affossare la guerra!!!

Guerra alla guerra imperialista è passaggio essenziale per la transizione al comunismo!!!

Nell’epoca dell’imperialismo delle multinazionali il proletariato metropolitano si costituisce come avanguardia del processo di rivoluzione proletaria in tutto il mondo!!!

Guerra al dominio dell’imperialismo americano!!! Attaccare l’imperialismo delle multinazionali e la sua struttura di occupazione militare: la Nato!!!

Il sistema imperialista produce: morte per sfruttamento, morte per disoccupazione, morte nei lager di Stato nella pianificazione della distruzione totale. Il carcere imperialista è il laboratorio centrale dell’annientamento dell’antagonismo di classe!!! Distruggere il carcere imperialista!!!

Costruire il fronte combattente antimperialista per un nuovo internazionalismo, combattere insieme ed uniti per vincere con tutti i comunisti e con tutti i popoli che lottano contro l’imperialismo!!!

 

Giovedì, 17 dicembre, un nucleo armato della nostra organizzazione, ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo, un porco yankee dell’esercito d’occupazione americano, il generale di brigata James Dozier, vice-comandante delle forze alleate terrestri per il Sud-Europa (Landsouth).

 

Compagni, proletari,

due sono le linee di sviluppo fondamentali di questa epoca storica: la tendenza alla rivoluzione e la tendenza alla guerra imperialista.

Il mezzo con cui l’imperialismo ha sempre risolto le sue periodiche crisi di sovrapproduzione è stata la guerra. Innanzitutto la guerra permette alle potenze imperialiste vincitrici di allargare la loro base produttiva a scapito di quelle sconfitte, ma guerra significa soprattutto distruzione di capitali, merci, forza lavoro e quindi, possibilità di ripresa del ciclo economico per un periodo abbastanza lungo.

Ciò che caratterizza la fase attuale è da una parte la penetrazione e il dominio assoluto del capitale e dall’altra l’estensione ormai mondiale della guerra di classe, la presenza della guerriglia comunista e l’esistenza di condizioni favorevoli al suo sviluppo in ogni angolo del mondo e, in particolare, nelle metropoli. La crisi complessiva dell’imperialismo e del socialimperialismo, dimostrano che la tendenza storica alla terza guerra mondiale è una tendenza già operante e che essa ha nell’Europa il proprio epicentro. Le contraddizioni interimperialistiche che scuotono la borghesia a livello internazionale, infatti, sono destinate ad aggravarsi quanto più si inasprisce e si prolunga la crisi di sovrapproduzione in cui si dibatte il capitale ed esse si fanno più∙ acute e più gravi proprio nelle aree in cui più sviluppato è il modo di produzione capitalistico. Cos∞, se solo fino a pochi anni fa ‘l’arco della crisi’ era ancora relativamente periferico rispetto all’Europa, nell’ultimo periodo esso si è esteso fino ad interessare tutti i paesi del Mediterraneo, in modo tale che oggi la tendenza alla guerra manifesta qui in particolare (e nell’Europa più in generale) i segni pi∙ evidenti.

L’Europa, in questo disegno, ha una posizione integrata e subalterna agli Usa. Sull’installazione dei missili la parola d’ordine è: potenziare gli armamenti ma trattare, trattare da posizioni di forza potenziando gli armamenti.

L’unione Europa-Usa, attraverso la Nato, struttura integrata sotto la direzione economica degli Usa, forma una catena imperialistica in cui i vari anelli hanno peso e funzioni diverse. Nel processo di integrazione imperialista la subalternità dell’Europa è economica prima che militare ed è in primo luogo dal dislivello di sviluppo economico e tecnologico che dipendono tutta una serie di tensioni e difficoltà tra Usa ed Europa, ed all’interno dello schieramento europeo. Il problema è quello della non sempre facile conciliazione degli interessi nazionali con le direttive imposte dagli Usa. L’installazione degli euromissili, l’annuncio della prossima costruzione della bomba N; la prova di forza nel golfo della Sirte, hanno evidenziato le contraddizioni esistenti all’interno del campo imperialista, già manifestatesi in seguito alle scelte di politica economica di Reagan, svantaggiose per il capitalismo europeo. Con ciò non viene certo messa in discussione la politica di alleanza antimperialistica con gli Usa; si tratta solo di definirne le concrete articolazioni che consentano al capitalismo europeo di garantirsi il mantenimento del suo ruolo di servo privilegiato del sistema delle multinazionali, assicurandosi quote di profitto soddisfacenti. Le scelte fondamentali di politica estera vedono Europa e Stati Uniti concordi sulla necessità di contrastare il socialimperialismo attraverso una politica di potenziamento degli armamenti.

Per gli Stati Uniti questo significa ristabilire la propria supremazia a livello mondiale, che in Europa si traduce in una posizione meno dichiaratamente aggressiva: potenziare gli armamenti per avviare trattative!

Il ruolo subordinato dell’Europa nella Nato si concretizza in diverse forme di dipendenza:

– Nella divisione dei compiti, l’America ha imposto all’Europa di aumentare in maniera consistente il bilancio delle spese militari ai fini del raggiungimento dell’autosufficienza di strumenti di guerra convenzionali, riservandosi lo sviluppo e la gestione del potenziale bellico nucleare.

– La centralizzazione Usa di tutti i livelli di potere e di comando nella Nato.

– La finalizzazione dei processi di ristrutturazione o di integrazione degli eserciti alleati e del settore bellico alle esigenze della Nato.

La posizione completamente subordinata dell’Europa, epicentro dello scontro, riemerge con forza nella gestione dei negoziati di Ginevra fra le due superpotenze. L’esclusione completa al tavolo delle trattative su quanto Usa-Urss stanno decidendo sulla pelle delle popolazioni interessate è la dimostrazione più lampante di tale completa subordinazione.

Che il ruolo degli Usa, punta avanzata del sistema delle multinazionali, sia determinato nel processo di integrazione militare, politica, economica, ed ideologica del blocco imperialista occidentale, non significa però che l’adeguamento delle varie politiche nazionali alle finalità Nato sia meccanico e lineare; le divergenze interne non mancano, ma costituiscono sostanzialmente aggiustamenti specifici, funzionali agli interessi particolari dei vari paesi. Per esempio, l’enorme incremento della produzione bellica offre grossi margini di profitto al capitalismo europeo, che ha avviato ampi programmi di riconversione e ristrutturazione industriale nel settore. Tale sviluppo, deve essere funzionale alle esigenze della Nato ed perciò diretto e controllato dagli Usa. Così, l’Italia, che ha raggiunto il 4° posto nella graduatoria dei paesi esportatori di armi, si è vista imporre limitazioni alle sue esportazioni di armi ai paesi non graditi agli Usa, che uniscono alle pressioni politiche il possesso di tecnologie avanzate, che gli consentono un ampio controllo, attraverso brevetti e licenze, sulla produzione e la vendita degli armamenti in Italia.

L’accelerazione della corsa agli armamenti è stata accolta in modi diversi dai vari Stati europei. Nella panoramica delle posizioni, vi è da una parte l’adesione senza riserve dell’Inghilterra e dell’Italia, dall’altra, in Olanda, Belgio, Norvegia e Danimarca lo sviluppo di forti movimenti antimilitaristi ed antinucleari, ha spinto i rispettivi governi a chiedere di non dover ospitare sul proprio territorio installazioni nucleari, ferma restando la loro adesione alle direttive Nato. Se ‘l’esonero’, almeno per ora gli è stato concesso, è perché questi paesi, per la loro posizione geografica, non occupano posti chiave nel sistema europeo di difesa.

