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Messaggio dei Gap alle Br in occasione del sequestro Sossi

Compagni delle BR

Per i boia e gli oppressori non occorrono processi: la sentenza, segnata dalla loro stessa esistenza di infami al servizio del potere è una sola, ed ogni proletario, ogni rivoluzionario la conosce, la fa propria, è chiamato ad eseguirla: la morte a chi ci priva della vita e della libertà, la soppressione immediata di chi ci sopprime giorno per giorno. Per Mario Sossi non occorrono processi. A questo famigerato fascista implacabile persecutore del proletariato e delle sue organizzazioni la sinistra rivoluzionaria ha risposto BASTA; ora bisogna scrivere FINE. Ma nelle carceri dello Stato che Sossi ha servito fedelmente sono ancora rinchiusi coloro che per essersi liberati allo sfruttamento dei padroni sono stati condannati ad anni ed anni di galera come monito per tutti gli altri rivoluzionari. Ci riferiamo soprattutto ai nostri compagni del G.A.P. XXII Ottobre: essi non desiderano la libertà più di quanto la desideri ogni uomo che ne venga privato: essi sopportano il carcere con il coraggio e la dignità di chi ha compiuto il proprio dovere rivoluzionario. A una libertà che non fosse di tutti forse potrebbero anche rinunciare, ma proprio affinché possano continuare a lottare per la libertà dallo sfruttamento capitalistico noi dobbiamo strapparli alla galera, restituirli al loro impegno di combattenti nella lotta di classe, esigere quindi la loro liberazione. Per questo, solo in cambio di questo, l’eliminazione di un aguzzino può essere sospesa o rinviata, solo così l’attacco allo Stato e alle sue istituzioni diviene effettivo e quindi oggi questo vi chiediamo, che la parola d’ordine sia una sola FUORI ROSSI O A MORTE SOSSI.

Compagni delle BR ogni altra soluzione sarebbe oltre che una scelta ingiusta un errore politico, una sconfitta, perché conforterebbe nel nemico il sospetto che la lotta armata sia destinata a restare ancora per molto un simbolo che non porta risultati concreti.

Chiediamo pertanto, in cambio del rilascio del magistrato fascista Mario Sossi, la liberazione dei compagni: Mario Rossi, Giuseppe Battaglia, Augusto Viel, Rinaldo Fiorani, Aldo De Scisciolo, Cesare Maino, Gino Piccardo, Silvio Malagoli e, in considerazione del suo stato di salute, di Adolfo Sanguineti.

