Tutti gli articoli di redazione

Anarchismo

2003
Dicembre
Rivendicazione azione contro Prodi, 21 dicembre 2003
F.A.I./Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare) F.A.I./Brigata 20 luglio F.A.I./Cellule contro il Capitale, il Carcere, i suoi Carcerieri e le sue Celle F.A.I./Solidarietà internazionale.
Chi siamo: lettera aperta al movimento anarchico ed antiautoritario

2004
Gennaio
Non dite che siamo pochi
FAI/Cooperativa artigiana fuoco ed affini (occasionalmente spettacolare)/Fronte Rivoluzionario Internazionale
FAI/Brigata 20 luglio/Fronte Rivoluzionario Internazionale

Novembre
Azione contro il carcere di San Vittore
Comunicato della FAI/Solidarietà Internazionale

Dicembre
Pacchi bomba alla sede del SAPPE e all’Associazione Nazionale Carabinieri di Roma.
Comunicato della FAI/Cellule armate per la solidarietà internazionale

2006
Dicembre
Quattro anni… dicembre 2006
Documento-incontro Federazione Anarchica Informale a 4 anni dalla nascita

2012
Maggio
Il marchio della Vita. Cercando una via immaginifica alla distruzione dell’esistente.
Nucleo Olga FAI/FRI, Rivendicazione azione contro Roberto Adinolfi

Tribunale di Bologna, processo Biagi. Documento di Nadia Lioce e Roberto Morandi depositato agli atti dell’udienza preliminare del 5 ottobre 2004

Avviando la stagione dei processi a seguito delle operazioni antiguerriglia del 2003 lo Stato riaffermando il suo potere e dandogli risalto mediatico, lungi dal poter celebrare una vittoria politica (pol) contro le BR‑PCC, ambisce a sfruttare al meglio i risultati militari conseguiti riversandoli sul campo di classe e riv nel tentativo di demoralizzarlo e di contrastare il peso dominante del rilancio della strategia della LA nei rapporti generali tra le classi. Ciò perché rimane irrisolto per lo Stato il problema di impedire che le istanze autonome che emergono da un’opposizione di classe rafforzata politicamente dal rilancio, si leghino con l’opzione rivoluzionaria (riv) proposta dalle BR‑PCC quale alternativa alla crisi e alla guerra imperialista (imp). Così tenta di colpire il ruolo di direzione riv che l’Organizzazione (O) svolge da 30 anni nel nostro paese, e di far fronte allo specifico impatto nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione (r/c) che ha avuto il rilancio, il quale, per la sua valenza storica, non è affatto rimesso in discussione dalle perdite subite in quest’anno dalle BR-PCC sempre possibili per le forze riv e a maggior ragione nello stadio aggregativo (SA) della Fase di Ricostruzione che attraversa il processo riv. Un ruolo di direzione, quello delle BR, svolto perché l’attacco al cuore dello Stato incide nei rapporti generali tra le classi, ostacolando la realizzazione lineare dei programmi antiproletari e controriv della BI e indebolendo la tenuta degli equilibri pol‑sociali che li sostengono contrapponendovi l’interesse generale e pol del proletariato (prol); perciò è in grado di modificare le posizioni nello scontro a favore del campo prol e riv. Una capacità quella dell’attacco nei nodi pol centrali che oppongono la classe allo Stato che emerge con chiarezza dalla rivitalizzazione che negli ultimi anni ha caratterizzato le lotte e dalla maggior tenuta dell’autonomia di classe a fronte dei continui attacchi, accerchiamenti o manovre di depotenziamento e neutralizzazione a cui vengono sottoposte nel quadro delle politiche neocorporative e della mediazione politica attestata nelle relazioni generali tra le classi. In un contesto economico e pol segnato da una crisi sempre più profonda del MPU e del dominio della BI, alla quale la borghesia nostrana non può rispondere che con programmi di intensificazione dello sfruttamento e di impoverimento e spingendo alla partecipazione alla guerra e alla controrivoluzione imp diretta dal polo dominante USA e dalla NATO, lo Stato borghese cerca di fare dell’apertura dei processi un momento di attacco politico alle BR e alla proposta della strategia della LA che rivolgono a tutta la classe e, per colpire il ruolo di direzione e la funzione riv che svolge nello scontro, nega la realtà politica del processo riv per propagandare l’irriproducibilità nello scontro attuale dell’opzione riv., della strategia della LA e dell’avanguardia rivoluzionaria. Perciò mentre costringe i processi reali nelle ricostruzioni giudiziarie strumentali al suo fine politico, cerca di utilizzare in vario modo i prigionieri, ostaggi nelle sue mani, sfruttandone le figure riv che per ciò stesso rappresentano per contrastare l’avanzamento politico nella costruzione del PCC sancito dal rilancio, da un lato contrastando e stravolgendo la condotta, inscritta nel solco storico di una tradizione centenaria, di rivendicazione della propria identità militante da parte di prigionieri rivoluzionari, e di riadeguamento politico dei militanti BR prigionieri agli indirizzi dell’O. in attività. Dall’altro, esaltando la condotta di ostaggi che lo Stato è riuscito a rendere propri strumenti nell’attacco pol alle BR‑PCC e alla classe che rappresentano, che usa per incidere a suo favore nelle contraddizioni (cd) della soggettività di classe nel processo di emancipazione dalla condizione di subaltemità politica a cui la borghesia vorrebbe condannare il proletariato. Ciò mentre vengono esercitate pressioni d’ogni genere sullo schieramento di classe, criminalizzandone preventivamente ed emergenzialmente anche le espressioni di dissenso, quale modo con cui lo Stato fa fronte all’attuale grado di approfondimento del rapporto r/c riadeguandosi ad esso, per costringere la classe ad arretrare e affinché le sue avanguardie non assumano il solo terreno, quello riv della LA, su cui può essere data risposta strategica al problema pol di trasformare i rapporti di forza (rdf) a favore del proletariato e dargli prospettiva di potere. Un piano questo su cui è coeso l’intero quadro pol e sindacale in stretto coordinamento con il Ministero dell’Interno. Inoltre, seguendo in generale una specifica linea antiguerriglia verso gli arrestati e la base sociale della LA, attraverso la minaccia di pesanti condanne e facendo di questa e dei suoi esiti favorevoli allo Stato un mezzo di intimidazione e deterrenza verso il campo di classe e rivoluzionario si cerca di depotenziare il ruolo degli interessi generali e storici del prol a partire dai quali l’avanguardia comunista combattente costruisce la progettualità riv., il rapporto di scontro con lo Stato e la BI e la stessa soggettività riv di classe. Si cerca cioè di svuotare e negare la reale sostanza della soggettività riv di classe, il percorso di rotture e salti nella soggettività di classe da una condizione di subalternità all’assunzione di responsabilità pol d’avanguardia sul terreno della guerra di classe, adeguandosi ai termini attuali del rapporto r/c e relazionandosi offensivamente ai nodi centrali dello scontro generale per raggiungere la capacità politico‑militare complessiva idonea a dirigere il processo riv.. Lo scopo di queste linee pol di attacco dello Stato alla guerriglia è di confondere lo schieramento di classe e riv., ma allo stesso tempo rivelano a quale livello radicale si collochi ormai il pericolo riv per il potere della borghesia, non potendo contrastare politicamente in altro modo la propositività della strategia della LA e la centralità che ha acquisito nella storia dello scontro di potere tra le classi nel nostro paese.

È un fatto che il rilancio dell’opzione riv e della strategia della LA con le azioni del 99 e del 2002, ha attestato la risposta riv a quanto la BI e lo Stato avevano conseguito negli anni 80 e consolidato negli anni 90 dell’esito del duplice processo controrivoluzionario, da un lato come mutamento dei rdf storici tra BI e PI, e dall’altro, sul piano nazionale, come modifica in senso neocorporativo della mediazione politica tra le classi antagoniste con la strutturazione sul piano pol‑istituzionale, con il processo di esecutivizzazione, i patti sociali e il maggioritario, della mediabilità politica degli interessi proletari solo in quanto parziali, transitori e funzionali alle istanze e agli obiettivi della BI, ovvero come stabilizzazione nei rapporti generali tra le classi della subalternità politica del proletariato come sostanza della “democrazia governante”, fattori entrambi che contrassegnano il mutamento di fase storica complessivo a cui l’avanguardia riv fa fronte e nel quale si trova ad operare. L’avanguardia riv misurandosi, in specifico con l’intervento del 1999, con il compito di ricostruire proprio in questo quadro politico‑storico, la capacità pol‑militare di immettere offensivamente nella cd dominante in quella congiuntura gli interessi generali e storici del proletariato e la sua autonomia pol., ha potuto collocarli su un punto di forza e rappresentarli nello scontro facendo fronte alle cd dello SA della Fase di Ricostruzione delle Forze Riv e Proletarie e, dando soluzione in avanti alle sue problematiche, ha aperto un varco nella difensiva su cui era attestata la classe, in un contesto di interruzione dell’intervento combattente dell’O., sotto la prolungata offensiva dispiegata dalla BI e dal suo Stato.

Il patto di Natale del 99 costituiva infatti quel passaggio di verifica e riadeguamento del Patto Sociale del 93 complementare al pacchetto Treu‑Biagi del 96 con cui l’esecutivo Prodi, i sindacati confederali e la Confindustria spalancarono le porte alla precarizzazione del lavoro. Perciò era condizione decisiva dell’ulteriore arretramento politico della classe su cui l’esecutivo D’Alema avrebbe voluto far marciare i programmi antiproletari, controriv e bellicisti della BI governandone il conflitto che suscitavano e facendo degli esiti di quel passaggio termine del necessario assestamento e nuovo avanzamento del piano neocorporativo di rapporto tra le classi di approfondimento della mediazione politica neocorporativa e base del procedere delle linee di riforma complessiva dello Stato e del suo ruolo nelle pol centrali dell’imp. Con l’azione D’Antona il disegno politico espresso nel Patto di Natale ed il suo ruolo nel programma dell’esecutivo D’Alema ricevono un duro colpo. Ne viene cioè indebolita l’agibilità politica e la coesione dell’asse DS‑CGIL intorno a cui era aggregato un più vasto equilibrio politico‑sociale che lo sosteneva e legittimava le prerogative legislative che l’esecutivo si era avocato con le leggi‑delega per riformare il mercato del lavoro con le “politiche attive” in direzione di subordinare il lavoro salariato alla massima ricattabilità; per frammentare, privatizzare e ridurre la sfera del welfare; per comprimere ancor di più il diritto di sciopero; per svuotare il contratto collettivo nazionale di lavoro e per rafforzare la rappresentanza sindacale esposta a crisi di legittimità e di capacità di controllo del conflitto, dalla sua partecipazione attiva allo smantellamento delle conquiste storiche del movimento operaio e al peggioramento delle condizioni di lavoro e salariali del proletariato, in un contesto economico strutturalmente non espansivo che ha ridotto progressivamente i margini materiali di negoziazione con cui aggirare le istanze autonome della classe. Se, proprio per il ruolo che le politiche neocorporative hanno avuto nel far arretrare le posizioni del prol., il Patto di Natale avrebbe dovuto costituire il punto di forza dell’esecutivo D’Alema e del suo programma di governo, con l’attacco delle BR‑PCC ne diventò invece il fattore di crisi. E ciò perché Massimo D’Antona ne era il garante per l’esperienza e la capacità pol maturata negli esecutivi degli anni 90 e come esperto di legislazione del lavoro nella consulta giuridica della CGIL, nel legare i passaggi di riforma della Pubblica Amministrazione, gli accordi contrattuali, il percorso di restrizione del diritto di sciopero e la regolazione del sistema della rappresentanza sindacale dei lavoratori dell’ambito pubblico, riconducendo gli antagonismi che emergevano nelle principali vertenze di quegli anni a un piano di compatibilità con i programmi riformatori e verificando negli andamenti di quegli scontri particolari la generalizzabilità degli esiti favorevoli alla classe dominante, realizzandola con l’introduzione calibrata agli equilibri tra le classi e al contenuto delle spinte conflittuali, dei contenuti neocorporativi nella legislazione del lavoro. Per questo e per trasformare complessivamente le leggi del lavoro che codificavano i rdf tra borghesia e proletariato della fase economica e pol precedente, l’esecutivo D’Alema fece di M. D’Antona il braccio destro del ministro Bassolino assegnandogli la presidenza del comitato consultivo sulla legislazione del lavoro, organismo che includeva la maggior parte delle associazioni sindacali e padronali e il cui ruolo venne svuotato dall’azione del 20 maggio 1999 e di fatto concluso, ma che avrebbe dovuto costruire tutte quelle mediazioni occorrenti a raggiungere obiettivi politici della BI che tuttora, a distanza di 5 anni, restano in parte irrealizzati, quali la sostituzione della contrattazione aziendale o locale alla centralità del contratto nazionale con la conseguente frammentazione della forza contrattuale della classe ed il suo indebolimento, ed il correlato rafforzamento dei livelli di capacità dei vertici sindacali confederali di emarginazione, e di partecipazione alla repressione delle spinte autonome della classe, e di controllo contenimento e neutralizzazione delle resistenze proletarie, con la legittimazione delle pratiche di democrazia formale idonee a garantirli.

Un ritardo pol che quanto previsto nel libro Bianco di M. Biagi intendeva colmare stringendo la radicale rimodellazione economico‑sociale e politica collegata alla riforma federale dello Stato, contando sul sostegno di un equilibrio politico‑sociale meno vincolante di quello degli esecutivi di centrosinistra. Ma, nonostante le forzature operate a seguito dell’azione Biagi dall’esecutivo Berlusconi con il patto per l’Italia e l’approvazione della legge 30 per superare i vincoli politici a cui i vertici del sindacato confederale soggiacciono nell’espletamento dei loro compiti antiproletari e controrivoluzionari, alcuni dei nodi principali non sono ancora sciolti. Anzi, il suo procedere a tappe forzate in un quadro in cui domina il rilancio della strategia della LA e ancora permane il varco offensivo aperto dalle iniziative D’Antona e Biagi, ha alimentato il conflitto di classe e accelerato la perdita di peso pol generale del sindacato, senza che siano già rimodellati organicamente i rapporti economico‑sociali tra le classi così da prevenire a monte il conflitto strutturando la subordinazione politica del proletariato né sia rodata la formula del dialogo sociale che li integra. L’affermazione ed il dispiegamento del progetto previsto dal libro bianco incontrano infatti vaste resistenze che, stante il peso dell’interesse generale e pol della classe rappresentato nello scontro dal rilancio,obbligano l’esecutivo, sindacato e Confindustria ad oscillare tra azione comune, inerzia ed azioni di forza, spinti dall’emergenza con cui premono le istanze della BI e dalla necessità di divaricare la classe dal piano riv., mentre a complicare il necessario governo della crisi e del conflitto si aprono già nuove cd a causa dell’approfondimento della crisi stessa e per come si manifesta nella debole economia nazionale e si riflette sugli esigui margini di politica economica consentiti dal bilancio statale per governarla, nel quadro dei vincoli UE e UEM definiti a sostegno della concorrenzialità del capitale monopolistico a base europea. Un approfondimento della crisi tale da prospettare il “declino” dell’economia nazionale e l’impoverimento progressivo delle condizioni di vita proletarie già avviato con le riforme del lavoro attuate in questi anni e tale da riproporre con forza al nuovo livello, e mentre lo schieramento imp porta avanti la sua guerra infinita contro i popoli che vuole sottomettere, il nodo storico dell’alternativa riv al dominio della BI.

Perciò a fronte dell’avanzamento sostanziale del processo riv prodotto dalla riproposizione nella attuale fase politica del patrimonio e della linea generale delle BR fatti avanzare al livello raggiunto dal rapporto r/c riadeguando indirizzi di fase e prassi riv, lo Stato per proseguire la sua offensiva contro la classe ha necessità di ottenere un qualche successo pol seppur parziale. Infatti i suoi recenti risultati militari contro l’O se si riflettono sull’andamento concreto del processo riv rideterminandone i passaggi, nulla possono contro il fatto politico che siano stati praticati nello scontro generale tra le classi gli indirizzi pol‑militari con cui le BR‑PCC combattono e disarticolano la progettualità della BI e gli equilibri pol che la sostengono che, nel far fronte a quanto la controrivoluzione ha attestato, rispondono alle istanze pol e strategiche della classe e delle sue avanguardie. Indirizzi che rispondono alla necessità nella fase in atto, di selezionare ricostruire e formare il complesso dei termini e dei livelli di disposizione‑organizzazione rivoluzionaria e proletaria sulla progettualità e sul programma delle BR‑PCC sulla base del contributo fin da subito alla prassi riv dell’O in termini di stretta centralizzazione politica e di responsabilizzazione complessiva sulla linea e sul programma dell’O per produrre la massima incidenza pol nello scontro generale tra le classi ed ottenerne il vantaggio ai fini degli obiettivi politico‑militari di fase.

Indirizzi che perciò mettono in grado le BR‑PCC di sostenere anche il riflettersi sulla soggettività di classe del livello attestato dalla controriv , dato politico quest’ultimo, che rende centrale in questa fase che l’avanguardia riv si faccia carico progettualmente e programmaticamente dei termini della cd costruzione/formazione e delle problematiche generali che ne scaturiscono ai fini di assestare l’iniziativa offensiva contro lo Stato e la BI e su ciò formare, attraverso le rotture ed i salti pol occorrenti, la soggettività riv adeguata a misurarsi con il complesso dei compiti di fase che ruotano intorno alla stabilizzazione dell’intervento combattente nello scontro generale tra le classi e alla ricostruzione dell’OCC che agisce da Partito per costruire il Partito e che pertanto ne costituisce il nucleo fondante.

La storia dello scontro di potere tra le classi nel nostro paese dimostra come lo Stato si muova in una sostanziale difensiva politica a fronte della strategia della LA con cui le BR dirigono lo scontro e che la soggettività riv di classe può farsi carico a livello necessario dell’opzione riv., perché questa si è attestata nelle relazioni generali tra le classi quale esito dei mutamenti sedimentati nella trentennale attività delle BR nei rapporti di scontro, per la capacità propria della strategia della LA di influire su di essi e di modificarli. Un dato pol che perciò è ineliminabile dalla controriv anche in caso di danneggiamento dell’OCC e che è il prodotto dell’essere la prassi combattente delle BR-­PCC fattore attivo del mutamento delle posizioni pol e di forza tra le classi perché svolge un ruolo di direzione rispetto agli interessi politici generali e storici del proletariato a partire dall’attacco sui nodi centrali che oppongono la classe allo Stato. Perciò lo Stato con l’avvio dei processi pretenderebbe di distorcere gli indirizzi politici e strategici di fase dell’O al pari dell’amara realtà per la classe dominante, del portato del rilancio. Rilancio che ha assestato quanto già emerso negli anni 80 con la capacità delle BR‑PCC aprendo la Ritirata Strategica di preservare e rilanciare l’offensiva contro lo Stato e la BI e di far avanzare la costruzione del PCC, assestamento che conferma che quando la rivoluzione riesce a sopravvivere e a resistere ad una controrivoluzione consegue una vittoria strategica.

I militanti delle BR‑PCC
Nadia Lioce
Roberto Morandi

Seconda Corte di Assise di Roma, Processo D’Antona e banda armata. Udienza del 7 luglio 2005. Documento dei militanti delle BR-PCC Nadia Lioce e Roberto Morandi depositato agli atti

Celebrando contemporaneamente e con celerità insolita tutti i cosiddetti processi alle Brigate Rosse, lo stato borghese ha cercato di valorizzare in qualche modo su un piano politico i risultati conseguiti dall’attività antiguerriglia negli ultimi due anni, per farli pesare sugli stessi militanti BR e rivoluzionari prigionieri, in termini controrivoluzionari nello scontro generale in mancanza di risposte politiche possibili a quanto la strategia della lotta armata ha reimmesso nello scontro di classe, ovvero l’alternativa proletaria della conquista del potere per la costruzione del comunismo, alla crisi della borghesia imperialista e alla sua incapacità di prospettare altro che crescente sfruttamento, impoverimento e regresso sociale, guerra e controrivoluzione. Infatti le risposte degli esecutivi che si sono succeduti dal ’99 ad oggi, strette tra l’urgenza delle istanze della borghesia imperialista nella crisi e il portato complessivo del rilancio dell’attacco delle BR-PCC allo stato in dialettica con l’opposizione di classe, non sono affatto riuscite a recuperare l’erosione degli equilibri politici e sociali che hanno sostenuto la progettualità della borghesia imperialista e i programmi di riforme economico-sociali e dello stato necessari per rafforzare il suo dominio, governare la crisi e sostenere l’impegno guerrafondaio e controrivoluzionario nello schieramento imperialista guidato dagli USA, in prima fila per trarne margini economici per il debole capitalismo monopolistico nostrano.

Né l’iniziativa delle parti sociali, è riuscita a ricucire linearmente e in tutta la sua profondità il tessuto di relazioni neocorporative lacerato dall’intervento politico-militare dell’Organizzazione in dialettica con l’opposizione di classe alle riforme. Del resto il dato politico che ha qualificato il rilancio e il suo essere attestazione della risposta rivoluzionaria a quanto la borghesia imperialista e lo stato avevano conseguito negli anni 80 e consolidato negli anni 90 dell’esito del duplice processo controrivoluzionario. da un lato come mutamento dei rapporti di forza storici tra proletariato internazionale e borghesia imperialista a favore di quest’ultima, e degli equilibri internazionali a favore della NATO. Dall’altro, sul piano interno, con il ridimensionamento del ruolo della strategia della lotta armata, come trasformazione in senso neocorporativo della mediazione politica tra le classi antagoniste con la strutturazione mediante i processi di esecutivizzazione, i “patti sociali” e il maggioritario, della mediabilità degli interessi proletari, solo in quanto parziali e transitori, e funzionali a istanze e obiettivi politici della borghesia imperialista. Una trasformazione che è stata passaggio dall’istituzionalizzazione del conflitto di classe, corrispettiva a determinati rapporti di forza e politici storici, operata nel quadro della democrazia rappresentativa a carattere parlamentarista, alla “istituzionalizzazione” della prevenzione del conflitto stesso, ai fini del dispiegamento dell’offensiva della borghesia sulla classe per rafforzare il suo dominio e strutturare una subordinazione politica del proletariato a fronte dell’approfondimento della crisi, della debolezza del capitale monopolistico e dell’economia nazionale e nella polarizzazione degli interessi antagonistici che producono. Un quadro di scontro nelle cui evoluzioni la soggettività rivoluzionaria che si è rapportata agli indirizzi politici e strategici praticati e proposti alla fine degli anni ’80 dalle BR-PCC riconoscendone la direzione rivoluzionaria dello scontro di classe, avviò negli anni 90 la disposizione e organizzazione delle forze aggregate per costruire l’iniziativa rivoluzionaria e la tenuta e avanzamento delle forze stesse. La valenza della linea praticata a suo tempo dai Nuclei Comunisti Combattenti è consistita nel non essere fondata sui limiti soggettivi delle avanguardie aggregate ad cui potevano essere rielaborate concezioni strategiche basate su teorizzazioni che non hanno fondamento politico nello scontro, ma sul ritenere che la valenza storica delle BR e della strategia adeguata a portare avanti la rivoluzione proletaria, fosse rappresentata proprio dalla proposta politica che avanzavano. Questa posizione è stata politicamente forte perché nel rapportarsi allo scontro riferendosi all’espressione più matura del processo rivoluzionario, datasi nello scontro stesso, era quella adeguata a sottrarsi all’arretramento prodotto da una fase politica a carattere controrivoluzionario. La difficoltà a coagulare forze rivoluzionarie e proletarie per riprodurre capacità di iniziativa rivoluzionaria non era infatti casuale, né temporanea, ma prodotto storico della sedimentazione nello scontro di classe di un processo controrivoluzionario che si rifletteva in varie forme sulla soggettività del proletariato e nel campo di classe e rivoluzionario. L’aspetto principale nell’avanzamento delle condizioni di fase doveva essere perciò intervenire nei termini politici dello scontro di classe rilanciando la propositività dell’iniziativa rivoluzionaria come unico piano per praticare un’opzione di potere che nel rapporto di scontro con lo stato non può che avere caratteri politicamente offensivi e quindi oggi non può che assumere carattere politico-militare e d’avanguardia. Gli attacchi realizzati dagli NCC non furono una generica espressione di antagonismo o di resistenza armata, ma riferiti ai criteri dell’attacco al cuore dello stato, l’attacco nei nodi politici centrali dello scontro tra classe e stato, ha costituito un criterio che ha permesso di collocare e impostare l’iniziativa combattente su un piano che consentisse di far avanzare una prospettiva di potere e in ciò rappresentare gli interessi generali e storici del proletariato e di organizzarsi e formarsi su una tendenza che poteva portare l’avanguardia rivoluzionaria ad assumere un ruolo che andasse nella direzione di costruire il Partito Comunista Combattente. Un processo niente affatto scontato, il cui reale avanzamento ha avuto come punti di forza il rapporto politico con il patrimonio storico delle BR e il fatto che l’azione combattente dei Nuclei nelle intenzioni della soggettività rivoluzionaria era condizionata dal dover essere funzionale a produrre forze e potenzialità da organizzare e formare a un livello di capacità offensiva superiore per rilanciare l’attacco al cuore dello stato. Così che a partire dall’esperienza degli NCC, sulla direttrice che hanno seguito, l’avanguardia comunista combattente sia riuscita ad arrivare a portare l’attacco al cuore dello stato e in questa fase storica, ha già pronunciato una parola definitiva rispetto al ruolo della proposta politica delle BR-PCC nello scontro di classe nel nostro paese. È per questo che la controrivoluzione ha voluto sostenere l’esistenza di una continuità soggettiva diretta tra militanti BR, in specifico prigionieri e rilancio. Se questo è infatti ciò che la strategia rivoluzionaria ha prodotto sullo stato partendo da zero può significare solo che gli eventi politici espressi da questa proposta rappresentano effettivamente la direzione teorica dello sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro paese, per cui possono essere ripresi e rilanciati anche a seguito di una fase in cui la controrivoluzione aveva assunto politicamente non solo la fine delle BR ma anche quella della lotta per il potere da parte del proletariato. La maturità raggiunta dal patrimonio delle BR è il frutto degli avanzamenti conseguiti dal misurarsi con la controrivoluzione degli anni 80, e seguito dall’apertura della Ritirata Strategica ed in particolare dal riferire strettamente la linea di combattimento fondamentale della guerriglia, l’attacco allo stato, affinché in questa fase rivoluzionaria abbia il massimo dell’incidenza politica, strettamente ai criteri di centralità del progetto dominante, selezione del personale perno dell’equilibrio politico a suo sostegno e calibramento ai rapporti di forza interni e internazionali, nonché allo stato delle forze rivoluzionarie e proletarie e alla loro disposizione sulla lotta armata. Criteri che impostano cioè la linea di combattimento sulla quale in questa fase si articola il programma politico di attacco allo stato e di costruzione del Partito e ai quali è collegata la comprensione più profonda del ruolo e natura dello stato, oltreché come organo della classe dominante e sede dei rapporti politici tra le classi, anche come rapporto politico e prodotto dello scontro tra le classi, per cui la distruzione dello stato come parte della natura del processo rivoluzionario, ha potuto e dovuto essere intesa non riduttivamente solo come distruzione dell’apparato statale, né, più correttamente, come distruzione (disarticolazione) del progetto politico dominante, ma senza considerarlo centrale non solo perché rispondente alle esigenze della borghesia imperialista come programma genericamente funzionale all’affermazione dei suoi interessi, ma perché nel rispondervi è progetto capace di realizzare l’inclusione del proletariato nella dinamica politico-istituzionale e quindi di garantire il rapporto politico tra le classi che lo stato borghese moderno nel quadro dei caratteri odierni dell’imperialismo assicura e con ciò la subalternità politica della classe dominata (e con ciò quindi svolge la concreta funzione di controrivoluzione preventiva). Eludere, nella considerazione del ruolo e delle politiche dello stato (inteso come istituzioni politiche e sociali nel loro complesso, non solo dunque lo stato in senso stretto, come “organi” costituzionali, ordinamento, etc. ma anche ciò a cui lo stato riconosce funzione pubblica), il ruolo che lo stato ha nell’esercitare il dominio politico della borghesia in chiave controrivoluzionaria impedisce infatti di comprendere che il programma politico di lotta contro lo stato rappresenta la possibilità di trasformare la lotta di classe in lotta di classe per il potere, cioè in guerra di classe, piano su cui la rappresentanza degli interessi generali del proletariato diventa programma politico concreto. Un’elusione da cui derivano necessariamente concezioni che separano la costruzione del proletariato sul piano dello scontro rivoluzionario su linee e modalità “politicamente” distinte dall’attacco politico-militare che viene realizzato, fino a ridurla a problematica organizzativistica, non essendo stata individuata la funzione politica anche rispetto alla lotta di classe che svolge l’attacco politico-militare, proprio perché lo stato non è stato considerato come rapporto politico tra le classi antagoniste che ha proprio in quanto tale una funzione controrivoluzionaria strutturale che dovrebbe impedire alla classe di sviluppare tendenze rivoluzionarie.