Fondamentale, invece è il ruolo della Germania per la sua posizione geografica di base ideale di attacco terrestre all’Urss e per la funzione di polo di direzione nella Cee, che sempre più la Germania va assumendo in tandem con la Francia, la quale, pur non facendo parte della Nato è pienamente inserita tra i paesi del blocco imperialista occidentale. Fu Schmidt in prima persona, a sollecitare le trattative per l’installazione dei Pershings e Cruises, sia pure subordinandola al consenso unanime degli altri paesi dell’alleanza atlantica, all’installazione dei missili anche in altri paesi e, fatto emblematico, alla delega agli Usa della gestione dei nuovi sistemi nucleari. Il ruolo di leadership della Germania nella strategia nucleare dell’alleanza rischia però di avere ripercussioni negative sulla Ostpolitik tedesca, dati gli intensi rapporti commerciali che intrattiene con l’Est europeo. Questo ha provocato divergenze anche all’interno della socialdemocrazia, che però non hanno di mira il rapporto di collaborazione con gli Usa e indicano solo sfumature particolari del movimento dialettico tra i due poli della linea di Schmidt: armamenti da una parte, negoziati dall’altra.

Nato vuol dire controllo ed occupazione militare attraverso una struttura integrata con chiara egemonia Usa. Nello scacchiere del Mediterraneo, cerniera di collegamento con il versante Sud-Est, l’anello più importante è l’Italia.

Nella catena che va dalla Spagna alla Turchia è centrale il ruolo della ‘base Italia’, che assolve anche ad una fondamentale funzione di retroterra logistico. E questo oggi a maggior ragione, in presenza della tendenza della Grecia a sganciarsi dal blocco Nato. Solo nella zona costiera sono presenti 5 basi ed una sesta è in progettazione a Comiso. Sul territorio nazionale sono concentrate una serie di funzioni integrate del comando Nato a livello europeo (comando supremo Afsouth a Gaeta, Comlandeouth di Verona) ed altre direttamente subordinate agli Usa come il Centro studi e sperimentazioni di La Spezia, che fa capo al comando di Norfork in Usa. L’installazione di basi missilistiche sul territorio nazionale è già un atto di guerra, non sono un deposito da adoperare in caso di emergenza, ma nella nuova concezione della guerra, esse rappresentano le trincee di avanguardia dello scacchiere internazionale, il luogo di maggior intensità del conflitto. Le installazioni missilistiche sono puntate su obiettivi precisi di altri paesi, a loro volta, perciò, diventano obiettivi privilegiati. In questo modo l’atto di guerra viene scientificamente preparato senza che la popolazione direttamente coinvolta possa minimamente interferire.

Il ministro Lagorio (Psi) scioglie brillantemente ogni perplessità affermando che i missili sono un obiettivo… mobile! Lagorio considera legittima l’azione Usa nel golfo della Sirte, ma il boccone da ingoiare è stato comunque amaro poiché ha rivelato chiaramente la subordinazione dell’Italia all’imperialismo Usa. Il governo fa sua la tesi che solo il riequilibrio del potenziale bellico permette di salvaguardare la pace, spacciando la volontα di supremazia dell’imperialismo Usa come interesse delle masse; cercando di suscitare il patriottismo dell’epoca imperialista, la fedeltα all’occidente. Questi signori che inorridiscono all’idea della guerra civile e della giustizia rivoluzionaria, si preparano ancora una volta al massacro dei popoli.

Nato significa guerra interna e guerra esterna. È in questa prospettiva che riorganizza i suoi eserciti, adeguandoli alle nuove esigenze della guerra interimperialista e della guerra di classe.

È a queste esigenze che risponde la formazione di unità speciali antiguerriglia all’interno delle FF.AA. italiane, che vanno ad affiancarsi ai reparti speciali dei carabinieri. In vista della nuova base di Comiso, non si prevede solo lo spostamento di truppe in Calabria: alle forze militari Usa saranno affiancati 200 carabinieri!!

Gli alti comandi di queste strutture sono perfettamente integrati con la Nato e devono assolvere al compito di controllare ed annientare il proletariato rivoluzionario, riappacificare con ogni mezzo il ‘fronte interno’ per imporre il nuovo ordine sociale imperialista e per poter liberamente scatenare la guerra imperialista. Questo perché le lacerazioni in campo borghese determinate dal livello di crisi, hanno imposto allo Stato la scelta di abbandonare ogni velleità di mediazione politica con l’antagonismo proletario, per l’unica forma possibile di governo delle tensioni di classe: controllo e annientamento di interi strati proletari, guerra aperta ai bisogni politici e materiali del proletariato. In questo salto di qualità della strategia della borghesia imperialista, il carcere, strettamente legato al restringimento scientifico e pianificato, da parte dello Stato, di ogni forma di espressione dell’antagonismo proletario e, d’altro lato al massificarsi da parte della classe delle spinte alla rottura del tetto ‘legale’ imposto alle sue lotte, bisogni, alle mille espressioni della guerra di classe, diventa un punto cardine del progetto di guerra al proletariato, massimo deterrente per ogni movimento che si colloca all’esterno e contro le regole del gioco imposto dalla borghesia imperialista; è proprio questa nuova concezione del carcere il punto più alto di scontro tra borghesia e proletariato: laboratorio centrale dell’annientamento dell’antagonismo di classe!!

La guerra al carcere imperialista, a partire dal punto più alto raggiunto dal programma proletario di liberazione di tutti i proletari prigionieri e distruzione di tutte le carceri, trova oggi collocazione più ampia nell’ambito internazionalista. Contro l’internazionalizzazione dei progetti, delle strutture, degli uomini preposti all’annientamento scientifico di migliaia di avanguardie comuniste e di interi strati proletari, deve nascere un programma di unità cosciente ed organizzato, a livelli internazionali, che punti a far saltare anello dopo anello tutte le determinazioni di questo progetto di morte.

Attaccare e distruggere il carcere imperialista!!! Annichilire il progetto di pianificazione dell’annientamento dell’antagonismo proletario nel suo cuore: il carcere imperialista!!! Costruire anche su questo fronte l’unità internazionalista dei rivoluzionari!!!

Nato significa potenziamento e ristrutturazione dell’industria bellica, sviluppo della militarizzazione sul territorio e all’interno delle fabbriche di morte, che si pongono come modello di riferimento per l’intero processo di ristrutturazione industriale.