I GAP Genovesi

Fatto pervenire il 24 aprile 1974

Campagna Dozier – Comunicato N. 4

Compagni, proletari,
l’iniziativa delle Brigate Rosse, attaccando il punto più alto del sistema imperialista, la Nato, ha portato ad un livello superiore lo scontro di classe, ha reso più evidente lo scenario globale, il terreno politico  dello scontro frontale della guerra di classe. La guerra imperialista come scelta centrale su cui si adeguano le scelte complessive e specifiche della borghesia imperialista che le porta avanti in termini coscienti e con determinazione scientifica, separano sempre di più gli interessi delle masse da quelli della borghesia. Sempre più assume peso reale, come interesse delle masse la proposta rivoluzionaria della guerra civile per il Comunismo.
La crisi capitalistica genera la guerra imperialista. Solo la guerra civile antimperialista può affossare la guerra!!!
 Attaccare il proletariato, la sua capacità d’organizzazione, il suo Progetto politico con ogni mezzo è diventato il compito centrale della borghesia imperialista. Il governo usa il vestito militare, le quattro emergenze si sono riassunte in un’unica direttiva centrale: attaccare il proletariato con tutti i mezzi. Il C.I.I.S. come centro di comando integrato agli Usa ha assunto l’iniziativa: al parlamento sono stati riservati gli applausi, agli stupidi le interpellanze parlamentari. Perché la borghesia imperialista ha paura dei contenuti del Programma rivoluzionario e delle ragioni sociali della guerra di classe? Perché cerca con ogni mezzo di camuffare la proposta rivoluzionaria, ricorrendo all’uso scientifico dei mass-media? Mai come oggi la borghesia imperialista è cosciente che la guerriglia metropolitana è vicina ad un mutamento dei rapporti di forza: la conquista delle masse sul terreno della lotta armata, sul programma politico della transizione al Comunismo. E sa bene che questo è l’inizio della sua fine. La borghesia sa bene che non deve fare i conti solo con le Organizzazioni Comuniste Combattenti, ma con un processo di massa che sempre più assume caratteri globali, quelli della guerra civile sociale dispiegata.  Sa che deve fare i conti con un Fronte Combattente Antimperialista che ha come parola d’ordine centrale la guerra alla guerra imperialista. L’imperialismo appare sempre più come un “grattacielo di cartapesta” lacerato al suo interno da una crisi senza precedenti che, azzerando i suoi margini di manovra, lo fa contrarre su se stesso. Prova lampante è il progetto d’integrazione europea come blocco monolitico subordinato agli interessi degli Usa, che non riesce a trovare l’unanimismo neanche  su una questione come quella polacca, nel tentativo di ripristinare fino a livello di massa la fedeltà all’occidente, cioè il nuovo patriottismo dell’epoca moderna. Ma anche su questo problema sia la Germania che la Francia presentano differenziazioni marcate, anche se all’interno del contesto dell’alleanza occidentale. Oltretutto in Europa si è sviluppato un massiccio movimento antimperialista per la costruzione di un nuovo Internazionalismo proletario, per combattere insieme ed uniti per vincere con tutti i comunisti e con tutti i popoli che combattono contro l’imperialismo. Riteniamo essenziale assumere come asse centrale dello sviluppo rivoluzionario della lotta antimperialistica il Fronte combattente antimperialista, esso corrisponde alla fase della maturità dello scontro di classe ai livelli di coscienza raggiunti da tutto il proletariato. Il contenuto politico più importante di questa fase di scontro è tutto racchiuso nell’enorme ripresa del dibattito, della lotta e del combattimento proletario animato da un elemento di portata strategica: la volontà e la spinta all’unità del movimento rivoluzionario contro l’imperialismo. 
Contro la violenza del progetto proletario, contro la ricchezza e la vitalità delle lotte, si scaglia con tutta la sua violenza l’apparato della controrivoluzione di questo regime in agonia. Accanto ai mitra dei Cc si muove tutto il sistema che a livello di propaganda, informazione, manipolazione di coscienza, pianifica, gestisce e legittima i piani di annientamento antiproletari. Il sistema imperialista delle multinazionali vuole ghettizzare e compartimentare le questioni sociali, le lotte del proletariato metropolitano per impedire la comunicazione sociale proletaria e rivoluzionaria.
Compagni, proletari, 
 la borghesia imperialista attiva tutti i suoi mezzi di informazione per dare sostegno e legittimità all’attacco che porta contro le lotte, il bisogno del proletariato metropolitano e contro la sua avanguardia politico-militare; se il tentativo è quello di distruggere i canali di comunicazione tra le masse cercando di riprodurre l’ideologia della classe dominante dentro il proletariato; se il problema non è solo quello di manipolare l’informazione ma soprattutto quello nazista di estorcere, anche passivamente, una sorta di legittimazione proletaria alla inevitabilità della guerra imperialista, compito del sistema del Potere proletario armato è far vivere il livello di distruzione possibile dei canali della comunicazione sociale capitalistica, in quanto caratteristica predominante, nella congiuntura, della gestione, penetrazione dentro le masse del progetto controrivoluzionario e della necessità della borghesia imperialista di imporre ed estendere il suo dominio.
  Per il Proletariato e per il nascente sistema del Potere proletario armato non si tratta solo di smascherare i piani della borghesia, non si tratta più solo di controinformare rispetto alla manipolazione imperialista delle notizie, si tratta invece di disarticolare tutti i presupposti e gli strumenti su cui si regge la preparazione della guerra imperialista, si tratta di costruire la comunicazione sociale proletaria e rivoluzionaria. E’ evidente che l’attenzione proletaria e rivoluzionaria si rivolge ai propri interessi e crea unità e lotte, per questo da molti mesi gli organi di informazione capitalista tacciono su ciò che ben sanno: le torture e i massacri subiti dai proletari prigionieri nel kampo di Pianosa che si protraggono da mesi, e a Nuoro recentemente durante le lotte, e contemporaneamente la sperimentazione a Cuneo della strategia di annientamento dei proletari prigionieri e dei comunisti, e quello che accadono ai proletari e ai rivoluzionari quando cadono nelle mani della Ps e dei Cc: torturati, sequestrati per mesi e tenuti nascosti in luoghi segreti.
  I problemi, le difficoltà, anche gli errori del processo rivoluzionario sono tutti interni al terreno di confronto, di battaglia politica tra rivoluzionari. Non permetteremo che la borghesia utilizzi e stravolga questi problemi per costruire i “mostri da sbattere in prima pagina”, per costruire spaccature e lacerazioni, per legittimare, senza neanche avere il coraggio di gestirle apertamente, le pratiche argentine della tortura, dei sequestri e dei massacri. Il sorrisetto sprezzante per la vita dei militanti comunisti combattenti catturati, dei giornalisti democratici così malcelato nelle conferenze stampa, lo saprà spegnere il movimento rivoluzionario con l’unico mezzo che sono ormai in grado di capire: il piombo! Invece di sorridere stupidamente dovrebbero sorridere sulla sorte che è già toccata al torturatore Simone, grande esperto in controguerriglia armata e psicologica: è certo che lui non sorriderà più!!!
Compagni,
questi ultimi anni di dura lotta, di vittorie e anche di sconfitte, hanno messo in luce che la sua forza la borghesia la trova nelle incertezze, negli errori, nelle divisioni del fronte proletario. La rinnovata capacità offensiva del movimento rivoluzionario, la rinnovata volontà al confronto e all’unità trovano oggi le condizioni di realizzazione dentro l’unità più vasta che si sta concretizzando tra l’avanguardia comunista e tutto il movimento proletario. Trasformare il movimento antagonista proletario e le lotte per i bisogni politici ed immediati che hanno in sé tutti i contenuti della transizione al comunismo, in movimento rivoluzionario per la distruzione di questo regime e per la costruzione della società senza classi, è l’unica possibilità reale per la costruzione dell’unità di tutto il proletario nel sistema del potere rosso: il partito comunista combattente e gli organismi di massa rivoluzionari.
 Per questo, per le necessità imposte dallo scontro, non è più sufficiente avere come obiettivo l’unità sui singoli punti del programma rivoluzionario. Solo approfondendo il confronto sul bisogno politico oggi fondamentale per tutto il proletario metropolitano, la costruzione cioè di un sistema di potere, l’unico capace di imporre un programma rivoluzionario, che si dà possibilità di attaccare il progetto politico, economico, militare ed ideologico della borghesia imperialista in questa congiuntura e la conquista dei bisogni politici e materiali della classe,  dentro l’unica strategia possibile: la guerra civile antimperialista.
 Questa oggi non è un’utopia ma realtà viva ed operante nel dibattito e nelle lotte di tutto il proletariato metropolitano, non è un bel sogno ma progetto scientificamente costruito che, nella lotta alle barbarie dell’ordine imperialista, ai limiti imposti dalla legge del profitto, costruisce il nostro futuro. L’offensiva delle forze rivoluzionarie contro i centri nevralgici del progetto nemico, dal processo alla Nato contro la cattura del nemico porco yankee Dozier, all’attacco al carcere imperialista con la liberazione delle compagne dal carcere di Rovigo, dagli attacchi armati alle strutture che rappresentano il dominio della borghesia imperialista in Italia, alle lotte in fabbrica, nei ghetti urbani, nelle carceri, al rafforzamento dei canali e degli strumenti del dibattito e della comunicazione delle lotte e del sapere rivoluzionario: sono oggi gli elementi materiali da cui partire per la realizzazione dell’unità rivoluzionaria.
 Questo è il compito dei rivoluzionari in questa congiuntura: confronto serrato e battaglia politica per la sconfitta dentro al movimento rivoluzionario delle linee sbagliate: il frazionismo, il soggettivismo, l’economicismo… Queste tendenze che già tanti danni hanno prodotto nel movimento rivoluzionario oggi, in questa fase decisiva dello scontro, sono la via più facile per arrivare alla nostra sconfitta. L’obiettivo centrale della battaglia politica è la costruzione della linea giusta perché oggi questa è la posta in gioco: l’arretramento o la vittoria del processo rivoluzionario. Le fughe in avanti, gli appelli formali, l’unanimismo di facciata nascondono il problema vero da affrontare: l’unità nella chiarezza sul programma politico rivoluzionario per questa fase di scontro.
 Costruire il fronte combattente antimperialista! Combattere insieme ed uniti per vincere con tutti i comunisti e con tutti i popoli che lottano contro l’imperialismo!
Costruire gli organismi di massa rivoluzionari!
 Costruire il partito comunista combattente!
 Il carcere imperialista è il laboratorio centrale dell’annientamento dell’antagonismo di classe.
 La strategia della differenziazione è la filosofia che informa le politiche imperialiste in tutte le regioni della formazione economico sociale. La differenziazione ancora prima che come carattere proprio della politica carceraria, si definisce come strategia politica centrale dell’imperialismo, e questo al di là e indipendentemente dalle forme specifiche che può rivestire e che sono diversificate a seconda della fase e della congiuntura. Tali forme pur essendo estremamente variegate sono attraversate e percorse da un’unica sostanza: l’annientamento del processo di ricomposizione politica del proletariato metropolitano. E’ a partire dalla consapevolezza della natura ineliminabile delle contraddizioni di classe che l’imperialismo si muove. Il suo obiettivo strategico è l’annientamento dell’identità di classe, significa impedire che i diversi strati di classe che compongono il proletariato metropolitano e le lotte da essi sviluppate si ricompongano all’interno di un’unica strategia per il potere. La strategia differenziata nel carcerario assume la forma di un processo di ristrutturazione continua, finalizzato non solo a contenere e reprimere le lotte, ma risponde a due esigenze fondamentali dello stato imperialista delle multinazionali: colpire il movimento rivoluzionario e predisporre secondo una precisa linea strategica gli strumenti per sconfiggere la guerra civile antimperialista sul nascere. Il carcere imperialista, nel disegno strategico della borghesia imperialista, deve rispondere a molti compiti: la regolamentazione di grandi masse proletarie, l’annientamento scientifico e selettivo delle avanguardie comuniste, la diffusione di una immagine di terrore ed onnipotenza, lo studio e la raccolta di dati sulla guerriglia, come in un laboratorio affidato ai nuovi “cervelloni” della controrivoluzione e dell’annientamento proletario. Su questi argomenti è stato teorizzato e costruito tutto il circuito della differenziazione che oggi con i nuovi provvedimenti “ultrasegreti” la borghesia si prepara ad estendere: come se la volontà di annientare e massacrare il proletariato prigioniero potesse essere un segreto per qualcuno.
 L’attuale livello di applicazione di questo progetto rappresenta un grosso passo in avanti nell’omogeneizzazione delle pratiche controrivoluzionarie a livello europeo. La prospettiva della risoluzione dell’attuali contraddizioni fra i due blocchi, mediante la guerra imperialista, obbliga ogni singolo stato ad accelerare le tappe della pacificazione sul fronte interno, cioè lo obbliga a perseguire con ogni mezzo l’annientamento  di ogni forma di antagonismo che il proletariato metropolitano esprime.
 Smantellare il circuito della differenziazione!
 Liberare il proletariato prigioniero!
Guerra alla strategia differenziata e alla regolamentazione dell’annientamento!
 Chiudere con ogni mezzo le sezioni di lungo controllo!
 Guerra alla guerra imperialista! Guerra alla Nato! Guerra alla controrivoluzione preventiva!
 Guerra all’attuazione del progetto di espulsione della forza lavoro!
 Guerra alla nuova organizzazione del lavoro!
 Guerra alla ridefinizione – governo ferreo del mercato del lavoro!!!
 Guerra al piano di compressione differenziata dei costi della riproduzione sociale!!!