Rapporto politico che peraltro è un prodotto del complessivo scontro storico tra le classi e che perciò si è costruito-istituito in quanto e nella misura in cui ha capacità di reggere e sconfiggere le tendenze rivoluzionarie e che scaturiscono dalla oggettiva collocazione antagonista del proletariato nei rapporti sociali; è calibrata quindi ai rapporti politici e di forza che nello scontro si sono dati e deve diventarlo, non lo è sempre già a priori, ai rapporti che via via si determinano. È principalmente la centralità di questi termini che hanno costituito contenuto teorico degli avanzamenti raggiunti dalle BR-PCC nello scontro, che il rilancio ha potuto ricostruire nello scontro di classe il ruolo del programma politico di attacco allo stato, che per la strategia della L.A. praticata e proposta dall’Organizzazione non è mai stato impostato genericamente come mera espressione di un antagonismo di interessi e politico, nel perseguire in particolare in questa fase l’obiettivo storico di distruggere lo stato attraverso un concreto processo di disarticolazione politica operata con l’attacco militare alla progettualità politica nemica che si afferma come centrale nell’affrontamento delle condizioni dominanti che oppongono le classi nelle varie congiunture e fasi politiche in relazione ai nodi della crisi e del dominio della borghesia imperialista, progettualità che costruisce l’equilibrio dominante per far avanzare le linee di programma dello stato borghese.

Un attacco che, in quanto ha questo indirizzo politico generale, può assumere centralità nello scontro di classe, costituire un rapporto di forza esercitabile e finalizzabile a incidere sul piano su cui lo stato si rapporta alla classe, che è quello dello scontro di potere, colpendone il progetto e disarticolandone l’equilibrio politico con cui sostiene questo scontro e per come si articola nei suoi nodi-passaggi per irradiarsi nel complesso delle relazioni tra le classi, ed essere concreto esercizio di direzione rivoluzionaria del PCC in costruzione. Ovvero è il suo contenuto politico ciò che lo mette in grado di trasformare lo scontro di classe in scontro di potere, rispetto agli interessi generali contrapposti, al rapporto di forza, alla prospettiva storica aperta dalla realizzazione del programma di attacco allo stato e in guerra di classe in relazione alle fasi che il processo rivoluzionario matura. Un programma politico di disarticolazione dell’azione dello stato proposto alla classe, che definisce gli obiettivi programmatici che costituiscono nello scontro di classe il piano di lotta per il potere, e su di esso, la costruzione concreta del Partito Comunista Combattente e l’organizzazione e disposizione della classe sulla sua linea politica e programma. Disarticolazione del progetto dominante, il quale ha come sua funzione intrinseca quella di governare la crisi e il conflitto che caratterizzano il modo di produzione capitalistico e una società formata da classi antagoniste, conseguibile perché l’attacco allo stato con questi criteri, squilibra l’azione delle varie forze che concorrono a realizzarlo. L’attacco allo stato condotto con questi criteri esercita infatti una forza che non risiede nella sua sola forza militare, oggettivamente limitata nella fase di ricostruzione che si è determinata all’interno di quella più generale di Ritirata Strategica, ma, da un lato nella contraddizione dominante che oppone le classi e a cui il progetto politico dell’equilibrio politico dominante si prefigge di dare una soluzione antiproletaria e controrivoluzionaria in funzione degli interessi generali della borghesia imperialista governandone le contraddizioni antagonistiche convogliandole con un insieme di atti politici e militari nell’ambito delle compatibilità con il governo della crisi e nelle forme di rapporto istituzionalizzato con la classe. Usufruisce cioè della posizione strutturalmente difensiva della borghesia anche qualora fosse all’offensiva, borghesia che è obbligata a governare politicamente le contraddizioni di un modo di produzione e di un rapporto sociale storicamente superato. Dall’altro lato risiede nella forza politica del patrimonio politico sviluppato dalla rivoluzione comunista, dalla guerriglia e dalle BR-PCC in particolare. Motivi per cui l’attacco al cuore dello stato è linea strategica della sua disarticolazione politica, mentre il programma di disarticolazione-distruzione dello stato (e quello dialettico all’imperialismo per provocarne la completa crisi politica) e di costruzione del partito (e del Fronte Combattente Antimperialista) si realizza sulla linea politica con cui la guerriglia si relaziona alle fasi e congiunture politiche e il suo avanzamento si colloca nelle condizioni di fase dello scontro rivoluzione/controrivoluzione e si rapporta agli equilibri internazionali. Il rilancio della strategia della lotta armata è stato la risultante della tensione dell’avanguardia rivoluzionaria a portare la propria capacità offensiva e ruolo nello scontro al livello dell’attacco al cuore dello stato e della direzione rivoluzionaria esercitata dalle BR; obiettivo che ha imposto di confrontarsi con l’intero complesso delle contraddizioni e dei nodi politici che lo scontro rivoluzione/controrivoluzione poneva per dargli soluzione in avanti. Mediamente, infatti, alle spalle delle avanguardie che hanno dato vita agli NCC non c’era una storia rivoluzionaria di cui avessero memoria personale per una partecipazione diretta o, quando c’era, era ridotta fondamentalmente agli anni ’80, quindi tutta interna allo scatenamento dell’offensiva controrivoluzionaria e alla ridefinizione in senso neocorporativo della mediazione politica dello stato con il proletariato. Il riferimento al ricentramento operato dalla O. a seguito dell’apertura della Ritirata Strategica e la migliore conoscenza di questo periodo storico, faceva assumere i principi di impianto organici e maturi a cui le BR erano pervenute, ma associandoli come corrispettivo di prassi rivoluzionaria che li concretizzava a quella attività dell’O. pubblicamente visibile nella seconda metà degli anni ’80 in particolare e quindi fondamentalmente ridotta agli attacchi politico-militari che si sono succeduti e nel ritmo che hanno avuto. Inoltre nessuno aveva una idea reale o che rispecchiasse pratiche dell’O. in momenti in cui era fortemente destabilizzata, di ciò in cui consistesse il suo lavoro politico presso avanguardie rivoluzionarie e di classe, né di come l’O. sul finire degli anni ’80 avesse concepito di muoversi rispetto al problema della ricostruzione di tutti i termini per attrezzare la classe allo scontro prolungato con lo Stato che già si affacciava. D’altra parte la discontinuità organizzativa è il dato che consente e obbliga l’avanguardia rivoluzionaria allo sviluppo di ipotesi in merito a quello che potesse essere il quadro complessivo delle attività svolte dall’OCC che si intendeva costruire eccettuato ciò che si imponeva concretamente come una necessità dal momento che si voleva costruire una organizzazione stabile, con un logistico stabile, con militanti e strutture regolari etc. Non accade diversamente alle avanguardie rivoluzionarie che dall’azione delle BR-PCC di questi anni e al massimo dai documenti con cui la rivendicano, volessero ricavarne gli elementi per capire cosa devono fare nel complesso. In queste dinamiche oggettive risiede però anche il rischio di parzialità di ciò che può essere costruito pur avendo a disposizione un riferimento d’impianto e di patrimonio politico e di esperienza storica già matura. In particolare, anche a seguito del ’99, essendo l’OCC BR un’entità in costruzione, anche il rapporto più maturo con il patrimonio storico, si produce nello scontro e non a priori, ne esso si può ridurre alla semplice conoscenza teorica, anzi nel rapportarsi allo scontro affrontando i problemi politici che la situazione storica concreta propone, avendo però finalità e un’impostazione definita, questo porta a riesaminare categorie, principi e criteri che possono sembrare noti e ovvi e che invece vengono a fornire nuove armi per rapportarsi allo scontro ma anche evidenziando quanto il patrimonio della rivoluzione proletaria in Italia espresso dalle BR abbia raggiunto un elevato grado di maturità e attualità. Un patrimonio sui termini di conduzione della guerra di classe di lunga durata che alla fine degli anni ’80 raggiunge una definizione matura che riguarda il complesso dei termini su cui si sviluppa, nella definizione della fase rivoluzionaria, negli assi programmatici d’intervento, nei criteri attraverso cui l’attacco allo Stato può produrre il massimo di incidenza relativamente agli obiettivi della disarticolazione politica dello Stato e della sua capacità di esercizio di dominio politico sulla classe (e alla forza schierabile) ma anche nei caratteri organizzativi che la guerriglia deve assumere per far avanzare lo scontro, che non si limitano ai principi fondamentali di clandestinità e compartimentazione, ma definiscono anche il modulo politico-organizzativo adeguato, gli strumenti politico-organizzativi che possono far avanzare l’agire da Partito per costruire il Partito e costruire la forza adeguata a sostenere i compiti dello scontro prolungato con lo Stato e dell’organizzazione di classe su questo piano nelle dure condizioni di accerchiamento strategico in cui opera la guerriglia nella metropoli imperialista. In esso, l’attacco al cuore dello Stato e i criteri che lo qualificano, sono un termine impostativo fondamentale di tutti gli aspetti relativi alla conduzione della guerra di classe, e il nodo attraverso cui la guerriglia, nel rapporto di guerra che mette in atto con lo Stato, può impostare la sua azione combattente in maniera tale da esercitare effettivamente il ruolo di direzione politico-militare dello scontro di classe e rappresentando gli interessi generali e storici del proletariato. Averne la cognizione però non basta per affrontare tutti gli aspetti che consentono di far sviluppare la guerra di classe in ogni fase e nel loro procedere lineare. Se questo è l’unico termine con cui ci si rapporta alla contraddizione rivoluzione/controrivoluzione ci si disarma degli strumenti politici per esercitare un ruolo d’avanguardia. È necessario infatti utilizzare questi criteri per rapportarsi alle condizioni della fase rivoluzionaria in corso. Gli NCC hanno fin dalla loro nascita riferito il rilancio della iniziativa rivoluzionaria ad un problema di fase. Nel rapporto con l’impianto delle BR-PCC questo dato era ben chiaro, come era chiaro il fatto che la conduzione dello scontro dovesse riferirsi a condizioni di fase, per poterle superare e dare avanzamento al processo rivoluzionario. Anche i criteri dell’attacco al cuore dello Stato erano stati chiari fin dall’inizio grazie ad una corretta idea generale della natura e del ruolo dello Stato. Ciò fu alla base della concepibilità del criterio dell’attacco “nei nodi politici centrali”, non indiscriminatamente, ma rivolto a colpire il progetto politico centrale sugli assi programmatici definiti nell’impianto storico. Come pure dall’inizio c’è una identificazione della funzione portante svolta dal Patto neocorporativo nell’assetto politico-istituzionale complessivo. Nel merito della categoria dei “nodi politici centrali” nell’impostare l’iniziativa rivoluzionaria, la sua funzione è stata di distinguere la propulsività di attacco sui nodi centrali dalla scarsa a non propulsività di attacchi marginali o su piani che non siano quello classe/Stato. Questa categoria esprime cioè il principio dell’attacco sul piano di classe/Stato e non in un punto qualsiasi ma in un punto centrale nei rapporti politici e di forza tra le classi. Dato che i nodi politici centrali dello scontro esistono e lì si deve collocare l’iniziativa rivoluzionaria questa categoria ha una sua validità in particolare laddove non c’era una capacità di operare un’analisi politica, storica e complessiva che consenta di identificare la contraddizione dominante che oppone le classi, l’aspetto principale. Il progetto politico e centrale e i nodi su cui questo si articola e di definire una linea politica e un programma. Il limite di questa categoria è che non include in sé gli strumenti con cui un nucleo d’avanguardia possa concepire una linea politica, una progettualità rivoluzionaria con cui condurre lo scontro, non il singolo attacco. Quindi questa categoria ha una funzione decisiva e insostituibile per avviare una prassi rivoluzionaria, ma finisce per avere un ruolo riduttivo e infine negativo se viene assunto come punto di vista, perché limita la ricerca del come sviluppare una condotta della guerra. Un limite connesso è stato identificato nell’unicità dell’attacco portato dai NCC sui rispettivi assi programmatici. Limite rispetto alla propositività politica della prassi rivoluzionaria che è data dalla capacità del combattimento di articolare la corretta linea politica, linea su cui si costruisce lo scontro di potere, mentre l’unicità di attacco o la sua episodicità limita la possibilità di far assumere al combattimento il ruolo dia articolazione di una linea politica, di un programma politico e tende a qualificare l’iniziativa rivoluzionaria esclusivamente nel suo ruolo di esercizio isolato di forza contro il nemico di classe, di espressione di autonomia politica di classe in un singolo passaggio nel rapporto con gli interessi generali del proletariato. Un limite che si riflette nei termini politici che vengono immessi nello scontro che non sono sufficienti a definire il ruolo politico della prassi combattente e la natura di uno scontro sul terreno del potere; insufficienza che può generare un processo di dialettica politica che tende a relazionarsi all’aspetto ideologico e di prospettiva che l’iniziativa apre, piuttosto che all’aspetto politico e strategico per la classe a cui viene proposta e per le forze che la realizzano, per le quali risulta sminuito il ruolo della prassi combattente come punto di sintesi dell’elaborazione politica e il ruolo stesso dell’elaborazione politica nel consentire l’incisività dell’attacco militare, con risvolti anche nella costruzione della soggettività militante e organizzativa come mancata valorizzazione del ruolo che effettivamente si esercita nello scontro rispetto agli interessi storici della classe nel dirigerla ad assumere il piano e l’indirizzo per il loro conseguimento aspetto che non contrasta la tendenza spontanea a considerare in modo particolaristico il proprio ruolo invece che in rapporto al movimento generale dello scontro. Inoltre l’aspetto principale dell’iniziativa politico-militare degli NCC non è stato il suo ruolo in sé, per l’effetto politico che produceva nello scontro per quanto delimitato potesse essere la funzione politica che finiva per assumere nella coscienza politica, era quella di iniziative rivoluzionarie funzionali a determinare condizioni politico-militari e materiali per rilanciare l’attacco al cuore dello Stato e dunque ad aggregare le forze. Era dominante un approccio meccanico al riconoscimento dell’essere nella Fase di Ricostruzione e al dovere fare i conti con il piano particolare dell’esiguità delle forze organizzate. Su questo incideva principalmente la difficoltà dell’assunzione di un punto di vista informato dall’unità del politico e del militare su tutti i piani che riduceva la possibilità di fare delle iniziative un momento di impostazione di un modo generale per affrontare tutti i complessi termini di sviluppo della guerra di classe, per inquadrare il ruolo del “combattimento” nel far avanzare il processo rivoluzionario e nel suo rapporto con lo scontro di classe in relazione ai vari piani su cui si sviluppa la guerra di classe di lunga durata, ovvero il suo essere “modo” in cui si sviluppa il processo di guerra e su cui si lavora alla costruzione del PCC (e del FCA) qualunque sia il carattere della fase. Perché per la natura dello Stato e dell’imperialismo, l’avanzamento rispetto agli obiettivi che qualificano le condizioni di fase, proprio perché fasi di una guerra di classe, si realizza sempre e comunque come concreti risultati dei combattimenti realizzati, risultati politico-militari. E gli aspetti di programma che rappresentano più specificatamente l’organizzazione della classe intorno ad esso, definiscono le proprie condizioni politiche e materiali intorno al rapporto di scontro con il nemico, avendo presente che il nemico non è un’entità militare, come in una guerra convenzionale, né una forza politica, ma è lo Stato, che ha un ruolo di governo della crisi e del conflitto con una classe strutturalmente antagonista.

In conclusione le iniziative degli NCC erano strumentali, ma dato che lo erano ad elevare la capacità di “disarticolazione” e dato che per elevare questa facoltà occorreva costruire molte condizioni politiche, militari, ecc., così che i problemi della fase comunque venivano affrontati, questa strumentalità non ha portato fuori strada, ma solo a una parzialità e relativa disorganicità. Essa ha però concretamente pesato come indebolimento della capacità di costruire una soggettività militante sulla base dell’assunzione della lotta per il potere per affermare gli interessi generali del proletariato di contro a quelli della BI, in quanto si esprimeva debolmente la “ragione sociale” del ruolo e propositività degli NCC. Una propositività che avrebbe dovuto risiedere nell’articolare la corretta linea politica su cui costruendo lo scontro di potere maturassero le rotture soggettive che portassero ad assumere un piano politico e politico-militare riferito all’imposizione degli interessi generali e storici del proletariato, come propria identità e obiettivo di lotta e a costruirsi e formarsi relazionandosi e responsabilizzandosi rispetto a obiettivi di programma politico e non solo rispetto alle attività programmatiche. Elementi inquadrabili e misurabili nei condizionamenti imposti all’epoca del rapporto con la controrivoluzione e nella durezza delle condizioni politiche e materiali che concretamente si manifestavano nelle limitate capacità soggettive e collettive sia sul piano politico che militare. Con ciò nonostante l’inevitabile contraddittorietà di un processo del genere, altre strade sono state estranee all’impianto della strategia della LA e un arretramento rispetto alle conquiste politiche maturate dal proletariato italiano sul terreno della lotta per il potere. Un processo contraddittorio che ha fatto sì che il salto all’attacco al Patto di Natale, con l’azione D’Antona, fosse sostenuto da un’idea piatta e minimale dell’attacco al cuore dello Stato e della Fase di Ricostruzione, che però, concependo e vedendo la complessità dei termini che andavano ricostruiti e vedendoli nello scontro generale, perché sulla soggettività degli NCC si rifletteva il fatto che aggregavano avanguardie di lotta che avevano fatto esperienze di conduzione di lotte e sapevano che cosa andava capito e affrontato per far muovere una forza potenziale collettiva, identifica lo stadio aggregativo che attraversa la fase. Ma alla fine questo programmaticamente si riduceva a costruire i termini politici e operativo-militari che consentivano un agire organizzato. Il che non era poco, ma non raggiungeva una dimensione politico-strategica del problema. Soprattutto era difficile concepire come il problema con cui misurarsi fosse sia quello di identificare come fare a rapportare un’opzione tipicamente offensiva, come quella che le BR propongono, a una classe in difensiva (dal momento che veniva a mancare il piano comune, quello politico soggettivamente perseguito quanto meno come obiettivo di conquista di strumenti egualitari, di garanzia, ecc. come era stato negli anni ’70 su cui istituire una dialettica che potesse consistere nell’elevare i singoli obiettivi politici all’obiettivo storico della presa del potere; non c’era niente da elevare, il piano era comune solo perché era oggettivo, non c’era una disposizione allo scontro politico della classe); sia quello di concepire un processo rivoluzionario come un processo che richiede che l’avanguardia comunista si faccia carico di portare la classe sul piano del potere assumendolo in prima persona, e non di attendere che questa ci si disponga, ne tanto meno di propagandarlo ideologicamente sul piano di scontro compresso, ma sempre presente, tra capitale e lavoro.

Con l’iniziativa del ’99 le contraddizioni di cui è portatrice la forza rivoluzionaria organizzata che la produce vengono a saturazione ponendo un problema acuto di crescita radicamento e qualificazione delle forze organizzate e la forte esigenza di trovare una risoluzione al problema della costruzione del militante complessivo che viene affrontato dall’O. nella consapevolezza della necessità di realizzare un mutamento soggettivo complessivo per assolvere al ruolo nuovo esercitato nei confronti della classe contro lo Stato. Il problema della costruzione si presentava come richiedente un affrontamento globale, eccettuati i principi di impianto perché l’esperienza e condizione raggiunta dimostravano non esserci risoluzioni riproducibili valide in questo campo e perché ora la classe guardava alle BR-PCC con interesse storico e lo Stato con interesse di annientamento primario, mentre gli NCC non erano mai entrati in rapporti di questo genere. I problemi individuati erano che fossero stati dispersi nel campo di classe i termini per concepire uno scontro rivoluzionario e combatterlo, un fatto manifesto anche nelle forze aggregate, che non ci fosse un’idea del processo rivoluzionario e di ciò in cui dovesse consistere la prassi rivoluzionaria complessiva, che la costruzione non si risolvesse con meccanismi di aggregazione e reclutamento che avviassero una partecipazione al programma che riuscisse a formare come militanti complessivi né che fosse scontato il ventaglio minimo complessivo di funzioni che una forza rivoluzionaria o il militante rivoluzionario devono assolvere per costruire le BR-PCC nel loro ruolo di nucleo fondante il Partito. L’O. comprendeva che l’assunzione del terreno della lotta per il potere non richiede solo una coscienza teorica dell’esistenza di uno scontro di potere, ma una rottura soggettiva che porti ad assumere un piano politico e politico-militare riferito alla imposizione degli interessi generali e storici del proletariato come propria identità ed obiettivi di lotta, che non si determinava con il semplice inserimento in una forza organizzata perché occorre che le forze si relazionino e responsabilizzino rispetto ad obiettivi di programma politico. E che dunque era necessario che il programma dell’O. si estendesse affinché riuscisse effettivamente a finalizzare questa attivazione dell’avanzamento degli obiettivi generali di sviluppo della guerra, e che andasse trovata, stante l’estrema esiguità delle forze della guerriglia, una risposta politica all’impossibilità di centralizzare organizzativamente dialettiche con la proposta dell’O. sia perché non raggiungibili sia perché non sufficientemente mature per essere aggregate in istanze di confronto suscettibili di sviluppo organizzativo. Che un’alternativa all’impossibilità di una centralizzazione organizzativa delle dialettiche potesse essere trovata e finalizzata a degli obiettivi era concepibile perché il percorso del rilancio parte dagli NCC e gli NCC stessi erano stati la dimostrazione della possibilità di costruirsi in riferimento alla progettualità delle BR attraverso una dialettica politica, senza un rapporto organizzativo con le BR stesse. Anzi con questo era dimostrato e in questo erano sviluppati gli elementi di impianto strategico che è possibile produrre un processo di costruzione di autonomia che sia nello stesso tempo passaggio di costruzione del Partito, perché è realizzato un piano di attivazione centralizzato politicamente, che esalta la capacità della linea politica e del programma dell’O. Di essere elementi concreti di direzione sulla classe e sul campo rivoluzionario. Gli obiettivi potevano essere quelli di un avanzamento del punto a cui erano approdate queste dialettiche, di un rafforzamento dell’autonomia di classe che le esprimeva di un concorso di qualche genere all’avanzamento degli obiettivi di fase dell’O. E potevano essere importanti anche perché anche nel campo dello schieramento di avanguardie che hanno il proprio riferimento nella proposta delle BR, si era sedimentata una posizione dominante non necessariamente espressione di opportunismo o immaturità che non l’assumeva effettivamente come proposta politico-strategica sulla quale mobilitarsi e organizzarsi pena l’inconsistenza di un apporto alla lotta rivoluzionaria ma che riteneva di poterla far vivere “prolungandola” nel movimento con la funzione di politicizzare le lotte ed elevare il loro livello, come se questo obiettivo si potesse distinguere dal problema generale e complessivo di come sostenere uno scontro con il nemico sul piano del potere. Una contraddittorietà oggettiva di orientamento che fa approdare in generale alla constatazione della propria impotenza e alla sgretolamento della propria iniziativa politica. Tali problematiche generali proprio perché generali investivano anche le forze organizzate, le soluzioni quindi avrebbero consentito anche una riqualificazione dei militanti. In sintesi dopo l’iniziativa D’Antona gli elementi di sviluppo dell’elaborazione politica si danno intorno al principio della costruzione e formazione delle forze rivoluzionarie e proletarie come da realizzare sul piano della mobilitazione nello scontro su obiettivi e contenuti politici offensivi, nei suoi punti più avanzati in prassi combattente, e in quanto tali da orientare alla centralizzazione politica e con forze organizzative rapportate al nodo dello scontro prolungato con lo Stato, quindi su un piano armato e clandestino, con forze che si costruiscono intorno al problema di operare i passaggi politici necessari a collocare la propria iniziativa nello scontro di classe e riassumibile nell’obiettivo di rendere praticabile la costruzione di NPR. Infine viene riconosciuta l’opportunità della continuità dell’attacco nei nodi centrali su cui trovava sviluppo e riadeguamento il progetto politico attaccato dall’O. Nodi che furono individuati nei passaggi di regolazione restrittiva del diritto di sciopero e della trasformazione dei rapporti contrattuali in senso favorevole alle esigenze della BI, come termini dei rapporti politici e di forza tra le classi che con la loro risoluzione antiproletaria e controrivoluzionaria avrebbero riformato l’ordinamento dei rapporti tra le classi in merito, con conseguenze complessive. E proprio per questo erano nodi centrali a cui si rapportava l’azione dello Stato che doveva operare questo processo di riforma e ristrutturazione complessiva del sistema economico-sociale e perciò doveva avere una progettualità e degli equilibri politici che consentissero di realizzare queste forzature ma anche di riorganizzare in nuove forme i rapporti tra le classi e il loro conflitto, sempre finalizzate alla subordinazione politica del proletariato e all’istituzionalizzazione del conflitto di classe, ma su un’altra base di rapporti di forza. Per tutto ciò il complesso di questi attacchi a partire dal ’99 possono rappresentare e rendere più tangibile il modo con cui l’avanguardia rivoluzionaria deve mettere in atto l’attacco allo Stato in una fase della guerra in cui l’obiettivo è quello della disarticolazione politica, e da questa capacità di produrla, determinare le condizioni politiche potenziali per poter spostare forze proletarie sul terreno della lotta per il potere. L’insieme degli attacchi ’99-01 (a cui faranno seguito l’iniziativa Biagi e l’azione siglata NPC) può farlo perché è riconoscibile nello specifico programma politico che, mettendo in atto uno scontro impostato da un obiettivo offensivo nella prospettiva della distruzione dello Stato, ha rappresentato gli interessi generali della classe e un rapporto di forza esercitabile e finalizzabile sul piano su cui la borghesia porta il suo attacco, che è quello dello scontro di potere tra le classi che si specificava su quel progetto e nei suoi nodi. Al di là del limite che nel concepire vi si sia riflessa una visione ancora riduttiva della funzione che potevano svolgere il ruolo generale che assumono le iniziative 2000-01 per l’avanzamento politico dell’O. è consistito nella funzione di indicare un possibile processo di disarticolazione collegato all’indirizzo strategico espresso dall’iniziativa del ’99, che al contempo fosse terreno di partecipazione allo scontro di potere e per il potere delle avanguardie che si dialettizzavano con l’opzione rilanciata dall’iniziativa D’Antona. Così a seguito della verifica del programma 2000-’01, la base su cui operare la trasformazione soggettiva necessaria a supportare il salto compiuto con il ’99 ruota su due aspetti:

  1. l’ampliamento del concetto di disarticolazione, fino a quel momento inteso riduttivamente, una visione riduttiva a cui non è stato estraneo nella coscienza di essere tutti interni alla Fase della Ritirata Strategica un rapporto politico riduttivo con la prassi rivoluzionaria dell’O. fino agli inizia degli anni ’80 quando l’O. si era spinta su posizioni non avanzate ma insostenibili, rapporto giustificato dalla valutazione che in quel periodo storico diversi elementi di impianto fossero inadeguatamente definiti, ciò ha portato ad escludere quel periodo come termine di riferimento per una comprensione complessiva delle indicazioni che pure emerse dallo “spingersi in avanti” dell’O. e cioè di una disarticolazione che seppur rivolta erroneamente in quel contesto contro gli apparati dello Stato, però tendeva sempre ad articolarsi e di come questo fosse un termine che indicava come il processo rivoluzionario dovesse svilupparsi e che comunque per uscire dalla Ritirata Strategica occorra costruire condizioni e posizioni che consentano questo sviluppo della guerra di classe, alle quali quindi occorre riferirsi progettualmente e programmaticamente e quindi anche nel modo in cui si costruisce forza rivoluzionaria affinché sia adeguata a questa prospettiva. Un ampliamento del concetto di disarticolazione che prima si riduceva ad effetto del singolo attacco, rispecchiando l’esperienza sociale che le forze avevano della prassi dell’O. e che ora viene ad essere intesa come risultante proporzionale di una linea di attacco in funzione della qualità, quantità e livello degli attacchi;
  2. l’ampliamento della visione dei compiti dell’OCC anche ad un piano, quello della costruzione di organizzazione che non può essere considerato un compito puramente clandestino e svolto nei rapporti privati intessuti tra le avanguardie e i militanti, essendo la condizione storica della classe di tipo difensivo e politicamente subalterno e potendo essere questa contrastata stabilmente, come alternativa necessaria e possibile, solo dall’attivazione proletaria rivoluzionaria, a carattere offensivo e autonomo, quale principale termine di battaglia politica ed efficacia per condurre battaglie politiche per linee interne al movimento di classe, che non siano solo delle iniziali premesse, sempre isolabili e accerchiabili. Con ciò diventava concepibile un’alternativa all’impossibilità di una centralizzazione organizzativa delle dialettiche originate dalla oggettività del piano di scontro comune. Infine, per quanto riguarda gli effetti delle iniziative 2000-2002 siglate Nuclei, per l’O. il punto non è stato né che le iniziative strutturassero dei nuclei nell’immediato né che producessero altri nuclei che si disponessero spontaneamente, questo sia perché non può avvenire in questa fase a carattere controrivoluzionario, sia soprattutto perché dato che l’O., proprio perché è un Partito in costruzione, ha interesse che sul piano di lotta da esso proposto, di lotta per il potere, nei modi organizzativi e di iniziativa da essa proposti e sulle linee si determini una mobilitazione della classe, a partire dalle sue avanguardie, perché se questa mobilitazione non si dà o non si sviluppa, anche la sua possibilità di costruirsi come Partito si erode e si svilisce. E che l’agire politico dell’O. non sia rivolto a determinare una disposizione spontanea di nuclei intorno alla propria azione politica, ma una disposizione centralizzata, è funzione dell’efficacia della linea politica dell’O., proporzionale allo stato dei rapporti di forza politici tra classe e Stato, per cui i risultati in questa fase sono inevitabilmente limitati e contraddittori ma ciò non può indurre al gradualismo su quelli che sono i compiti strategici di un nucleo fondante il Partito, ma deve solo esprimersi in una linearità programmatica. L’O. per superare le contraddizioni e risolvere le problematiche dello stadio aggregativo della Fase di Ricostruzione ha scelto di rapportarsi alle dialettiche che si sviluppano con la sua proposta avanzando la propositività dei Nuclei Proletari Rivoluzionari invece che un’ipotesi di aggregazione diretta intorno alle BR perché il problema in questa fase è il salto e la frattura che si deve determinare concretamente sul piano politico dello scontro, che consiste nella capacità della soggettività di classe di assumere una posizione nello scontro per il potere, concretamente. Non si tratta di istituire sedi di dibattito per verificare l’omogeneità politica sull’impianto e la linea dell’O. e la capacità di operare disciplinatamente il lavoro rivoluzionario, ma anzi il confronto con le avanguardie di classe e rivoluzionarie non può avere questo scopo se non raggiunge l’obiettivo della costruzione di una posizione sul nodo del potere perché chi non pratica già uno scontro di potere o per il potere non ha necessità di optare per la strategia valida; questa necessità esiste solo nella misura in cui si colloca nella frattura dell’assunzione di questo piano di scontro, altrimenti è sovrastruttura ideologica. E se oggi per i rapporti di forza politici che si sono determinati storicamente, solo il riferimento alla lotta armata consente di assumere questo piano, deve esserci un’attivazione che abbia connotati politico-militari organizzativi idonei a corrispondere a un passaggio di fratture e non invece idonei a un passaggio di elevamento, di riadeguamento, di candidatura al reclutamento, ecc. Per queste ragioni la proposta dei nuclei e del loro tipo di attività è stata ritenuta essere quella adatta ad istituire i termini per cui può essere impostata la formazione di una militanza complessiva, impostarne il mandato e i termini di responsabilità complessivi su cui poter costruire strutture di O. e raggiungere l’obiettivo della ricostruzione dell’OCC. Infatti il problema politico generale non è quello della riqualificazione dei militanti perché questi rappresentano ciò che è maturato e stato compresso nello scontro di questi anni, ma è ciò che deve essere fatto maturare nello scontro, che è la frattura nell’assunzione del piano politico di scontro, rispetto alla esclusione operata dalla ridefinizione in termini neocorporativi della mediazione politica tra classe e Stato e dalla irreggimentazione tendenziale del conflitto di classe. E le avanguardie rivoluzionarie si possono formare e verificare come militanti complessivi perché praticano e propongono questa frattura e costruiscono la propria capacità di conduzione della classe su questo terreno non secondo un indirizzo qualsiasi, ma nella misura in cui sono capaci di riferirsi alla linea e al programma dell’O. diventano efficaci in questo ruolo. Una linea politica con questo carattere si relaziona al dato di fase che se non viene logorata questa mediazione politica, a partire dalle fratture d’avanguardia, non si dà nessuna uscita dalla Ritirata Strategica perché le posizioni perse per l’inadeguatezza della forza rivoluzionaria costruita, e quindi perciò non assestabili, non sono riconquistabili fuori da un quadro di scontro complessivo che non abbia conseguito delle trasformazioni sostanziali che riguardano la posizione della classe nello scontro rispetto allo Stato che rovesci l’effetto controrivoluzionario della sconfitta inflitta alle forze rivoluzionarie che venne riversata sulla classe. Del resto, questo indirizzo poteva essere la risposta politica cercata da una forza come l’O. senza un’organizzazione assestata, un dato particolare che rappresenta il generale della costruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie un problema strategico e non solo di fase, perché ci saranno sempre avanguardie rivoluzionarie e di classe non formate su un piano di scontro politico, non attrezzate dagli strumenti che solo il Partito, o il PCC in costruzione, può mettere a disposizione, il problema dunque è generale e non può avere una soluzione semplicemente operativa, ma deve essere politica, deve essere assunto politicamente il dato necessario e che si riproduce fino a che non si possiede effettivamente il Partito.

Inoltre, a maggiore ragione per un Partito di quadri che è in costruzione, non è completo, non è ovunque funzionante e funzionale, si impone di esercitare il proprio raggio d’azione in misura più ampia di quanto non riesca a fare per sua azione operativa diretta. Deve avere quindi funzione di stimolo e coagulo al fine che le forze potenziali si mobilitino nel migliore dei modi e questo deve essere perseguito progettualmente e non deve essere una mera risultante della sua azione. E nella misura in cui riesce a farlo, da un lato ottiene che la sua proposta si espande nello scontro come concreta espansione dell’attacco, della disarticolazione e della costruzione di forze rivoluzionarie, dall’altra che le dialettiche politiche e le potenzialità organizzative si sviluppano. Un aspetto reso più rilevante dal fatto che il problema per tutta una fase non è mai solo quello della mobilitazione di un numero sempre maggiore di avanguardie rivoluzionarie sul programma dell’O., né di semplice reclutamento di ulteriori militanti per completare o rafforzare delle strutture, ma di integrazione di militanti, con caratteristiche di quadri affinché si possa dar vita a delle strutture. Con questi elementi di indirizzo, che insieme agli approfondimenti teorici sul modulo politico-organizzativo della guerriglia, sulla natura materiale di esercito del PCC in costruzione per il carattere politico-militare di tutte le sue attività anche quelle che in sé non hanno natura militare, a partire dal dibattito politico, e con la precisazione nella funzione del metodo politico-organizzativo in riferimento a questo carattere della sua prassi l’O. realizza il suo programma di combattimento del 2002. Elementi che seppure non hanno raggiunto la sistematicità, la forma e il ruolo di una risoluzione strategica, ne hanno costituito il contenuto, attestato nello scontro. Per questo il rilancio della strategia della Lotta Armata con l’attacco ai progetti di riforma e rimodellazione economico-sociale dello Stato ha intaccato in profondità il rapporto politico neocorporativo che la borghesia aveva costruito in 20 anni nello scontro con il proletariato assestandone la subalternità. Rapporto neocorporativo che aveva costituito una linea dell’offensiva controrivoluzionaria degli anni ’80 tesa a divaricare lo scontro di classe e le istanze di potere che esprimeva, dall’opzione e dal piano rivoluzionario proposti dalle BR e che, nella misura in cui venivano inferti duri colpi alla guerriglia, diventava termine di rafforzamento politico dello Stato e della posizione dominante della BI.

L’attacco allo Stato sulle linee politiche e strategiche fatte avanzare dall’O., agendo come un cuneo nel rapporto tra Stato e classe, si è ripercosso nella dialettica con la classe aprendo un varco offensivo nella sua difensiva politicizzandone e rafforzandone la resistenza e le sue istanze e iniziative autonome che andavano a convergere intorno ai danni provocati dall’intervento dell’O., hanno approfondito al difficoltà dello Stato di ricomporre e ricucire lo strappo subito. Una dinamica che ha prevalso sui ripetuti tentativi di accerchiamento dell’opposizione di classe messi in campo dal nemico in particolare a seguito dei successi militari della controguerriglia, per riprendere la sua offensiva antiproletaria e controrivoluzionaria. Una dialettica che ha rappresentato la ricostruzione nello scontro generale tra le classi del dato politico del rapporto storicamente instaurato dalle BR con l’autonomia di classe nella fase della propaganda armata e che oggi è il prodotto di un avanzamento del processo rivoluzionario e costituisce una verifica storica di come l’avanguardia comunista combattente può far avanzare la strategia della lotta armata in questa fase. Un dato non inficiabile in alcun modo dalla dispersione di strutture rivoluzionarie in quanto la strategia per la conquista del potere adeguata a combattere le forme di dominio contemporanee dell’imperialismo, non essendo rimovibili la cause che l’hanno resa necessaria al proletariato, attinge dalla classe stessa le forze per avanzare ulteriormente, come il rilancio stesso ha dimostrato. In particolare oggi, pur in un quadro di processi aggregativi, del resto propri alla fase. L’avanguardia comunista combattente che dall’attacco muove alla costruzione e organizzazione della forze sulla lotta armata per avanzare sul piano della fase e della costruzione del PCC, dispone di superiori margini politici e verifiche di spessore strategico rispetto agli anni ’90, mentre i margini di cui usufruiva la BI hanno subito erosioni non solo sul piano interno, ma anche sul piano internazionale dove sull’equilibrio e stabilità dello schieramento imperialista pesa il portato dell’attuale crisi della coesione europea e le linee di guerra e di controrivoluzione per rafforzare, approfondire ed estendere il suo dominio non hanno affatto potuto dispiegarsi secondo i programmi previsti ma devono fare i conti con la guerriglia irakena e afghana e con la resistenza libanese e palestinese ai suoi disegni di integrazione economica e politica del Medio Oriente, che presuppongono la rinuncia di questi popoli alla proprie istanze nazionali, il loro disarmo e la loro sottomissione all’imperialismo. Ostacoli concreti che incidono sulla tenuta dello schieramento imperialista mantenendone aperte le contraddizioni.

Come militanti BR-PCC che hanno lavorato al rilancio e a ricostruire i termini complessivi politico-militari occorrenti a far avanzare lo scontro rivoluzionario siamo in quest’aula al solo scopo di rivendicare la nostra militanza e tutta l’attività dell’O e per misurarci con il compito di rappresentare gli avanzamenti del processo rivoluzionario conquistati dalla strategia della lotta armata che le BR propongono a tutta la classe.

La rivoluzione non si processa! Per questi motivi non abbiamo interesse né intendiamo presenziare alla lettura della sentenza.

Attaccare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di rimodellazione economico-sociale e di riforma politico-istituzionale teso a rafforzare il dominio della borghesia imperialista.

Lavorare alla ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie sul terreno della Lotta Armata e degli strumenti politico-organizzativi per rilanciare l’iniziativa offensiva e far avanzare i termini attuali della guerra di classe.

Attaccare le politiche centrali dell’imperialismo nelle sue strategie di guerra e controrivoluzione oggi concretizzate nell’occupazione dell’Iraq.

Lavorare alla costruzione del Fronte Combattente Antimperialista con tutte le forze rivoluzionarie e antimperialiste dell’area europeo-mediterraneo-mediorientale per portare l’attacco contro il nemico comune, facendo vivere gli interessi comuni del proletariato e dei popoli della Regione.

Onore al compagno Mario Galesi caduto combattendo per il comunismo!

Onore a tutti i combattenti rivoluzionari e antimperialisti caduti!

W la Strategia della Lotta Armata!

W l’intifada palestinese e la guerra di liberazione irakena!

Proletari di tutti i paesi uniamoci!

 

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del PCC:
Nadia Lioce
Roberto Morandi

Due interventi di militanti prigionieri delle BR-PCC critici rispetto ai contenuti espressi nell’azione contro la base Usa di Aviano

PRIMO INTERVENTO. Giuseppe Armante, Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Simonetta Giorgieri, Enzo Grilli, Franco Grilli, Flavio Lori, Rossella Lupo, Fausto Marini, Fulvia Matarazzo, Fabio Ravalli, Carla Vendetti (militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente) Gino Giunti, Vincenza Vaccaro, Marco Venturini (militanti rivoluzionari).

SECONDO INTERVENTO. Franco La Maestra (militante delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente).

 

PRIMO INTERVENTO

Riteniamo nostro dovere esprimerci con chiarezza contro criteri, analisi e posizioni politiche che nella sostanza invalidano il patrimonio nonché il contributo allo sviluppo del processo rivoluzionario prodotto dalle BR PCC. Lo facciamo come militanti BR PCC prigionieri assumendoci la nostra responsabilità a fronte anche della rivendicazione da noi fatta dell’azione contro la base Usa di Aviano del 2/9/93.

Non riconoscendoci nei contenuti che hanno sostanziato politicamente tale iniziativa, ritenendoli oggettivamente un attacco all’impianto strategico, alla linea politica delle BR PCC, un tentativo di spacciare logiche opportuniste e gruppettare come una “nuova variante” delle BR, di fatto estranee all’esperienza delle BR PCC, logiche politiche che a partire dal “nuovismo” dell’analisi della situazione internazionale, retrocedono le caratteristiche dell’imperialismo al 1914, elemento questo che oltre a rappresentare un’evidente sciocchezza sul piano dell’analisi concreta delle dinamiche imperialiste, risulta non indifferente al fine di incidere sugli stessi presupposti cardine che stanno all’origine della guerriglia, quale adeguamento della politica rivoluzionaria storicamente determinato al grado di sviluppo integrato dell’imperialismo e alle relative forme di dominio della borghesia imperialista (B.I.).

Un “nuovismo” analitico che infine vorrebbe fornire il supporto di fondo su cui vengono intaccati, nel volantino di rivendicazione dell’azione di Aviano, i capisaldi maturati nello scontro rivoluzionario degli ultimi vent’anni, in particolare quelli sviluppatisi all’interno della fase di ritirata strategica dall’82 ad oggi, facendo riemergere vecchie logiche, che non solo rimandano ad una visione generale dello sviluppo del processo rivoluzionario possibile a diversi stadi e livelli di tipo evoluzionistico, ma che nel confronto con la prassi e la teoria rivoluzionaria maturata dalle BR PCC chiariscono ulteriormente la loro natura di parto soggettivistico.

Concezioni chiaramente espresse nello svilimento della contraddizione principale classe/stato, che del resto risulta appiattita sulla problematica dell’antimperialismo. Problematica quest’ultima oltre tutto ridotta ad una visione tipicamente movimentista in cui lo stesso Fronte è proposto come una sorta di unità oggettiva e omnicomprensiva intorno ad una pratica solidaristica, un approccio che invalida i caratteri dell’internazionalismo proletario oggi e del FCA, così come attestati dalla prassi internazionalista e antimperialista delle BR.

Una logica soggettivista che in primo luogo è tesa a disfarsi della concezione dell’attacco al cuore dello stato, della negazione dei criteri della centralità, selezione e calibramento che guidano l’individuazione della contraddizione politica dominante che oppone la classe allo stato e l’attacco all’aspetto principale di questa contraddizione, vale a dire al progetto politico dominante della borghesia, e ciò è valido in ogni fase e in ogni congiuntura, poiché è solo da questa base che l’attacco al cuore dello stato risulta il perno su cui si fonda la capacità di incidere nello scontro politico e rivoluzionario da parte della guerriglia e intorno a cui si concretizza l’agire da partito dell’avanguardia combattente e si materializza il processo di costruzione del Partito Comunista Combattente in rapporto allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata in tutte le sue determinazioni, quindi non certo riducendo il processo di costruzione del PCC ad un confronto aprioristico su un generico processo di lotta armata che nei fatti lo disgiunge e lo separa dalla costruzione stessa delle condizioni politico militari idonee a sostenere lo scontro sulla strategia della lotta armata.

Così come su un altro piano tale visione fa emergere la lotta armata, soprattutto per come è delineata dalle BR PCC nella fase di ricostruzione, riproponendo la separazione fra l’agire di supposte avanguardie e la classe, invalidando di fatto uno dei cardini delle BR, la lotta armata come proposta a tutta la classe e quindi la necessità di attrezzare il campo proletario allo scontro prolungato contro lo stato al fine di sviluppare la guerra di classe e ciò a maggior ragione in una fase di scontro così complessa come l’attuale, dove l’attività dell’avanguardia comunista combattente ruota gioco forza intorno ai cardini della fase di ricostruzione definita dalle BR PCC fuori dal movimentismo e combattentismo fine a se stessi.

In ultima analisi i contenuti e i fini proposti dall’azione di Aviano non sono che un tentativo opportunista che chiaramente si pone fuori dal quadro delle problematiche odierne di riorganizzazione e consolidamento dell’avanguardia rivoluzionaria per il rilancio dell’iniziativa sul terreno strategico della LA.

Per altro lo scontro stesso ha dimostrato l’inadeguatezza di simili logiche politiche da sempre fallimentari e già messe ai margini dalla guerriglia, tanto più impraticabili oggi stante l’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, scontro che mette di fronte alle avanguardie rivoluzionarie la non aggirabilità della strategia della LA per riqualificarsi sul terreno rivoluzionario.

Detto questo, come militanti delle BR PCC prigionieri che fondano la propria identità politica nella piena assunzione dell’interezza della linea politica e dell’impianto strategico delle BR PCC, sulla base della valenza e propositività di questi stessi contenuti rivoluzionari, ribadiamo che, in riferimento ai caratteri del terreno rivoluzionario, anche nell’attuale contesto dello scontro di classe, seppure segnato dalla difensiva rivoluzionaria e proletaria, il livello più maturo raggiunto dal processo rivoluzionario si riafferma in tutta la sua valenza politica e strategica per perseguire gli interessi generali del proletariato, e questo non perché il processo rivoluzionario possa riproporsi in modo meccanico e evolutivo, ma perché quanto prodotto dalla guerriglia è divenuto parte integrante delle condizioni politiche che investono l’ambito della soggettività rivoluzionaria, quindi fattore discriminante le rotture soggettive per un verso o per l’altro.

In questo senso la riorganizzazione dell’avanguardia rivoluzionaria per misurarsi adeguatamente con il livello dello scontro attuale è condizionata a riferirsi agli avanzamenti prodotti nel corso della guerra di classe, quale prerequisito da cui partire per rilanciare in avanti lo scontro rivoluzionario.

Ma più in generale a rendere necessaria e non aggirabile l’assunzione soggettiva di quanto maturato al punto più alto dal processo rivoluzionario, sono le stesse leggi che regolano lo scontro e non consentono che il rilancio del processo rivoluzionario possa ripartire da zero, né ripercorrere forme che si sono date in fasi precedenti dello scontro, per quanto profondi possano essere i ripiegamenti delle posizioni rivoluzionarie, poiché l’instaurarsi del rapporto rivoluzione/controrivoluzione ha impresso alla dinamica dello scontro rivoluzionario uno svolgimento verso il suo approfondimento.

Una dinamica che evidenzia anche come le politiche controrivoluzionarie dello stato non abbiano potuto rimuovere dallo scontro quanto sviluppato dalla guerriglia, né azzerare le espressioni dell’autonomia politica di classe, al contrario questo portato rivoluzionario si è impresso nelle condizioni generali dello scontro rivoluzionario e di classe, una dinamica rivoluzionaria che trae le sue ragioni prime da come si è caratterizzato il processo rivoluzionario nel nostro paese, promosso, organizzato e diretto dalle BR sulla strategia della LA.

Questo a partire dall’attività combattente che le BR hanno messo in campo in dialettica con l’autonomia di classe, contro i progetti antiproletari e controrivoluzionari dello stato e contro le politiche centrali dell’imperialismo e su cui hanno sviluppato una prassi rivoluzionaria che riportando lo scontro sul terreno del potere, ha posto le condizioni per ricomporre sul programma rivoluzionario le diverse componenti del proletariato metropolitano (PM) organizzando e disponendo sulla LA i suoi reparti più avanzati, facendo così pesare nel confronto con il nemico di classe gli interessi politici e generali del proletariato.