Le esigenze della Nato impongono di aumentare e migliorare le infrastrutture necessarie a far affluire rinforzi dagli Stati Uniti ed a istallare i nuovi sistemi tattici nucleari, incrementare in modo funzionale lo sviluppo del settore bellico. Alla VI flotta l’Italia non fornisce solo approdi e basi sicure, ma tutto un entroterra logistico per rifornimenti, manutenzioni e riparazioni, sostituzione di pezzi bellici fabbricati in Italia. L’Oto Melara fabbrica apparecchiature elettroniche e pezzi di ricambio per cannoni, elicotteri, etc. I Cantieri Navali Riuniti provvedono alla manutenzione e riparazione delle navi da guerra. Il progetto di un nuovo bacino di carenaggio a Genova per la manutenzione e le riparazioni della VI flotta ha portato all’annullamento di una clausola del regolamento del Cap (struttura di governo del porto) la quale prevedeva che per entrare in porto le navi da guerra dovessero prima disattivare gli armamenti. Non sorprende quindi l’allineamento del governo italiano sulle posizioni di Washington, l’Italia perciò, dopo aver dato il suo consenso all’installazione dei missili, si prepara ad allestire la base di Comiso, presentandola come un’occasione di progresso per la regione; finge di credere che la bomba N riguardi solo gli Usa, avalla la versione di Reagan sullo scontro con la Libia, sia pure a denti stretti, poiché rivela la sua totale esclusione da ogni potere decisionale e addirittura da ogni diritto ad una informazione preventiva!

 

Compagni, proletari,

il continuo ridefinirsi dello Stato imperialista delle multinazionali nel processo crisi ristrutturazione – crisi rivoluzione pone con forza sempre maggiore il problema della guerra imperialista, che diventa sempre più problema delle grandi masse. Il peggioramento delle condizioni di vita e il pericolo sempre più forte della guerra imperialista ci permettono di affermare che oggi la contrapposizione tra rivoluzione e controrivoluzione non concede nessuno spazio a posizioni ‘neutrali’ ed impone invece una precisa scelta di campo; questo carattere attraversa tutta la formazione sociale approfondendo il solco tra rivoluzione e controrivoluzione e assottigliando fino all’azzeramento ogni margine di manovra fra i due campi.

È sempre più chiaro alle masse che il modo di produzione capitalista produce la barbarie imperialista e il continuo peggioramento delle condizioni di vita: qui prende corpo la proposta rivoluzionaria della guerra civile per arrestare e sconfiggere la guerra imperialista e per costruire la societα comunista; la possibilità di un imminente conflitto mondiale ne rivela tutta la positività, come unico mezzo da opporre all’annientamento dei popoli.

 

Brigate Rosse
18-12-81

Pubblicato in PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996.

Opuscolo BR n.12. Riprendere l’offensiva dentro gli ospedali

Oggi fare il punto sulla situazione del nostro settore, per riorganizzarci dando forza e continuità all’antagonismo espresso nel passato, significa innanzi tutto analizzare gli ultimi anni e, nel fare questo, cogliere gli aspetti che hanno determinato difficoltà e battute di arresto nello sviluppo delle lotte e l’organizzazione proletaria antagonista.

Fare finta di ignorare, per es., l’attacco durissimo che oggi lo stato e i padroni stanno portando alle condizioni di vita e di organizzazione all’intero proletariato (come ultimi es., i 24.000 in cassa integrazione alla FIAT e le periodiche campagne di distruzione di ogni forma di dissenso) vuol dire tagliarsi le gambe prima di cominciare a camminare.

La borghesia si trova a dover tappare le falle di un sistema produttivo reso sempre più scricchiolante dagli effetti di una crisi che ormai ha assunto un carattere costante ed irreversibile. In questa affannosa rincorsa deve stroncare sul nascere, e ancor prima che questo si manifesti, ogni più elementare bisogno che il proletariato esprime.

I momenti fondamentali di questo attacco sono due: l’ARMA DELLA MOBILITA’ e LA MILITARIZZAZIONE. Mobilità intesa come strumento di divisione e smembramento della composizione di classe oltre che come impiego più funzionale della forza lavoro ai fini produttivi. Nei piani dei padroni noi serviamo “mobili” e cioè dovremo essere sempre più disponibili, malleabili pronti ad essere spostati ovunque e soprattutto docili all’uso di questo strumento che rappresenta l’ostacolo al raggiungimento dell’unità di classe: la polverizzazione dell’organizzazione autonoma del proletariato. Ma se la mobilità diventa lo strumento per accrescere la stratificazione proletaria, la militarizzazione è l’arma con cui si cerca di annientare il proletariato e la sua capacità di lotta. Capire che oggi la militarizzazione è l’arma decisiva per l’imposizione dei progetti di ristrutturazione, comprendere come questa quindi è diventata pratica quotidiana ed ha impregnato di sé tutta la società, significa prendere atto di una situazione mutata, perché mutati o addirittura spazzati via dalla crisi sono i margini entro cui ci si poteva illudere di sfruttare gli “spazi democratici”, le contraddizioni interne alla borghesia e qui dentro realizzare gli interessi di classe.

Oggi, e non siamo solo noi che lo affermiamo, ma è la realtà quotidiana che lo dimostra, tutto l’apparato borghese si è ricompattato su di un progetto di annientamento politico e fisico del proletariato e della sua organizzazione.

Prendere atto di ciò deve però significare fare il passo in avanti per uscire dalla stasi forzata in cui, nel nostro settore, ristagnano l’organizzazione autonoma e il movimento antagonista della classe. Nell’autunno del ’78 dentro gli ospedali si è sviluppato un forte movimento antagonista deciso a dare battaglia su quelli che oggi sono i punti centrali dell’attuazione della ristrutturazione sanitaria. Il governo e i sindacati già allora parlavano dell’infermiere unico polivalente (un robot tuttofare), del rilancio della medicina privata e della creazione di nuove barriere per impedire ai proletari di curarsi adeguatamente, in definitiva stavano dando un’ultima pennellata alla cosiddetta riforma sanitaria. Noi lavoratori ospedalieri gli abbiamo dato subito una risposta molto chiara: NO alla robotizzazione dell’infermiere attraverso il cumulo delle mansioni (professionalità), aumenti sostanziali in paga base, (100mila mensili), riduzione dell’orario di lavoro a 36 ore settimanali, rifiuto del taglio della spesa sanitaria, nuove assunzioni e costruzione di nuovi ospedali. Su questi contenuti il movimento autonomo della classe andò ad organizzarsi con le assemblee permanenti, espressione della nostra volontà di battersi ad oltranza. Furono organizzati i cortei interni ai reparti per impedire ai caposala di ricattare i lavoratori e per ricacciare i crumiri, furono organizzate manifestazioni cittadine e per ultima la grandiosa dei 30mila a Firenze. Tutti i lavoratori ospedalieri hanno ben vivo il ricordo di quale fu la risposta dello stato alle aspettative, ai bisogni, al programma che il nostro movimento aveva espresso: una risposta brutale che si articolò immediatamente sul piano militare e politico. Alle assemblee permanenti si presentarono ispettori sindacalisti e poliziotti. Gli ispettori schedavano i lavoratori più combattivi per passare poi i nominativi alle  direzioni sanitarie, i sindacalisti cercando di demoralizzare i lavoratori e facendo del terrorismo psicologico prospettando l’imminente repressione poliziesca, i poliziotti sciogliendo a mano armata le assemblee e caricando i lavoratori persino all’interno delle corsie. E per ultima intervenne la magistratura accusandoci di truffa aggravata (parlano proprio loro) dato che si timbrava il cartellino senza lavorare e denunciando i nominativi, passati dalle direzioni sanitarie, dei proletari in lotta. I cortei interni furono affrontati con lo stazionamento fisso dei blindati nei posti di lavoro. Come ricordiamo a seconda del periodo negli ospedali c’erano da 1 a 3 oppure più blindati, senza contare il codazzo di sbirri in borghese della DIGOS che si aggiravano nei viali e per le corsie per individuare momenti di propaganda e di lotta.

