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Sulla linea di combattimento

Si dice che prendere posizione e fare chiarezza in certi momenti sia opportuno e utile. Bene, questo è uno di quei momenti. La questione che ci interessa affrontare, limitatamente agli spazi e ai limiti di un giornale, è lo sviluppo e le contraddizioni della lotta armata comunista nel nostro paese. L’occasione ci viene data dai fatti di Genova e Milano, o meglio dalle dipartite di un lavoratore “qualificato” del PCI e di un amministratore “equo” della giustizia capitalistica; cioè da due azioni di combattimento contro esponenti del revisionismo operaio nostrano.
A noi quelle due azioni non vanno bene. Non tanto per la fine di due impiegati della macchina sociale di controllo antiproletario, quanto, appun­to, per le dimensioni, lo stato di salute di questa macchina e le sue articolazioni dentro la società civile. Ci interessa, quindi, iniziare a ragionare sulle posizioni politiche dei compagni del “partito combattente”.

PRIMO PUNTO – Se per noi, come per questi compagni, l’elemento essenziale per la rottura dell’opportunismo e per la fuori uscita da linee politiche revisioniste, per decenni se non da sempre presenti e dominanti nel movimento operaio, come per un’ipotesi possibile di potere operaio rivoluzionario, sta, questo elemento, nella scelta di campo della lotta armata; altresì, da questa acquisizione teorica e pratica per noi irreversibile, ne discende il problema di come la lotta armata si organizza all’interno di una prospettiva storica di liberazione dallo sfruttamento capitalistico.
Infatti, se il nemico di classe fa derivare il suo potere la sua dittatura sociale dall’esercizio del comando sul lavoro, questo comando non è alimentato unicamente dalla forza militare , ma anche da una qualità sociale e di massa di tale forza.
All’enorme mostruosità dell’apparato burocratico-militare dello Stato Capitalistico Multinazionale si accompagna la complessità dei rapporti di classe, tra le classi, in un paese a tardo capitalismo, con l’estensione, articolata e radicata tra gli strati proletari, della presenza del revisionismo con funzioni di controllo del cons­enso proletario al dominio della legalità borghese.
Revisionismo che, se prodotto ne­gativo delle lotte della classe, è ancora interno alla classe.
La lotta armata, allora, acquista caratteristiche di universalità solo se inserita dentro un percorso politico e d’organizzazione legato ad una strategia e a tattiche di fase impiantate sulla risoluzione di tutti gli aspetti sovraesposti.
Pensiamo, infatti, con Lenin, che “il partito del proletariato non può mai considerare la guerra par­tigiana come l’unico e neanche come il principale mezzo di lotta” e “che questo mezzo deve essere subordinato ad altri” e “che senza questa ultima condizione, tutti, assolutamente tutti i mezzi di lotta nella società borghese… si snaturano, si prostituiscono“.

SECONDO PUNTO – La sconfitta della “cricca berlingueriana” non potrà che essere effetto, per essere vittoria proletaria, secondo noi, della crisi ideologica-politica-umana e organizzativa del movimento ope­raio storico, cioè di una sua au­spicata rottura.
Il revisionismo nella sua struttura, nell’impianto, è nato e cresciuto in posizione subordinata al “mondo capitalistico”. Cambiarlo significa, dunque, romperlo.
Romperlo non certamente saltando, senza mediazioni nella linea di combattimento, da un livello di critica ideologica a un livello di giustizia sommaria.
Anche se porci, spie, ruffiani del padrone e merde compromesse con il regime capitalistico, i revisionisti presentano ancora caratteristiche sociali, di massa, gestiscono strati di maggioranza del proletariato e quindi, da subito e in questa fase, capaci di innescare confusione, mistificazione, isterismo anticomunista e, soprattutto, un pericoloso capovolgimento all’interno della classe di un giusto misurarsi degli operai e dei proletari con le proposte e le ipotesi del progetto comunista di combattimento e liberazione contro e dallo sfruttamento capitalistico.
Ad un programma d’organizzazione, di individuazione, di smascheramento e di adeguata risposta militante dei revisionisti compromessi, occorre parallelamente praticare con priorità la critica politica, pratica e pubblica, della loro politica sul terreno delle reali contraddizioni di classe, sullo stato reale dei rapporti di forza in questa fase tra proletariato e capitalismo, in fabbrica come nei settori della produzione sociale come nei territori.
Obbligare il revisionismo a confrontarsi sul terreno che la tua battaglia vuole praticare: questo è il compito principale oggi per le avanguardie comuniste.