Un’attività rivoluzionaria che in questo modo ha inciso profondamente nei rapporti politici e di forza tra le classi e che, nel corso della guerra di classe, ha maturato acquisizioni teorico-politico-organizzative divenute fondamentali per il proseguo del processo rivoluzionario, tali da imprimere al suo sviluppo un preciso indirizzo.

In sintesi, nell’aspro scontro tra rivoluzione e controrivoluzione che ha segnato il processo rivoluzionario, le BR, nell’aver dato sviluppo alle stesse fasi rivoluzionarie che fino ad oggi si sono determinate, hanno caratterizzato passaggi rivoluzionari che hanno consolidato in termini strategici il terreno rivoluzionario e che per tanto costituiscono gli elementi di continuità della guerra di classe.

Una continuità che, sul piano generale, è riferita al progetto strategico della LA che le BR hanno potuto radicare nello scontro di classe, verificandolo e precisandolo nella prassi come quello adeguato a condurre il processo rivoluzionario nelle condizione specifiche del nostro paese.

Processo rivoluzionario che, dentro ai caratteri necessariamente di lunga durata della guerra di classe, non si svolge come progressione lineare, ma al contrario in modo fortemente discontinuo a causa delle peculiarità dello scontro nei paesi imperialisti.

In questo quadro di accentuata discontinuità della situazione rivoluzionaria attuale, su cui incide il ripiegamento delle posizioni rivoluzionarie nel quale è inserito il periodo di assenza dell’attività combattente delle BR PCC, si colloca dentro quelli che sono i termini dell’andamento del processo rivoluzionario che è un processo ininterrotto per tappe, che procede per salti e rotture e che, nella successione delle fasi rivoluzionarie che si sono date dalla sua apertura, vede vigenti la fase di ricostruzione, iniziata dalle BR all’interno della fase di ritirata strategica.

Una fase, quest’ultima, a carattere generale che informa ancora il rapporto di scontro.

Ciò vuol dire che nella condizione della guerra di classe è sempre prevalente il ripiegamento delle forze nel mentre viene rilanciata la capacità offensiva della guerriglia, linee generali su cui si dà la ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie e delle condizioni politico-militari per riportare l’iniziativa al punto più alto dello scontro.

È una fase rivoluzionaria, quella odierna, i cui caratteri le BR hanno contribuito a determinare e che si caratterizza da un lato per l’ulteriore salto controrivoluzionario e antiproletario compiuto dallo stato in questi ultimi anni e che affonda le sue radici nella più generale offensiva degli anni ’80, dall’altro dall’approfondimento della crisi economica che influenza e risente a sua volta della più generale crisi sociale e politica producendo una condizione politica generale caratterizzata da un’instabilità complessiva degli equilibri tra le classi nel paese.

Se l’approfondimento del contesto di crisi economica che attanaglia la B.I. e il suo stato, nonché l’evidente polarizzazione degli interessi di classe contrapposti fra proletariato e borghesia, a cui va aggiunto in questa fase l’acuto livello delle contraddizioni interborghesi non ancora pienamente ricomposte, costituiscono gli elementi di fondo della profonda crisi politica tra classe e stato, è nei fattori specifici che ne determinano l’andamento che emerge per lo stato tutta la difficoltà nel governo del conflitto di classe.

Fattori preminentemente politici, riferiti in primo luogo alla qualità politica dello scontro di classe e rivoluzionario che si è prodotto e a tutt’oggi emerge nel paese, sia riferito alla maturità espressa dal proletariato, classe operaia in testa, e dai settori più avanzati di autonomia politica di classe, con chiare connotazioni antistituzionali, antistatuali e antirevisioniste, e sia soprattutto in riferimento al ruolo svolto dall’avanguardia combattente, dalle BR, nell’incidere su questo stesso scontro, al fine di rappresentare gli interessi generali del proletariato contro la crisi della B.I., portandolo sul terreno del potere nell’organizzare la guerra di classe di lunga durata. Dati politici per parte rivoluzionaria e proletaria, da cui emerge anche in questa fase l’estrema difficoltà da parte della B.I. e del suo stato di governare linearmente e in maniera indolore il conflitto di classe, in particolar modo se riferito al tentativo di “neutralizzare” il portato ed il peso politico nello scontro dell’attività dell’istanza rivoluzionaria e sia riferito alla difficoltà di ricomporre i rapporti conflittuali col proletariato all’interno di un reticolo di relazioni neocorporative, quale presupposto fondamentale al pieno funzionamento della “democrazia governante” nel passaggio alla seconda repubblica.

Ed è infatti sullo sfondo di questo quadro politico delle relazioni tra classe e stato, accanto al disfarsi dei vecchi equilibri politici e soprattutto nei mutamenti che a livello politico istituzionale hanno accompagnato e scandito le tappe del modo di governare il paese intorno alle esigenze della B.I., con il loro riflesso sul più generale processo di “riforma” dello stato, che è maturato lo sbocco dell’attuale fase politica e dei relativi equilibri saldatisi a livello politico e istituzionale.

Uno sbocco che si è forgiato in questi anni di feroci politiche antiproletarie e controrivoluzionarie e di strappi perseguiti nelle relazioni tra le classi, quali fattori che hanno approfondito il rapporto di scontro, segnando il punto più critico della crisi politica del paese.

In questo senso equilibri politici che dovrebbero essere interpreti e garanti per delineare e caratterizzare il salto di qualità realizzato oggi nel processo di evoluzione alla seconda repubblica.

Una svolta dentro allo stesso quadro istituzionale al fine di codificare definitivamente il processo di centralizzazione e verticalizzazione dei poteri, particolarmente evidente nel rafforzamento del potere esecutivo, prodottosi in questi ultimi anni, attraverso la legittimazione politica formale di una “maggioranza” chiamata a sostenere politicamente e sul piano di semplice ratifica legislativa un “governo forte e stabile” che ha come suo contraltare un reale e sostanziale indebolimento dei contrappesi politici operanti a livello istituzionale nelle democrazie rappresentative borghesi, nella misura in cui ruolo e prerogative del parlamento sono stati funzionalizzati all’esecutivizzazione, quale prodotto delle modifiche che sono avvenute negli assetti del potere statale e, su un piano più generale, passibile di eventuali rotture istituzionali tese ad incidere sull’impalcatura costituzionale che non può che trovare in un’ulteriore frattura delle relazioni classe/stato la sua base di forza, a partire dal fatto che il centro di gravità di un nuovo assetto costituzionale e istituzionale risiede in primo luogo nei rapporti di forza e politici tra proletariato e borghesia.

Non una liquidazione del piano formale di democrazia rappresentativa, ma al contrario, un adeguamento attraverso un maggior grado di formalità di questo piano ai canoni delle democrazie mature, che per altro con la riforma elettorale di tipo maggioritario consente alla B.I. di far pesare più direttamente i suoi interessi sul piano politico, un adeguamento tutto interno al processo di rafforzamento della dittatura borghese di carattere antiproletario e controrivoluzionario in questa fase di crisi dell’imperialismo, dell’economia capitalistica e di sviluppo della tendenza alla guerra.

Nella realtà quanto questo passaggio si realizzi fuori e contro gli interessi generali del proletariato e della classe operaia e avvenga in termini sostanzialmente divaricati dallo scontro reale, si rende evidente nel suo risvolto verso il campo proletario, nel ricorso all’irreggimentazione nel governo delle contraddizioni sociali e politiche, dalle campagne e misure di “ordine pubblico” verso i settori di proletariato e classe operaia non disposti a subire passivamente i costi politici e sociali della crisi della B.I., dalle iniziative terroristiche tese al massimo di pressione e contenimento dell’intero corpo di classe, per definire quel clima politico generale funzionale alla gestione delle scelte più apertamente antiproletarie e controrivoluzionarie dello stato, il tutto parallelamente alla ridefinizione e riattivazione, intorno al quadro di compatibilità dettato dagli interessi della B.I., che vengono spacciati per gli interessi generali del paese, della “dialettica democratica” e della sua tenuta politica dentro “nuove regole del gioco”.

Da questo divario tra governabilità formale, caratterizzata dall’alta concentrazione delle leve del potere, contestualmente all’irrigidimento della mediazione politica, e rapporti reali di scontro tra le classi nel paese, si comprende come la svolta alla secondo repubblica e l’avanzamento nel processo di rafforzamento dello stato si intrecci strettamente all’approfondimento di tutti i termini della controrivoluzione preventiva, nel rapporto politico e di scontro con la classe operaia e il proletariato intero, scontro sui cui esiti poggia fondamentalmente il salto nella fase politica che si è aperta in Italia.

Per parte borghese “irreggimentare” i rapporti politici tra le classi e, su un altro piano, rispondere alle spinte di accelerazione della tendenza alla guerra, costituiscono oggi delle necessità improrogabili e le scelte politiche dello stato non possono che ruotare intorno ai margini dettati da tali necessità, sia che esse mirino a ritagliarsi la migliore posizione possibile all’interno dei processi di integrazione economico-politica e riassetto gerarchico della catena imperialista, all’interno di una generale spinta ad una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati, di cui la partecipazione ad effettivi eventi bellici ne è il più evidente riflesso politico; sia che rispondano alla ratificazione costituzionale ed istituzionale delle modifiche apportate e da conseguire nelle modalità del governo del conflitto di classe, nel quadro di pieno funzionamento della seconda repubblica.

Così come, d’altra parte, la ristrettezza delle scelte economiche da operare a sostegno dei gruppi monopolistici attraverso imponenti trasferimenti statali, all’interno di un contesto recessivo con un’ulteriore restrizione della base produttiva e perdita di posizioni nell’economia capitalista, ben al di là della propagandistica panacea del “meno stato, più mercato”, e della formula del “rapporto privatistico” nel regolare i rapporti capitale-lavoro, evidenzia i suoi risvolti materiali nell’attacco più spregiudicato alle condizioni politiche e di riproduzione materiale della classe, nel ricondurre i legittimi interessi dei lavoratori a problemi di “ordine pubblico”.

A fronte di questo complesso quadro di scontro, dentro a quelli che sono gli stessi termini di crisi politica e sociale maturati nel paese, il risvolto proletario e rivoluzionario alla crisi della B.I. si dà oggi più che mai sul terreno strategico posto dalla guerriglia.

Il solo in grado di incidere sui rapporti di forza per modificarli in favore della classe, quello cioè, che riportando sul terreno del potere i termini dello scontro, può ricomporre le istanze di autonomia di classe che emergono dai momenti più qualificanti delle lotte operaie.

Uno sbocco necessario e possibile dato dall’attualità e valenza della strategia della LA a partire dal fatto che essa trae la sua forza di rottura dall’essere l’adeguamento storico della politica rivoluzionaria alle mutate condizioni dello scontro di classe nella metropoli, condizioni per cui il processo rivoluzionario deve essere condotto nell’unità del politico e del militare, unificando cioè costantemente il piano politico a quello della guerra.

Questo perché un’attività rivoluzionaria di classe solamente politica non può incidere sul terreno dello scontro, né tanto meno può essere consolidata, poiché il “sistema democratico borghese” è in grado di diluire e assorbire l’urto delle istanze prodotte dalla lotta di classe attraverso i meccanismi della democrazia rappresentativa, in quel “gioco democratico” in cui partiti, sindacati, sedi istituzionali, ecc. sono tesi ad incanalare sul piano istituzionale il conflitto di classe e che incorpora la controrivoluzione preventiva quale politica costante tesa a reprimere e criminalizzare le espressioni antagoniste e non assorbibili dello scontro di classe.

Un sistema di contenimento del conflitto di classe che, calibrando mediazione e annientamento, è teso a non far collimare le istanze antagoniste che si producono nello scontro col terreno rivoluzionario. In questo senso non è possibile accumulare nel tempo forza politica da riversare sul piano militare nell’offensiva insurrezionale finale.

Per questo la guerriglia deve affrontare immediatamente e globalmente l’aspetto politico e quello della guerra insiti nello scontro, sviluppando, anche se in forma particolare perché dominata dalla politica, una vera e propria guerra di classe rivoluzionaria. In questo la guerriglia ha dato superamento alle concezioni terzinternazionalista, inadeguate anche per il venir meno del “momento eccezionale” stante il quadro storico uscito dalla seconda guerra mondiale e i caratteri contemporanei del blocco integrato imperialista che non presentano i termini per un conflitto interimperialistico nelle forme e nei modi del passato.

L’unità del politico e del militare agisce perciò come una matrice che si imprime su tutta l’attività rivoluzionaria e in primo luogo sullo stesso modulo guerrigliero che, unitamente all’assunzione dei criteri di clandestinità e compartimentazione, definiscono il carattere offensivo della guerriglia.

Questi gli elementi fondamentali che presiedono all’affermarsi di una vera e propria strategia della guerra proletaria a partire dai quali le BR hanno definito la proposta della strategia della LA a tutta la classe, adeguata alle specifiche condizioni dello scontro di classe in Italia e in riferimento alle caratteristiche qualitative del movimento proletario nelle sue espressioni di autonomia politica, sostanzialmente antistituzionali, antistatuali e antirevisioniste.

Sulla base di questa impostazione le BR hanno dimostrato la capacità e possibilità di contrapporsi in termini offensivi al potere della B.I., a partire dalle linee di combattimento dell’attacco allo stato e all’imperialismo, concretizzando e consolidando la dialettica con la classe nel processo che, a partire dall’attacco e dalla disarticolazione del nemico, passa all’organizzazione delle forze proletarie e rivoluzionarie sul terreno della LA per ritornare su nuove basi, ancora una volta, all’attacco.

Ovvero, nella dialettica attacco-distruzione, costruzione-nuovo attacco, le BR hanno messo in pratica, in ogni fase dello scontro, i criteri di costruzione e sviluppo della guerra di classe, in cui la lotta armata non è appannaggio solamente della pratica dei comunisti, ma è proposta a tutta la classe, è il terreno su cui organizzarla per riportare lo scontro di classe sul terreno del potere e attraverso il quale è possibile perseguire lo spostamento dei rapporti di forza in favore del campo proletario, facendo così vivere sia nell’immediato che nella costruzione della prospettiva rivoluzionaria, i suoi interessi generali.

Una dinamica rivoluzionaria che evidenza anche come le istanze dell’autonomia politica di classe, trovando il loro terreno di risoluzione nella dialettica con l’attività delle BR, hanno qualificato i caratteri dell’antagonismo proletario.

In sintesi l’attività rivoluzionaria delle BR nel suo complesso non solo si è riflessa in termini di tenuta del campo proletario nei confronti della controffensiva dello stato, ma soprattutto ha fatto avanzare da un punto di vista strategico la guerra di classe sull’obiettivo della prima tappa: l’abbattimento dello stato borghese e la conquista del potere politico da parte del proletariato metropolitano per la costruzione di una società comunista.

Sulla linea di combattimento dell’attacco allo stato le BR assumono la concezione leninista dello stato, facendo di questa questione il centro della loro azione politica fino al suo abbattimento, questione da cui i comunisti non possono prescindere perché lo stato è l’organo della dittatura della B.I., la sede politica del suo potere, laddove trovano sanzione i rapporti di forza tra le classi.

Per le BR attaccare il cuore dello stato significa individuare e colpire dentro alla contraddizione principale che oppone la classe allo stato, il progetto dominante della B.I. nella congiuntura per rompere gli equilibri politici che lo fanno marciare.

Il danneggiamento che ne consegue provoca una ricaduta in termini di relativa forza politica che per non essere dispersa deve tradursi in organizzazione di classe sulla LA e nel consolidamento della disposizione generale delle forze sullo scontro rivoluzionario.

Una linea di combattimento che interagendo direttamente sul rapporto classe-stato è il perno su cui si articola la costruzione della guerra di classe di lunga durata.

Nel corso dello scontro, all’interno della migliore comprensione della funzione politica degli stati nei paesi a capitalismo maturo, si sono definiti i criteri dell’attacco allo stato nella centralità, selezione e calibramento come quelli fondamentali per incidere adeguatamente al livello raggiunto dallo scontro ed avere il massimo del risultato politico, tanto più a fronte dei processi di forte centralizzazione e verticalizzazione del potere che si sono dati nel corso della rifunzionalizzazione dello stato interno alla transizione alla seconda repubblica.

Criteri questi validi per molte fasi ancora dello scontro, perché solo nella fase di guerra civile dispiegata è possibile attaccare su più livelli e contemporaneamente la macchina statale.

In unità programmatica con l’attacco al cuore dello stato, l’antimperialismo è l’altra principale linea di combattimento su cui le BR dispiegano la propria attività. È in riferimento alle caratteristiche strutturali dell’imperialismo che hanno determinato storicamente le relazioni integrate e gerarchiche della catena a livello economico, politico e militare, che si sono definiti i nuovi caratteri dell’internazionalismo proletario, su cui la guerriglia ha sviluppato la sua prassi internazionalista e antimperialista.

Come affermano le BR, sviluppare il processo rivoluzionario in un paese del centro imperialista significa misurarsi immediatamente oltre che col proprio stato, anche con l’imperialismo nel suo insieme, da ciò il carattere antimperialista e la natura internazionalista del nostro processo rivoluzionario, termini che le BR fanno vivere fin da subito nella dialettica con l’autonomia di classe e nella costruzione della guerra di classe. Dentro a questi principi le BR hanno portato avanti la pratica antimperialista nell’attacco alla NATO, quale pilastro dell’integrazione politico militare del blocco imperialista, nella sua funzione di guerra interna – guerra esterna, e nell’attacco ai progetti imperialisti nell’area.

In questo modo le BR hanno lavorato alla proposta di costruzione del Fronte Combattente Antimperialista, relazionandosi a quanto la guerriglia europea ha espresso su questo terreno, e contribuendo al suo sviluppo in avanti, sviluppo che nell’unità delle forze combattenti si pone al punto più alto di ricomposizione delle diverse espressioni dell’antimperialismo militante del movimento rivoluzionario e delle lotte del P.M.

Per le BR lo sviluppo del Fronte Combattente Antimperialista si dà all’interno di una politica di alleanze contro il nemico comune, con le forze rivoluzionarie che agiscono nella nostra area geopolitica europea-mediterranea-mediorientale, sia con la guerriglia che opera nella metropoli imperialista che con le forze rivoluzionarie di liberazione nazionale, per ricomporre nella pratica antimperialista del Fronte Combattente Antimperialista l’unità oggettiva che già esiste tra la guerra di classe nel centro e la guerra di liberazione nella periferia. La costruzione del Fronte Combattente Antimperialista, quale organismo politico-militare in grado di portare offensive comuni contro le politiche centrali dell’imperialismo nell’area, è condizione imprescindibile per dare sviluppo al processo rivoluzionario nel proprio paese, in quanto solo destabilizzando e indebolendo l’imperialismo è possibile favorire le rotture rivoluzionarie. Per le BR l’obiettivo della costruzione del Fronte Combattente Antimperialista è quindi fondamentale per lavorare allo spostamento dei rapporti di forza tra imperialismo e antimperialismo in modo da far avanzare i processi rivoluzionari nell’area e nel contempo portare a compimento gli obiettivi del processo rivoluzionario nel nostro paese.

Questo chiarisce anche il rapporto dialettico che vive tra i due assi di combattimento strategici dell’attacco allo Stato e all’imperialismo, dove uno non sostituisce l’altro, ma entrambi concorrono ad assolvere le finalità del processo rivoluzionario.

L’attuale fase internazionale vede maturare, sotto la spinta del livello critico ormai raggiunto dalla crisi economica generalizzata a tutto l’ambito capitalistico, i fattori politico-militari che convergono verso lo sbocco bellico, nelle tappe che evidenziano come l’Est sia la direzione principale di questo sbocco.

Tappe che hanno trovato un’ulteriore accelerazione dentro i mutamenti degli equilibri internazionali che, a partire dal dissolvimento del Patto di Varsavia, fino agli sconvolgimenti che attraversano i Paesi dell’Est, definiscono l’attuale caratterizzazione della contraddizione Est/Ovest. Da questo contesto il blocco imperialista, USA in testa, muove all’assoggettamento di questi paesi, nella ridefinizione, nel quadro NATO, della strategia politico-militare complessiva entro cui, malgrado le disomogeneità e la conflittualità di interessi tra i diversi stati imperialisti, stringere vincoli politico-militari nella necessità di muoversi in blocco su questa direttrice.

Un quadro internazionale che rimarca come la nostra area geopolitica, Europa in primo luogo, sia ancora una volta il teatro principale del concretizzarsi della prospettiva della guerra imperialista il cuore della ridefinizione dei futuri assetti della divisione internazionale del lavoro e dei mercati, in cui oggi la guerra in Jugoslavia rappresenta il primo banco di prova dell’intervento guerrafondaio imperialista sulla direttrice Est/Ovest.

Una realtà che fa a maggior ragione dell’imperialismo e della NATO il nemico mortale del proletariato metropolitano e di tutti i popoli dell’area, una condizione da cui scaturisce ancora di più la necessità e possibilità della pratica antimperialista e soprattutto il ruolo e la valenza strategica del Fronte Combattente Antimperialista nel confrontarsi al livello di incisività richiesto dallo scontro imperialismo/antimperialismo.

L’attività combattente delle BR, misurandosi con le peculiari condizioni dello scontro rivoluzionario nelle metropoli e assumendo il criterio prassi-teoria-prassi come quello che consente di correggere gli errori, ha potuto meglio definire gli avanzamenti della progettualità rivoluzionaria, questo nel duro confronto con la controrivoluzione e nel necessario sviluppo delle battaglie politiche.

Un processo necessariamente non lineare, segnato da avanzamenti e arretramenti, successi e sconfitte, ma che ha consentito alle BR di precisare e sviluppare la loro visione dello Stato e dell’imperialismo, come più in generale la stessa visione dello scontro rivoluzionario, epurandole tanto dalle tendenze idealiste, soggettiviste ed economiciste prodottesi nella fase di espansione della lotta armata, quanto di quelle dogmatiche e liquidazioniste, figlie dell’interiorizzazione della sconfitta tattica dell’82.

Nello stesso tempo ha consentito di acquisire meglio la capacità di conduzione della guerra di classe, nella migliore comprensione delle sue principali leggi di movimento, all’interno dei presupposti che consentono alla guerriglia di operare a fronte delle peculiarità eminentemente politiche che definiscono lo scontro rivoluzionario in un paese imperialista in cui, stante le forme di dominio, la guerriglia non dispone né di basi liberate, né di retrovie stabili, ma sviluppa la sua prassi rivoluzionaria in una guerra senza fronti, nel cuore stesso del nemico, costruendo le forze materiali della rivoluzione e le sue stesse forze nella capacità di dare sviluppo e avanzamento alla guerra di classe, operando fino all’abbattimento del potere della borghesia imperialista, dentro rapporti di forza sempre relativamente sfavorevoli alla rivoluzione in condizioni di accerchiamento strategico.

Acquisizioni generali che in particolare sono state precisate durante il processo autocritico avviato nella fase di Ritirata Strategica.

Una fase che le BR hanno aperto applicando le leggi della guerra che impongono di ritirarsi da posizioni non avanzate rispetto al mutamento generale delle condizioni dello scontro e a fronte di una controffensiva senza precedenti dello Stato.

Il ripiegamento è una legge dinamica della guerra, soprattutto della guerriglia, che consente alle forze rivoluzionarie, ritirandosi, di ricostruire le condizioni politico-militari per nuove offensive.

Dentro questo principio le BR hanno riportato l’iniziativa combattente al punto più alto dello scontro, tanto sull’asse classe/Stato (Giugni, Tarantelli, Ruffilli) che sull’asse imperialismo/antimperialismo (Dozier, Hunt, Conti) e intorno a ciò hanno intrapreso il riadeguamento complessivo che ha potuto essere tale valorizzando il complesso dell’esperienza acquisita in tutto il percorso rivoluzionario delle BR, così da riproporla in avanti.

La questione fondamentale che si è riaffermata all’interno della prassi delle BR è la forza determinante della strategia della lotta armata come asse portante del processo rivoluzionario e binario guida per lo stesso riadeguamento. Per questo le BR, nel mantenimento e riferimento costante alle discriminanti dell’impianto di base, sia agli assi strategici che ai presupposti cardine della guerriglia, hanno potuto ridefinire i compiti inerenti alla conduzione della guerra di classe e avviare la fase rivoluzionaria della Ricostruzione.

Una fase che, informata dai caratteri generali della Ritirata Strategica, comporta, a partire dal combattimento, attrezzare su tutti i piani le forze proletarie e rivoluzionarie alle condizioni dello scontro al fine di ristabilire i termini politico-militari per nuove offensive, definendosi come un passaggio fondamentale nell’avanzamento della guerra di classe.

Una fase rivoluzionaria che implica, nella dialettica guerriglia/autonomia di classe, lavorare sul duplice binario costruzione/formazione, cioè ricostruzione nel tessuto di classe dei livelli di organizzazione politico-militari necessari a sostenere lo scontro contro lo Stato e, in primo luogo, formazione dei rivoluzionari stessi perché acquisiscano la dimensione dello scontro rivoluzionario a partire dalla ricca esperienza maturata dalle BR in più di 20 anni.

Una fase rivoluzionaria, quella della ricostruzione, ad andamento fortemente discontinuo, per le condizioni politico generali in cui si sviluppa lo scontro rivoluzionario, stante l’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, classe/Stato, un approfondimento che ha implicato alle BR, nel determinare le modalità con cui si dispongono e si organizzano le forze sulla lotta armata, un salto qualitativo nell’attività di direzione, attraverso la centralizzazione politica sul movimento generale delle forze (che è centralizzazione delle direttive politiche/decentralizzazione delle responsabilità a tutte le sedi e istanze organizzate) che consente che tutte le forze lavorino all’interno del piano di lavoro definito, al fine di muoverle come un cuneo sugli obiettivi perseguiti, per pesare con il massimo di incisività nello scontro.