Anche i cortei interni furono affrontati nello stesso modo (valga per tutti l’esempio del corteo che si fece al Pio Istituto che fu caricato con estrema violenza e a freddo dalla polizia). Fu così che centinaia, migliaia di lavoratori ospedalieri furono intimiditi, schedati, incarcerati.

È COSÌ CHE NEL SETTORE OSPEDALIERO SI SONO DETERMINATE PER IL MOVIMENTO DI CLASSE LE NUOVE CONDIZIONI ALL’INTERNO DELLE QUALI LA LOTTA DEVE SAPERSI SVILUPPARE.

Due sono le caratteristiche principali di questa nuova fase:

1) l’impossibilità per lo stato, nel quadro dell’attuale crisi strutturale del capitalismo, di andare a compromessi con i bisogni, le tensioni, i punti fondamentali di un programma operaio attraverso una politica di integrazione riformista;

2) l’intervento armato dello stato nei processi di ristrutturazione come controparte politica dell’autonomia di classe, e quindi di apparente defilamento delle controparti immediate della lotta proletaria.

È in questo quadro e in queste MUTATE condizioni che il movimento di lotta del ’78 è andato a scontrarsi, ed è questo salto, questa necessità della borghesia di annientare ogni bisogno ed interesse proletario, a trasformare ogni lotta in questione di “vita o di morte” per il capitalismo, che ancora oggi stenta a riprendere l’iniziativa e a ridare forza maturità e continuità, ai contenuti espressi con quel ciclo di lotte. Non serve però a nessuno leccarsi le ferite e guardare con nostalgia al passato. Da questo, da quello che ha rappresentato, bisogna partire con condizioni che sono mutate, con un progetto di ristrutturazione che dalle parole è ormai passato ai fatti, con rapporti che segnano un punto a favore della borghesia (non è invenzione di qualcuno il fatto che, negli ultimi due anni negli ospedali, la lotta ha stentato a mantenere un livello di continuità e di stabilità).

Non ha più nessun senso continuare ad affermare la giustezza di forme “legali” di organizzazione della lotta (come collettivi, coordinamenti etc.). Sostenere questo significa non aver capito che la nostra lotta quando assume una forma definita e concreta, si configura immediatamente come lotta che mette in discussione tutta la globalità dei piani di ristrutturazione antiproletaria. L’esigenza per la borghesia di annientare ogni forma di bisogno ed interessi di classe diventa necessità vitale per continuare a mantenere il suo dominio, e nel fare ciò pone il massimo della sua forza in campo. Chi non comprende ciò, chi non capisce che vengono fatte vivere e vegetare come legali le sole forme di organizzazione che in nessun modo serviranno alla lotta proletaria, prima ancora che un illuso è un opportunista.

Tutti, i proletari più coscienti e le avanguardie della classe dobbiamo fare per forza i conti con questa realtà, se vogliamo riuscire a rendere possibile la rinascita e la ripresa delle lotte alla ristrutturazione nelle condizioni date. È necessario costruire un’organizzazione stabile delle lotte, il più possibile protetta dai colpi della repressione, che attui un programma operaio con tutti i mezzi al livello dello scontro attuale e dentro questi rapporti di forza. Certo si tratta di non cadere nell’avventurismo, avendo però coscienza che il peggior avventurismo è quello di chi, inchiodato dalla repressione, vuole continuare a lottare alla vecchia maniera, come se niente fosse avvenuto. Avventurismo è organizzare la lotta su certi punti senza preparare adeguatamente i lavoratori alle conseguenze che l’attuazione di questi punti comporterà in termini di scontro e di potere. È quello di chi propaganda parole d’ordine da un punto di vista strategico, come la riduzione dell’orario di lavoro senza capire che non si tratta di una semplice rivendicazione ma di un punto che, se attuato, rimette totalmente in discussione in questa fase gli attuali rapporti di forza e di potere.

I rapporti di forza tra il proletariato ospedaliero da una parte, e il governo, la regione, i sindacati, le amministrazioni ospedaliere dall’altra non sono favorevoli ai primi, nell’attuale congiuntura; la sconfitta del ’78 pesa ancora su tutti noi, senza contare la lenta ma concreta avanzata dei processi di ristrutturazione; si tratta di riprendere le fila dell’organizzazione proletaria creando in un primo momento i NUCLEI CLANDESTINI DI RESISTENZA, come momento e rete di discussione, organizzazione e lotta sui contenuti di un programma operaio che faccia fino in fondo i conti con il processo di ristrutturazione in atto che ha come primo grosso momento di applicazione il contratto firmato il giugno scorso.

I NCR non li concepiamo assolutamente come gruppetti di “vecchi compagni” di avanguardie di lotta incazzate, che dopo il ’78 intendono proseguire la lotta con altri mezzi. In questa fase di transizione alla guerra di classe, il problema dei “mezzi” non si risolve con una sostituzione unilaterale, ma con un arricchimento del patrimonio di lotta proletario.

Noi diciamo: i proletari devono lottare contro la ristrutturazione con tutti i mezzi. Il problema grosso è un altro e riguarda il modo di organizzare i processi di lotta. Bisogna definitivamente capire che la lotta contro la ristrutturazione e la militarizzazione È UNA LOTTA DI POTERE e non rivendicativa. NOI NON RIVENDICHIAMO, PER ES. L’ABOLIZIONE DELLO STRAORDINARIO, DOBBIAMO COSTRUIRE LA FORZA E LA CAPACITÀ DI IMPORLA.

Cambia evidentemente il modo di lottare e conseguentemente di organizzarsi. Noi comunisti delle BR proponiamo ai proletari ospedalieri di organizzarsi in NCR rispetto al potere come prime forme stabili dell’organizzazione proletaria e della mobilitazione permanente della classe. Strutture cioè che sappiano sintetizzare in programmi di lotta i bisogni e le tensioni della classe, organizzare clandestinamente la ripresa delle lotte, perché solo così oggi è possibile lottare contro i processi di ristrutturazione e affrontare preparati la repressione armata che questi processi richiedono per essere attuati.

D’altra parte clandestinità non vuol dire isolarsi dalle masse, arroccarsi sulla difensiva, come sbandiera chi deve trovare un alibi per giustificare il proprio opportunismo, ma al contrario significa avere la possibilità di rappresentare gli interessi storici e immediati della classe senza travestimenti opportunistici, tutti tesi ad evitare la rappresaglia del nemico. Non abbiamo mai affermato che la clandestinità è sinonimo di imprendibilità dei singoli compagni. Questa convinzione che molti proletari hanno assunto in passato è il frutto velenoso di un certo idealismo ed è l’opera di propaganda controrivoluzionaria dei mass-media. Le forme clandestine dell’organizzazione proletaria in questa fase, sono la condizione necessaria e indispensabile per assicurare piena autonomia politica e di lotta all’organizzazione di classe da costruire, e non una “soluzione” che fa diventare lo scontro meno duro per i proletari.