TERZO PUNTO – Per potere fare tut­to questo c’è bisogno di una leva di rivoluzionari le cui caratteristiche non sono riconducibili sem­plicemente alla “dimensione clandestina”.
Cioè ad un’impostazione della milizia utile allo sviluppo di ben determinati compiti di un’organizzazione comunista matura, ancora da conquistare, ma insufficiente e deviante se non è immersa in una articolazione organizzativa molto più vasta. Non siamo più d’accordo quando una possibile qualità dell’organizzazione viene ad assumere, come ricordava prima Lenin, un carattere di universalità nelle soluzioni alle domande e alle necessità d’organizzazione.
Dialettizzare dentro il movimento comunista le contraddizioni tra militanza clandestina e non clandestina è stato utile in questi anni. In un laboratorio eccezionale qual è la realtà reale e il movimento continuo delle cose, si sono sviluppate, con i loro limiti tutte le energie, le ipotesi, le esperienze dei comunisti durante una lunga fase in cui non erano date le condizioni per ricondurre tutti all’interno di una disciplina ed omogeneità di percorso unitario d’organizzazione e di programma. Noi tutti possiamo affermare che la lotta armata nel nostro paese, nelle diverse forme assunte e con i diversi modi di combattimento adottati, è un risultato oggettivo e soggettivo di anni e anni di lotta operaia e di eccezionale resistenza al piano di ristrutturazione capitalistica dei rapporti di produzione e riproduzione tra le classi.
Bene, oggi, riconoscere tutto questo non basta più.
Il soggetto comunista deve es­sere disciplinato dentro un progetto centrale . d’organizzazione ca­pace di “armarlo” per disarticolare l’intero arsenale di comando e di controllo dello stato capitalistico. Il movimento dev’essere arricchito della complessità dei problemi; occorre operare perché si rafforzi e possa sostenere e accettare la sfida capitalistica su tutti i terreni dove si rapportano i conflitti di classe. In altre parole a noi non interessa la costruzione di un quadro combattente solo sulla verifica continua delle possibilità di azzoppare e giustiziare un nemico di classe se non si lavora, o si lavora contro, per determinare una diversa qualità complessiva del soggetto comunista collettivo; diversità, se permettete, dalla qualità complessiva del soggetto riformista.
Quindi, linea di combattimento dentro la pratica del programma proletario a livello territori­ale, dentro l’esperienza dell’illegalità di massa e dello sviluppo del movimento comunista organizzato. Movimento come rete soggettiva di un potere proletario che cresce sull’uso della forza, via via commisurata ai possibili salti e alle forzature della e nella intera soggettività proletaria. Quindi un’articolata e complessa pratica della lotta armata. Non si può, compagni, non si può ghettizzare, soprattutto, le future potenzialità proletarie solo su uno dei modi di condurre il combattimento.
Lo stile di lavoro dei comunisti deve essere da oggi in poi, per quanto riguarda i criteri e le leggi fondamentali nella costruzione del partito rivoluzionario, una questione interna ai comunisti e al loro lavoro. Si impone l’abbandono, in tempi brevi, di tutte quelle posizioni che bloccano e/o ostacolano un processo di unificazione di tutte le avanguardie proletarie nel nostro paese.
Se certi compagni continueranno, purtroppo, a spingere l’acceleratore per uno schieramento dras­tico di posizione, tra le componenti del movimento comunista, sui diversi modi del com­battimento, in una contrapposizione fuorviante e sempre più falsa e artificiale, allora da parte nostra verranno prese distanze sempre più nette con una dura battaglia politica contro queste posizioni. Infatti, l’ulteriore procedere in avanti del lavoro dei comunisti delle diverse organizzazioni rivoluzionarie sarà positivo se assumerà i compiti e le responsabilità proprie di una nuova fase, questa volta più complessa e matura.
A noi non va più bene se si spezza un corretto equilibrio di proporzioni tra le due principali componenti, linee del movimento rivoluzionario, cioè tra i comunisti clandestini e i comunisti dell’autonomia operaia. E’ un grande pasticcio con bruttissime prospettive, se una variabile, quella clandestina, non si rapporta più in alcun modo alla dinamica generale del movimento comunista. L’autonomia operaia organizzata non fa i conti solo con la accelerazione della pressione militare dello stato sull’organizzazione, ma anche rispetto ai problemi e alle difficoltà legati ad una ripresa dell’ iniziativa proletaria di avanguardia e di massa. A noi interessa un soggetto comunista collettivo “riconoscibile politicamente” dai proletari, e non solo attraverso le cronache dei giornali, senza paramenti e travestimenti che vadano a confondere la sostanza del tuo discorso (in questo caso per travestimento non intendiamo affatto le norme di sicurezza e altre questioni).
Occorre disciplinarsi dentro uno sforzo unitario, difficile e complesso, di costruzione dell’organizzazione e del programma.
L’omogeneità, compagni, va ricercata e voluta caparbiamente. Ma sulla chiarezza. L’azzoppamento deve lavorare a favore del blocco del reparto di fabbrica, della capacità del movimento comunista di disarticolare il territorio, zona per zona, con 1’esercizio del contropotere rivoluzionario. E viceversa.

Questo articolo è un estratto rielaborato dai materiali di vicina pubblicazione dell’organizzazione COLLETTIVI POLITICI VENETI PER IL POTERE OPERAIO.
Pubblicato su «Autonomia» n. 7, 15/02/1979, pp. 1-2

Una scelta omicida legalizzata in difesa della proprietà privata

Tentata rapina il 14/12 A Bologna, il bottino: Laura Bartolini uccisa, Lucia Franculacci in vin di vita. I giornali – il Resto del Carlino, la Repubblica, l’Unità – fanno finta di interrogarsi, ma in effetti hanno già deciso – dai caratteri cubitali dei titoli – che si tratta di terroriste.

Due compagne conosciute nel movimento; una, Laura Bartolini, secondo la polizia “incensurata, ma nota per le sue simpatie verso la estrema sinistra”; l’altra, Lucia Franculacci, già incarcerata e inquisita per la cosiddetta “cellula perfughese”, ma prosciolta con formula piena per mancanza di indizi. La stampa si affretta a creare nuovi mostri, tuttal più parla di scelte suicide (il Carlino); il sindaco Imbeni esprime la sua pietà pelosa, invitando a riflettere e condannando la violenza (ma quale?).

Ma nessuno parla della scelta omicida dell’altro protagonista di questa agghiacciante vicenda, vale a dire del gioielliere-killer Corrado Ferrari.

Eppure la dinamica dell’uccisione è stata chiarissima, ampiamente ammessa dallo stesso gioielliere-sceriffo.

A quel che risulta dai giornali l’orefice non è stato neanche arrestato per quel che, con macabro eufemismo, si chiama, nell’asettico linguaggio giuridico, “eccesso di legittima difesa”. Nessun pennivendolo ha avuto il coraggio di sollevare il minimo dubbio sulla reazione feroce ed assassina dell’orefice, l’unica cosa che conta è alimentare di nuovo l’allarme sociale, cercare covi, aprire una nuova stagione di caccia al terrorista, al sovversivo, al proletario ribelle.

Eppure le sequenze dell’omicidio sono agghiaccianti nella loro gelida chiarezza.

Rispunta fuori il cittadino dell’ordine, il giustiziere che ammazza impunito in nome della proprietà. Ed ovviamente questo non fa notizia, è inutile chiedere il ripristino della pena di morte, questa è già in atto e pienamente legalizzata.

Lo stato delle leggi eccezionali, della licenza di uccidere nelle piazze e ai posti di blocco si riperpetua in questo cittadino esemplare, indefesso lavoratore (anche se forse un po’evasore fiscale), ottimo padre di famiglia.