La capacità di esprimere questo livello di direzione, in riferimento alla costruzione del complesso dei termini della guerra di classe, operando sul principio di “agire da partito per costruire il Partito”, ha posto le basi per un avanzamento del processo di costruzione del Partito Comunista Combattente, in quanto per le BR il problema della costruzione del PCC non è risolvibile con un atto volontaristico, o in cui la semplice formulazione di tesi politiche e del relativo programma è vista come sufficiente per la costituzione dell’avanguardia in Partito. Sul piano di sviluppo della strategia della lotta armata, operando nell’unità del politico e del militare, il processo di costruzione del Partito marcia strettamente in rapporto alla capacità di costruire e far avanzare il complesso delle condizioni politico-militari per il dispiegamento della guerra di classe. In altri termini il problema del partito non è ricondotto solo alla mera disposizione attorno al programma, ma a come esso vive in rapporto all’accumulo di forze rivoluzionarie e proletarie, intorno alla costruzione dell’organizzazione di classe armata, alla costruzione della direzione politica su di essa, ovvero dei quadri politico-militari in grado di affrontare complessivamente i problemi dello scontro rivoluzionario, ecc.

È quindi all’interno di questi criteri di attività e all’interno del più complessivo processo di costruzione del Partito Comunista Combattente, che le Br danno sostanza alla parola d’ordine dell’unità dei comunisti, parola d’ordine che non è intesa come unità generica sulla lotta armata, ma come un processo che ha il suo riferimento intorno all’indirizzo strategico, politico e programmatico delle BR, in stretto riferimento ai livelli teorici-politici-organizzativi che la stessa prassi delle BR ha attestato nello scontro rivoluzionario.

ATTACCARE E DISARTICOLARE IL PROCESSO ANTIPROLETARIO E CONTRORIVOLUZIONARIO DI RIFORMA DELLO STATO CHE EVOLVE VERSO LA SECONDA REPUBBLICA.

ORGANIZZARE I TERMINI POLITICO-MILITARI PER RICOSTRUIRE I LIVELLI NECESSARI ALLO SVILUPPO DELLA GUERRA DI CLASSE DI LUNGA DURATA.

ATTACCARE LE POLITICHE CENTRALI DELL’IMPERIALISMO, DALLA LINEA DI COESIONE EUROPEA, AI PROGETTI DI GUERRA DIRETTI DALLA NATO, CHE SI DISPIEGANO IN QUESTO MOMENTO LUNGO L’ASSE DEI PAESI DELL’EST EUROPA E SULLA REGIONE MEDITERRANEO-MEDIORIENTALE.

LAVORARE ALLE ALLEANZE NECESSARIE ALLA COSTRUZIONE DEL FRONTE COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA.

GUERRA ALLA GUERRA – GUERRA ALLA NATO.

TRASFORMARE LA GUERRA IMPERIALISTA IN GUERRA DI CLASSE RIVOLUZIONARIA.

ONORE A TUTTI I COMPAGNI E COMBATTENTI ANTIMPERIALISTI CADUTI.

5 giugno 1994

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente:
Giuseppe Armante, Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Simonetta Giorgieri, Enzo Grilli, Franco Grilli, Flavio Lori, Rossella Lupo, Fausto Marini, Fulvia Matarazzo, Fabio Ravalli, Carla Vendetti.

I militanti rivoluzionari: Gino Giunti, Vincenza Vaccaro, Marco Venturini

 

SECONDO INTERVENTO

I tempi sono maturi per prendere la parola. La decisione scaturisce dal desiderio di non essere associato, mio malgrado, ad un gruppuscolo di brigatisti d’accatto che con infaticabile solerzia lavorano a sbarazzarsi di un impianto strategico e di un complesso di tesi che sono il tratto tipico dell’identità strategica e politica delle BR-Pcc: un patrimonio di insegnamenti rivoluzionari verificati e maturati attraverso 20 lunghi anni di scontro rivoluzionario.

Ma soprattutto esco dal silenzio per denunciare un tentativo di coinvolgermi indebitamente in una presunta gestione collegiale del processo a coloro che rispondono alla sbarra dell’operazione alla base Usa di Aviano.

Non c’è stata nessuna discussione e decisione presa in comune poiché non mi sono riconosciuto e continuo a non riconoscermi, né nei contenuti politici, né nei criteri che hanno sostanziato tale iniziativa.

Mentire per un rivoluzionario è un comportamento inqualificabile mentre è degno del più volgare politicante borghese! Tuttavia non è mai stato patrimonio delle BR nascondersi dietro le menzogne e i sotterfugi; per questa ragione è intollerabile; per questa ragione, mi sento in dovere di denunciare; se per gestire una iniziativa bisogna ricorrere a degli espedienti così meschini e farfugliare pietosamente che la gestione processuale è stata concordata con coloro con cui si è rinchiusi assieme, si è veramente alla deriva.

Un atteggiamento simile può solo confermare tutti i dubbi e le perplessità sulla credibilità e onestà politica dell’intera operazione, ma soprattutto lascia aperti tutti gli interrogativi sull’onestà individuale di chi se la gestisce in questo modo.

Ben sanno i firmatari della rivendicazione al processo di Udine con quale fermezza mi sono rifiutato di tenere bordone a tesi politiche che sono oggettivamente un proditorio attacco all’impianto strategico e alla linea politica delle BR-Pcc.

L’operazione Aviano si è qualificata per essere un tentativo maldestro e velleitario di spacciare logiche opportuniste e gruppettare come la “nuova variante delle BR-Pcc”. Logiche politiche dai contenuti fortemente astorici che retrocedono le caratteristiche del sistema imperialista a forme e contenuto pre-prima guerra mondiale.

Ciarpame ideologico, patrimonio di certi intellettuali neo-marxisti a cui si tenta di offrire un approdo rivoluzionario.

Una analisi politica della situazione internazionale che ha la presunzione di introdurre delle novità ma che raggiunge il misero risultato di riportare l’imperialismo alla situazione precedente, alla fase in cui la situazione si contraddistingueva per la coincidenza tra gruppi monopolistici nazionali e rispettivi apparati statali ed a cui si accompagnavano conseguenti rivalità tra sistemi economici nazionali.

Se non fosse che questa “fesseria” sul piano dell’analisi del sistema imperialista e delle forme che assume non finisse per gravare sulle stesse ragioni di fondo all’origine della guerriglia nelle metropoli, in quanto adeguamento della politica rivoluzionaria al grado di sviluppo integrato dell’imperialismo e dl conseguente mutamento delle forme di dominio della B.I., non ci resterebbe che ridere di loro e dei loro vacui discorsi.

Purtroppo le implicazioni di questo genere di posizioni politiche incrinano in misura considerevole i fondamenti maturati dall’attività rivoluzionaria delle BR ma soprattutto il valore degli insegnamenti rivoluzionari tratti in questi duri e lunghi anni di lotta rivoluzionaria in Ritirata Strategica.

Un atteggiamento politico pretenzioso quanto esiziale che persegue la finalità di spacciare per nuove analisi, concezioni politiche che appartengono a una realtà storicamente superata che rimette in onore vecchie visioni rivoluzionarie di tipo evoluzionistico che al confronto con la prassi e la teoria maturata dalle BR-Pcc nel vivo dello scontro, mostrano in se una configurazione soggettivista e gruppista.

Visioni politiche da sempre rifiutate dalle BR che nascono dalla profonda sfiducia nelle capacità rivoluzionarie del proletariato e da una idea erronea che attribuisce “ad un nucleo di samurai” la funzione ed i compiti della L.A. e altrettanto soggettiviste e gruppettare perché si esprimono chiaramente nello svilimento della contraddizione principale Classe/Stato e nel suo appiattimento sulla tematica antimperialista che è ridotta ad una visione tipicamente movimentista: dove la proposta di Fronte imperialista dalla concretezza della politica di alleanze, estendibile a tutte le Forze rivoluzionarie che combattono l’imperialismo in quest’area geopolitica (Europea – Mediorientale – Mediterranea) passa ad una non meglio precisata pratica rivoluzionaria dall’indirizzo antimperialista e internazionalista di vago contenuto solidaristico.

Un approccio che invalida l’attualizzazione operata in anni di prassi internazionalista e antimperialista delle BR, dell’internazionalismo proletario in una strategia politica adeguata alle condizioni dello scontro nella metropoli imperialista e il contributo dato alla costruzione e al consolidamento del FCA quale termine adeguato ad impattare le politiche centrali dell’imperialismo nell’area.

Dall’impianto analitico assunto come guida all’azione emerge con estrema chiarezza che uno degli intenti principali è quello di sbarazzarsi di uno degli assi di programma, quale è la concezione di attacco al cuore dello stato, che va inteso nel giusto criterio affermatosi nella pratica come capacità di riferirsi alla centralità, selezione e calibramento dell’attacco e che invece vengono negati di fatto per “un’impostazione strategica” dell’indirizzo antimperialista ed internazionalista del processo rivoluzionario entro cui collocare lo sviluppo stesso della LA per la conquista del potere politico da parte del proletariato. Per le BR-Pcc è esattamente vero il contrario! La rivoluzione proletaria ha necessariamente un carattere internazionalista, vale a dire che il dovere principale di ogni rivoluzionario è di “fare la rivoluzione nel proprio paese contando sulle proprie forze”. Ma è altrettanto vero che la condizione per poter fare una rivoluzione è legata allo stato dei rapporti di forza maturati nello scontro tra imperialismo/antimperialismo, dato l’attuale grado di integrazione della catena imperialista e i conseguenti livelli di coesione politico-militare. Quindi per sviluppare il processo rivoluzionario nel proprio paese non si può non prescindere dall’indebolire e ridimensionare l’imperialismo nell’area geopolitica “Europa occ. – Mediterraneo – Medio Oriente”. La necessità del Fronte vive nella prassi offensiva che tende alla disarticolazione delle politiche dominanti dell’imperialismo per determinare condizioni di instabilità politica nell’area, funzionali al procedere del processo rivoluzionario dei singoli stati. Insomma per le BR l’attività antimperialista non ha mai significato sostituire l’intera prassi rivoluzionaria all’interno del paese e non si è mai inteso disperdere l’attività del FCA in un attacco generico all’imperialismo, ma le BR-Pcc hanno sempre svolto la politica frontista nell’individuazione dei nodi centrali, sia quando essi si esplicano nel cuore del sistema, sia quando sono volti a “normalizzare” l’area mediterraneo-mediorientale, sia quando essi si coordinano per stabilire politiche controrivoluzionarie nei confronti della Guerriglia e del FCA.

La centralità dell’attacco allo stato costituisce ora più che mai per le BR uno dei principali assi programmatici attorno a cui costruiscono organizzazione di classe sulla LA, ed esso si dà attraverso l’applicazione rigorosa dei criteri cardine di centralità, selezione e calibramento. Questi criteri risultano essere elementi determinanti perché su di essi verte l’individuazione della contraddizione ovvero il progetto politico dominante della Borghesia. Si dà efficacemente disarticolazione e se ne ha il massimo profitto politico, proprio incentrando l’attacco su tali criteri che sono sempre validi in ogni fase e in ogni congiuntura. Solo a partire da questa base, l’attacco al cuore dello stato ha la capacità di incidere nello scontro. Solo la puntuale applicazione di questi criteri permette alla attività della avanguardia rivoluzionaria di caratterizzarsi come agire da partito e di materializzarsi nel processo di costruzione-fabbricazione del P.C.C. in rapporto allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata in tutte le sue determinazioni. Cosicché la complessità del processo di costruzione-fabbricazione del Pcc non può avvenire da un confronto aprioristico su un generico processo di LA, disgiunto e separato dal compito prioritario di costruire le condizioni politiche-militari atte a sostenere lo scontro sul terreno della LA. Cade in quella separazione tra agire di supposta avanguardia e la classe. Un atteggiamento più volte bollato come erroneo e dannoso perché abbandona quello che è il referente politico al quale l’attività rivoluzionaria delle BR si è sempre rivolta ovvero il proletariato metropolitano a dominanza operaia. Proseguendo in tali ragionamenti neanche una pietra resta in piedi del “vecchio impianto” e così si finisce per non riconoscere l’importanza della periodizzazione del processo rivoluzionario, invalidando anche gli obiettivi e i compiti riconosciuti in questa fase che si dipanano lungo la direttrice della necessità di attrezzare il campo proletario allo scontro prolungato contro lo stato al fine di sviluppare la guerra di classe di lunga durata, compito che per altro si pone nell’attuale fase di scontro come prioritario e ruota giocoforza intorno al cardine della fase di ricostruzione così come delineata dalle BR-Pcc fuori dal movimentismo e dal combattentismo fine a se stesso.

Per questa ragione i contenuti e i fini preposti dall’Operazione-Aviano sono un tentativo opportunista e avventurista che si pone al di fuori dal quadro di problematiche e di compiti odierni di riorganizzazione e consolidamento delle avanguardie rivoluzionarie per il rilancio dell’iniziativa sul terreno della LA.

È lo scontro ad essersi incaricato di dimostrare l’inadeguatezza di simili logiche politiche, esaltandone la natura opportunista e avventurista stante il livello di approfondimento raggiunto dal rapporto rivoluzione/controrivoluzione.

Logiche che si sono qualificate per la loro natura opportunista perché si sono attestate su un livello possibile a partire dalle proprie condizioni piuttosto che su quello che è necessario fare per modificare i rapporti di forza attuali tra campo proletario e stato; inoltre avventuriste perché hanno affrontato il compito di sostenere lo scontro con la borghesia armata senza un adeguato strumento.

È sempre lo scontro a dimostrare che non si può evitare furbescamente che chiunque si misuri sul terreno rivoluzionario non lo faccia dentro un modulo politico-organizzativo secondo cui sono strutturate le BR. I criteri di clandestinità e compartimentazione, costituiscono i tratti caratteristici sempre validi, quindi strategici affinché ogni forza rivoluzionaria e la guerriglia nel suo complesso possa agire in tutta la sua portata rivoluzionaria in queste condizioni storiche dello scontro fra le classi.

Per le BR tutto questo complesso arco di criteri, principi, modi di esprimere prassi rivoluzionaria sono lo stile di lavoro che, in questi anni di esperienza rivoluzionaria, si è ben stagliato negli atti politici e materiali che ne hanno contraddistinto l’attività, lo spirito della militanza d’organizzazione.

Uno stile di lavoro che ha tratto la sua caratterizzazione dalla natura proletaria delle BR e dagli insegnamenti generalizzabili su questo terreno del movimento comunista rivoluzionario internazionale.

La riorganizzazione della avanguardia rivoluzionaria per misurarsi adeguatamente con il livello di scontro odierno è condizionata a riferirsi agli avanzamenti prodotti nel corso della guerra di classe dai quali non sai può sottrarre, per rilanciare lo scontro in avanti. Sono le leggi dello scontro a non consentire che il rilancio del processo rivoluzionario possa ripartire da zero nonché a dimostrare l’impraticabilità di forme già date in fasi precedenti dello scontro anche a fronte dei profondi ripiegamenti delle posizioni rivoluzionarie.

Come militante delle BR-Pcc in prigionia mi associo e controfirmo la rettifica fatta da un gruppo di militanti prigionieri il 5/6/94 condividendone interamente le ragioni, le critiche e i contenuti politici.

 

Novara 8/8/94

 

Il militante delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente
La Maestra Franco

 

Seconda Corte d’Assise del Tribunale di Roma. Dichiarazione dei militanti delle Br-Pcc Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli e della militante rivoluzionaria Vincenza Vaccaro allegata agli atti del processo “esproprio-Hunt”.

Ci sono stati nel nostro processo rivoluzionario snodi cruciali nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione che hanno richiesto all’avanguardia comunista combattente il necessario processo di riadeguamento nella definizione e precisazione degli indirizzi politici di fase per poter assolvere alla funzione di direzione rivoluzionaria dello scontro per poter condurre adeguatamente la guerra di classe di lunga durata.

Nei primi anni ’80 la scelta di aprire ad una nuova fase rivoluzionaria, la Ritirata Strategica (RS) operata dalle BR-PCC, fu determinante per affrontare lo scontro rivoluzionario, per sostenerlo e rilanciarlo sul piano della guerra di classe, in relazione alle condizioni dettate dalla controrivoluzione in un contesto di cambiamenti più generali legati alla crisi recessiva generalizzata, che richiedeva la pacificazione dello scontro. Una scelta che si è imposta come terreno discriminante lo schieramento del movimento rivoluzionario e su cui si sono definiti i termini più adeguati della disposizione sulla Lotta Armata (LA) delle avanguardie più mature. Anche agli inizi degli anni ’90, all’indomani delle operazioni antiguerriglia dell’88-89, a fronte dei processi di consolidamento, nello scontro di classe e rivoluzionario, delle dinamiche controrivoluzionarie interne ed internazionali, la scelta compiuta dall’avanguardia com. comb. di avviare lo stadio aggregativo (SA), finalizzato al rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria e ricostruzione delle forze per l’offensiva, ha complessivamente fatto avanzare i termini di sviluppo della guerra di classe nella capacità di sostenerla e condurla su basi più avanzate.

Gli indirizzi politici, programmatici dello SA si sono confrontati con i nodi politici di contraddizione emersi dalle condizioni politiche danneggiate e disperse dal processo controrivoluzionario dell’evolvere del rapporto di scontro tra classe e Stato, relativamente alla discontinuità di attacco, alla difensiva di classe e alle condizioni e contraddizioni proprie alla soggettività rivoluzionaria, in quanto parte dello scontro generale. Si è trattato di misurarsi con la necessità di immettere nei nodi centrali di scontro il “dato politico assente” dell’espressione dell’autonomia politica di classe attraverso l’esercizio di un ruolo d’avanguardia che collocasse l’interesse del proletariato e la sua prospettiva di potere nello scontro generale tra le classi, andando a selezionare i termini complessivi idonei ad affrontare il nodo della ricostruzione delle forze per l’offensiva e dell’Organizzazione Comunista Combattente (OCC).

È proprio nell’affrontare il quadro di scontro nelle sue determinazioni principali, che l’avvio dello SA, sintetizzato nell’agire d’avanguardia dei Nuclei Comunisti Combattenti (NCC), a partire dalle iniziative offensive contro la Confindustria del ’92 e il Nato Defence College del ’94, si è qualificato come scelta fondamentale e dirimente nel dare risoluzione ai nodi politici e alle priorità poste sul piano rivoluzionario, a precisare ed affrontare i compiti inerenti alla Fase di Ricostruzione (RIC.) e dare adeguata continuità al processo rivoluzionario. Infatti l’agire d’avanguardia dei NCC, assumendo il terreno del riadeguamento operato dalle BR-PCC nel corso della RS e gli indirizzi propri alla fase di Ric., e ricollocandoli nello scontro, ha definito la progettualità che, rapportandosi alla complessificazione data sul piano della Ric. dal quadro di contraddizioni dello scontro, ha incardinato i processi politico-militari e i livelli di costruzione/formazione della soggettività rivoluzionaria nella coscienza del ruolo indispensabile che nella guerra di classe svolge l’OCC che agisce da Partito per costruire il Partito (P.).

Per gli indirizzi perseguiti, gli intendimenti e i riferimenti a base dell’agire politico strettamente aderente ai caratteri generali della fase di Ric. e alla concezione organica di sviluppo della guerra di classe, nonché per i termini politici, tattici e strategici dell’attuale fase di scontro, la prassi d’avanguardia, con l’avvio dello SA, ha caratterizzato in un quadro di obiettiva continuità del processo rivoluzionario, il piano di riadeguamento necessario dell’avanguardia, quale snodo fondamentale per dare adeguato sviluppo e proseguimento alla fase di Ric. e quale passaggio centrale che segna l’avanzamento qualitativo nella costruzione dei livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata rispetto ai cui indirizzi sono stati incanalati i processi aggregativi e i livelli di ricostruzione manifesti nella odierna direzione rivoluzionaria dello scontro espressa dalla nostra Organizzazione (O.).

È infatti in questo complesso quadro progettuale che si colloca, come primo punto di sintesi e rivoluzione delle problematiche della fase rivoluzionaria, l’attacco al cuore dello Stato del ’99 contro M. D’Antona, per indebolire il progetto neocorporativo con cui le BR-PCC hanno rilanciato nello scontro generale la strategia della LA, rilancio indirizzato ad aprire un varco offensivo nella difensiva di classe, che ha fatto avanzare i processi aggregativi sul piano della formazione e disposizione della soggettività rivoluzionaria, funzionale ad acquisire i ruoli militanti complessivi e la collocazione idonea sul programma e di assestamento dell’OCC e di costruzione del Partito Comunista Combattente (PCC), dinamica di ulteriore costruzione che ha reso possibile l’attacco del 19-3-02 contro M. Biagi.

I criteri, gli indirizzi politico-militari e le finalità dello SA sono obiettivamente il terreno discriminante a disposizione delle forze rivoluzionarie per essere adeguate ad assumere gli attuali termini dello scontro contro lo Stato e la Borghesia Imperialista (BI), e in questo senso lo è anche per i militanti d’Organizzazione e rivoluzionari prigionieri in quanto parte del contesto di scontro.

A nostro avviso riteniamo che per assumere questa discriminante non sia sufficiente la mera “adesione” alle risultanze delle iniziative offensive contro M. D’Antona e M. Biagi, al contrario si tratta di avviare un processo politico di disposizione idonea che può darsi solo a partire dalla presa d’atto delle contraddizioni e delle dinamiche politiche che la discontinuità d’attacco ha introdotto nello scontro rivoluzionario e di classe, per come queste si sono riflesse in termini di contraddizioni e limiti politici sui prigionieri.

Lo SA e le sue problematiche, prima di tutto le risultanze poste dalle BR-PCC, permettono di collocare e affrontare la reale natura delle contraddizioni e limiti che in forma latente o manifesta hanno attraversato e attraversano l’ambito rivoluzionario dei prigionieri. Contraddizioni che hanno investito la stessa valutazione dell’iniziativa d’attacco contro M. D’Antona, vista da larga parte dei prigionieri come il punto di partenza del rilancio del processo rivoluzionario, dopo l’“interruzione” seguita alle catture dell’88-89, non cogliendo di conseguenza il significato del bilancio che le BR-PCC hanno fatto del processo storico-reale della Ric. in questi 10 anni, e delle problematiche connesse allo SA presenti fin dalla iniziative dei NCC del ’92 e ’94. Contraddizioni e limiti di origine vecchia e nuova che assommano contraddizioni irrisolte nell’ambito dei rivoluzionari prigionieri durante tutto un percorso della RS, con quelle maturate nel confronto con la discontinuità, producendo meccanismi e dinamiche politiche di carattere difensivistico, sfociate in uno scollamento dalla disposizione adeguata all’evolvere dello scontro rivoluzionario e ai suoi reali processi politici. Meccanismi di sottrazione agli esiti dello scontro a cui vanno sostanzialmente ricondotte contraddizioni di tipo idealistico e soggettivistico.

L’idealismo ha attraversato gran parte dei prigionieri, per i quali il riferimento alla progettualità strategica e al riadeguamento operato nella RS dalle BR-PCC, pur costituendo punto fermo, ha perso nella discontinuità la connessione con la visione storica e unitaria del movimento del processo rivoluzionario, scontando in ciò il fatto che il riadeguamento è stato assunto idealisticamente, disancorato cioè dal processo materiale che ha visto prodursi nello scontro un avanzamento strategico per parte rivoluzionaria, collocando di fatto la fase di Ric. in un ambito oggettivo, svilendo i suoi caratteri dinamici e avanzati inseriti nella concretezza della RS, con la conseguenza di aprire la strada ad una visione meccanicistica e riduttiva del processo rivoluzionario, nell’aspettativa “dell’inevitabile ripresa” a partire dal punto più alto dello scontro. Contraddizione idealistica che si è riflessa sulla disposizione militante dei prigionieri, matrice di scalibramenti nel leggere e collocare in modo compiuto e adeguato i processi politici reali posti dall’avanguardia com. comb. che si misurava con le problematiche inerenti la fase di scontro e la discontinuità, fino a produrre oscillazioni nell’identità di Partito.

La contraddizione soggettivista è quella che più propriamente ha assommato in sé il quadro di contraddizioni maturate nella RS e quelle scaturite all’indomani delle operazioni antiguerriglia dell’88-89, palesandosi in pieno nella discontinuità. In particolare questo tipo di contraddizione ha portato a collocare le risultanze del processo di riadeguamento delle BR-PCC, l’apertura della fase di Ric., e, a conferma, gli stessi eventi dell’88-89, come elementi interni ad una parabola discendente del percorso rivoluzionario, di fatto marginalizzando e aggirando l’importanza del riadeguamento quale fattore di evoluzione e termine agente nei rapporti di scontro, e dunque discriminante il terreno rivoluzionario d’avanguardia, proprio all’approfondimento per parte rivoluzionaria della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione. Riadeguamento quale termine più avanzato di progettualità rivoluzionaria entro cui gli stessi capi saldi strategici trovano immediato riferimento ai contenuti che li sostanziano e li rendono praticabili, in una precisa visione di sviluppo del processo rivoluzionario in guerra di classe, in cui la teoria-prassi operata nel corso della RS e della Ric. è stata tesa a misurarsi e a risolvere le contraddizioni immesse dalla controrivoluzione e dal ripiegamento per rilanciare lo scontro in avanti. Le posizioni soggettiviste, di fronte alle ulteriori contraddizioni prodotte dalla discontinuità e dai caratteri di evoluzione dello scontro, hanno di fatto operato una cesura col processo di riadeguamento e le sue risultanze, in particolare invalidando i presupposti stessi della RS e gli indirizzi propri della fase di Ric., aprendo a concezioni politiche espressioni dell’arretramento difensivistico prodottosi sul piano politico nella visione e relativa disposizione militante intorno alle problematiche della fase rivoluzionaria all’indomani delle operazioni antiguerriglia 88-89. A seguito di queste operazioni, nei fatti, queste posizioni hanno considerato concluso un arco di esperienza del processo rivoluzionario, concependo così i termini del suo affrontamento su presunte differenti basi politiche, finendo per riproporre, se pure in forma “aggiornata”, quelle logiche proprie al combattentismo e al movimentismo lottarmatista, già a suo tempo battute dalle BR nel corso del processo rivoluzionario. Logiche politiche che hanno trovato espressione nell’eclettismo sul piano teorico e politico, invalidando la visione d’insieme dell’andamento storico-concreto del nostro processo rivoluzionario ed in particolare relativizzando il portato degli avanzamenti stabiliti dalla teoria-prassi delle BR nella conduzione della guerra di classe. Posizioni che hanno dato corpo ad una particolare impostazione politica fondata principalmente sull’empirismo nella pratica d’avanguardia, assunto tra l’altro a metro di “selezione naturale” verso l’adeguata disposizione nello scontro rivoluzionario, motivo di fondo per cui questa contraddizione è quella che maggiormente ha alimentato la lettura delle ipotesi del rilancio in termini evolutivi e gradualistici della soggettività rivoluzionaria e dello stesso processo rivoluzionario.