È questo l’unico modo possibile per ricreare quella capacità di lottare che le nuove condizioni hanno distrutto nelle vecchie forme di organizzazione. Assumere un carattere di clandestinità rispetto al potere significa essere in grado di organizzarci e di lottare sui nostri bisogni senza essere individuati facilmente dal nemico, senza correre il rischio, come nel passato, che la lotta si blocchi alle prime ventate repressive, altrimenti sarà sempre e solo la borghesia a stabilire su che cosa, come, e fino a che punto lottare.

Riorganizzarci sotterraneamente, creando una rete clandestina di discussione e organizzazione dei lavoratori ospedalieri, che sappia far ripartire la lotta contro la ristrutturazione antiproletaria negli ospedali in maniera efficace: solo in questo modo si può attuare la possibilità di lottare stabilmente nelle nuove condizioni.

ORGANIZZANDOCI IN NUCLEI CLANDESTINI DI RESISTENZA RISPETTO AL POTERE, PER LOTTARE SUI NOSTRI BISOGNI NELLE NUOVE CONDIZIONI. Compagni, dopo la stagione di lotte del ’78, che si caratterizzò come un primo grosso momento di resistenza dei lavoratori ospedalieri ai programmi padronali rispetto alla politica  sanitaria e come espressione delle proprie necessità, il processo di ristrutturazione antiproletario nel nostro settore è continuato a marciare con lentezza ma inesorabilmente. Questo trova la sua causa principale nella necessità che la borghesia ha di reperire capitali da investire nella grande impresa multinazionale, tagliando al massimo le spese in altri settori, come in quello della sanità e dell’erogazione di servizi sociali. Da questa parte il piano Pandolfi, quando afferma che il taglio della spesa pubblica, e nel nostro caso della spesa sanitaria, diventa una delle condizioni necessarie ed indispensabili per il contenimento e la gestione della crisi. Per il capitale non è più possibile destinare quote rilevanti alla salute pubblica, continuare cioè nella politica assistenziale e di autolegittimazione che lo ha caratterizzato nella fase espansiva: non ha più la possibilità di rendere compatibili le proprie leggi di accumulazione con i bisogni e le richieste del proletariato. La riforma sanitaria e il piano sanitario nazionale traducono questa necessità improrogabile in progetto, in realtà nel campo sanitario: RIDURRE tutte le spese e comunque non spendere una lira di più di quanto speso nel ’77. È questa la filosofia e la parola d’ordine che attraversa l’intero piano sanitario nazionale, FILOSOFIA DI PEGGIORAMENTO E DI ANNIENTAMENTO, diciamo noi! Infatti se da un lato si abbatte su di noi ospedalieri come ristrutturazione, come nocività, come aumento della produttività attraverso l’intensificazione dello sfruttamento, fino ed oltre i limiti della sopportazione, aumentando i ritmi ed i carichi di lavoro e assumendo sempre meno personale, più in generale, ma non per questo meno concretamente, si abbatte sull’intero proletariato. È infatti la necessità di ridurre tutte le spese in campo sanitario, coniugate con il punto di vista del capitale sulla salute, e cioè costo di un posto letto, costo di un proletario ammalato, di un medicinale, di un lavoratore ospedaliero, non poteva che tradursi in una politica di genocidio verso il proletariato.

Diminuzione dell’assistenza gratuita e peggioramento di quella che rimane attraverso il blocco delle assunzioni negli ospedali e l’intensificazione dello sfruttamento del nostro lavoro (come ben sappiamo nei reparti non ci sono che uno o due infermieri per 50-60-70 ammalati). Blocco totale della costruzione di nuovi ospedali e quindi di nuovi posti letto. Riduzione sempre maggiore della possibilità di entrare in ospedale per “curarsi” attraverso la creazione di fantomatiche strutture filtro (come gli hospital-day) che impediscono di fatto i ricoveri. Aumento delle spese che i malati devono sostenere per i medicinali (come i vari ticket).

E’ questa l’assistenza che offre la democratica riforma sanitaria, strettamente interconnessa all’attuazione di questi obiettivi è fondamentale la entrata ufficiale (sancita con l’ultimo contratto) della medicina privata e a pagamento dentro gli ospedali che, oltre a premiare lo zelo antiproletario delle baronie mediche ed accrescere in misura ancora maggiore il loro potere mafioso e clientelare sui proletari dentro gli ospedali, assicura la possibilità concreta di curarsi solo a chi può permettersi di spendere una montagna di soldi. Per gli altri, per i proletari, rimane la speranza di potersi curare solo e soltanto quando sono più morti che vivi (e la riduzione dell’accettazione dei ricoveri lo dimostra ampiamente).

Queste sono le politiche concrete che la borghesia nella sua riforma sanitaria e nel piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali, sta attuando, mettendo a punto, praticando.

La sua risposta alla crisi nel tentativo di conservare inalterati questi rapporti di produzione, si traduce puntualmente nel peggioramento delle nostre condizioni. A questa politica di genocidio del proletariato dal punto di vista del capitale e cioè di una “assistenza limitata e per pochi” contrapponiamo il nostro punto di vista, le esigenze espresse in 10 anni di lotta. IMPONIAMO IL DIRITTO PROLETARIO ALLA SALUTE.

Quanto oggi le parole contenute all’interno del piano sanitario nazionale stiano cominciando a diventare realtà lo si legge nel contratto di giugno e lo sentiamo sulla nostra pelle ogni giorno di più dentro gli ospedali. Quello che i padroni lo stato e i bonzi sindacali hanno firmato non è solo il classico contratto bidone ma assume la forma di un contratto di ristrutturazione, di un vero e proprio programma “tattico” all’interno del programma complessivo di ristrutturazione della sanità. Esso non è solo la svendita di un patrimonio di lotta, una serie di prese per il culo  come il passato. Per gli obiettivi che sono contenuti al suo interno esso si pone all’avanguardia nel portare avanti il processo di ristrutturazione antiproletario.

Il fine ultimo del contratto diventa lo stesso del piano sanitario triennale: taglio della spesa sanitaria attraverso il bilancio della produttività. In questo quadro il sindacato si rivela in tutto e per tutto (se a qualcuno non fosse ancora chiaro) esecutore dei programmi capitalistici, vera e propria articolazione della borghesia dentro la classe con lo scopo di annichilire ed annullare l’identità e la coscienza proletaria. La mobilità e la professionalità, elementi centrali intorno a cui ruota tutto il contratto diventano il mezzo principale per il contenimento della spesa sanitaria, attraverso un’intensificazione dello sfruttamento. Il piano sanitario triennale, e ancora maggiormente il contratto appena firmato, sono espliciti quando affermano che la professionalità va intesa come “modalità necessaria alla ristrutturazione organica dei servizi” e quando dicono che “l’adeguamento degli organici venga attuato mantenendo uno stretto collegamento tra iniziative di riqualificazione ed ampliamento degli organici”.

PIÙ CHIARO DI COSI’!!!