L’esecuzione si è consumata a freddo, ricostruita nei minimi particolari, per il ghiotto palato dei benpensanti bolognesi.

L’ordine regna a Bologna. Ma non possiamo dimenticare. Il nostro dolore, la nostra rabbia per la morte di Laura, per questo ennesimo assassinio legalizzato ci spinge ad una maggiore determinazione nella nostra lotta per farla finita con lo Stato della miseria, della galera, della guerra, delle esecuzioni sommarie in nome della legge e della proprietà.

Dicembre 1984

I COMPAGNI DI BOLOGNA

Volantino in ricordo di Angelo Del Santo, Roberto Graziani, Maria Antonietta Berna

Il compagno ANGELO DEL SANTO, operaio, già membro del C.d.F. della Rimar di Thiene, avanguardia riconosciuta nelle lotte operaie della zona, il compagno ROBERTO GRAZIANI, studente al 4° anno di medicina, stimato militante del movimento proletario vicentino e MARIA ANTONIETTA BERNA, giovane proletaria di Thiene, sono morti dilaniati da un’esplosione. Sono morti esprimendo la rabbia, l’odio, l’antagonismo di classe contro questo stato, contro questa società fondata ed organizzata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Nessuna disputa di linea politica, nessuna differenziazione di impostazione di analisi dentro il movimento, può offuscare, negare l’appartenenza di questi compagni all’intero movimento rivoluzionario, a tutti i comunisti.

Di fronte al dispiegamento dell’iniziativa del nemico di classe, di iniziative repressive, del terrore fisico e psicologico, del terrorismo propagandistico di stravolgimento e strumentalizzazione dei fatti, l’intero movimento di classe deve rivendicare a sé questi compagni caduti, per non dimenticare, per ricordare.

Addebitiamo questi compagni, come cento altri, a questo regime ed alla sua barbarie trasformata in legge, al suo dominio bestiale.

I partiti politici, le loro mafie di potere, i magistrati, le forze di polizia che hanno operato in questi giorni la vasta campagna terroristica con decine di arresti indiscriminati ed immotivati: gli organi d’informazione e tutti coloro che hanno gonfiato, strumentalizzato ed avvallato questa infame montatura di stato sono gli unici, grandi responsabili della morte di questi altri 3 giovani, i veri criminali che da 10 anni insanguinano il paese con stragi ed assassinii nel vano tentativo di fermare le lotte proletarie.

CI SONO VITE CHE PESANO COME UNA PIUMA, ALTRE CHE PESANO COME MONTAGNE.

Continueremo, nonostante questo grave lutto (sul quale non riterremo ammissibile nessuna volgare speculazione), la lotta per realizzare quei comuni bisogni, aspirazioni ed ideali che legavano la vita di questi compagni a noi ed a migliaia di altri comunisti e proletari.

TUTTO IL MOVIMENTO PROLETARIO COMUNISTA

cip via 8 febb.