L’esistenza di queste contraddizioni e limiti nella militanza in prigione ha comportato l’impossibilità di riconoscere e considerare appieno i NCC per il ruolo che questa avanguardia com. comb. ha effettivamente svolto nella fase di Ric. delle forze all’indomani delle operazioni antiguerriglia ’88-89; questo sia per quella parte dei prigionieri che hanno espresso la contraddizione idealistica, che ha colto solo l’aspetto fenomenico delle iniziative dei NCC, in base al quale ha collocato su piani distinti e separati il “livello” posto in essere dalle iniziative combattenti ed il riferimento strategico e politico rilanciato nello scontro agganciando gli indirizzi politici delle iniziative di rilancio dalla relazione con i processi politici concreti avviati sul terreno della ricostruzione delle forze, sia per quella parte dei prigionieri che ha incarnato la contraddizione soggettivista che ha considerato gli NCC come un tentativo di rilancio tra gli altri, e per di più nemmeno adeguato, secondo la propria lettura delle dinamiche dello scontro e dei processi di ricostruzione stessi.

Porsi il problema di misurarsi con queste contraddizioni, e dunque di sciogliere il nodo di come sono stati considerati i NCC e conseguentemente assumere tutto il bilancio della fase di Ric., non è una questione di mera autocritica riferita al passato, pur essendo anch’essa rilevante sul piano della coerenza rivoluzionaria, ma è propriamente problema dell’oggi, cioè del corretto rapporto che va stabilito con le iniziative offensive delle BR-PCC a partire dalla posizione e dal ruolo che come militanti e rivoluzionari prigionieri occupiamo nello scontro. L’omissione di questo nodo equivarrebbe a riprodurre letture gradualistiche ed evoluzioniste del processo rivoluzionario in generale, più in specifico la mancata chiarificazione del ruolo dei NCC nel processo di ricostruzione avallerebbe la valutazione di un’avanguardia cresciuta per gradi di coscienza, valutazione che non solo svilisce il bilancio complessivo operato dalle BR-PCC sulla fase di Ric., riducendolo a proiezione di uno specifico percorso compiuto dall’avanguardia com. comb., ma ne negherebbe la sua dimensione politico-reale, come focalizzazione di problematiche generali e soluzioni necessarie, relative alla fase rivoluzionaria in corso e alla impostazione che ne ha guidato l’affrontamento e risoluzione, dimensione entro cui si colloca fin da subito l’attività dei NCC con “la ricostruzione delle forze attraverso il rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria”. Un’omissione che ha quindi come risultato obiettivo il porsi in contraddizione con il piano reale che è stato affermato nello scontro dai NCC, ovvero con l’esperienza rivoluzionaria di questo decennio e con il bilancio che viene fornito, che inequivocabilmente qualifica i NCC come l’avanguardia che si è rapportata all’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione all’inizio degli anni ’90 e con la complessità dei compiti e contraddizioni posti dallo scontro rivoluzionario e di classe e dalla fase strategica, collocando adeguatamente in questo scontro il patrimonio storico delle BR a partire dai contenuti più avanzati e maturandone i necessari sviluppi.

Una collocazione che è il piano da cui gli NCC hanno potuto mettere in campo, con le iniziative offensive del ’92 e ’94, la progettualità adeguata a misurarsi con le contraddizioni della discontinuità stabilendo i binari su cui incardinare i processi aggregativi finalizzati a immettere nello scontro il “dato politico assente” con l’attacco al cuore dello Stato.

Rapportarsi all’attività delle BR-PCC senza fare chiarezza sui nodi di contraddizione che hanno attraversato i prigionieri rivoluzionari in questa fase, non si traduce solo in una collocazione formale della propria militanza e altrettanto formale adesione ai contenuti d’O., ma collide con il piano centrale posto dalle BR-PCC come terreno discriminante dello schieramento rivoluzionario, nel senso che invece di contribuire a sostenere dalla propria posizione di rivoluzionari prigionieri questo piano, si finirebbe per contribuire obiettivamente, prima ancora che soggettivamente, a supportare quelle visioni fenomeniche e parziali, che operano cioè un riduzionismo della reale espressione rivoluzionaria dell’autonomia di classe, propria all’andamento storico e concreto del processo di guerra di classe, alimentando quelle letture indistinte onnicomprensive che la discontinuità ha favorito, svuotando il reale significato della continuità del processo rivoluzionario, che, dai livelli attestati dall’O. nella RS, è proseguito ed ha avuto i suoi sviluppi nei processi avviati nello SA dai NCC, un’avanguardia espressione della soggettività rivoluzionaria dell’autonomia di classe adeguata a misurarsi con l’approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione la cui prassi e progettualità ha espresso la valenza del piano di unitarietà dell’impianto politico e strategico, riaffermando che è sul principio prassi-teoria-prassi che l’impianto storico riceve i suoi avanzamenti, nel confronto con i nodi centrali dello scontro, nel quadro dei compiti e caratteri della fase di Ric.

Assumersi la responsabilità di farsi carico politicamente di questo nodo è a nostro avviso un prerequisito per riqualificare la militanza, affinché la disposizione nello scontro rivoluzionario dei prigionieri poggi sulla solida base della presa di coscienza dei processi reali condotti dall’avanguardia com. comb. nella discontinuità.

Ed è proprio a causa della discontinuità che la riqualificazione può darsi solo all’interno di un processo politico finalizzato a ricomporre la coscienza parziale del militante rivoluzionario in prigione ai contenuti complessivi espressi dalle BR-PCC nella prassi rivoluzionaria concretizzata dalle iniziative offensive contro D’Antona e M. Biagi, riqualificazione che in particolare per i militanti d’O. significa stabilire quella relazione organica con questi contenuti complessivi, necessaria a qualificare l’identità di Partito. E, soprattutto, misurarsi con il processo di riqualificazione della militanza è necessario per la funzione politica che i prigionieri ricoprono nello scontro. Una funzione politica che se in generale è legata all’attestazione del processo rivoluzionario nello scontro, in particolare è maturata nel quadro dell’esperienza storica fatta su questo piano dalle BR, da cui è emerso che i prigionieri possono avere un ruolo positivo nello scontro nella misura in cui questo ruolo è funzionale e subordinato alle priorità che vivono di volta in volta nel percorso rivoluzionario. Un principio generale questo che si è affermato in base alla conoscenza delle dinamiche che investono i prigionieri a causa del loro essere ostaggi in mano al nemico di classe e separati dalla prassi rivoluzionaria, una verifica da cui le BR hanno definito criteri e prerogative che sostanziano il ruolo dei propri militanti in prigione relativamente al vincolo di Partito, e che hanno costituito punto di riferimento anche per i militanti rivoluzionari prigionieri. Ruolo che deve sostenere e propagandare i contenuti dell’impianto strategico e delle linee politico-programmatiche definite nella prassi dall’O., ed assumere le discriminanti che di volta in volta le BR pongono nella conduzione dello scontro rivoluzionario e che, quando è necessario, deve anche farsi carico di difendere dagli attacchi la Linea Politica e l’impianto. Criteri e prerogative che nella misura in cui sono stati assunti dai prigionieri, hanno consentito loro di svolgere un ruolo positivo rispetto allo scontro rivoluzionario, fuori dai quali prevale, come è prevalsa, sotto le contraddizioni dello scontro, la tendenza alla teorizzazione soggettiva, espressione della divaricazione dalle concezioni sviluppate nella prassi dall’O.. Il saldo riferimento a questi criteri è ciò che ha permesso la tenuta anche nei momenti più difficili e controversi, salvaguardando i militanti dai processi che portano a spogliarsi dell’identità rivoluzionaria che si sono verificati nel quadro dell’“indurimento” dello scontro e delle specifiche politiche antiguerriglia dello Stato sui prigionieri.

Per quanto riguarda il nostro specifico percorso, gli arresti non hanno mai significato la vanificazione del proseguimento del processo rivoluzionario nei suoi termini della fase di Ric., pur essendo ben consapevoli che il peso delle perdite subite ne avrebbe reso più problematico il corso. Questo in base alla coscienza acquisita nel percorso militante formatasi nella RS e nella successiva apertura in essa della Ric. delle forze, che il processo rivoluzionario nel nostro paese ha giù raggiunto un punto di non ritorno, nel senso che il progetto strategico delle BR si è affermato come centrale nel percorso storico del proletariato italiano per la conquista del potere politico. Una centralità che è il risultato dell’incidenza nei rapporti di scontro tra le classi del processo rivoluzionario in dal suo inizio, soprattutto per come vi ha inciso l’avanzamento strategico conseguito nel confronto con la controrivoluzione degli anni’80, che ha attestato nello scontro i contenuti rivoluzionari del riadeguamento sviluppati nella RS. È stata proprio questa coscienza a guidare la nostra condotta politica dalla cattura ad oggi, una disposizione sui termini generali dello scontro rivoluzionario che, pur forte delle concezioni d’O., si è dovuta misurare con gli effetti politici della discontinuità sulla prigionia, presentatisi come tendenze idealistiche e difensivistiche che hanno attraversato il corpo militante da cui nessuno è avulso, pena pensare di porsi fuori dall’andamento dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione e dai suoi riflessi sulle dinamiche specifiche della prigionia.

Discontinuità che inoltre ha accentuato il carattere di parzialità indotto dalla condizione di separatezza e che ha influito più in profondità quanto a limitazione dell’analisi complessiva dello scontro e della lettura realistica dei suoi processi politici, nella difficoltà a rimanere ancorati a questi e ai criteri politici per interpretarli.

In questo quadro, pur con contraddizioni e limiti, partendo dall’identità di Partito fondata sulle concezioni attestate dall’O. in termini storici, strategici e politici, e in particolar modo tenendo ferme le risultanze del riadeguamento d’O., la nostra condotta militante ha teso a mantenere, seppure su un piano generale, una disposizione relazionata ai caratteri del terreno rivoluzionario, consentendoci così nei fatti di stabilire la dialettica possibile con il suo sviluppo, a partire dal modo di rappresentare i termini del processo rivoluzionario con al centro la fase di Ric., grazie al quale ci siamo potuti relazionare con il sostegno alle iniziative dei NCC, collocate all’interno della Ric., pur non comprendendo i termini politici di specificazione con cui veniva sviluppata la fase. Una condotta, la nostra, che dalla cattura ha nei fatti segnato uno spartiacque rispetto agli avvitamenti soggettivistici e argine, anche se contraddittoriamente, agli approcci idealistici verso lo scontro rivoluzionario, ed in questo ha costituito anche un riferimento per quei militanti rivoluzionari che hanno operato un posizionamento più adeguato al piano rivoluzionario dettato dalla fase di Ric.

Il processo di riqualificazione è reso oggi politicamente possibile dalle risultanze rivoluzionarie espresse dalle iniziative offensive delle BR-PCC. Risultanze che forniscono la chiave di lettura per poter riconnettere il nostro percorso militante in prigione con l’inquadramento complessivo dello scontro rivoluzionario e di classe sul piano storico, in base al quale lo SA nella Ric. è collocato precisamente nel più generale percorso del processo rivoluzionario nella fase di RS.. Chiave di lettura che in questo senso ci consente anche di inquadrare nel modo più corretto gli arresti dell’88-89 e conseguentemente dare la giusta valutazione delle condizioni del terreno rivoluzionario succedute ad essi, e cioè sono chiare oggi le ragioni per cui questi arresti, definiti propriamente dalle BR-PCC come operazioni antiguerriglia quindi situate sul piano delle perdite possibili nel rapporto guerriglia/Stato, si sono tradotti in discontinuità dell’attacco, ponendo il compito di costruire l’OCC: ragioni che risiedono nelle caratteristiche del quadro di scontro determinate dalla modifica del rapporto di forza tra rivoluzione e controrivoluzione, una modifica che le BR-PCC analizzano come risultato di un doppio processo controrivoluzionario (DPC), valutando le ripercussioni di questa dinamica controrivoluzionaria su tutti i piani dello scontro, in relazione al mutamento più generale della fase storica sui piani economico, politico e degli equilibri internazionali. Un DPC inteso come il coniugarsi dell’offensiva contro la strategia della LA nei centri imperialisti, ed in particolare in Europa negli anni ’80, con la controrivoluzione imperialista contro i paesi a transizione socialista che ha prodotto il crollo del Patto di Varsavia, avendo come esito la modifica delle relazioni di forza tra Proletariato Internazionale e Borghesia Imperialista, intese sul piano storico di fase.

Questa dinamica controrivoluzionaria alla fine degli anni ’80, inizia a riflettersi sulle relazioni complessive fra le classi, e dunque il riflesso del DPC su queste relazioni è il piano principale da cui sono dipesi sia la difensiva di classe e l’offensiva degli Esecutivi negli anni ’90 per far arretrare ulteriormente le posizioni proletarie, sia la discontinuità del percorso rivoluzionario. Più precisamente questa discontinuità è intesa dalle BR-PCC come discontinuità nell’attacco al cuore dello Stato, quale condizione che può verificarsi in una fase di Ric. delle forze e per questo non va confusa con la non linearità del processo rivoluzionario nel suo movimento di avanzate e ritirate. In sintesi è proprio questa visione complessiva dell’andamento dello scontro rivoluzionario che restituisce il piano concreto in cui collocare correttamente la discontinuità, avendo chiaro come questa non sia semplicemente riconducibile ad un diretto riflesso nello scontro degli arresti dell’88-89, ma al quadro complessivo determinato dal consolidamento della controrivoluzione, quale piano principale che ha rideterminato il terreno di scontro rivoluzionario e di classe negli anni ’90.

Infatti l’indirizzo e gli obiettivi della fase di ric. definiti alla sua apertura quale piano di risoluzione delle contraddizioni della RS, si sono necessariamente complessificati negli anni ’90 dovendo proseguire questa fase all’interno del consolidamento della dinamica controrivoluzionaria nel campo proletario e rivoluzionario, in un contesto di cambiamenti sociali e politici che hanno riguardato la stessa mediazione politica tra le classi.

Su questo piano l’avanguardia com. comb., cioè i NCC, che si è misurata con lo scontro per dare proseguimento ai compiti della fase di Ric., nell’impostare con lo SA il piano di risoluzione delle contraddizioni della discontinuità, ha potuto definire pienamente i caratteri propri alla Ric., precisando natura e portata delle sue contraddizioni, che sono state inquadrate come storiche. In altri termini la contraddizione che ha posto il compito di costruire l’OCC esplicita fino in fondo le problematiche di una ricostruzione delle forze che avviene dalla posizione ripiegata data dalla RS e che procede nel quadro di un movimento di consolidamento della controrivoluzione, problematiche riconducibili al fatto che la contraddizione costruzione/formazione presiede alla concretizzazione della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie e degli strumenti politico-organizzativi per attrezzare il campo proletario allo scontro prolungato contro lo Stato, dato che la ricostruzione richiede la contestuale formazione delle forze in termini complessivi d’O. adeguate a misurarsi con l’approfondimento dello scontro sul piano del rapporto rivoluzione/controrivoluzione e con i compiti della fase rivoluzionaria.

In questo senso l’affrontamento della contraddizione costruzione/formazione dà soluzione al suo essere elemento critico dell’attività rivoluzionaria traducendola in fattore qualitativo della stabilizzazione nella ricostruzione delle forze ed in particolare di una direzione politico-militare adeguata alla conduzione della guerra di classe in questa fase.

L’individuazione del carattere di contraddizione della costruzione/formazione, che supera la definizione di “binomio” ed inquadra il suo affrontamento su un piano programmatico, chiarisce il terreno obiettivo su cui si misura questo compito politico e cioè che i termini della formazione delle forze rivoluzionarie sono definiti dalle necessità politiche poste dallo scontro rivoluzionario, mentre l’approfondimento di questo scontro è vincolo all’attestazione ed estensione della stessa ricostruzione delle forze. Nel quadro dei caratteri della fase rivoluzionaria e dell’approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione la discontinuità è condizione che incide nella contraddizione costruzione/formazione, stante il fatto che nella Ric. delle forze deve vivere il termine della costruzione dell’OCC., e la loro formazione è il piano che deve ottemperare alla costruzione di quei ruoli complessivi che sono la chiave di volta nel processo teso a costruire la direzione rivoluzionaria. La costruzione/formazione dei ruoli complessivi è a sua volta connessa al nodo della riproduzione di questi ruoli e questo specifico nodo caratterizza la tensione all’avanzamento dello stadio aggregativo iniziale alla costruzione del soggetto organizzato che si qualifica come OCC che agisce da P. per costruire il P., una riproduzione che è vincolata alla incisività politico-militare che può mettere in campo la forza rivoluzionaria, in quanto è nel costruire le condizioni per la capacità offensiva adeguata a portare l’attacco al cuore dello Stato che si dà la prassi su cui avviene la formazione idonea dei ruoli militanti complessivi che siano in grado di operare ulteriore costruzione, ruoli militanti che nell’insieme, cioè come O. e singolarmente, sappiano svolgere quel ruolo d’avanguardia in grado di misurarsi con lo scontro e organizzare la classe sulla L.A.. Problematiche connesse allo stabilizzarsi del portato della controrivoluzione come termine di contraddizione nella soggettività rivoluzionaria, condizioni di scontro che se in generale hanno visto uno svuotamento del movimento rivoluzionario, in particolare hanno inciso sulle espressioni della autonomia politica di classe sul piano della adeguata comprensione ed assunzione del terreno della lotta per il potere.

L’esperienza fatta dall’avanguardia nell’affrontare la contraddizione costruzione/formazione nel quadro della Ric. delle forze rivoluzionarie e della costruzione dell’OCC., ha fatto emergere le problematiche relative al processo di organizzazione della soggettività d’avanguardia e di classe che si rende disponibile sul piano rivoluzionario, che riguardano elementi di spontaneismo nella sua forma prevalente di ideologismo, inteso come un limite che nello scontro, sul piano del ruolo d’avanguardia, non riesce a stabilire l’adeguato rapporto tra prassi e patrimonio storico, limite che in ultima analisi vuole le concezioni come separate dalla prassi. L’ideologismo insieme all’immediatismo, all’esecutivismo e al genericismo, rappresentano espressioni di spontaneismo che rendono inadeguata la disposizione sulla L.A. e dunque sono di ostacolo ad assumere la funzione propria all’OCC. E come tali vanno affrontate come ordine di problematiche proprie dei comunisti relativamente alla concezione dell’avanguardia e del ruolo che svolge nello scontro.

Dall’affrontamento di queste problematiche è derivato un piano di esperienza da cui solo potevano essere definite le soluzioni atte a che l’avanguardia possa organizzare l’autonomia di classe che si dispone sul piano rivoluzionario attraverso la responsabilizzazione complessiva di quest’ultima sui compiti politici-operativi. Infatti se non è mai stata sufficiente la semplice disposizione spontanea sulla L.A., nella fase di Ric. questo piano, che essendo investito dalla contraddizione costruzione/formazione, necessita di un indirizzo progettuale in grado di incanalare tale disposizione verso la concretizzazione dei livelli idonei a svolgere il ruolo di direzione rivoluzionaria. Indirizzo che ha individuato nella costruzione e raggiungimento della autonomia politico-operativa e della responsabilizzazione complessiva i cardini intorno a cui la soggettività di lasse può farsi carico del terreno rivoluzionario come termine di disposizione e lavoro sulla Linea Politica generale. Obiettivi conseguibili con un preciso metodo politico-organizzativo, metodo che opera dentro la dimensione organizzata dell’attività rivoluzionaria e che presiede dall’inizio alla fine l’assunzione dei compiti e che è teso a sollecitare l’iniziativa rispetto ai problemi da affrontare, inducendo a valutar preventivamente quello che è necessario fare in ogni passaggio che porta all’attuazione del compito parziale. Questa valutazione preventiva è funzionale a collocare il compito parziale nell’attività complessiva anche in relazione alle esigenze di centralizzazione e socializzazione dell’esperienza, inducendo a sviluppare una concezione complessiva del lavoro rivoluzionario, in quanto metodo che mette in rapporto alla progettualità generale il compito parziale, costituendo quest’ultimo un esercizio del ruolo d’avanguardia della più generale espressione di direzione rivoluzionaria.

È tramite questo metodo che si costruisce e si forma l’autonomia politico-operativa e questo è ciò che mette in grado di operare le soluzioni politicamente più efficaci nel rapporto con la prassi. Un rapporto nel quale si concretizza il riferimento e l’assunzione del patrimonio che in tal modo viene collocato, verificato e fatto avanzare nei suoi termini di concezione. In ciò sta il senso del rapporto di continuità-critica-sviluppo col patrimonio, rapporto che vive in ogni aspetto e momento dell’attività rivoluzionaria e in cui la continuità sta nell’assunzione dell’interezza del patrimonio, a partire dai suoi aspetti più avanzati, la critica nella verifica che il confronto con la prassi richiede, lo sviluppo negli adeguamenti che ne scaturiscono e che si traducono nell’avanzamento della teorizzazione generale. Il raggiungimento della autonomia politico-operativa e della responsabilizzazione complessiva è dunque ciò che consente di contribuire al patrimonio collettivo, intendendo con ciò il patrimonio in continuo avanzamento, avanzamento che avviene all’interno della prassi-teoria-prassi quale principio su cui da sempre nella storia del nostro processo rivoluzionario si dà verifica e avanzamento alle concezioni del patrimonio.

L’autonomia politico-operativa, la responsabilizzazione complessiva e il metodo politico-organizzativo per conseguirle non sono soluzioni politico-organizzative adottate per sopperire al fatto che la direzione rivoluzionaria che agisce da Partito per costruire il Partito è in costruzione, al contrario, pur essendo nate dalle condizioni di discontinuità, si pongono come linee di formazione su cui si struttura la soggettività adeguata a misurarsi con la complessità dello scontro rispetto all’approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, pertanto costituiscono il piano avanzato su cui si costruiscono i ruoli complessivi, base della selezione della soggettività rivoluzionaria che si dispone come nucleo del soggetto organizzato e in quanto tali funzionali all’agire della forza rivoluzionaria in riferimento ai compiti di fase. Per concludere la Linea Politica generale che guida, quale punto di vista complessivo della realtà, l’attività dell’O. costituisce il riferimento costante del metodo politico-organizzativo adottato ed entrambi sono gli assi su cui si dà la formazione dei ruoli complessivi. Per altro verso l’autonomia politico-operativa è l’espressione di soggettività in grado di operare la disposizione delle forze sugli obiettivi programmatici secondo il principio di centralizzazione che assegna compiti e responsabilità capendone la complementarietà e la complessità.

Capire e valutare adeguatamente la logica politica che ha indirizzato l’attività dell’avanguardia per districare i nodi e le contraddizioni dell’avvio dei processi aggregativi in relazione al quadro di approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione è il piano da cui si traggono gli insegnamenti fondamentali dell’agire della avanguardia com. comb. in relazione ai caratteri della Ric. che procede confrontandosi costantemente con il consolidamento di dinamiche controrivoluzionarie nello scontro. Circostanze in cui è fondamentale far leva sul senso storico del nostro processo rivoluzionario nei suoi caratteri di guerra di classe di lunga durata, sulla visione prospettica e dinamica del suo sviluppo, e quindi sulla saldezza dei suoi termini strategici, a partire dalla coscienza di come l’attività rivoluzionaria sia un fattore di mutamento del quadro di scontro, riferimenti che consentono di affrontare e governare il lavoro anche in situazioni contingenti, senza che le necessità politiche siano piegate al possibile, ma al contrario attrezzandosi politicamente, organizzativamente e militarmente per il livello necessario. Un approccio che l’avanguardia ha fatto vivere nello scontro degli anni ’90, proprio avvalendosi degli insegnamenti che derivano dall’esperienza trentennale delle BR, e arricchendo questi stessi insegnamenti in base alle soluzioni con cui ha costruito le condizioni politico-militari per reimmettere nello scontro di classe e rivoluzionario l’attacco al cuore dello Stato, quale contenuto orientante l’autonomia di classe e in cui si situa il piano avanzato della attuale attestazione delle BR-PCC nella direzione rivoluzionaria dello scontro. In altri termini insegnamenti che si traggono da come l’avanguardia ha affrontato la problematica di mettere in campo contemporaneamente e unitariamente il piano della Ric. intorno e sui processi aggregativi per la costruzione dell’OCC a partire dallo svolgere un ruolo di direzione rivoluzionaria rispetto ai nodi centrali dello scontro. Una complessità di compiti posti dal terreno rivoluzionario e dallo stato dello scontro che potevano essere affrontati solo in base ad una precisa progettualità al fine di indirizzare la prassi per costruire le condizioni politiche atte a sviluppare la capacità offensiva, in quanto su questo sviluppo fanno leva i passaggi per ottemperare alla funzione di OCC. Capacità offensiva che è strettamente vincolata, nelle modalità e nel grado di incisività dell’attacco portato ai caratteri e alle finalità della fase rivoluzionaria, allo stato delle forze rivoluzionarie e proletarie in relazione al nodo di contraddizione tra rivoluzione e controrivoluzione e più in generale alle condizioni delle relazioni complessive tra le classi e allo stato degli equilibri internazionali, questo complesso di fattori è il riferimento obbligato per sviluppare e assestare la capacità offensiva che l’avanguardia mette in campo e questo, nella condizione di discontinuità d’attacco ha significato attrezzarsi per costruire l’iniziativa combattente che, nell’avviare lo S.A., ha costituito il primo momento di risoluzione della discontinuità: questo hanno sintetizzato le iniziative offensive contro la sede della Confindustria e contro la NATO Defence College, con le quali i NCC si sonno confrontati sul piano classe/Stato con gli esordi del progetto neocorporativo relativamente all’accordo sulla politica dei redditi tra governo/Confindustria/Sindacati, e sul piano imperialismo/Antimperialismo col progetto di ridefinizione della strategia NATO. Una prassi la cui capacità offensiva è stata opportunamente calibrata allo stato del terreno rivoluzionario complessivamente inteso, un calibramento teso a rispondere ad una disposizione delle forze che, dentro il principio di centralizzazione proprio del movimento unitario e unico di una forza rivoluzionaria che svolge un ruolo d’avanguardia complessiva rispetto alo scontro generale tra le classi, ha tenuto conto, nel quadro dei rapporti di forza generali, delle forze mobilitabili in funzione della sostenibilità dello scontro rivoluzionario e della sua riproposizione in avanti.