La professionalità che oggi si cerca di far passare non è, come affermano le iene sindacali, una condizione per il miglioramento dell’assistenza sanitaria ma diventa un vero e proprio tentativo di distruzione politico e fisico del proletariato ospedaliero. Ci ricordiamo tutti come nella fase precedente la lotta sul mansionario era una delle forme di resistenza più vincente e che dava più fastidio alle amministrazioni, determinando una rigidità nell’uso che loro fanno della nostra forza lavoro. E’ principalmente come risposta a questo comportamento di resistenza nostro che i padroni e i loro lacchè sindacali hanno cominciato a battere grancassa sulla professionalità, propagandata appunto come migliore capacità di assistenza, quando tutti sanno che da sempre i lavoratori ospedalieri fanno tutte le mansioni, titolo o non titolo; solo che se prima si potevano ribellare nei momenti di lotta rifiutano il cumulo delle mansioni adesso, “professionalizzati”, col titolo, quel tipo di spontaneità nei comportamenti di lotta diventa molto più difficile. L’infermiere “professionalizzato” e reso così “polivalente”, regolamentato una volta per tutte nelle sue capacità produttive, può e deve essere spostato in ogni buco, dovunque si verifichi una carenza di organico. Risulta in questo modo notevolissima la differenza tra i nuovi operai professionali e la vecchia figura degli infermieri professionali di qualche anno fa. I primi sono già supersfruttati che si vedono imporre grossi carichi di lavoro in cambio di un incentivo salariale che progressivamente risulta vanificato dall’inflazione; i secondi invece erano delle “mosche bianche”, una figura quantitativamente esigua, addetta a mansioni “pulite” e soprattutto in passato, a controllare e, in qualche caso, a comandare la gran massa dei lavoratori qualificati.

L’“adeguamento delle piante organiche” poi, non significa nei piani dei padroni nuove assunzioni e possibilità di fare turni meno massacranti, ma ha il significato di una riduzione di personale che è “professionalizzato” e reso mobile, e si vede imporre maggiori carichi di lavoro e un impressionante cumulo di mansioni. Tutto ciò comporta di fatto un aumento notevole della nocività esistente nell’ambiente e nelle condizioni di estrema precarietà in cui siamo costretti a lavorare. Infatti oltre alla pericolosità del lavoro specifico di certi settori e reparti come radiologia, radioterapia, che a pieno titolo sono e rimangono al primo posto della graduatoria dei lavori più nocivi all’interno degli ospedali, la nocività vive all’interno del posto di lavoro sempre più un carattere strutturale che attraversa tutti i reparti e le mansioni, senza “privilegiare” alcuno. È questo uno dei prezzi che la borghesia oggi ci vuol far pagare per riuscire ad attuare il taglio della spesa sanitaria e assistenziale. Gli aspetti concreti che ogni giorno di più determinano queste condizioni sono ben noti a tutti i proletari ospedalieri:

  1. a) CARICHI E RITMI DI LAVORO. Ci troviamo a lavorare in corsie dove la quantità di assistenza è sempre maggiore, in quanto ci si trova con malati gravi e bisognosi di cure, con un organico sempre più ridotto all’osso. Le conseguenze di tutto ciò sono continui sforzi fisici, che, dal punto d vista della prevenzione della nostra salute, nel tempo, si traducono in vere e proprie malattie professionali.
  2. b) MANCANZA DI MATERIALI. Le condizioni precarie in cui siamo costretti a lavorare per la mancanza di materiale aumenta notevolmente il rischio di contrarre malattie; lo sappiamo bene cosa significa fare delle medicazioni o pulire i malati sporchi senza guanti, oppure senza l’uso di disinfettanti appropriati; lo sappiamo bene, perché le scontiamo sulla nostra pelle! E questo non riguarda solo la nostra salute, ma anche quella dei proletari già ammalati: nella situazione di igiene precaria in cui sono tenuti in tutto il periodo di degenza, il più delle volte finiscono per contrarre altre malattie: le infezioni incrociate sono all’ordine del giorno!

È così che la borghesia intende risparmiare intensificando lo sfruttamento, rendendoci disponibili ad essere spostati ovunque e a dover svolgere una volta per tutte e per sempre nei reparti le mansioni dell’ausiliario, del generico e del professionale, bloccando di fatto le piante organiche. Tutto il discorso sulla professionalità inoltre si lega perfettamente a quello della politica della “deospedalizzazione”. L’esempio più chiaro di come oggi viene attuata questa politica è il periodo della degenza del malato chirurgico; prima si assisteva a:

1) periodo preparatorio all’intervento, che consisteva negli accertamenti diagnostici;

2) periodo che consisteva nell’intervento;

3) periodo post-operatorio, in cui il malato veniva riabilitato e poi dimesso.

Oggi il 1) e il 3) vengono rimandati ai poliambulatori, considerati le “strutture filtro” (e sappiamo benissimo quali livelli di assistenza minima, se non inesistenti, queste strutture offrono agli ammalati).

La tanto sbandierata “politica di prevenzione della salute pubblica” che comporta la riforma sanitaria si traduce così solo in un restringimento maggiore di quei livelli di assistenza già tanto schifosi che prima era comunque possibile avere garantiti.

Alla riduzione del numero dei ricoveri, deve corrispondere una progressiva diminuzione del personale impiegato ed una riqualificazione (con tutti gli effetti che questo comporta per noi) a tappe forzate dei lavoratori ospedalieri che così possono essere impiegati in modo funzionale all’intervento di questa nuova strutturazione del sistema di “assistenza sanitaria”. È evidente che così la ristrutturazione interna agli ospedali, da una parte, e cioè tutti quegli aspetti che determinano un peggioramento delle condizioni di vita, economiche e politiche, di noi che dentro gli ospedali ci lavoriamo, e la ristrutturazione più generale della struttura del sistema sanitario, con tutti gli effetti che questo induce nel peggioramento delle condizioni di assistenza sanitaria ai proletari ammalati e nell’impossibilità ormai sempre maggiore di curarsi decentemente e gratuitamente, sono le due facce di una stessa medaglia.

ALTRO CHE PROFESSIONALITÀ UGUALE
MAGGIORE QUALIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA MEDICA!

Per attuare questi progetti criminali, l’apparato sindacal padronale usa l’arma ricattatoria di una politica salariale differenziata con incentivi di un milione l’anno per gli infermieri riqualificati, legando così il salario alla professionalità (leggi sfruttamento ancora maggiore) e quindi alla disponibilità del lavoratore di farsi anni di scuola al di fuori dell’orario di lavoro, per poi essere in definitiva spremuti peggio dei limoni.

Dopo che per anni abbiamo lottato per un drastico ridimensionamento del ventaglio salariale in funzione di una maggiore unità di classe e per il soddisfacimento dei bisogni di tutto il proletariato ospedaliero, ecco la durissima risposta che si è data con l’ultimo contratto: aumento delle differenziazioni salariali (ben due livelli), per quanto riguarda le qualifiche operaie, della maggiore professionalità, e cioè di un maggiore sfruttamento e di carichi di lavoro a cui i lavoratori sono chiamati a sottomettersi. Il discorso è chiarissimo se non volete diventare dei robot supersfruttati, se volete il riconoscimento delle mansioni effettivamente svolte senza subire tre anni di ricatti, sacrifici, lavaggio del cervello, con le scuole di riqualificazione professionale, ebbene, se non volete tutto questo, continuate a stare con una paga da fame al 4° livello vita natural durante.

La professionalità e la mobilità oggi devono essere combattute come i peggiori nemici, come il momento di massimo sfruttamento del proletariato ospedaliero. Attorno a questi elementi che diventano il cuore del processo di ristrutturazione negli ospedali, ruotano una serie di aspetti e momenti che non sono certo di secondaria importanza: le scuole di riqualificazione e formazione professionale, gli straordinari, l’introduzione di forme di lavoro tipo part-time.