Carla e Charlie sono due comunisti. Stralci

Carla e Charlie sono due comunisti, militanti della nostra organizzazione. Il Gruppo di Fuoco di cui facevano parte era in quella zona per compiere un attacco contro Michele Zaffino, attivista del PCI e presidente del consiglio di quartiere. Costui si è distinto a Torino per alcune azioni tipicamente poliziesche nei confronti del movimento di lotta proletario, delle sue avanguardie combattenti.
Ha promosso nel quartiere un «questionario» che è in realtà una massiccia raccolta di dati e di informazioni sui proletari della zona (le domande sono sui vicini di casa «strani», con orari irregolari e movimenti sospetti, e cosi via).
(….) Barbara Azzaroni «Carla»: è una compagna che a Bologna conoscono tutti. Ex dirigente della sede bolognese di Potere Operaio, a partire dallo scioglimento di questo gruppo comincia un percorso di iniziativa politica che, da una parte la rende un punto di riferimento della lotta di massa contro l’amministrazione rossa (il Coordinamento lavoratori enti pubblici, le lotte del marzo ’77), dall’altra pone la questione dell’organizzazione del combattimento proletario e della costruzione del partito rivoluzionario. Dirigente nazionale delle Formazioni Comuniste Combattenti, confluisce poi con un gruppo di compagni di questa organizzazione in Prima Linea. Il suo contributo è lucido, la sua determinazione e la sua capacità operativa molto alte. A Torino fa parte del Comando e del Gruppo di Fuoco. Ha partecipato a molte e importanti operazioni, da Mazzotti (capo personale della Menarini) a Bologna, a quelle contro Lorusso e la Napolitano (rispettivamente torturatore e «vigilatrice» delle Nuove) a Torino.
Matteo Caggegi «Charlie»: nonostante la giovane età – ha 20 anni – anche Charlie è un compagno noto a Torino. Si distingue per la sua capacità di aggregare compagni, per la sua militanza nei circoli giovanili, nelle iniziative che questi promuovono, nelle manifestazioni del marzo ’77. L’anno scorso viene assunto alla FIAT Rivalta dove gli operai, i compagni ricordano il suo ruolo nelle lotte contro gli straordinari, la sua presenza assidua ai picchetti, i suoi scontri politici con i burocrati sindacali. La sua disponibilità , la sua generosità sono enormi, come eccezionali sono le sue capacità di combattente dimostrate in varie operazioni.
(…) Ogni volta che lo scontro fa un salto di qualità, in particolare nei momenti in cui il nemico di classe infligge duri colpi ai rivoluzionari, e per farlo concentra la sua capacità di fuoco determinato a distruggere uomo su uomo la forza rivoluzionaria, in cui i proletari riconoscono con particolare chiarezza i caratteri odiosi del proprio nemico ed esprimono il massimo dell’odio nei suoi confronti, dei compagni caduti, colpiti, torturati, proprio in questi momenti va sviluppato il massimo dell’iniziativa politica e di combattimento, ma anche, col massimo di lucidità si debbono definire i propri compiti, i rapporti di forza da modificare, i limiti e le contraddizioni dello schieramento proletario.
(…) E’ chiaro quali sono i punti di partenza della risposta a questo salto dell’azione del nemico:
– precisazione del rapporto fra azione combattente, rappresaglia e schieramento rivoluzionario di massa;
– determinazione delle funzioni e delle contraddizioni dello schieramento nemico, delle istituzioni democratiche rappresentative, delle truppe di occupazione e in modo significativo degli strumenti della controguerriglia psicologica, che ha lanciato la campagna sui rapporti fra «terrorismo» e «criminalità».
(…) Lo schieramento rivoluzionario tra i proletari, mentre si identifica nei compagni caduti, ne riconosce la pratica, la sua efficacia, si trova più unito e più forte – contro tutti i corvi che hanno blaterato di contraddizione tra lotta armata e sviluppo di una coscienza di massa; ciò significa che il combattimento in questi giorni e in questi mesi supera definitivamente una prima fase di accumulo di esperienza nel disarticolare le gerarchie e le forze nemiche per diventare espressione di un movimento rivoluzionario stabilmente radicato ed espresso da settori proletari di massa.
Abbiamo detto che il capitale si dà strumenti per distruggere ogni possibilità di un movimento di lotta di massa che si estende con continuità: oggi abbiamo verificato che lo sviluppo della guerra di classe non si limita a rendere possibile qualche lotta in più, ma crea le condizioni di un movimento di lotta come espressione diretta di una volontà rivoluzionaria.
E’ quanto hanno capito sbirri e padroni che fanno un salto nella loro ferocia esprimendo una rabbia vigliacca.
L’azione delle forze combattenti ha spesso sottovalutato l’estensione delle forze di controllo, di divisione all’interno della classe, che abbiamo visto agire in modo strettamente collegato sia a Torino che a Milano, e ha quindi sofferto di non essere altrettanto continua ed articolata nei loro confronti; spesso l’iniziativa di nuclei combattenti ha praticato azioni esemplari come nel caso del duplice attacco di Milano e Venezia – sottovalutando sia l’organicità dello schieramento che si trovavano di fronte, sia lo schieramento proletario che si poteva realizzare con un’azione più chiara nelle sue discriminanti e nella sua continuità.
L’iniziativa di combattimento può evidenziare, colpire e quindi mettere in crisi quanto nel blocco nemico è strumento determinato all’azione di controguerriglia, può separarlo dal magma dei settori di classe che lo compongono.
(….) Con la sua feroce determinazione il nemico di classe ha imposto ai comunisti di estendere a tutto il fronte dello scontro il senso e il peso delle ultime campagne contro le carceri, che hanno intaccato in modo significativo il comando carcerario: il nemico di classe sconfitto, messo in crisi, in un punto, cerca di valersi di situazioni che ritiene a lui favorevoli per esercitare il suo terrore, per prendersi la sua rivincita.
La lezione delle battaglie vincenti, la crescita di uno schieramento rivoluzionario mostrano che il nemico si sbaglia, che non esistono per lui territori stabilmente consolidati né gerarchie al sicuro dall’attacco proletario. Non ci illudiamo, essi si sono dotati di un apparato di guerra e di rappresaglia regolato dalle leggi della clandestinità – a partire dagli apparati di Dalla Chiesa – dalla logica del massimo di azione contro ogni obiettivo individuato che è sempre più la logica della tortura e dell’annientamento. Sappiamo che scaricheranno sui proletari le loro contraddizioni, crescenti ad ogni livello – crescita dell’inflazione, attacco antioperaio nelle fabbriche, sono il normale corrispettivo di un’azione antiguerriglia sempre più omicida: ma sappiamo che proprio per tutto questo lo schieramento rivoluzionario crescerà e deve crescere l’intelligenza e la determinazione della nostra azione.
Il combattimento deve necessariamente perdere la sua parzialità: uno schieramento rivoluzionario chiede ai combattenti di lavorare a costruire uno strumento forte, centralizzato, unitario, in cui concentrare la forza combattente della classe.
(….) Il rapporto tra «terrorismo» e criminalità su cui si stanno accanendo gli esperti della controguerriglia è rilevante poiché è semplicemente in gioco l’autorità del processo rivoluzionario, la capacità di concentrare, finalizzare ogni forza che nasce dalla volontà di non stare al gioco di una società che distrugge l’uomo. Il discorso sarebbe lungo e sarà fatto, ma è certo che i comunisti possono avere con mercanti e mercanti di morte di ogni genere, con gli sfruttatori di ogni risma solo un rapporto di guerra. La guerra tra le istituzioni dello stato e le istituzioni della criminalità organizzata multinazionale è un gioco al massacro per le forze del proletariato , una guerra in cui il capitale produce un accumulo formidabile di armamento, di violenza organizzata, a tutto finalizzati meno che all’emancipazione della classe, una guerra destinata ad egemonizzare o a distruggere ogni espressione di violenza sociale che le contraddizioni e le trasformazioni di questa società producono ogni giorno a piene mani.
Per noi l’alternativa è chiara: è tra l’organizzare, l’armare un processo di liberazione di massa delle enormi capacità di cooperazione sociale che la classe ha espresso, e la distruzione della forza, della rabbia, dell’antagonismo proletario in un gioco tutto interno alle forze organizzate del comando del capitale sulla società. Lo sviluppo del potere proletario si pone come unica discriminante, il suo armamento, lo sviluppo dello schieramento rivoluzionario sono le pratiche in cui la nostra azione, questa azione di rappresaglia, si inserisce, e su questa base non c’è spazio di compromesso con nessun altro potere, con nessuna pratica opportunista che settori proletari possono praticare per sopravvivere: la distruzione del comando, l’esecuzione di aguzzini e delatori ha lo scopo di trasformare l’esistenza dei proletari su cui questo comando si esercita. La guerra di classe, se distrugge il nemico, trasforma radicalmente il proletariato.
Lo sviluppo del potere proletario, la costruzione di una identità collettiva dei proletari non più per il posto occupato nella produzione sociale – cosa che il capitale stesso ha distrutto – ma per il ruolo e per i rapporti che si stabiliscono nel processo collettivo di guerra, di trasformazione rivoluzionaria dei rapporti sociali, è ciò che aspetta chi ha combattuto, i compagni di coloro che sono caduti o sono stati torturati, i proletari che hanno portato nelle piazze uno schieramento rivoluzionario irriducibile.
Su questo si eserciterà il dibattito, lo scontro politico tra i comunisti, per questo si lavora a costruire l’esercito proletario.
Marzo 1979
Organizzazione comunista
Prima Linea
Stralci di un documento di Prima Linea pubblicati sul quotidiano «Lotta continua» il 29 marzo 1979.