Per il Comunismo.
Brigate Rosse per la costruzione del P.C.C.

16/01/82

Scheda storica: Un altro percorso nella Seconda Posizione: dal Nucleo per la Fondazione del Pcc alla costruzione del Partito Comunista politico-militare

Le vicende della Seconda Posizione andarono fin dall’inizio a intrecciarsi con lo sviluppo del dibattito interno al carcere. La pubblicazione del libro Politica e Rivoluzione, opera di quattro prigionieri di rilievo delle Brigate Rosse – Andrea Coi, Prospero Gallinari, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti – rappresentò un primo importante bilancio e sintesi del ciclo di lotte ancora in corso, pur se appesantito dagli eventi del 1982. Ma il notevole ruolo propulsore dello scritto fu in parte invalidato dai successivi passi dei suoi autori, che crearono incertezza e confusione anche fra i militanti all’esterno.

Una prima conseguenza fu la spaccatura, nel 1985, fra il gruppo che andò a fondare l’Unione dei Comunisti Combattenti (UdCC) e quello che si costituì in Nucleo per la fondazione del PCC.

Sostanzialmente il Nucleo accusava l’UdCC di avventurismo e tatticismo, ritenendo invece necessario impostare un lavoro di lunga fase, preparare le condizioni per arrivare realmente alla fondazione del partito, compiendo così quello che era ritenuto il salto decisivo. Proprio l’incapacità di effettuare quel passaggio, di superare una dimensione guerrigliera carica di deviazioni estremiste e soggettiviste, era considerata da tutta l’area della Seconda Posizione una causa fondamentale della sconfitta che si andava delineando. L’UdCC intendeva accelerare la ripresa dell’iniziativa combattente – posizione che il Nucleo riteneva avventurista, alla luce della situazione notevolmente critica delle residue forze militanti – associandola ad una impostazione politico-ideologica di respiro più ampio rispetto a quella delle Brigate rosse. Ma anche su questo aspetto sorsero divergenze. In risposta alle deviazioni soggettiviste, l’UdCC aveva reimpostato alcune questioni ideologiche con una forzatura di segno opposto. Dall’azzeramento del patrimonio storico del movimento comunista tipico dei soggettivisti, si passava a una eccessiva rivalutazione del lascito sovietico, arrivando ad annullare la critica maoista al socialimperialismo. Una posizione tatticamente finalizzata all’apertura di un canale di dibattito con la vasta area proletaria travolta dalla definitiva degenerazione del PCI. Queste e altre divergenze sostanziali, sulla questione sindacale o sulle strutture legali collegate al partito, non permettevano la prosecuzione di un lavoro comune.

Il Nucleo fu però fortemente travagliato da tensioni e difficoltà. Alla notevole consistenza del livello di analisi e del retroterra ideologico, nonché del percorso militante precedente di molti suoi esponenti, non corrispondeva un’altrettanto chiara determinazione sul percorso da intraprendere. La difficoltà oggettiva in cui i militanti si trovavano a fare i conti con gli stessi problemi di sopravvivenza (quasi tutti erano in esilio, in clandestinità, o reduci da carcerazioni), porterà molti all’abbandono e al riflusso in una dimensione individuale. Un piccolo gruppo di compagni decise di proseguire nel percorso, formalizzando una ulteriore ridefinizione, e assumendo il nome di Cellula per la costituzione del PCC.