  1. A) Le varie scuole di formazione di riqualificazione professionale assumono una funzione sempre più rilevante all’interno dei programmi di ristrutturazione del settore. La “professionalizzazione” a tappe forzate del proletariato ospedaliero trova sin da oggi un momento di operatività e di attuazione attraverso queste scuole che costituiscono di fatto il meccanismo con il quale lo stato vuole riciclare in termini produttivistici e cioè di SUPERSFRUTTAMENTO tutta la classe operaia ospedaliera. Ma oltre ad avere questa funzione importantissima di selezione, rincoglionimento ideologico, politico e di controllo rispetto al proletariato ospedaliero da qualificare queste cosiddette scuole rappresentano una delle più grosse reti di lavoro nero di cui il capitale dispone a livello nazionale. Nello specifico la progettazione di queste scuole avviene a livello internazionale. Questi sono gli aspetti fondamentali di funzionamento di tali istituzioni: durata triennale, che si divide a sua volta in un corso teorico e uno pratico (sfruttamento tirocinio negli ospedali) per un totale complessivo di 4600 ore. Con il pretesto di “imparare una professione” migliaia di giovani proletari, i cosiddetti allievi, vengono spremuti come limoni nelle corsie degli ospedali nelle quali sono costretti a LAVORARE (altro che imparare!) come e in qualche caso maggiormente degli stessi lavoratori già assunti. Questi proletari sono soggetti ai ricatti peggiori: mobilità selvaggia (quando manca del personale in un reparto, l’allievo viene spedito a chiudere quella falla, e questo anche in caso di sciopero del personale); se gli ispettori che compilano i turni di lavoro sanno che quel giorno sono disponibili gli allievi, si preoccupano subito di tagliare le “unità superflue” da quel reparto. Ricattabilità derivante dall’estrema precarietà di quel ruolo che si esplica con la selezione, con l’espulsione dalla scuola per chi esprime conflittualità, con un controllo accuratissimo su ogni soggetto e i suoi comportamenti, per cui di ogni proletario si chiede una scheda ricca di informazioni. E alla fine del mese vengono (e neppure puntualmente) pagati per un cosiddetto “assegno di studio” (dalle 80 alle 180mila lire) che costituisce in realtà il prezzo miserabile del lavoro loro estorto. Il ricorso massiccio a questa forma di supersfruttamento pagato una miseria, la consistenza numerica di questi proletari impiegati come jolly in tutti i reparti e in tutte le mansioni è tale che senza di loro moltissimi ospedali di fatto si bloccherebbero. Le amministrazioni ospedaliere in questo modo si garantiscono, oltre che con gli straordinari, la possibilità di coprire i buchi nelle piante organiche del personale, che, il sostanziale blocco delle assunzioni, sancito di fatto dal piano sanitario triennale e perfezionato nell’ultimo contratto, ha reso permanente in tutto il settore. Per gli allievi che si ribellano a questo stato di cose scatta quasi sempre l’esclusione dal corso effettuata attraverso una “opportuna” e “provvidenziale” bocciatura agli esami. Questo spessissimo significa tornare al paese d’origine (i corsi non stanno in tutte le regioni, e soprattutto al sud) senza la possibilità di trovare lavoro oppure essere ributtati in una condizione di emarginazione e di estrema precarietà del reddito nelle borgate e nei quartieri ghetto. Tutto ciò dà la misura dei ricatti e della violenza a cui questi proletari sono sottoposti, che se da una parte ha provocato e continua a provocare un antagonismo spontaneo e irriducibile alla ristrutturazione e alle figure di comando e di controllo su di loro, dall’altra parte ha permesso alle amministrazioni di usare la loro forza lavoro in più di un’occasione per sostituire i lavoratori in lotta, per dividere e frantumare il loro fronte e reprimere così più facilmente il loro movimento. Riuscire a legare in un programma di lotta del proletariato ospedaliero anche i bisogni e le tensioni che queste figure esprimono, diventa una tappa fondamentalmente necessaria nella costruzione di nuovi rapporti di forza e di potere all’interno degli ospedali.
  1. B) L’utilizzo di un’enorme massa di ore straordinarie (e con il recente contratto non viene stabilito nemmeno un tetto massimo ed anzi è introdotta una clausola sulla possibilità di costringere i lavoratoti ad effettuare ore di straordinario obbligatorio) che parte dei lavoratori fa per integrare un salario di merda, permette alle direzioni sanitarie di coprire le carenze croniche di personale nei reparti senza per questo dover assumere un ruolo proletario in più (una recente inchiesta della stessa borghesia ha dovuto ammettere che le ore straordinarie effettuate in un anno negli ospedali romani equivalgono a 7.000 posti di lavoro).
  1. C) Infine appare per la prima volta nel contratto di giugno la possibilità di utilizzo del part-time in alcuni casi. Al di là delle giustificazioni demagogiche con cui ci hanno riempito la testa col part-time (il quale avrebbe la funzione di permettere più tempo libero) questa forma di lavoro rappresenta uno dei modi più schifosi di sfruttamento, che non assicura neppure un livello minimo di sopravvivenza. Perché pagare otto ore a chi si trova a lavorare in posti dove, aumentando abilmente ritmi e carichi di lavoro per noi, questo può essere svolto in quattro ore? Non si può dire certo che i padroni non sappiano fare i loro calcoli e giudicare le proprie convenienze.

LOTTA ALLA PROFESSIONALITÀ, ALLA MOBILITÀ’, AGLI STRAORDINARI, STRUMENTI USATI PER INTENSIFICARE LO SFRUTTAMENTO E MANTENERE IL BLOCCO DELLE PIANTE ORGANICHE, LOTTA ALLA POLITICA SALARIALE DIFFERENZIATA, STRUMENTO DI DIVISIONE E RICATTO SUL PROLETARIATO OSPEDALIERO!

All’interno dei reparti inoltre stiamo assistendo ad una ripresa del comando, dell’arroganza e del controllo su di noi da parte delle direzioni sanitarie, degli ispettori, delle caposala, etc. Vediamo oggi di più come questi squallidi esecutori dei progetti antiproletari si stanno attrezzando a far passare le direttive capitalistiche della ristrutturazione della sanità con una capillare rete di controllo e di comando sugli ospedali. Non è un mistero, per es. che si siano intensificati i controlli su di noi, specie durante i turni di notte, i più massacranti, con improvvise apparizioni di questi fantasmi, per controllare se lavoriamo, con controlli sistematici sui cartellini, sull’assenteismo, sempre pronti a schedare, diffidare, inviare provvedimenti disciplinari agli elementi “pericolosi”, quelli cioè che non piegano il capo accettando passivamente di essere sfruttati in modo bestiale. Nel portare avanti quest’opera, questi topi di fogna trovano nel sindacato il loro degno compare ed alleato. I bonzi sindacali, e becchini della lotta proletaria, non paghi di farci continuamente una testa così sulla bellezza dell’efficienza produttiva (e non ci stupisce che a loro sembri “bello” lo sfruttamento di noi lavoratori), li vediamo attivissimi girare per le corsie individuando e segnalando chi cerca di lottare ed organizzarsi sui propri bisogni, e premiando, attraverso la ragnatela di potere che si sono costruiti negli ospedali sulla nostra pelle, chi invece regge il loro gioco di sottile divisione e annullamento della coscienza di classe.