Comunicato in onore di Annamaria Mantini

9 luglio 1975: Ieri in un agguato teso dalla polizia, è stata uccisa a freddo la compagna Annamaria. La volontà del potere di chiudere la partita con i compagni che si organizzano clandestinamente, ha armato la mano del killer di turno, che con la precisa coscienza di uccidere, ci ha privato di una compagna eccezionale. Annamaria era uno dei compagni che hanno dato vita al nucleo “29 ottobre”. Ha fatto parte del gruppo che ha sequestrato sotto casa il magistrato Di Gennaro, e il contributo che ha dato alla costruzione ed esecuzione di questa azione, dimostrando il livello politico militare che aveva raggiunto. E’ enorme l’abisso che separa una compagna rivoluzionaria da uno sbirro. Non basterebbero la vita di cento Tuzzolino per pagare la vita di Annamaria.
Questo non significa che dimenticheremo i Tuzzolino, i Barberis, così come non abbiamo dimenticato i Conti e i Romaniello.
La mano che uccide un proletario ci è nemica come i porci che la armano. Ma lo ripetiamo, non è uccidendo uno o più sbirri che i proletari si possono ripagare del prezzo che stanno pagando per liberarsi. E per questo prezzo altissimo, in noi come in tutti i rivoluzionari, non c’è solo la rabbia ma anche la coscienza che il movimento si sta arricchendo in maniera definitiva del patrimonio di importantissime esperienze che questi compagni ci lasciano.
Le giornate di aprile, le innumerevoli azioni armate, gli espropri per autofinanziamento, le azioni nelle carceri, dimostrano la crescita di una nuova generazione di combattenti, e non bastano gli omicidi e gli arresti per distruggerla.
La nostra esigenza di comunismo è indistruttibile.
Luca Mantini, Sergio Romeo, Bruno Valli, Vito Principe, Gianpiero Taras, Margherita Cagol, Annamaria Mantini.
Non siete i soli e non sarete gli ultimi, ma rappresentate per tutti i rivoluzionari una scelta irrinunciabile.
Lotta armata per il comunismo.
9 luglio 1975.
Nucleo Armato 29 ottobre

Nuclei Armati Proletari – Nucleo Armato 29 ottobre, Autointervista.

  1. Come sono nati e che scopi si propongono i Nuclei Armati Proletari?

I NAP sono nati da precise esperienze di massa in vari settori, che hanno spinto alcuni compagni a porsi completamente il problema della clandestinità. Per noi clandestinità significa conquistare strutture politiche e organizzative che ci mettano in grado di sviluppare e consolidare tutte quelle esperienze di lotta violenta illegale che sono state e sono un momento centrale per la crescita della autonomia proletaria e dell’alternativa rivoluzionaria nello scontro di classe in Italia, oggi.

Per lotta violenta illegale intendiamo sia esperienza di massa quali l’occupazione della FIAT, San Basilio, le giornate di aprile a Milano; sia la lotta condotta da avanguardie armate clandestine che autonomamente compiono tutte quelle azioni che, pur rispondendo a profonde e generalizzate esigenze del movimento rivoluzionario, in una fase come quella attuale, che secondo noi non si può considerare pre-insurrezionale, non è possibile organizzare a livello di massa. Queste sono per noi le punte emergenti di una pratica politica quotidiana, di una vera e propria prassi alternativa che in questi anni si è diffusa in Italia a un livello abbastanza di massa e rappresenta un primo abbozzo di un programma comunista generale.

Per noi l’unico terreno di crescita comune e omogeneizzazione è stato la costruzione di esperienze di lotta armata la cui continuità è stata garantita da una continua crescita organizzativa che è stata un momento essenziale del nostro sviluppo.

E’ questo l’unico terreno su cui è stato possibile realizzare al nostro interno un livello di unità non formale. Gli sviluppi delle varie esperienze hanno portato alla creazione di nuclei di compagni che agiscono in luoghi e situazioni diverse in maniera totalmente autonoma e che conservano tra di loro un rapporto organizzativo e di confronto politico.

Noi vediamo la sigla – NAP – non come firma che caratterizza una organizzazione con un programma complessivo ma come una sigla che sintetizza i caratteri propri della nostra esperienza. Per definire ancora meglio l’autonomia dei vari nuclei, i compagni che hanno risposto a queste domande hanno firmato le loro azioni “Nucleo Armato 29 Ottobre”

  1. Quali rapporti si hanno o si vogliano avere con organismi di massa non clandestini?

Secondo noi oggi in Italia ci si può organizzare ed agire efficacemente in maniera non clandestina. Bisogna però tenere ben presente che la durezza violenta dello scontro di classe richiedono da parte di tutti i compagni rivoluzionari in qualunque settore della società essi operino, la coscienza della necessità da parte loro della costruzione di livelli di clandestinità che li mettano in grado non solo di resistere alla repressione che li colpirà ma anche di praticare efficacemente e con il massimo di sicurezza possibile le forme di lotta illegali e violente che il loro lavoro di massa qualunque esso sia, necessariamente richiede e richiederà.

I rapporti che noi abbiamo con compagni non clandestini, da una parte vogliono mettere a loro disposizione gli strumenti pratici e teorici che ci vengono dalla nostra esperienza di clandestinità, dall’altra ci servono per trovare, attraverso un confronto il più ampio possibile con compagni rivoluzionari esterni nuove forze alla nostre azioni, nuovi obiettivi da colpire, elementi che affrettino lo sviluppo della nostra esperienza e quindi del movimento rivoluzionario di cui poi siamo una componente.