In questo senso le iniziative offensive del ’92 e del ’94 hanno risposto ad una logica di calibramento espressione di una progettazione che si è misurata con tutti i fattori in campo e soprattutto finalizzaata a costruire i processi politici reali corrispondenti alla necessità di arrivare a mettere in campo e sostenere l’attacco al punto più alto dello scontro. Processi aggregativi che quindi si sono dati interamente sulla dinamica di sviluppo propria alla guerra di classe di attacco-costruzione-nuovo attacco, dinamica che vede una precisa interrelazione tra i suoi diversi momenti, le cui modalità sono riferite ai caratteri e compiti della fase rivoluzionaria. Riferimenti di fase che nel contesto di RS e di Ricostruzione delle forze influiscono peculiarmente su tale interrelazione, nel senso che il piano di costruzione che si ricava dall’attacco necessita di un complesso lavoro politico relativo alla gestione di tutti i fattori che l’iniziativa rivoluzionaria ha posto nello scontro. Un complesso lavoro politico di costruzione delle forze e dell’OCC segnato dalla necessità di sciogliere il nodo della contraddizione costruzione/formazione di quei ruoli militanti complessivi capaci cioè di riportare l’attacco al punto più alto politicamente, organizzativamente inteso. Iniziative offensive inquadrate sulla linea progettuale indirizzata a stabilizzare la “costruzione delle forze per l’offensiva”, con l’obiettivo prioritario, sul piano della costruzione della capacità offensiva, di riportare l’attacco al cuore dello Stato.

Obiettivo questo conseguito con l’iniziativa combattente contro M. D’Antona, figura centrale dell’equilibrio politico che nell’esecutivo D’Alema sosteneva il progetto neocorporativo. Un’iniziativa offensiva, quella del 20 maggio ’99, che ha potuto inserirsi nello scontro politico che si gioca in questa fase tra classe e Stato, in cui è centrale l’indebolimento del progetto neocorporativo. Un’iniziativa la cui incisività ha agito come fattore attivo per la modifica dei rapporti di forza sostenendo la classe nello scontro contro lo Stato. Infatti l’attacco ha colpito la formula politica concertativa su cui marciava il progetto neocorporativo nell’ambito della maggioranza di centro-sinistra, contribuendo alla crisi della concertazione e di conseguenza provocando l’indebolimento dell’azione politica dell’Esecutivo. Un salto nella direzione dello scontro che pertanto ha potuto assumere la denominazione storica BR-PCC e che, sul piano della incisività sui rapporti di forza, per come questi si sono strutturati con la controrivoluzione, ha “aperto un varco offensivo nella difensiva di classe”. In altri termini, l’aver riportato l’attacco al cuore dello Stato, essendo quello in grado di intervenire sugli equilibri politici che sostengono il progetto centrale della BI, è ciò che ha permesso di contrastare questo progetto finalizzato a sospingere indietro le posizioni di classe.

Un intervento basato sui criteri di centralità nell’individuazione del progetto, selezione del personale perno degli equilibri che lo fanno avanzare e calibramento dell’attacco ai rapporti di forza complessivi tra le classi, criteri cioè che permettono di operare il massimo di incisività disarticolante in rapporto a tutti i fattori sociali e politici caratterizzanti lo scontro di classe rivoluzionario. Il livello di direzione e capacità offensiva espresso dalle BR-PCC con questa iniziativa è ciò che ha reimmesso e fatto pesare nello scontro il “dato politico assente”, costituendo l’attacco al cuore dello Stato il contenuto orientante l’autonomia di classe come punto di vista e prassi conseguente, che sostanzia offensivamente la critica di classe allo Stato e alla BI la cui mancanza ha pesato in negativo rispetto alla situazione politica di classe. Un contenuto orientante che è fattore indispensabile nello scontro per determinare le condizioni politiche di affermazione dell’autonomia politica di classe, in quanto questa non è derivato spontaneo delle lotte, anche se antagoniste, ma il prodotto politico dell’immissione nello scontro dell’iniziativa offensiva. In sintesi piano offensivo che fa avanzare strategicamente la prospettiva di potere pesando nell’immediato come fattore politico che contrasta le politiche antiproletarie e sostiene lo scontro di classe, e per altro verso fornisce gli strumenti con cui operare la rottura soggettiva che richiede l’assunzione del piano di lotta per il potere.

L’esperienza maturata dall’avanguardia com. comb. negli anni ’90 chiarifica e riconferma un dato politico storico del nostro processo rivoluzionario relativo al fatto che il progetto strategico delle BR si è definito come l’espressione rivoluzionaria conquistata dall’autonomia politica di classe del nostro paese nello scontro per il potere contro lo Stato e la BI per l’affermazione dei suoi interessi generali storici.

Un patrimonio della soggettività di classe sedimentato nelle condizioni di scontro, ragione per cui né le politiche controrivoluzionarie né la dispersione dell’OCC hanno potuto compromettere la possibilità che l’espressione rivoluzionaria dell’autonomia politica di classe rilanciasse la propria progettualità sulla strategia della LA, verificata come quella adeguata a misurarsi con le forme di dominio della BI per la conquista del potere politico e l’affermazione della dittatura del proletariato.

Il riferimento ai compiti della fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie aver riconquistato l’esercizio della direzione rivoluzionaria dello scontro a livello BR-PCC, ha segnato un passaggio di avanzamento qualitativo nell’aggregazione delle avanguardie nel processo di costruzione dell’OCC, in quanto la costruzione derivata dall’ottenimento del relativo vantaggio politico seguito all’attacco a M. D’Antona ha posto le condizioni sul piano della formazione dei ruoli militanti complessivi, di disposizione delle forze sul programma e di costruzione politico-organizzativa per realizzare, come direzione rivoluzionaria e costruzione di capacità offensive l’iniziativa combattente del 19/3/2002 contro M. Biagi.

In questo modo le BR-PCC hanno dato continuità e sviluppo alla specifica linea politica mirata ad intaccare il progetto neocorporativo intervenendo sull’equilibrio e la formula politica che nel quadro della maggioranza di centrodestra sostiene questo progetto.

La problematica della costruzione della direzione rivoluzionaria ha segnato la prassi rivoluzionaria nel più complessivo quadro della Ric. delle forze negli anni ’90, una problematica che l’avanguardia ha potuto porsi adeguatamente a partire dall’aver collocato il patrimonio nello scontro, nella coscienza quindi del ruolo storico indispensabile che svolge l’OCC che agisce da P. per costruire il P. nel condurre la guerra di classe fintanto che non sono maturate le condizioni per il salto al P., valutando tutte le implicazioni che il perseguimento della costruzione dell’OCC comportava sul terreno rivoluzionario, che hanno necessariamente investito il piano della fase rivoluzionaria di Ric. che ha ricevuto la sua precisazione con la definizione dello SA.

Un piano di fase che ha rimarcato le leggi che sovraintendono alla costruzione della direzione rivoluzionaria nella guerra di classe, implicate dall’operare nell’unità del politico e del militare, leggi insite nell’attività della guerriglia che il percorso di questo decennio ha evidenziato in tutta a loro valenza: e cioè che la direzione rivoluzionaria necessaria a misurarsi con l’evolvere dello scontro rivoluzionario si costruisce soltanto a partire dall’agire come avanguardia complessiva. In altre parole agire da P. per costruire il P. è il principio guida entro cui si affronta il nodo della direzione rivoluzionaria della guerra di classe, principio che le BR hanno affermato come discriminante la conduzione della guerra di classe sin dall’esordio del processo rivoluzionario per svolgere fin da subito il ruolo di direzione e organizzazione del processo rivoluzionario all’interno del presupposto che il PCC, in relazione all’unità del politico e del militare su cui si sviluppa la guerra di classe, non si fonda, ma si costruisce e si fabbrica nel quadro dello sviluppo delle condizioni stesse della guerra di classe, entro cui vengono a precisarsi i termini politico-programmatici e di sviluppo delle articolazioni politico-militari necessarie e sufficienti al salto al Partito. Un processo questo fin dall’inizio condotto e organizzato dall’OCC BR che proprio nell’agire da P. per costruire il P. si pone e si struttura come nucleo fondante il Partito, reparto avanzato del proletariato rivoluzionario disposto e organizzato sulla linea progettuale della strategia della LA. Un ruolo di direzione che si concretizza nel misurarsi con l’iniziativa combattente con le condizioni dello scontro di classe, intervenendo sulla contraddizione dominante nella fase, per modificarla a favore del campo proletario, affermando sul piano della guerra di classe i suoi interessi politici e generali e costruendo le condizioni per sostenere lo scontro prolungato contro lo Stato e la BI.

Con l’avvio della SA l’avanguardia com. comb. ha fatto vivere coerentemente questi principi strutturando se stessa come nucleo di direzione, che solo costruendo l’iniziativa offensiva in relazione ai nodi centrali dello scontro tra classe e Stato, imperialismo e antimperialismo, ha immesso nello scontro le condizioni per costruire e selezionare i termini complessivi della direzione idonea a qualificarsi come OCC. In questa prassi e in questo indirizzo si è sostanziato il ruolo di direzione dei NCC, quale termine adeguato a dare avanzamento alla fase della Ric. all’interno delle condizioni politico-generali segnate dalla discontinuità d’attacco e dalla stabilizzazione del portato della controrivoluzione nel campo proletario e rivoluzionario. Un principio, quello dell’agire da P. per costruire il P., dirimente l’affermazione dell’agire della guerriglia, soprattutto nello SA, stante la centralità del nodo della costruzione della direzione rivoluzionaria come OCC. Un principio che andava necessariamente riaffermato in quanto le condizioni di scontro segnate dalla mancanza dell’attacco al cuore dello Stato e dalla difensiva di classe, non lo rendevano immediatamente comprensibile agli ambiti delle avanguardie di classe disposte sul terreno rivoluzionario ma politicamente impoverite. Si trattava di fare chiarezza rispetto alle interpretazioni fenomeniche e spontaneiste che potevano snaturare il processo dialettico della costruzione del processo rivoluzionario e della sua direzione in un’accezione evolutiva in cui quest’ultima si raggiunge solo quando si è in grado di portare l’attacco al punto più alto, un’accezione che nei fatti separa la costruzione politico-organizzativa dal ruolo d’avanguardia nello scontro. Principio questo dell’agire da P. per costruire il P. che, insieme alle cognizioni e concezioni generali della guerra di classe proprio alla proposta strategica delle BR-PCC, l’avanguardia, nel reimmettere nello scontro il dato politico assente, riafferma e chiarifica come una necessità politica data dal fatto che la guerra di classe non è dominante nello scontro politico odierno.

In concreto svolgere una funzione di OCC non era e non è un processo che può darsi fuori dalla relazione con lo scontro generale, ovvero dell’esercizio di una funzione di direzione rivoluzionaria che si misura con le problematiche centrali dello scontro tra le classi in termini complessivi, politicamente e militarmente intesi, in quanto è solo a partire dal relativo vantaggio politico che l’iniziativa combattente ricava intervenendo sui rapporti di forza, che si possono dare quei margini da impiegare per rilanciare il nodo strategico del potere e determinare i piani di aggregazione e ricostruzione consoni ad operare la direzione adeguata a sostenere e stabilizzare l’iniziativa rivoluzionaria. In questo senso il piano delle rotture soggettive sul terreno della LA, i processi politici aggregativi, si misurano costantemente con questi nodi di ordine politico complessivo, in quanto la problematica inerente al nodo di costruzione del PCC si misura in ogni momento con le modalità generali della prassi d’avanguardia nel combattimento contro lo Stato. Questione in riferimento a cui non è sufficiente una disposizione spontaneistica, di semplice schieramento o concepita come processo organizzativistico sulla linea d’O., ma si concretizza nel processo di centralizzazione politica sulle esigenze del combattimento alo Stato, alla disarticolazione dei suoi progetti dominanti, senza che l’iniziativa rivoluzionaria si disperda su questioni secondarie rispetto al piano di scontro centrale, o sia semplice riflesso di interessi antagonistici parziali. In questo quadro i processi aggregativi che si producono dal rapporto con lo scontro generale fanno sì che la soggettività di classe rivoluzionaria si costruisca e di sformi in modo adeguato a sostenere lo scontro e affrontare i nodi della fase rivoluzionaria in relazione alla concreta attivizzazione funzionale alla Linea Politica e programmatica d’O., ovvero al contenuto politico-organizzativo e di combattimento che ne guida la prassi e l’organizzazione conseguente.

Le BR-PCC hanno definito una specifica linea politica per indebolire ed ostacolare il progetto neocorporativo per la centralità che questo ha nei processi tesi a consolidare il dominio della BI sul proletariato, con l’assestamento di una mediazione politica neocorporativa. Centralità che deriva dalla funzione che il neocorporativismo svolge rispetto al governo del conflitto di classe, avendo a base la negazione degli interessi generali del proletariato e la ricomposizione forzosa di interessi diversi e particolari intorno a quelli della frazione dominante della BI. In ciò la logica neocorporativa si contrappone direttamente agli interessi generali della classe operaia e del proletariato, isolando e accerchiando le istanze di autonomia di classe non subordinate.

Il consolidamento del progetto neocorporativo è fondamentale per la BI ed il suo Stato, condizione generale attraverso cui gli Esecutivi intendono gestire le contraddizioni antagoniste e rimodellare le relazioni tra le classi facendo arretrare ulteriormente le posizioni politiche e di forza del proletariato, quale presupposto di fondo per far avanzare i processi di ristrutturazione economico-sociale e gli ulteriori passaggi di riforma dello Stato. Processi di ristrutturazione economico-sociale che nella loro funzione controtendenziale alla crisi intensificano lo sfruttamento della forza lavoro, linee di politica economica e sociale che investono l’area europea, tese ad abbattere i vincoli e le normative conquistate dalla classe operaia che regolano la legislazione sul lavoro; ristrutturazioni finalizzate in sintesi a ribaltare il ruolo del lavoro nella società e quindi renderlo subalterno in tutti i suoi aspetti alle necessità capitalistiche. Un passaggio che deve far fronte sia alla debolezza strutturale dell’economia italiana, sottoposta tanto alla concorrenza dei monopoli più forti europei ed americani, quanto a quella dei paesi emergenti, e che pertanto nella dinamica di attuazione riduce i margini di mediazione possibile, sia alla storia politica e sociale del nostro paese che ha sedimentato storicamente nel conflitto di classe una forte autonomia proletaria, motivo per cui i vari patti di stampo neocorporativo, ai quali si sono affiancati i primi processi di esecutivizzazione e i tentativi più o meno organici di Riforma dello Stato, quale ad esempio il progetto demitiano, attuati nel corso degli ultimi venti anni contro e sopra la testa della classe operaia, non hanno ancora prodotto gli esiti auspicati dalla BI, motivo che nello scontro caratterizza modalità, contenuti e non linearità nell’attuazione del “modello neocorporativo”, dovendosi misurare con le caratteristiche del quadro di scontro tra le classi storicamente determinato.

Rimodellazione economico-sociale che ha modificato e modifica la mediazione politica tra le classi e sostiene i processi di Riforma dello Stato, perseguita dalla soggettività politica della frazione dominante della BI nostrana nel quadro dei suoi interessi strategici riferiti necessariamente alla concorrenzialità ed interdipendenza economica per aree quale terreno delle concentrazioni monopolistiche in corso.

Dinamiche economiche che in riferimento a questa fase di sviluppo/crisi dell’imperialismo hanno richiesto l’adozione e la generalizzazione di un complesso di politiche economiche da parte dei singoli Stati imperialisti obbligato a misurarsi con il nuovo quadro prodotto dai livelli di internazionalizzazione del capitale quale piano di approfondimento raggiunto dagli organici rapporti di interdipendenza ed integrazione già prodottisi nell’evoluzione dell’imperialismo dopo la seconda guerra mondiale. Processo che si è riversato in termini generali su tutta la catena imperialista e nello specifico sui processi di coesione europea con la definizione di politiche comuni sia come linee di politiche economiche e sociali che di politiche proprie al rafforzamento e stabilizzazione del dominio della BI e funzionali a produrre i termini affinché lo Stato possa garantire confacentemente gli interessi della BI.

Per questo quadro di interessi e progettualità, la rimodellazione economico sociale e di riforma dello Stato, di stampo neocorporativo è economicamente organica e politicamente funzionale alla coesione politica europea, tanto più necessaria allo Stato quale base interna di rafforzamento per la sua assunzione di ruolo nelle politiche centrali dell’imperialismo e nei processi di guerra in atto.

Per questo il contenuto neocorporativo è il piano di riferimento rispetto a cui si vanno a formare, ruotare e collocare gli equilibri politici nel quadro dell’alternanza degli schieramenti di maggioranza, e non rappresenta certo “scorciatoie” autoritarie, tra l’altro di difficile gestione. Tanto per gli Esecutivi di centrosinistra (come è stato nei precedenti governi) che per quello di centrodestra attuale, il contenuto neocorporativo è l’asse centrale rispetto cui riferirsi nella propria azione, ciò che muta sono le relazioni con le parti sociali (il tipo di rapporto tra Esecutivo e Sindacato Confederale in primo luogo) e le formule politiche su cui si articola il neocorporativismo stesso.

Oggi si assiste ad una ridefinizione delle relazioni neocorporative tra Esecutivo-Confindustria-Sindacato Confederale e ad una diversa funzione della negoziazione neocorporativa rispetto alla precedente formula politica concertativa. “Concertazione” che ha incarnato tutta una fase della politica neocorporativa e consentito sul piano della sua istituzionalizzazione la generalizzazione del contenuto neocorporativo nelle relazioni politiche e di scontro tra le classi, sia veicolando ed informando le modifiche legislative sul diritto del lavoro e sostenendo con la “politica dei redditi” gli indirizzi economici dentro il contesto di crisi e nell’ambito dei processi di integrazione europea, sia affiancando le istituzioni e lo Stato quale canale di legittimazione ulteriore della sua azione. “Concertazione” la cui azione ha costruito e definito quei margini politici sul piano delle relazioni tra le classi, e di conseguenza su quello degli equilibri politici tra classe e Stato, per operare processi rispondenti alla necessità di una più complessiva riforma e ristrutturazione economico-sociale e quelli relativi ai passaggi che hanno investito la rappresentanza politica e la rifunzionalizzazione dello Stato. Una fase di affermazione della negoziazione neocorporativa, espressione degli equilibri politici di quella fase. Un’azione politica di accerchiamento dell’autonomia di classe, ragione per cui si rendeva necessario il massimo di inglobamento possibile delle istanze sociali rappresentate e rappresentabili al fine del depotenziamento dei contenuti di classe. Una funzione antiproletaria a partire dalla quale c’è stato il riposizionamento delle forze politiche di entrambe le coalizioni per affermare l’alternanza, al fine di stabilire il terreno istituzionale funzionale alla “democrazia governante”, poggiante sulla riduzione e selezione degli interessi rappresentabili e mediabili rispetto a quelli centrali della BI. In questo senso la formula politica della concertazione ha accompagnato il trapasso dalla prima alla seconda repubblica. Un processo che si è avvalso delle forzature della BI rispetto alla centralità dei suoi interessi e quindi teso sostanzialmente al rafforzamento del dominio della BI nei confronti della classe operaia e del proletariato. I “patti sociali” del ’92-’93, insieme agli ulteriori sviluppi che da questi ne sono conseguiti nel decennio grazie alla formula politica concertativa e al modello di relazioni sociali che l’ha sostanziato, hanno di fatto rappresentato un puntello essenziale nel quadro del governo della crisi e delle contraddizioni del conflitto di classe andando a rafforzare l’azione degli Esecutivi nella loro opera, con un ampliamento delle loro stesse prerogative decisionali.

L’attacco a M. D’Antona portato dalle BR-PCC al progetto neocorporativo ha contribuito sostanzialmente alla crisi della funzione politica della “concertazione” già in parte logorata dalla resistenza e opposizione di classe agli accordi del luglio ’92 e ’93, al famigerato “grande patto di Natale” e alle politiche che ne hanno sostanziato il corso; attacco che ha indebolito l’azione politica dell’Esecutivo.

Un quadro che a fronte delle ulteriori scelte e necessarie trasformazioni che erano implicate nel rispondere agli interessi della BI sul terreno della ristrutturazione e riforma economico-sociale in relazione all’approfondimento della crisi e allo sviluppo della tendenza alla guerra, nonché delle contraddizioni immesse dalla resistenza operaia e proletaria, ha posto alla soggettività politica della BI il doversi misurare, proprio a partire da questi dati di fondo, con le necessarie risposte politiche da mettere in campo, riferite ai termini di politica economica e di rifunzionalizzazione dello Stato contemporaneamente, tenendo in conto quanto maturato nei passaggi avvenuti su questi piani nel decennio precedente, al fine di saper integrare i passaggi di questa duplice priorità nelle capacità di governare le contraddizioni generali determinate dall’approfondimento della crisi del capitalismo. Ciò ha significato elaborare e definire una progettualità politica che portasse a sintesi organica e facesse, appunto, compiere un salto agli indirizzi “riformatori” messi in campo nel decennio precedente ricollocando il contenuto neocorporativo sia per la funzione che va ad assumere che per il sistema di relazioni che lo sostanzia, su un piano più avanzato. Non semplice prolungamento del piano di ristrutturazione economico-sociale portato avanti dagli Esecutivi degli anni’90: la riorganizzazione prospettata attiene ad una modifica profonda del “modello” di società, ovvero quella rappresentabile delle “democrazie governanti” in cui la strutturazione corporativa delle relazioni sociali è base della riduzione della rappresentanza istituzionale, politica e sociale del proletariato e quindi l’azione politica degli indirizzi riformatori si colloca e agisce sul complesso della riforma statuale, a partire dal rafforzamento e stabilizzazione delle prerogative dell’Esecutivo, quale perno della rifunzionalizzazione dello Stato, fino a rivedere la stessa forma-Stato in senso “federalista”. Federalismo che, tutt’altro dall’essere una ripartizione amministrativa, risponde all’esigenza economica di ricavare differenti saggi di profitto con il conseguente indebolimento del proletariato sul piano locale. Un salto di qualità richiesto a seguito delle modifiche apportate nel decennio passato alla legislazione sul lavoro e quelle a livello di rifunzionalizzazione dello Stato, unitamente all’approfondimento del rapporto crisi/guerra.

È all’interno di queste linee di fondo che la formula politica del “dialogo sociale” supera la “concertazione” intesa come dialettica non conflittuale tra le parti sociali, in quanto la prima dovrebbe poggiare su un sistema di relazioni e filtri che selezioni a monte i termini del conflitto di classe e con ciò di fatto ampliando i margini di manovra e di intervento degli Esecutivi stessi, nonché stabilizzando le condizioni politiche e sociali per “l’alternanza”.

Una dinamica che investe il piano di ridefinizione delle relazioni neocorporative tra Esecutivo Confindustria e Sindacato Confederale, cosa che non solo presuppone la posizione subordinata del Sindacato in termini generali agli interessi della BI, ma più sostanzialmente opera attraverso la collocazione funzionale delle organizzazioni sindacali in rapporto all’azione dell’Esecutivo e alle trasformazioni che l’assestamento dei processi di ristrutturazione economico-socciale e riforma in senso federalista aprono. Un disegno politico che con la compenetrazione tra pubblico e privato nei settori dell’istruzione, della sanità, dell’assistenza, ecc., con un maggior ruolo delle Fondazioni, del Terzo Settore…, come pure l’ulteriore trasformazione del Sindacato Confederale in associazione di iscritti, “erogatore di servizi” e non più nel ruolo di organizzatore del conflitto con il capitale, fruisce di una base economica e sociale concreta.

Una dinamica politica non priva di contraddizioni, ma che tende a normalizzare e funzionalizzare questo piano di relazione ai nuovi termini di democrazia dell’alternanza e del suo carattere “governante”, accentrante i poteri dell’Esecutivo. Ma soprattutto l’aspetto principale di questa progettualità politica è quello di costituire un salto nelle relazioni politiche e di forza tra le classi complessificandone e approfondendone il contenuto neocorporativo rispetto al livello di crisi cui è giunto il capitale. Dato di fondo quest’ultimo che impone una riorganizzazione delle relazioni sociali rispetto agli interessi antagonistici che esprime, funzionale alla regolazione complessiva della forza-lavoro e del suo mercato aderente ala capacità competitiva del sistema economico-sociale, alla ristrutturazione di forme di rapporti sociali e di lavoro idonei a tutti i livelli a sostanziare questo obiettivo, marginalizzando di fatto gli interessi e le istanze di classe a fronte della rimodellazione del reticolo della mediazione politica e della stessa rappresentanza politica e sociale, coerente a sostenere i processi di Riforma dello Stato e la tenuta del fronte interno rispetto all’impegno costante dello Stato nella guerra imperialista.