Questa nuova realtà riuscì a mantenere un livello, seppur minimo, di organizzazione clandestina e armata a supportare l’elaborazione teorico-progettuale. Strumentazioni considerate preparatorie e interlocutorie, utili a ricostituire una sufficiente area di aggregazione con cui concretizzare i passaggi preconizzati verso la costituzione in PCC. I materiali, di dibattito e di iniziale elaborazione di strategia e linea politica, venivano sistematicamente stampati in formato di opuscoli intitolati Per il partito. Una pubblicazione clandestina, di cui uscirono sei numeri, a periodicità irregolare e pressoché annuale. Partendo dal principio dell’unità del politico e del militare, la Cellula riteneva la lotta armata una necessità storica, strumento fondamentale ma non unico di un processo lungo e articolato che prevede la costruzione di un partito clandestino capace di guidare le masse verso l’insurrezione e quindi la guerra civile. Ribadendo la centralità della politica e criticando le concezioni militariste, il gruppo intendeva dare un orientamento alla protesta operaia e dei lavoratori dei primi anni Novanta. I riscontri, pur significativi, non furono in grado di permettere quel salto di qualità operativo, necessario a dare consistenza e verifica alla proposta. Solo agli inizi di questo secolo l’incontro con una struttura organizzata proveniente da un’area politica diversa, quella dell’Autonomia operaia, portò all’avvio di un processo organizzativo frutto di una rielaborazione ma anche di “compromessi” necessari per la fusione, che trascineranno con sé alcune incoerenze. Il lavoro prese comunque un certo slancio, e una nuova rivista, L’Aurora, ne divenne il vettore.

Anche sul piano progettuale fu formalizzata una scansione rispetto al passato. Obiettivo principale rimaneva la costituzione del partito che però, considerando le diversità strategiche ormai nette rispetto al retroterra storico “guerriglierista”, non si riteneva più identificabile nel concetto di PCC. Una nuova formulazione sembrava sintetizzare l’impostazione maturata: Partito Comunista Politico-Militare (PCP-M).

Il percorso avviato sarà marcato da pesanti difetti e inadeguatezze che porteranno a una sconfitta tattica. Proprio nel crescendo dell’impegno operazionale, e di un discreto allargamento d’area, una retata “chirurgica” – presentata dagli inquirenti come azione “preventiva” mirante a colpire il gruppo nel momento in cui si apprestava a diventare operativo – smantellerà l’essenziale della struttura. La cosiddetta Operazione Tramonto, il 12 febbraio 2007, porta a quindici arresti e decine di indagati fra Padova, Milano e Torino, tra i quali iscritti e delegati Cgil, subito espulsi dal sindacato. Forte è l’attenzione della stampa sulla diffusa solidarietà dimostrata dai compagni di lavoro nei confronti degli inquisiti.

Negli anni successivi acquisì un certo valore la battaglia politica all’interno del carcere e durante i processi. L’impegno militante fu preciso e costante, da parte dei compagni prigionieri come di quelli esterni, riuscendo a trasformare le udienze in momenti di significativa affermazione delle ragioni e della prospettiva rivoluzionaria. Smentendo così le pretese liquidatorie con cui il potere credeva di aver seppellito le aspirazioni rivoluzionarie di classe. Questa posizione politico-strategica ha mantenuto una sua vitalità anche dopo la nuova separazione fra le due diverse aree di provenienza dei militanti.

Primo documento teorico

«La borghesia può far esplodere e distruggere il suo mondo prima di abbandonare la scena della storia. Noi portiamo un nuovo mondo qui, nei nostri cuori. Quel mondo sta crescendo in questo istante.» (B. DURRUTI)

È vero quanto scrive Debord che la “vita quotidiana è misura di tutte le cose: della realizzazione o piuttosto della non realizzazione di rapporti umani, dell’uso che noi facciamo del nostro tempo”. E’ pacifico che il fine della rivoluzione oggi debba essere la liberazione della vita quotidiana. Una rivoluzione che mancasse di realizzare questo fine sarebbe una controrivoluzione. Siamo NOI che dobbiamo essere liberati, le nostre vite quotidiane, non universali, come “storia” o “società”. La liberazione rivoluzionaria ci si presenta come una autoliberazione che raggiunge dimensioni sociali, non una “liberazione di massa” o una “liberazione di classe” dietro cui si nasconde sempre un’élite, una gerarchia, uno Stato. Qualsiasi gruppo rivoluzionario che voglia sinceramente eliminare il potere dell’uomo sull’uomo deve spogliarsi delle forme del potere – gerarchie, proprietà, feticci – come dei tratti burocratici e borghesi che consciamente o inconsciamente rafforzano autorità e gerarchia e deve essere soprattutto consapevole che il problema dell’alienazione esiste per tutti, che, cioè è propria di tutti i gruppi organizzati “la tendenza a rendersi autonomi, cioè ad alienarsi dal loro fine originale e a divenire un fine in se stessi nelle mani di quelli che li amministrano”. Ciò è macroscopicamente vero per i partiti ufficiali ma è vero in generale. Il problema non può che essere risolto completamente che nel processo rivoluzionario stesso, parzialmente con un drastico rifacimento del rivoluzionario e del suo gruppo. Azione Rivoluzionaria è stato definito un “gruppo anarchico”, con gran dispiacere, pare, delle cariatidi ufficiali che pretendono il monopolio del termine. Ciò che ha spinto a riunirci è invero un’affinità nelle nostre rispettive esperienze culturali che si può definire anarco-comunista. Una delle prime azioni del gruppo, il ferimento di Mammoli, il medico assassino dell’anarchico Serantini, ha tutto il sapore di un risarcimento, del saldo di un vecchio conto che pesava sulla coscienza degli anarchici come pesò l’assassinio di Pinelli. Ha il sapore della testimonianza di una presenza anarchica allo scontro in atto. Ma non si tratta solo di questo, anche se contribuire in qualunque maniera allo scontro è oggi un imperativo categorico, per tutti. L’urgenza di una presenza anarco-comunista nasceva dalle riflessioni sulla storia recente del maggio francese del ’68, sia della ripresa del movimento rivoluzionario in Italia quest’anno. La nostra attenzione si appuntava soprattutto sui caratteri nuovi di questo movimento che accentuava una linea di tendenza antiautoritaria, del resto già presente, sino ai limiti di una rottura col passato. Il nuovo movimento non solo rifiuta quel mostro storico che è il marxismo sovietico e quell’ibrido insipido che è il marxismo italiano, pullulante di personaggi untuosi e melliflui, servi gesuiti di ogni potere, produttori di appelli inascoltabili (l’ultimo quello di Bobbio e soci, per la costituzione di una specie di SdS per la Resistenza contro il terrorismo, ha addirittura del grottesco), ma rifiuta anche il mito del proletariato industriale – classe rivoluzionaria, un mito che ha messo in un vicolo cieco il movimento dal ’68 ad oggi e ha costituito l’alibi principe di tutto l’opportunismo extraparlamentare, prova ne sia il fatto che i gruppi i quali hanno cercato di riflettere più fedelmente la “centralità” operaia sono stati risucchiati dal riformismo, prova ne sia lo spazio che il PCI dà oggi al gruppo trontiano dell’intero partito, una classica azione di recupero diretta verso l’esterno del partito. La liberazione di questo mito ha sprigionato e sprigionerà energie di cui il movimento del ’77 è soltanto l’annuncio.