Naturalmente questi rapporti assumono varie forme dipendendo:

  1. dal reale livello di illegalità richiesto dalla situazione in cui operano i compagni con cui ci confrontiamo;
  2. dalla maturità con cui essi affrontano il problema della clandestinità con tutti i rischi che vi sono legati per loro e per noi;
  3. dalla nostra capacità di misurarci realmente con il livello della lotta di classe nei vari settori con cui entriamo in contatto e di dare quindi un contributo non formale alla crescita del movimento rivoluzionario in quel settore.

Bisogna pure tenere presente che le esperienze e le situazioni di militanza in cui si agisce in Italia oggi hanno ancora caratteristiche abbastanza particolari per cui non è detto che i tempi e le forme della clandestinità che è necessario praticare siano omogenee tra di loro. Già oggi però alcuni momenti come le giornate di aprile a Milano costituiscono una scadenza per tutto il movimento nel suo complesso e quindi a anche per noi. E’ cosi che va vista l’azione contro Filippo De Jorio, agente del STC e consigliere regionale DC da noi effettuata a Roma.

Il confronto pratico e teorico con i compagni esterni deve farci conseguire l’obiettivo di una reale unità d’azione in occasioni come queste sia per svilupparle al massimo livello possibile, sia per sperimentare nuove forme di azione e di organizzazione.

  1. Che cosa avete da dire in merito al quadro che la stampa borghese neoriformista da della vostra esperienza?

Per quanto riguarda la stampa borghese c’è da dire solo che essa assolve il suo compito di provocazione e calunnia contro le avanguardie rivoluzionarie meritandosi la paga dei padroni. Alcuni giornalisti e giornali che non dimenticheremo hanno eseguito con particolare zelo questo compito; per quanto riguarda la stampa riformista e neo riformista, entrambi nella loro paura di perdere il cantuccio legale che si sono creati, in uno Stato dove la legalità è quella dei padroni sono abituate a gridare alla provocazione ogni qualvolta si trovano di fronte la violenza proletaria armata e tanto più, da veri sciacalli, quando si subiscono sconfitte. Il ruolo di costoro (Avanguardia Operaia in testa) si configura oggettivamente come provocatorio. E il tempo che ciascuno si prenda le proprie responsabilità. Da una parte si sono calunniati compagni caduti o arrestati, dall’altra, accettando in pieno e anzi arricchendo di particolari, inventati di sana pianta le versioni che la polizia forniva delle nostra azioni, si è insinuato il sospetto di infiltrazioni per screditare una scelta e delle ipotesi politiche e i momenti organizzativi che ne derivano. Tutto questo facendo sfoggio di un atteggiamento professorale ed esperto su problemi della clandestinità, atteggiamento profondamente ridicolo per tutti i compagni che conoscono il passato di scalda sedie degli aspiranti consiglieri comunali Corsivieri e C. nonché le eroiche imprese dei vari “servizi d’ordine” a cominciare da quello di AO più noto come la “Brigata Lepre”.

I NAP si sono finora caratterizzati dalla perfetta conoscenza reciproca di tutti i militanti di ciascun nucleo che è politicamente e organizzativamente autonomo. Attraverso la discussione e il lavoro politico comune si tende ad avere il massimo controllo reciproco sui singoli militanti e sulle strutture. Ciò non vuol dire che non si commettono errori tecnico-militari e di valutazione politiche su singoli azioni. Questi errori, pesantissimi da pagare sono difficili quando si pratica un terreno, quello della costruzione di una organizzazione clandestina su cui le esperienze sono enormemente limitate. Noi rivendichiamo come nostro patrimonio gli errori commessi e riteniamo fondamentale risolverli: molte volte abbiamo pagato la nostra inesperienza e troppe sono pure le volte che abbiamo pagato anche la leggerezza dei compagni esterni alle nostre strutture sui quali non abbiamo avuto il controllo necessario.

Infine i compagni e specialmente quelli che si muovono o intendono muoversi nella clandestinità devono avere ben chiare il continuo rafforzamento qualitativo e quantitativo dell’apparato repressivo borghese e il costo politico, organizzativo, umano che questo comporta. Ad ogni nostra azione noi ci rafforziamo politicamente e organizzativamente però ci scontriamo con una repressione più forte e raffinata. In questa situazione è illusorio pensare di potere evitare gli errori e le sconfitte che possono anche essere fatali per questo o quel singolo nucleo. La validità di una esperienza clandestina deve essere valutata solo per giudicare se si presenta o non come una componente del progetto complessivo che il proletariato rivoluzionario sta oggi elaborando in Italia.

  1. In base a quale analisi e verso quali prospettive intendete agire?

Precisiamo innanzi tutto che secondo noi il movimento rivoluzionario in Italia non ha ancora raggiunto un livello e una generalizzazione tali da possedere una reale analisi che preveda sul piano tattico e strategico i tempi e le forme dello scontro di classe e un programma comunista articolato a tutti gli aspetti della società. Ci sono senz’altro alcuni punti fermi teorici e pratici che sono patrimonio del movimento rivoluzionario quali: il rifiuto del lavoro nella sua forma attuale, la lotta violenta alla oppressione capitalista, il diritto a riappropriarsi del complesso della nostra esistenza. Più che di un programma teorico si tratta di un programma pratico che già ora viene posto in atto a livello di massa. Alcuni compagni che sono più coscienti ne vedono più chiaramente le implicazioni altri ne hanno una coscienza teorica meno chiara ma la loro prassi politica non per questo è diversa. La dimensione di massa di questi fatti e il potenziale rivoluzionario che possono esprimere ci sembrano ampiamente dimostrati da decine di episodi particolari della lotta di classe in questi anni e dai momenti di lotta generale che ci troviamo di fronte. Noi intendiamo all’interno di questo processo, di cui siamo una componente, sviluppare al massimo le nostre capacità di intervento sia pratico sia come contributo teorico sulla base della nostra esperienza. L’aver portato felicemente a termine alcune operazioni negli ultimi tempi non ci fa pensare di essere invincibili. La morte dei compagni Sergio, Luca, Vito, il pesante prezzo dei compagni arrestati e condannati spesso sulla base di prove false, con cui abbiamo pagato ogni minimo errore non sono cose che si possono sottovalutare. Ma riteniamo di rispondere con la nostra azione e con le nostre esperienze a una reale esigenza della lotta di classe e di contribuire allo sviluppo del programma comunista. Questo fatto e questa prospettiva giustificano i rischi che corriamo.