Sono tutte queste figure dell’apparato burocratico, amministrativo e di comando degli ospedali, cui si affiancano di volta in volta le baronie mediche, che vedono messo in discussione dalla lotta proletaria il loro potere mafioso e clientelare, che rappresentano uno dei piedi su cui marcia il rilancio della produttività e l’intensificazione dello sfruttamento. Sono le direzioni sanitarie prima e gli ispettori poi che pianificano i turni, gli straordinari, la gente da comandare, i ritmi e i carichi di lavoro dentro gli ospedali e nei reparti. Sono loro gli autori delle lettere di trasferimento divenute ormai una prassi quotidiana, con cui il lavoratore diventa una trottola. Son sempre loro che ci troviamo di fronte come controparte immediata quando lottiamo e ci organizziamo sui nostri bisogni. Ed è contro questo apparato di comando e di controllo che il proletariato ospedaliero e le sue avanguardie devono saper portare un attacco durissimo trovando il massimo di forza e di unità.

LOTTIAMO CONTRO LE BARONIE MEDICHE E LA RIPRESA DEL COMANDO DA PARTE DELLE DIREZIONI SANITARIE E DEGLI ISPETTORI DENTRO GLI OSPEDALI.

È nella lotta contro questi aspetti centrali della ristrutturazione degli ospedali che l’organizzazione proletaria ed il movimento antagonista del proletariato ospedaliero può e deve trovare la sua maturità. È su questi punti che noi militanti comunisti delle Brigate Rosse, proponiamo di riprendere l’offensiva dentro gli ospedali. Ed è all’interno di questa offensiva che le nostre aspettative, i nostri bisogni, che per anni abbiamo gridato, urlato nelle piazze, e per i quali abbiamo duramente lottato, riprendono vita e forma reale all’interno di una prospettiva strategica. Non rimangono mere illusioni o sogni, ma vivono con sempre maggior forza. E con sempre maggior forza vengono imposti come obiettivi irrinunciabili del nostro programma, in una prospettiva di superamento di questi schifosi rapporti di produzione capitalistici, della produzione basata sul valore di scambio.

LAVORARE TUTTI LAVORARE MENO!
IMPONIAMO IL DIRITTO PROLETARIO ALLA SALUTE!

Occorre però evitare confusioni. Noi non pensiamo che oggi sia possibile (se mai lo è stato) costruire nuovi rapporti di forza con programmi di lotta che assomigliano sempre più a piattaforme alternative a quelle sindacali (da contrattarsi con chi poi?) piuttosto che a momenti di costruzione reale dell’antagonismo proletario in una prospettiva di potere. Chi invece pensa questo (e anche se non lo pensa di fatto lo fa) ha preso lucciole per lanterne! In questo modo si ottiene solo l’effetto di porre i problemi, non di porsi l’obiettivo concreto della loro risoluzione. E non ci si può più illudere, né tantomeno si può fare illudere qualcuno, che il diritto proletario alla salute, la riduzione dell’orario di lavoro, il problema della disoccupazione, sono obiettivi che possono essere raggiunti agitandoli ed inserendoli formalmente all’interno di pseudo piattaforme rivoluzionarie, né che la loro risoluzione si dia nel breve periodo e venga risolta solo e solamente in una singola lotta per quanto vasta e dura possa essere.

Oggi lo stato di crisi irreversibile a cui è giunto il MPC non lascia spazi “mediati” per il raggiungimento di questi obiettivi. Oggi la borghesia si appresta a sferrare colpi sempre più duri al proletariato, alle sue condizioni di vita e alle sue forme di organizzazione (e i 24.000 in CI alla FIAT che, malgrado un mese continuato di lotta durissima, sono passati, rappresentano un caso lampante). Persino le poche briciole che in passato venivano concesse al proletariato per soffocare i suoi bisogni immediati e politici, sono diventati un ricorso del bel tempo che fu.

Ogni bisogno proletario, qualsiasi lotta per il suo raggiungimento, al livello raggiunto dalla crisi, quindi, non può essere più assorbibile all’interno dei programmi capitalistici e di fatto si contrappongono in termini antagonistici e di potere all’attuale modo di produzione.

La sola cosa che la borghesia può offrire ai proletari è la miseria dello sfruttamento, una condizione sempre più estesa di precarietà di reddito, di emarginazione, e la violenza dei suoi apparati militari. Raggiungere realmente, e non facendoci prendere in giro con del fumo negli occhi, l’obiettivo del LAVORARE TUTTI PER LAVORARE MENO, l’imposizione del DIRITTO PROLETARIO ALLA SALUTE, significa una sola cosa: distruzione di questo modo di produzione… COMUNISMO.

E notoriamente, da che mondo è mondo, l’unico modo per non raggiungerlo sono proprio le piattaforme più o meno alternative, più o meno “rivoluzionarie”. Con questa chiarezza dobbiamo lottare ed organizzarci per imporre questi obiettivi creando rapporti di forza sempre più favorevoli al proletariato. Con questa chiarezza dobbiamo trasformare le tensioni, i bisogni, e le aspettative che vivono ogni giorno dentro le corsie, nei reparti, negli ospedali e la resistenza quotidiana alla ristrutturazione (come il mansionario) in momenti offensivi ed istanze di potere. Ed è all’interno di questo programma, all’interno del quale trova forza l’antagonismo spontaneo e la creatività proletaria, che è possibile costruire i livelli di mobilitazione dei lavoratori ospedalieri e le articolazioni del Potere Proletario Armato dentro gli ospedali.

E’ su questo terreno ed in questa prospettiva che oggi debbono nascere e crescere i nuclei clandestini di resistenza come primi momenti dell’organizzazione stabile della classe in un’ottica di potere, che si misurano su di un terreno di lotta alla ristrutturazione.

CONTRO LA MOBILITÀ, LA PROFESSIONALITÀ, GLI STRAORDINARI, STRUMENTI USATI PER INTENSIFICARE LO SFRUTTAMENTO E MANTENERE IL BLOCCO DELLE PIANTE ORGANICHE!
CONTRO LA POLITICA SALARIALE DIFFERENZIATA, STRUMENTO DI DIVISIONE E RICATTO SUL PROLETARIATO OSPEDALIERO!
CONTRO IL POTERE DELLE BARONIE MEDICHE E LA RIPRESA DEL COMANDO DELLE DIREZIONI SANITARIE E DEGLI ISPETTORI DENTRO GLI OSPEDALI!
PER LOTTARE NELLE NUOVE CONDIZIONI ORGANIZZIAMOCI IN NUCLEI CLANDESTINI DI RESISTENZA!
PER L’IMPOSIZIONE DEL DIRITTO PROLETARIO ALLA SALUTE!
LAVORARE TUTTI LAVORARE MENO!
PER LA COSTRUZIONE DEL POTERE PROLETARIO ARMATO DENTRO GLI OSPEDALI!

 

Per il Comunismo Brigata Ospedalieri
Colonna “28 marzo”
Roma, marzo 1981

 

Contenuto negli Atti del processo “Insurrezione”, Primo troncone