Almeno tre aspetti vanno poi sottolineati:

1) Il movimento intuisce che nonostante si parli da più di un secolo della scienza marxista, della critica scientifica della società del capitale, il pensiero critico ha fatto ben pochi passi avanti ed ha avuto anzi un ruolo regressivo e repressivo nella coscienza delle masse, facendola aderire totalmente alla società del capitale. Le contraddizioni del capitale e del suo sviluppo, su cui faceva persn la critica “scientifica” sono state assorbite e, insieme ad esse, anche la maggiore delle contraddizioni, quella fra lavoro e capitale. Dopo un secolo di impantanamento nelle contraddizioni oggettive del mondo delle merci, il movimento comincia a interrogarsi sulla necessità di instaurare una critica non delle classi ma degli individui, dei protagonisti in carne ed ossa e non dei fantasmi concettuali. Il movimento rivoluzionario sa di essere l’unica contraddizione del sistema capitalistico perché esprime ciò che di umano non è stato ancora represso nel processo di disumanizzazione, spersonalizzazione e massificazione.

2) Il movimento non rinvia lo scontro alle classi, ma lo assume in prima persona. L’azione è diretta. Qualunque siano i risultati oggettivi, i riscontri soggettivi sono fondamentali. L’azione diretta rende gli individui consci di se stessi in quanto individui che possono mutare il loro destino e riprendere il controllo della propria vita.

3) Il movimento oramai riconosce l’inadeguatezza del vecchio progetto socialista, nelle sue varie versioni. Tutte le istituzioni e i valori della società gerarchica hanno esaurito le loro “funzioni”. Non c’è alcuna ragione sociale per la proprietà e le classi, per la monogamia e lo stato. Queste istituzioni e valori, insieme con la città, la scuola, ecc, hanno raggiunto i loro limiti storici. È tutto l’universo sociale che è nel “tunnel” della crisi e non solo in Italia. Qui alcuni aspetti sono più acuti che altrove: qui la difesa della proprietà sta assumendo proporzioni catastrofiche e costituisce ormai l’unica risposta del potere alla disoccupazione. Ma proprio nella misura in cui la crisi ormai investe tutti i campi contaminati dal dominio, tanto più si evidenziano gli aspetti reazionari del progetto socialista sia maoista sia trotzkysta sia stalinista che conserva i concetti di gerarchia, di autorità e di stato come parte del futuro post-rivoluzionario e per conseguenza anche i concetti di proprietà “nazionalizzata” e di classe “dittatura proletaria”.