Lotta armata per il comunismo !

Creare organizzare 10 100 1000 Nuclei Armati Proletari!

NUCLEO ARMATO 29 OTTOBRE

Giugno 1975

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, p.239-242.

Nuclei Armati Proletari, Nucleo Interno “Azione Di Gennaro. Autointervista”, Volterra, Giugno 1975

a) Quali erano gli obiettivi che intendevate conseguire attraverso il sequestro del Giudice Di Gennaro e l’azione del nucleo interno a Viterbo?
Gli obiettivi che volevamo conseguire attraverso il sequestro Di Gennaro sono stati spiegati nel nostro comunicato; l’azione tendeva alla liberazione dei tre compagni di Viterbo, da tempo sequestrati dalla giustizia borghese. Il sequestro di Di Gennaro è servito ad evitare che i compagni di Viterbo fossero fucilati come in P.za Alberti o come nel carcere di Alessandria. Infine il collegamento tra i nuclei esterni ed interni, la perfezione di questo collegamento, attesta il grado di efficienza organizzativa politico-militare raggiunto dal Nap.
b) Non vi sembrano scarsi i frutti raccolti con un’operazione così complessa?
Se per i borghesi l’incolumità fisica dei loro simili è cosa da poco, per noi è fondamentale salvaguardare la vita dei compagni. Con questa azione abbiamo soprattutto teso ad affermare il nostro fermo proposito di non abbandonare i compagni che cadono nel corso della lotta in mano al nemico. Non saranno i lager della borghesia a fermare la lotta del proletariato. La nostra parola d’ordine è distruzione dei carceri e liberazione di tutti i detenuti.
c) Per quale ragione il volantino in possesso ai tre rivoluzionari di Viterbo parla già di non raggiungimento dell’obiettivo quando l’operazione era ancora in corso?
Per motivi ovviamente precauzionali i compagni hanno predisposto un volantino di gestione anche della eventuale ipotesi di un fallimento dell’obiettivo tattico della liberazione dei compagni. Ciò dimostra che i Nap non hanno lasciato niente al caso e che tutti i particolari dell’operazione sono stati vagliati nei minimi dettagli. In particolare della mancanza della nostra sigla e del nome del magistrato sul volantino in possesso del nucleo interno si spiega nel senso di ulteriori precauzioni predisposte al fine di non pregiudicare fino all’ultimo momento la riuscita dell’intera operazione.
d) Quale rapporto esiste tra i Nap e le Br?
Non esiste alcun legame operativo e organizzativo tra Nap e Br. Esiste comunque una omogeneità politica sulla strategia di lotta. Lotta armata per il comunismo.
e) A questo punto dovresti parlarci più per esteso dei Nap, della vostra origine, dei vostri programmi di lotta e infine come considerate la vostra azione rispetto al resto del movimento?
Le carceri sono oggi nello stesso tempo il luogo di organizzazione di vasti strati di proletariato e la risposta del sistema capitalistico alle richieste di potere delle masse subalterne, al tentativo individuale o collettivo di conquistarsi uno spazio vitale. In particolare nel meridione, dove i contrasti di classe travalicano la conflittualità di fabbrica e dilagano infiammando i ghetti nei quali proletari e sottoproletari si fondono in un’unica immensa massa di “dannati della terra”, nei quali la lotta per un qualunque miglioramento delle condizioni di vita si traduce immediatamente in uno scontro diretto e sovente armato con lo Stato e le istituzioni. Lo sbocco inevitabile, il passaggio obbligato di questa lotta sono le carceri e questo vale tanto per il braccato che sceglie di prendersi con la forza la casa che spetta a lui e ai suoi figli come per il rapinatore che riprende per sé una parte di quella ricchezza gestita ingiustamente dalla borghesia. I Nap nascono in questo contesto ed esprimono le speranze e lo slancio rivoluzionario di queste masse popolari meridionali, da sempre lasciate sole nella lotta per l’emancipazione. Questo basta a zittire certi critici che parlano di “concezione politica disperata che spinge a perdere il legame e la fiducia nell’organizzazione di classe dei lavoratori, per dedicarsi ad una guerra privata e suicida”. Il solo modo per essere legati alla nostra classe è il dare una risposta strategica al bisogno di potere che esprimono le molteplici istanze del movimento. La nostra strategia è la lotta armata per il comunismo; la nostra proposta organizzativa è la creazione e costituzione di nuclei armati proletari ovunque si esprima la volontà e autonomia di emancipazione delle masse proletarie. Le carceri sono solo uno dei settori di intervento della nostra azione politica. Nella dura lotta contro le strutture della attuale repressione carceraria si sono formati parecchi nostri militanti, così come tanti altri proletari hanno preso coscienza delle mostruose trappole che i padroni hanno costruito, sempre pronte a scattare su chiunque si ribelli alla logica dell’oppressione e dello sfruttamento legalizzato. Le battaglie dei detenuti, per molti aspetti e contenuti sempre più vicini alle battaglie di fabbrica, hanno fatto di questi uomini dei validi compagni di lotta del proletariato: la nostra organizzazione si propone di unificare ciò che la società borghese ha interesse a tenere diviso, di affiancare i compagni detenuti ai fratelli che si battono ogni giorno nei quartieri e nelle fabbriche. Per questa ragione il nostro principale ambito di intervento oggi è l’arco politico dell’autonomia operaia. La nostra iniziativa politico-militare intende intervenire concretamente nel vasto dibattito in corso in questo arco del movimento tra le avanguardie di lotta. Ai compagni che si battono per la casa, per l’autoriduzione dell’affitto e delle bollette, ai compagni che lottano contro lo stato di assedio dei quartieri proletari, contro la ristrutturazione antioperaia in fabbrica e la svolta controrivoluzionaria in atto nel paese, alle avanguardie armate che si formano oggi spontaneamente nel vivo della lotta contro il regime democristiano, noi dei Nap dichiariamo il nostro impegno a combattere fino in fondo per il comunismo”.

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. .