Fino a poco tempo fa i tentativi di risolvere le contraddizioni create nell’urbanizzazione, dalla centralizzazione, allo sviluppo burocratico, erano visti come una vana controtendenza al progresso – una controtendenza che poteva essere respinta come chimerica e reazionaria. Quanti parlavano di una società decentralizzata e di una comunità umanistica in armonia con la natura e coi bisogni degli individui erano tacciati di romanticismo reazionario. Anche nella recente campagna di stampa televisiva contro Azione Rivoluzionaria i pennivendoli del regime hanno rispolverato tutto questo apparato critico, addentrandosi addirittura in interpretazioni esilaranti del luddismo, sicuramente lette in qualche manuale dell’attivista delle edizioni Rinascita. Diverso il giudizio del movimento, soprattutto dei giovani. Il loro amore della natura è una reazione contro le qualità altamente artificiali del nostro ambiente urbano e dei suoi frusti prodotti. La loro informalità nel vestire e nel comportarsi è una reazione contro la natura standardizzata e formalizzata della moderna vita istituzionalizzata. La loro predisposizione all’azione diretta è una reazione contro la burocratizzazione e la centralizzazione della società. La loro tendenza ad evitare la fatica, il loro diritto alla pigrizia, riflette una rabbia crescente verso l’insensata routine industriale alimentata nella moderna produzione di massa nella fabbrica, negli uffici, nelle scuole. Il loro intenso individualismo, infine, è una decentralizzazione di fatto della vita sociale – una ritirata personale dalla società di massa. Il movimento sa che i concetti “romantici” o se preferite anarchici di una comunità equilibrata, di una democrazia diretta, di una tecnologia umanistica e di una società decentralizzata non sono soltanto concetti desiderabili ma sono anche necessari, costituiscono le precondizioni oggi della sopravvivenza umana, sono concetti pratici. Si prenda il caso dei problemi energetici. La rivoluzione industriale ha accresciuto la quantità di energia usata dell’uomo. Anche se è certamente vero che le società preindustriali poggiavano principalmente sulla forza animale e umana, è innegabile in molte regioni europee lo sviluppo di sistemi di energia più complessi, comportanti un’integrazione di risorse come la forza dell’acqua e del vento e una larga varietà di combustibili. La rivoluzione industriale ha schiacciato e distrutto questi modelli regionali di energia, rimpiazzandoli prima col carbone e poi col petrolio. Come modelli integrati di energia le regioni sono scomparse e non è il caso di ricordare questa rottura del regionalismo nel produrre l’inquinamento dell’acqua e dell’aria, nella devastazione di intere regioni e infine nella prospettiva di un esaurimento. Si è posti di fronte ad una scelta: da una parte i collettori solari, le turbine a vento e le risorse idroelettriche, se prese singolarmente, non forniscono una soluzione ai nostri problemi energetici, messe insieme come mosaico, come un modello organico di energia sviluppato dalle potenzialità di una regione potrebbero soddisfare i bisogni di una società “decentralizzata” e ridurre al minimo l’uso dei combustibili dannosi; dall’altra parte un sistema di energia basato su materiali radioattivi che porterà a una diffusa contaminazione dell’ambiente, dapprima in forma sottile, poi su scala massiccia e tangibilmente distruttiva, con l’aggiunta di un’iniezione ulteriore di concentrazione e terrore nel tessuto sociale. Le forze della distruzione e della morte si sono subito schierate per quest’ultima soluzione, i berlingueriani le hanno seguite a ruota, anzi, in certi casi hanno fatto da portabandiera (a Genova, per la difesa dei livelli “occupazionali” i tecnici del PCI sognano un Ansaldo che nuclearizzi tutto il pianeta, una specie di follia omicida che ha costretto i compagni delle BR a rinchiuderne qualcuno all’ospedale, in osservazione). Tacciando di “romanticismo” il movimento possente che si è sviluppato negli USA, in Germania e ultimamente anche in Italia contro le basi nucleari, i berlingueriani pensano di farla da realisti, in realtà si limitano a far cena dovunque caca il capitale. Se le idee critiche emergenti dal movimento non hanno ancora assunto la forma di progetto alternativo e costruttivo, le ragioni sono varie; innanzi tutto il movimento non si è ancora liberato dalle ideologie del passato ma è in via di liberazione, in secondo luogo dopo un secolo di “realismo socialista” l’avventurarsi nel regno del possibile è un’impresa psicologicamente ardua, in terzo luogo la perversione delle forze produttive è giunta a un tal punto che la “ricostruzione” appare un’opera immane: la distruzione dell’ambiente naturale e sociale operata dal capitalismo è così profonda da ingenerare quasi rassegnazione come di fronte a un processo irreversibile; ma c’è soprattutto una ragione politica: le forze del passato sono bene organizzate e specializzate nell’arte della morte – i lager tedeschi fumano ancora. D’altra parte vi sono ragioni altrettanto decisive per la nascita di questo progetto: se il movimento non saprà proporre a tutto il resto della società il suo progetto per uscire dalla crisi generale ne sarà travolto anch’esso o, il che è lo stesso, le sue idee finiranno coll’essere pervertite lungo canali putridi (basti pensare alla perversione della spinta sessantottesca nei “consigli” fasulli di quartiere, di fabbrica, di scuola ecc., il che, a dire il vero, dimostra che i berlingueriani fanno cena anche dove cachiamo noi). Certamente il nostro metodo di elaborazione non dovrà essere quello dei berlingueriani che hanno affidato il loro progetto a medio termine a quattro o cinque “intellettuali superorganici” e l’hanno fatto poi stendere da quel genio leonardesco che è Achille Occhetto, col risultato che ora se ne vergognano e lo fanno leggere solo al vescovo di Ivrea. La presenza critica, costruttiva, utopistica è una condizione necessaria ma non sufficiente, una tale presenza oggi non può diventare egemone se parallelamente ad essa non si sviluppa una presenza critica, negativa, distruttiva dei processi in corso. La critica distruttiva, la critica delle armi è l’unica forza oggi che può rendere credibile e attendibile qualsiasi progetto. Di fronte, il movimento non ha degli interlocutori ma le forze della distruzione e della morte, e quanto più è profonda la crisi economica, sociale, politica e morale tanto più le forze del passato si uniscono nella stretta finale. Lo Stato, per queste forze, è l’ultima spiaggia; il processo di concentrazione deve essere ormai esteso anche alle idee: la classe dei rinnegati, integrandosi, non può lasciare spazi all’opposizione. Checché ne dicano o ne strillino gli occhettiani nostrani (hanno fatto il vuoto attorno a Bologna, inorriditi dalla “primitività” delle analisi d’oltralpe) in Italia come in Germania è in atto la formazione di maxipartiti o partiti di regime dove “pluralismo” è il classico termine orwelliano per indicare la persistenza di bande che vogliono accaparrarsi o conservare TUTTA la gestione di QUESTO sistema. Le forze sociali e politiche sempre più autonomizzate dalle masse e sempre più dipendenti dallo Stato non hanno altra arma che il “consenso” forzato, imposto col terrore per arginare in qualche maniera l’antagonismo crescente. L’originalità della situazione italiana, rispetto a quella tedesca, ad esempio, è l’ampiezza di questo fronte interno, l’esistenza di un movimento che non isola la guerriglia ma ha anzi un effetto moltiplicatore della sua diffusione. Azione Rivoluzionaria è nata con un occhio rivolto all’esperienza della Raf e alle sue analisi dei processi in corso nella Germania Federale e con l’altro ai caratteri e alle forze del movimento in Italia che non trovano espressione armata nelle organizzazioni che attualmente conducono la guerriglia. È una coalizione di forze statuali che va battuta, non una singola forza: le pistolettate contro Ferrero non erano rivolte contro un agente attivo della controguerriglia psicologica, uno dei tanti, ma contro questa coalizione e contro questa campagna di menzogne, calunnie e delazioni con cui si tenta di isolare moralmente e politicamente il movimento, una campagna avviata proprio dal PCI a Bologna e Roma, a sostegno aperto e copertura dei servizi di sicurezza. Lasciare libertà di azione a una delle forze della coalizione significa far funzionare questa nel suo meccanismo essenziale, copertura a sinistra del terrorismo di Stato e azione di recupero delle forze sociali esterne, schiacciate dalla concertazione, una volta private della loro espressione politica. L’opera dei servizi di sicurezza e di Pecchioli per eliminare fisicamente la guerriglia fa tutt’uno con gli appelli di Trombadori e soci per togliere qualsiasi identità politica ai guerriglieri, insieme costoro preparano il terreno ai recuperatori, alle leghe gialle dei disoccupati, al nuovo movimento universitario di Occhetto, alle serenate ai non garantiti di Asor Rosa. Aguzzini e recuperatori svolgono compiti distinti di un progetto comune, di cui si vedono già le sembianze nei supercarceri in costruzione. Non a caso l’eco enorme suscitato dalle pistolettate a Ferrero ha spento l’eco degli attentati al carcere di Livorno e al supercarcere di Firenze. La nuova coalizione si guarda bene dall’ostentare, a ludibrio del terrorismo, i gravi danni subiti da un supercarcere: non è ancora giunto il momento di mostrare in pubblico (se verrà mai) le uniche creazioni del compromesso storico: i lager dove potrà assassinare in silenzio i suoi nemici, come in Germania; per il momento si limita ad ostentare le gambe ferite di un suo pennivendolo. Rifiutare quello che abbiamo definito il mito del proletariato industriale-classe rivoluzionaria non significa non condividere le azioni che le Brigate Rosse e Prima Linea compiono per alleggerire la pressione che il capitale esercita sui lavoratori per conservare il proprio dominio; le azioni volte a punire i disciplinatori o a indebolire l’accumulazione sono fondamentali per permettere alle minoranze rivoluzionarie presenti in fabbrica di prendersi la loro libertà di azione, l’essenziale è che ciò non costituisca un ennesimo tributo al mito e un pericoloso condizionamento al punto di vista “operaio”, col risultato di far funzionare il meccanismo essenziale della coalizione. A quanti arricciano il naso (e sono molti nel movimento anarchico) di fronte alla costituzione di un gruppo clandestino, noi rispondiamo che i pericoli di centralizzazione, burocratizzazione e alienazione storicamente si sono rivelati più consistenti nelle organizzazioni “legali” dove addirittura questi pericoli sono divenuti una solida realtà. A quanti coltivano ancora illusioni non violente, se le nostre argomentazioni non sono state sufficienti, chiarezza sempre maggiore verrà dallo Stato e dal suo apparato terroristico. Per quanto ancora in formazione, le nostre idee organizzative tendono verso un modello noto nel movimento rivoluzionario, sperimentato in Spagna negli anni ’30 e adombrato nei “collettivi” e nelle “comuni” dei radicali americani: pensiamo a gruppi di affinità dove i legami tradizionali sono rimpiazzati da rapporti profondamente simpatetici, contraddistinti da un massimo di intimità, conoscenza, fiducia reciproca fra i loro membri. Sia che nascano su basi locali, dall’incontro sperimentato e collaudato di varie storie personali, o su basi diverse, i gruppi devono essere mantenuti necessariamente piccoli, sia per permettere quelle caratteristiche sia per garantirsi contro le infiltrazioni. Il gruppo di affinità tende da una parte ad eliminare fra i compagni rapporti di pura efficienza, dall’altro ad attenuare la divisione schizofrenica fra privato e collettivo, una divisione che è alla base, oltre che delle continue incertezze e degli abbandoni, anche dell’opportunismo e della non trasparenza nei rapporti fra i compagni.

Azione Rivoluzionaria

Gennaio 1978

Volantino distribuito a Carrara durante il terzo congresso delle Federazioni Anarchiche

Che fare?

Lanciamo un appello a tutti quei compagni anarchici, convenuti a questo ennesimo congresso, non ancora scientizzati e invecchiati anzitempo dal continuo e faticoso compito di calcare le scene, chi in veste di attore, chi di spettatore delle rappresentazioni assembleari e congressuali e a quei compagni che non abbiano già devoluto tutto il loro spirito e le loro energie rivoluzionarie ad una pratica che fa dell’attesa e della difesa le sue principali prerogative. È appunto qui a Carrara, così come a Venezia (al convegno sulla tecnocrazia), che si vogliono rinverdire i vecchi rami della confusione, dell’incapacità e della staticità del movimento. Si vorrà vedere con chiarezza, si vorrà comprendere con vero ardore. Ma purtroppo conoscendo la ormai triste storia di questi convegni (utili solo come prova a suonatori di trombone), siamo sicuri che appena balenerà nella mente di tutti i compagni la sicurezza di aver chiarito o confermato il proprio “che fare”, la realtà sarà già nuovamente mutata così tante volte per cui la ostinata sicurezza e convinzione si troverà di fronte come barriera in muro insormontabile. E allora i compagni ricadranno nella confusione, nella svogliatezza e nella delusione, o ancor peggio altri si ostineranno nei loro quadrati mentali e sentiremo, o meglio dire sentiamo, parlare di sindacato, di anarcosindacalismo: quadrato mentale ben vecchio per la società e la realtà di oggi e forse, pensandoci un po’, neanche tanto rivoluzionario per quella di ieri (ma come… e la Spagna? Oh, sì! La Spagna… ma senza la F.A.I.?!?). Oppure ancora, di lotta di classe, di organizzazione di massa; quadrato mentale ancora più putrido e decrepito del precedente, …lo chiameremo in patologia medica: “fagocitosi marxista in incosciente stato di degenere involuzione”. Compagni, cerchiamo una buona volta di rinnovarci, di essere al passo con i tempi, o meglio di prevenire i tempi. Come si può sperare di essere incisivi se i metodi di intervento, per lo più di spicciola propaganda teorica sono ormai tanto vecchi e consumati che riducono gli anarchici ad un sterile ed improduttivo movimento d’opinione, capace di mobilitarsi o su un terreno difensivo allorquando il potere lancia le sue frecciate repressive, (inutile ricordare nei suoi particolari il caso Valpreda o, peggio, il caso Marini con i suoi: “Difendersi dai fascisti non è reato, compagno Marini sarai liberato!”), oppure come “codazzo”, nemmeno alternativo, di quella burrascosa ed oscena politica dei vari ex-extra-parlamentari. Compagni, lasciamo la politica degli slogan, degli schemi, dei dati di fatto di cento anni fa: cerchiamo di essere propositivi. È un invito che rivolgiamo anche a quei compagni che accusano la nostra strategia di essere suicida. Come si può vedere il suicidio della lotta armata, quando un sempre maggior numero di compagni, lavoratori, disoccupati e sottoproletari, si ribella con le armi alla crudeltà del potere? È forse suicidio l’aver abbandonato una pratica senza strategia e tattica dei gruppi anarchici tradizionali, che non sanno come muoversi, disorientati dall’evolversi degli avvenimenti, per riabbracciare la cosiddetta “propaganda dei fatti” come esempio per generalizzare l’azione diretta? È forse suicida l’aver individuato nella lotta antinucleare, non solo una forma di battaglia in un settore specifico, magari con tinteggiature ecologiche, ma una precisa lotta contro il potere? Ed è ancora suicidio destabilizzare lo Stato in tutte le sue forme centrali o periferiche, ridicolizzandolo, mettendolo in crisi e spingendolo a mostrare il suo vero volto, fatto di coercizione e di violenza? ma prima che qualche tromba solista ormai consueta fanfari: “Ma chi sono costoro: F.A.I., G.I.A. o G.A.F.”, ci presentiamo: noi siamo anarchici, l’abbiamo già detto, la nostra è una organizzazione rivoluzionaria in cui i veri gruppi si sono riuniti a livello locale, o dall’incontro di varie vicende personali, sulla base di un’affinità tra le varie esperienze e concezioni dei compagni. Gruppi di affinità che mantengono la loro autonomia e libertà d’azione e in cui i rapporti tra compagni non sono di pura efficienza bensì caratterizzati da un massimo di conoscenza, intimità e fiducia reciproca. Quello che vogliamo è portare una critica distruttiva dello Stato, attraverso l’uso della violenza rivoluzionaria, la lotta armata, la propaganda del fatto. Vogliamo accelerare i tempi e allargare il fronte interno dello scontro per arrivare a una destabilizzazione dello Stato. Crediamo che la presenza critica costruttiva, utopistica non sia una condizione sufficiente, anche se necessaria, se parallelamente ad essa non si sviluppa una presenza critica negativa, distruttiva dei processi in corso. La critica delle armi è oggi l’unica forza che può rendere credibile qualsiasi progetto.