Nucleo Armato 29 Ottobre, Azione Di Gennaro. Comunicato N. 3

Oggi 11 Maggio 1975 alle ore 22 è stato rilasciato Giuseppe Di Gennaro. Sono stati raggiunti tutti gli scopi che ci proponevamo sia rispetto alle garanzie di incolumità per i compagni Zichittella, Panizzari e Sofia, sia rispetto alla possibilità di una gestione politica dell’azione che sfruttasse a fondo tutti i canali di informazione (giornali, radio, tv). I compagni Zichittella, Panizzari e Sofia non sono riusciti a liberarsi come era nelle loro intenzioni e nel loro diritto di proletari. Ma l’azione di Viterbo non si è trasformata in una seconda strage di Alessandria, come era nei piani omicidi del potere borghese. L’interrogatorio di Giuseppe di Gennaro si è rivelato utile per capire il funzionamento interno di istruzioni chiave della società borghese quali sono il Ministero di Grazia e Giustizia e la Magistratura. La lotta dei detenuti con l’azione di Viterbo ha conseguito un successo notevolissimo dopo più di un anno e mezzo di sconfitte costate fiumi di sangue al proletariato. Il risultato conseguito, ben lungi dal prestarsi a strumentalizzazioni di destra, è una risposta vincente alla linea bestiale di repressione borghese. L’indicazione politica della necessità di collegamento con l’esterno e della organizzazione clandestina si sono dimostrate totalmente giuste.
Viva la lotta dei proletari detenuti, lotta armata per il comunismo, creare e organizzare 10, 100, 1000 Nuclei Armati Proletari.
Roma, 11/05/75.
Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, p. 237

Nucleo Armato 29 Ottobre, Azione Di Gennaro. Comunicato N. 2

L’azione armata dei compagni Pietro Sofia, Giorgio Panizzari, Martino Zichittella, tre tra le più coscienti avanguardie che gli anni di dure lotte dei proletari detenuti hanno prodotto, tendeva alla riacquisizione della libertà. La loro provata coscienza di classe, di comunisti, conquistata a prezzo di lotte durissime condotte a fianco delle migliaia di altri proletari detenuti permetteva loro la più completa autonomia di organizzazione di tempi e di mezzi nella loro azione. Memori di come il potere ha risposto e risponde alle lotte dei proletari detenuti, come dimostrato dalle decine di morti degli ultimi anni, memori di come sono stati massacrati i compagni Concu e Di Bona ad Alessandria, solo per citarne alcun, i compagni si sono organizzati per garantirsi l’incolumità fisica e la riuscita politica e militare dell’azione pur non riuscendo nel riappropriarsi della propria libertà. La cattura di Giuseppe Di Gennaro ha permesso di colpire un settore preciso dell’organizzazione della repressione di Stato e di prevenire ogni tentativo omicida da parte del potere contro i compagni in lotta a Viterbo. Oggi la sinistra revisionista si affianca ai settori più luridi del potere borghese, nell’opera di discriminazione, diffamazione e repressione delle lotte dei proletari vendendo sull’altare dell’ordina pubblico e della “criminalità” le lotte e la vita, non solamente della classe operaia ma anche e particolarmente di quel vasto settore proletario che la borghesia canagliesca definisce “delinquenti”. La lotta armata si affianca e si integra con le lotte autonome dei proletari in una varietà di forme che tutte garantiscono ed indicano la costruzione della via rivoluzionaria al comunismo. Il compagno Sergio D. dato inizialmente per disperso nel corso dell’azione, è ora al sicuro. Quindi il rilascio di Giuseppe Di Gennaro è unicamente subordinato:
1) Alla sicurezza definitiva dell’accoglimento completo delle richieste dei compagni Panizzari, Sofia e Zichittella.
2) Alla cessazione immediata di ogni misura repressiva contro gli altri proletari detenuti nel carcere di Viterbo.
3) Ai nostri tempi di sicurezza per il rilascio.
Viva le lotte dei proletari detenuti.
Lotta armata per il comunismo.
Creare e organizzare 10, 100, 1000 Nuclei Armati Proletari.
Roma, 10 maggio 1975

Nucleo Armato 29 ottobre.

Nucleo Armato 29 Ottobre, Azione Di Gennaro. Comunicato N.1

Il giorno 6-5-1975 alle ore 22,45 un gruppo di compagni ha fatto prigioniero Giuseppe Di Gennaro, consigliere di Cassazione, direttore dell’ufficio X della direzione degli Istituti di Prevenzione e di Pena del Ministero di Grazia e Giustizia, organizzatore e direttore del Centro elettronico di calcolo dell’amministrazione penitenziaria, strumento del potere per la schedatura ed il controllo sempre più efficiente di ogni singolo detenuto. Da 10 anni al servizio della repressione di Stato in funzione antiproletaria, Di Gennaro svolge un ruolo di copertura al quotidiano massacro che il potere perpetua all’interno delle sue carceri contro i proletari, affiancando il paternalismo più schifoso all’aperta attività di coordinamento di tecnici e teorici del perpetuamento e rafforzamento efficientista delle strutture carcerarie a livello nazionale ed a livello internazionale, quasi sempre con l’appoggio e la copertura dell’U.N.S.D.R.I (Istituto di ricerca delle Nazioni Unite per la Difesa Sociale). Tutto questo è stato confermato dagli interrogatori cui è sottoposto. Il sequestro di Di Gennaro rappresenta un momento di forza per il proletariato detenuto ed ha permesso ad un gruppo di compagni reclusi all’interno del carcere di Viterbo di attuare un’azione armata che attualmente, alle ore 23 del giorno 9-5-1975, vede questi compagni barricati con degli ostaggi. La libertà provvisoria del fedele servo Di Gennaro è strettamente legata all’incolumità fisica dei compagni, e all’accoglimento di tutte le loro richieste. Il potere si è immediatamente scatenato: alle ore 22,50 da Roma è partita una compagnia di 75 uomini con una fotoelettrica comandata dal capitano Muzi della PS.

Queste iniziative compromettono seriamente la salvezza di Di Gennaro.
Lotta armata per il comunismo, creare e organizzare 10, 100, 1000 Nuclei Armati Proletari.
Roma, maggio 1975.
Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. 235-236.