 

Creare organizzare 10 100 1000 nuclei armati!

Azione Rivoluzionaria

Marzo 1978.

Comunicato del nucleo armato “Rico e Attilio”

Tra il 17 e il 18 settembre 1977, il nucleo armato di AR “Rico e Attilio” ha proceduto a colpire la sede della «Stampa» di Torino e il cronista de «l’Unità» Nino Ferrero. Presso la sede del giornale di Agnelli è stato deposto un ordigno che si proponeva di provocare gravi danni alle strutture, senza tuttavia mettere a repentaglio l’incolumità delle persone; il giornalista de “l’Unità” è stato azzoppato. Con questi due interventi armati Azione Rivoluzionaria ha inteso sanzionare precise responsabilità collettive e personali in ordine alla gestione delle notizie relative alla morte dei nostri compagni Aldo Marin Pinones “Rico” e Attilio Di Napoli, caduti mentre a propria volta si accingevano a colpire la sede del giornale della Fiat, nel quadro di un’azione complessiva purtroppo tragicamente interrottasi. All’unisono, polizia e consigli di fabbrica strillano contro questo “attentato alla libera stampa” coprendo ancora una volta con un velo di menzogna la realtà delle cose, non la libertà di stampa e di comunicazione abbiamo inteso di colpire, ma la spudorata campagna di bugie e di calunnie portata avanti dai pennivendoli del regime verso il crescente movimento di opposizione proletario, coscienti che alle “armi della critica” è venuto il momento di sostituire la “critica delle armi”. La funzione delle comunicazioni di massa per il mantenimento dell’equilibrio sociale esistente e per l’estorsione del consenso è fondamentale per il regime; l’intreccio tra centri di potere economico, politico e poliziesco e diffusione di notizie sempre più fitto; ogni spazio di informazione alternativa viene precluso per la semplice ragione che le comunicazioni assumono forma rackettistica e oligopolistica: in questo assetto la stampa sedicente comunista svolge un compito fondamentale di “garanzia a sinistra”. la libertà che noi abbiamo colpito non è la libertà dei padroni e dei burocrati, la cui legittimazione ideologica viene dall’uso quotidiano di tecniche di manipolazione finalizzate al consenso, attraverso grandi mezzi di un “arco (costituzionale)” che comprende tanto «La Stampa» quanto «l’Unità», il giornale di Agnelli e quello del Pci. Con questi interventi armati abbiamo inteso e intendiamo ribadire con forza la verità sui nostri compagni “Rico” e Attilio, spazzare via le rozze calunnie sparse, troppo facilmente, sul loro conto. Rico fu combattente per la libertà e il comunismo nel suo paese di origine: il Cile. Si batte con tutte le forze contro il regime dei colonnelli di Pinochet, pagando di persona e duramente. Fuori del suo paese non si lasciò gabbare da vane parole di sostegno impotente e impugnò ancora una volta le armi, consapevole che la lotta proletaria non conosce confini nazionali. Rico lottò in altri paesi del Sud America e rifiutò l’impostura del “potere socialista” alla cubana. Combatté in Italia contro il regime democristiano e del compromesso storico, portando a compimento numerose azioni rivoluzionarie, tra le quali per citarne solo alcune che in questo momento ci conviene indicare – la distruzione delle nuove carceri di Firenze e di Livorno e l’esplosione contro l’Ipca di Cirié, azioni di grande rilievo, eppure taciute o minimizzate o calunniate o ridicolizzate dalla libera «La Stampa» di Torino. Attilio fu un compagno generosissimo, seppure giovanissimo, capace di scegliere e di volere nel magma di un mondo corroso e mendace, fatto di continui compromessi tra declamazioni dottrinarie e impegno reale, cosciente di dover superare la dicotomia tra pensiero e azione, pronto a tutto con il sicuro istinto dei giovani proletari convinto di non aver nulla da perdere ma tutto da guadagnare. Attilio partecipò a diverse azioni distinguendosi per coraggio e consapevolezza rivoluzionaria. “Rico” e Attilio sono caduti per un errore tecnico, forse imputabile alla loro brama di agire ed al fatto di avere dovuto contare all’improvviso solo sulle proprie forze. Per Azione Rivoluzionaria e per il movimento di lotta armata la loro morte è senz’altro motivo di riflessione critica, oltre che di dolore, ma non di abbandono: chi sceglie l’unica via oggi praticabile nella lotta per una società di liberi e uguali, la via armata sa in anticipo di correre rischi, sa di poter pagare con la propria vita la lotta per la vita. Ma i rivoluzionari non permetteranno mai a sciacalli della risma di Ferrero e altri pennivendoli del regime di insozzare la loro memoria, di divulgare, sotto protezione dei loro “grandi e liberi” giornali con le argomentazioni sociologiche più trite, le calunnie più infami. “Rico”e Attilio vivono nella memoria di tutti i rivoluzionari. Altre mani si protendono a raccogliere le armi loro cadute in battaglia. I loro calunniatori appaiono solo per quel che sono; vili canaglie al soldo dei servizi di sicurezza.

Costruire il movimento di lotta armata per il comunismo e la libertà

Azione Rivoluzionaria contro il governo Berlingottiano

Distruggere i lager di annientamento dei proletari

Viva Chile combattente

Viva l’internazionalismo proletario

Onore ai compagni caduti nella lotta

Raccogliamo l’esempio di Mara, di Luca, di Sergio, di Annamaria, di Antonio, di Rico, di Attilio

1977

Azione rivoluzionaria, Nucleo Armato Rico e Attilio