Guerra imperialista la cui genesi risiede nella crisi del Modo di Produzione Capitalistico ed il “fallimento” delle politiche controtendenziali alla caduta del saggio medio di profitto e l’adozione del riarmo come politica economica in qualità di domanda aggiuntiva (per le caratteristiche intrinseche a questa scelta il cui sbocco necessario è la guerra, pena la bancarotta degli Stati che ne fanno ricorso) sono l’indice generale che evidenzia la tendenza a risolvere la crisi in chiave bellica, in quanto la guerra è, in ultima istanza, distruzione di capitali eccedenti, funzionale ala ripresa del ciclo economico sulla base di una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati.

La controrivoluzione imperialista verso i paesi del Patto di Varsavia, la destabilizzazione di interre aree geopolitiche e la destrutturazione economica per l’assoggettamento ed inglobamento nella catena imperialista di paesi anche con interventi militari, hanno segnato e costituiscono passaggi politici concreti che hanno fatto avanzare la tendenza ala guerra. Un avanzare che ha caratterizzato la modifica degli equilibri ed assetti politico-economici internazionali scaturiti dalla Seconda Guerra Mondiale e da decenni di guerre di liberazione nazionale.

Tappe che, dalla controrivoluzione imperialista, ala decennale aggressione all’Iraq, interna ai tentativi di stabilizzazione imperialista dell’area mediorientale, perseguiti storicamente dalla catena imperialista nel quadro del confronto ad Est, e che dall’imposizione dell’entità sionista si sono susseguiti senza soluzione di continuità, alla frantumazione ed assoggettamento della yugoslavia e dei Balcani, hanno evidenziato la rotta della guerra imperialista sulla contraddizione Est/Ovest, quale rapporto dominante economico, politico, sociale storicamente determinato. Tappe che, proprio nel dover impattare e rompere un equilibrio politico e sociale determinatosi storicamente hanno evidenziato da subito l’imposizione di relazioni volte ala subordinazione di paesi e sottomissione di popoli nel tentativo di privarli del loro diritto ad uno sviluppo autonomo e così condannandoli alla dipendenza e subordinazione economica e politica instaurando rapporti di dominanza peculiari volti all’inglobamento nella catena imperialista.

Questi i caratteri insiti nella strategia imperialista che ha guidato la penetrazione e gli eventi bellici, quanto gli schieramenti in essa.

Gli indirizzi guerrafondai e schieramenti inseriti nel quadro storico di integrazione e gerarchizzazione della catena imperialista da cui non si può prescindere. Le dinamiche che hanno marcato i passaggi salienti della tendenza alla guerra imperialista chiariscono come questa non possa essere interpretata come la riproposizione di una guerra di ripartizione di aree di influenza tra potenze imperialiste in conflitto tra loro, e gli attuali eventi bellici come una sorta di forma surrogata del livello assunto dalla concorrenza, come passaggio transitorio ad un conflitto interimperialista generalizzato. Al contrario i fatti sono lì a dimostrare che tanto più si approfondisce la dinamica della tendenza alla guerra e si rimarca come direttrice del conflitto l’asse Est/Ovest, tanto più, anche se contraddittoriamente, si pongono i termini di approfondimento del compattamento all’interno della catena imperialista, in questo senso la coesione europea e del ruolo assunto sul piano politico-militare, tutt’altro dal costituire un polo alternativo agli USA, è in tutta evidenza un pilastro della strategia NATO.

Gli attacchi al Pentagono e al World Trade Center, subiti dagli USA, oltre a mostrare la loro vulnerabilità, evidenziano per contro i caratteri propri, genocidi, controrivoluzionari e di attacco all’autodeterminazione dei popoli insiti e dispiegati dai processi di penetrazione e di guerra condotti dalla catena imperialista a partire dal suo polo dominante statunitense. Attacchi assunti dagli USA come “casus belli”, pretesto usato per ricollocare su un piano più avanzato i processi di guerra imperialista. Ricollocazione da cui scaturisce il dispiegamento in centro-Asia attraverso l’aggressione e l’occupazione dell’Afghanistan. Una nuova fase nella tendenza alla guerra imperialista derivata in realtà come necessità imposta dalle proprie contraddizioni, che hanno avvistato la capacità di governare e stabilizzare le crisi aperte dall’imperialismo stesso, e dalla resistenza di massa e d’avanguardia alle sue politiche di assoggettamento, che ha ulteriormente minato tale capacità. In altri termini lo status quo prodotto dalle “paci di carta”, in un quadro di stagnazione economica, era diventato elemento di freno, indicatore di arretramento delle posizioni imperialiste e in questo gli attacchi subiti ne sono stati cartina tornasole.

Un’accelerazione dei processi di guerra indotta dal polo dominante statunitense che è in sostanza uno squilibrio verso la generalizzazione della guerra imperialista. Il processo di guerra imperialista aperto in questa fase non è misurabile tanto rispetto al dispiegamento bellico linearmente inteso, anche se questo per necessità ha avuto un incremento, ma soprattutto per come investe, come passaggio politico, il complesso delle relazioni internazionali in cui la determinazione bellica innerva il piano politico-diplomatico dando luogo ed imponendo lo schieramento sugli interessi imperialisti intorno ad un quadro di rigida polarizzazione che investe il piano interno agli stessi Stati imperialisti, i quali operano attraverso misure legislative, politiche, di “ordine pubblico” e controrivoluzionarie in coordinamento tra loro sugli indirizzi generali da adottare funzionali alla tenuta del fronte interno. Misure supportate anche attraverso il terrorismo psicologico, disponendo i propri apparati giudiziari per alimentarlo e sostenerlo, e con la propaganda finalizzata a creare il clima di “inevitabilità” della guerra, di “convivenza” con la condizione immanente della guerra, tutti fattori che segnalano il grado di approfondimento e precipitazione verso un conflitto vasto e generalizzato.

È all’interno di questi caratteri che in linea generale contraddistinguono la fase di scontro interna ed internazionale, che le BR-PCC hanno rilanciato la propria progettualità rivoluzionaria ed i termini politici e programmatici per far avanzare la guerra di classe, sulle direttrici di combattimento dell’attacco allo Stato e dell’attacco alle politiche centrali dell’imperialismo con la proposta del Fronte Combattente Antimperialista, ed hanno attaccato la progettualità politica della frazione dominante di BI al fine di incidere nello scontro politico tra le classi, in funzione di una linea di combattimento che in questa fase della guerra di classe deve riferirsi agli obiettivi volti a produrre disarticolazione politica dello Stato ed in cui si sostanzia l’agire da Partito per costruire il Partito volendo spostare in avanti lo scontro tra le classi e collocare su un punto di forza la posizione degli interessi autonomi del proletariato, facendo così avanzare la linea politica sulla quale indirizzare lo scontro prolungato contro lo Stato e l’imperialismo che propongono alle avanguardie, al proletariato rivoluzionario e a tutta la classe.

Le BR-PCC, misurandosi con i termini di evoluzione dello scontro che vedono la BI riprendere l’iniziativa per capitalizzare in termini politici i risultati del duplice processo controrivoluzionari nei rapporti politici e di forza con la classe hanno ricondotto la situazione dello scontro sul terreno risolutivo della guerra di classe, unico capace di affermare l’alternativa di potere al sistema della BI, nonché di far pesare in termini politici gli interessi generali ed autonomi della classe operaia e del proletariato, misurandosi in termini adeguati al tipo di attacco e di modifica dei rapporti tra le classi in corso.

Per le BR-PCC intervenire sui nodi generali dello scontro operando concreta direzione rivoluzionaria e rilanciando la prospettiva di potere sul terreno della guerra di classe, è il solo modo per modificare i rapporti di forza, piano politico sul quale il proletariato e le avanguardie possono tornare a pesare rapportandosi all’attività generale dell’avanguardia armata e soprattutto è solo in questa dialettica che la autonomia politica di classe può trovare la sua ridefinizione in avanti. E’ in questa prospettiva che il rilancio ed avanzamento verso la stabilizzazione dell’iniziativa combattente contro il progetto neocorporativo riesce a relazionarsi ai diversi fattori in campo in una situazione che, sostanziata dalla stabilizzazione del portato della controrivoluzione e dalla difensiva di classe, che ha determinato un considerevole svuotamento politico del movimento rivoluzionario, vede la classe rispondere all’attacco borghese con gli strumenti a disposizione entro cui misura lo scarto, nonostante le ampie mobilitazioni, della realtà dei rapporti di forza e della capacità dello Stato di imporre il proprio terreno di intervento, situazione che ciononostante ha visto il prodursi di uno schieramento rivoluzionario intorno alle iniziative offensive dell’Organizzazione.

In questo quadro è l’Organizzazione l’unica a cogliere la sostanza del progetto della borghesia e dei nodi politici generali che investono lo scontro e le relazioni tra le classi, volendo la borghesia sospingere ulteriormente indietro le posizioni proletarie, attrezzandosi sui diversi piani per normalizzare il conflitto di classe e neutralizzare la proposta rivoluzionaria. Pertanto nella realtà dello scontro, padroneggiandolo sia in termini concreti che prospettici, l’Organizzazione riafferma la dimensione di guerra di classe del processo rivoluzionario assumendo l’unità del politico e del militare come dato che vive in ogni aspetto dell’attività rivoluzionaria basata sulla strategia della Lotta Armata, ed in ogni momento dello scontro rivoluzionario, prassi entro cui ricolloca lo stato delle forze in campo e dei diversi fattori facenti parte dello scontro, e definendo il movimento complessivo della guerra di classe entro cui inquadrare la pratica rivoluzionaria.

Movimento della guerra di classe che richiede la presa d’atto di principi, criteri e leggi che ne sono alla base e che sono emersi dalla verifica pratica nello scontro. Poiché è solo all’interno di questa concezione che è possibile assumere una disposizione adeguata da parte dell’avanguardia che si relaziona sul terreno della LA sia in generale rispetto ai caratteri della guerra di classe che rispetto ai nodi della fase rivoluzionaria, contraddistinta dai compiti della fase di Ric. delle forze rivoluzionarie e proletarie all’interno dei caratteri generali della fase di RS.

Caratteri e indirizzi di fase che necessitano il disporsi sul contenuto orientante della prassi d’O., la sua linea politica e programmatica non in termini generici o di riferimento virtuale, ma sappia esprimere quel livello di centralizzazione funzionale alla pratica d’avanguardia rivola alla disarticolazione dei progetti della borghesia, quanto funzionale alla direzione ed organizzazione del processo rivoluzionario nel suo complesso.

Per concludere ribadiamo che il processo che qui viene celebrato non è che un momento anche poco significativo dello scontro che oppone la classe allo Stato, e che il nostro rapporto con lo Stato dipende dal rapporto che le BR-PCC hanno con esso, ben coscienti che la credibilità ed autorevolezza della nostra O. nel tessuto proletario non può essere minimamente scalfita da qualsiasi manovra, tantomeno quelle attuate verso i prigionieri perché conquistata in più di trenta anni di attività rivoluzionaria nel nostro paese. Quindi dei nostri atti politici come della nostra militanza, rispondiamo solo alle BR-PCC e, con esse, al proletariato di cui sono l’avanguardia rivoluzionaria.

 

– Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di rimodellazione economico-sociale neocorporativo e di riforma dello Stato

– Organizzare i termini politici e militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata

– Attaccare le politiche centrali dell’imperialismo, dalla linea di coesione europea, ai progetti e alle strategie di guerra e controrivoluzionarie diretti dagli USA e dalla NATO

– Promuovere la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista

– Trasformare la guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe

– Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti

 

I militanti delle BR per la costruzione del PCC
Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli

La militante rivoluzionaria
Vincenza Vaccaro

 

Roma, settembre 2002

Ci costituiamo in Collettivo comunisti prigionieri. Documento di Bortolato Davide, Davanzo Alfredo, Latino Claudio, Sisi Vincenzo, Toschi Massimiliano

Con la stagione processuale consideriamo esaurita la fase, che, pur prigionieri, ci vedeva in affermazione e continuità con la battaglia politica condotta all’esterno. Fase in cui abbiamo usato le aule dei tribunali borghesi per affermare gli obiettivi generali e il contenuto dello scontro sostenendo il tentativo progettuale da noi portato avanti: contribuire alla costruzione del partito comunista nella forma e con i caratteri storicamente necessari per condurre vittoriosamente il processo rivoluzionario. Ciò che si riassume nel concetto – prassi di unità politico-militare, forma concreta della politica rivoluzionaria.

Questo all’interno dello sviluppo dell’autonomia di classe e nel vivo dello scontro, dei problemi e dei nodi politici che concretamente si presentano e rispetto ai quali si definisce la politica rivoluzionaria, l’agire da partito.

Questa nostra assunzione di responsabilità ha poi determinato lo scontro politico attorno alla nostra vicenda: all’operazione dello Stato di prevenzione e repressione dell’istanza rivoluzionaria si è contrapposto un forte schieramento solidale interno al movimento di classe. Centinaia di episodi di sostegno, dalle semplici scritte apparse nei muri delle metropoli, alla promozione di assemblee e comitati di solidarietà, fino al sostegno emerso fra gli operai nelle fabbriche in cui alcuni di noi lavoravamo. Tutto questo ci ha affiancato mentre rivendicavamo nei tribunali borghesi la nostra identità e la nostra prassi.

L’unità che si è così creata ha suscitato forti allarmi fra gli apparati della controrivoluzione che puntavano alla nostra criminalizzazione e quindi al nostro isolamento.

Unità cui hanno fortemente contribuito anche quei compagni che, pur non partecipi all’organizzazione rivoluzionaria e colpiti dagli arresti, non hanno piegato la testa di fronte al nemico comune.

Per mesi e mesi, il lavoro svolto dai settori di movimento unitisi nell’iniziativa di solidarietà ha determinato, nella sua dialettica con l’istanza rivoluzionaria, un dato politico: non solo che quest’ultima è tutt’altro che isolata ma che, pur colpita, agisce sui livelli del dibattito e della coscienza di classe, proprio perché riafferma la presenza della via rivoluzionaria nel vivo della lotta di classe.

Se fino alla battaglia politica processuale è stato necessario e prioritario affermare obiettivi e contenuti generali dello scontro sostenendo il tentativo progettuale da noi portato avanti, ora, mantenendo fermi questi capisaldi, si tratta di assumere più precisamente il contesto nuovo in cui ricollocare la nostra militanza.

Abbiamo deciso quindi di costituirci in Collettivo Comunisti Prigionieri; una decisione che non vuole certo assumere un significato di discontinuità politica, in quanto obiettivi e contenuti generali sono sempre gli stessi che orientano la nostra azione, quanto piuttosto definire la nostra discontinuità nel nostro modo di contribuirvi.

Un contesto, quello del carcere, che impone sì limiti precisi, ma che non bisogna considerare un “buco nero”, dove si viene sottratti alla lotta. Il carcere fa parte dello scontro: anzi, più lo scontro si approfondisce e investe i rapporti di forza fra le classi, più il carcere è presente. Quando poi il processo rivoluzionario si dispiega, allora carcere e repressione si massificano.

Tendenza questa che si manifesta con sempre più intensità man mano che la crisi del modo di produzione capitalistico produce i suoi effetti.

Le sempre più pesanti restrizioni che la borghesia imperialista impone e continuerà ad imporre alla classe operaia e al proletariato nel tentativo di cercare la soluzione alla sua crisi riproporranno con sempre più forza i temi legati allo scontro di classe che, liberandosi via via dalle catene della legalità borghese, aprirà spazio in primo luogo alla necessità della rivoluzione proletaria e allo sviluppo delle sue articolazioni organizzative in precisi termini politici e militari, di strategia, di sviluppo dello scontro e dei suoi mezzi.

Ed è solo su questo terreno di tendenziale scontro per il potere che il proletariato può unificarsi in quanto classe, dando sbocco positivo alle tante lotte parziali (altrimenti condannate all’impotenza) e che la borghesia può venire sconfitta.

Uno scontro in cui carcere e repressione divengono sempre più gli strumenti utilizzati per piegare e annichilire le istanze rivoluzionarie che intendono dialettizzarsi con il movimento di classe. Su questo terreno la contesa principale si dà attorno alla resistenza dei militanti prigionieri e alla loro difesa del processo rivoluzionario.

Come controprova conosciamo tutti i mezzi dispiegati per estorcere capitolazione, tradimento, dissociazione, fino alle forme più sofisticate e soffocanti di tortura psico-fisica, come il regime carcerario del 41bis. Questo perché lo stato vi dà grande importanza per contrastare e disgregare il movimento rivoluzionario dal suo interno. Soprattutto in una fase di crisi come questa in cui piccoli punti di riferimento per il proletariato possono assumere grande valore strategico.

Ecco che resistere, sostenere le posizioni rivoluzionarie, non cedere a ricatti e repressione diventa sempre più per i comunisti in carcere un imperativo.

Cosa che non è solamente fatto testimoniale di difesa dell’identità politica, bensì partecipazione concreta allo sviluppo del processo rivoluzionario.

Questo è l’obiettivo principale per cui ci siamo costituiti in Collettivo Comunisti Prigionieri.

Obiettivo che si concretizza nelle molteplici, seppur limitate, interazioni con il movimento rivoluzionario e di classe.

In particolare cercheremo di contribuire al dibattito, al lavoro di analisi generale; anche con traduzioni di materiali provenienti dal movimento comunista internazionale e dalle esperienze rivoluzionarie avanzate.

Intendiamo inoltre continuare a formarci come comunisti sul piano teorico, cercando di migliorare la nostra comprensione del marxismo-leninismo-maoismo, promuovendo gruppi di studio e seminari. Pensiamo anche che sia importante rapportarsi al cosiddetto mondo carcerario e alle sue lotte, per i tanti motivi che ne fanno un anello decisivo della macchina di repressione di classe, che è lo stato borghese. Questo con tempi, modi e obiettivi che definiremo man mano.

Perciò, come già fatto, cercheremo di cogliere le occasioni opportune per solidarizzarci ai movimenti di lotta e di protesta che possono prodursi e ci rapporteremo alle iniziative e campagne di denuncia, controinformazione e agitazione.

Tutto questo consapevoli del fatto che sta al movimento rivoluzionario, alle sue avanguardie, l’affrontare e risolvere i nodi politici per avanzare verso una nuova definizione progettuale strategica e verso la ripresa del processo rivoluzionario. Noi cerchiamo di fare la nostra parte resistendo e tenendo alta la bandiera rivoluzionaria qui, nella trincea carceraria.

 

Collettivo Comunisti Prigionieri “L’Aurora”

Bortolato Davide

Davanzo Alfredo

Latino Claudio

Sisi Vincenzo

Toschi Massimiliano

 

Siano-Catanzaro, gennaio 2011

Abbiamo alternative?

Nulla è scontato in quanto si dia soltanto sul piano teorico. La più giusta delle teorie in campo politico deve trovare conferma nella pratica, deve tradursi in elemento concreto e vivo per il soggetto sociale cui si riferisce. Questo postulato, più volte richiamato da P., sta assumendo una urgenza inaggirabile. Perché quello che salta agli occhi sono due fatti:

1) la corrispondenza tra il decorso della crisi capitalistica e la visione teorica M.L. cui ci rifacciamo, la corrispondenza teorica quindi tra gli sviluppi della lotta di classe e lo sbocco politico prospettato dai comunisti;

2) la non corrispondenza tra questi presupposti, tra queste potenzialità, tra queste occasioni storiche ed i passi concreti compiuti dai comunisti. Abbiamo già più volte preso atto di come la stagnazione del movimento comunista nel nostro paese (e più generalmente in Europa) sia da ricondurre ad alcuni grossi avvenimenti che, nell’insieme, hanno determinato un contesto negativo: sconfitta tattica della L.A. comunista agli inizi degli ’80 con un naufragio del tentativo del salto al Partito; arretramento nei rapporti di forza tra le classi con la grande e continuativa offensiva borghese dello stesso decennio; crollo del revisionismo all’Est che, se resta globalmente un fatto positivo, ha consentito e consente un pesante attacco trasversale al Comunismo, comunque un suo momentaneo ridimensionamento come prospettiva concreta per i movimenti di massa (M.M.).

Lo stesso decorso della crisi capitalista, per quanto segua una linea tendenziale ben precisa, favorevole all’acutizzarsi dello scontro di classe, ha visto però nei paesi imperialisti il contrastante agire di fattori negativi per il processo di ricomposizione di classe: margini di manovra nei processi ristrutturativi che hanno consentito un profondo attacco all’omogeneità del corso di classe, manipolazione di elementi di divisione (soprattutto in migrazione dai paesi periferici), emergenza del peso politico delle mezze classi piccolo-borghesi che, anch’esse intaccate dalla crisi e dallo strapotere della B.I., reagiscono a modo loro e riuscendo però ad incanalare dietro sì settori di massa in fuorvianti guerre interborghesi.

D’altronde, se si vuole, quante controtendenze alla ricomposizione di classe sono l’altra faccia della crisi che non è solo attacco alle condizioni economico-sociali del proletariato, ma anche costante pressione preventiva politico-militare e culturale contro il nemico di classe. Insomma nella giusta visione teorica M.L. sul decorso di quella crisi capitalista non c’è solo lo sbocco rivoluzionario, c’è anche la disgregazione sociale, la decomposizione sociale, la barbarie. Tutte queste considerazioni per dire che indubbiamente in Europa hanno agito precise controtendenze al processo politico di ricomposizione rivoluzionario del proletariato e per non sprofondare in eccessi autocritici di fronte alla nostra attuale situazione.

Ma queste condizioni evidenziano, se lette nel loro nesso dialettico che non c’è nulla di scontato e di meccanico nell’affermazione della tendenza o delle controtendenze perché l’una avanza a spese delle altre e viceversa e molto dipende dall’affrontamento, dallo scontro, dal rapporto di forza tra le classi, che continuamente si rinnova. Certo vanno considerati questi fattori oggettivi e quelli soggettivi di dimensione storica (come il crollo e l’ulteriore mutazione del revisionismo) che non sono risolvibili nell’ambito della lotta immediata. Ma c’è tutto l’ambito dello scontro d’attualità, del presente, della fase in corso, in cui non è scontato l’esito se non che per la capacità della forze di classe di riunirsi, concentrarsi e dare battaglia.

Ed è precisamente anche l’accumulo degli esiti di queste numerose battaglie di fase che determina la maturazione di un salto di qualità piuttosto che di un altro nei suddetti grandi fattori di dimensione storica, che determina un contesto piuttosto che un altro: per esempio è così spiegabile, con il diverso sviluppo della lotta di classe e dei suoi percorsi politici, la differenza qualitativa del movimento di classe in paesi peraltro simili come quelli europei.

Per quanto “negativa” possa essere la situazione attuale, essa è ancora ben insufficiente per gli obiettivi e la strategia della B.I., per cui essa continuerà a perseguirli intensificando l’attacco di classe. Come possiamo dare per scontato il suo sviluppo, gli scontri cui darà luogo, gli sviluppi politici che potrà indurre? Come possiamo ritenere ininfluente lo sforzo ricompositivo dei comunisti di oggi per avere un ruolo politico dentro questo scontro in futuro? Come possiamo non “avere fretta” sapendo che solo la presenza dei comunisti può incanalare positivamente un’energia di massa che, viceversa, verrà fuorviata, manipolata ed infine fatta implodere (come tanti fenomeni di autodistruzione ed autolesionismo sociale oggi testimoniano)? Se non avanza un percorso politico rivoluzionario, questi fenomeni negativi avranno sempre più il sopravvento, provocheranno ulteriore degenerazione nel tessuto sociale proletario: insomma più si va avanti così peggio sarà e ancor meno potremo attenderci un’anonima ripresa rivoluzionaria di massa, come i Bordighisti di sempre attendono.

Lo scontro di classe a venire sarà sicuramente molto aspro e su questo non ci sbagliammo anni fa quando denunciavamo le mistificazioni sull’ampiezza e la realtà effettiva delle ripresine economiche di turno. Ognuna di queste (’84, ’88) si è conclusa con un tonfo recessivo più pesante dei precedenti: al di là di questi alti e bassi della curva ciclica, è la crisi c. ormai datante dal ’73 che non si risolve e che continua. Prevedemmo in gran parte anche gli sviluppi sociali e politici di questo andamento: perché in futuro non dovrebbero accentuarsi ancora, visto che la base economica che li riproduce è sempre orientata su quella tendenza? In questo senso la situazione è favorevole. Ma sembra essersi largamente diffusa nel M.R. un’attitudine di stampo bordighista per cui si giustificano i ritardi soggettivi con la preponderanza ed il peso della controrivoluzione.

Questa contraddizione merita due parole perché spesso sconfina anche tra di noi. È un metodo di analisi “storicistico-giustificazionista” nel senso che prima ancora di assumersi le responsabilità politiche del presente (con relativi rischi di errore) si storicizza il presente stesso, considerandolo sempre e comunque immaturo quanto a condizioni rivoluzionarie (e pur concordando sulla definizione della presente epoca come rivoluzionaria), leggendo la lotta di classe che si presenta sempre e soprattutto nei suoi limiti per confermarsi nella convinzione che le espressioni di classe sono arretrate e quindi soggette al peso della controrivoluzione. Dalla banalità dialettica (peso “complementare” di rivoluzione e controrivoluzione) si finisce all’assolutizzazione meccanicistica (dunque ad una forma di idealismo) di un fattore, la controrivoluzione. È un’assurdità: non si dà mai prevalenza totalizzante, sennò addio dialettica! Ciò vuol dire che la presenza della rivoluzione, del campo rivoluzionario, di due possibilità politiche si dà sempre, a maggior ragione in un’epoca storica di crisi generale capitalista (d’altronde in quest’epoca i Bordighisti han fatto prova del loro fallimento sostanziale, visto che sono mancati ad un appuntamento da loro stessi fissato: bisogna ricordare la loro attesa di questa crisi generale che fu anzi da loro datata, con molto anticipo, attorno al ’75 – ed in questo senso confermando le loro capacità teoriche – ed al punto tale di dedicargli il titolo di una casa editrice) La dine dei ’70 vide invece che un loro rinnovato protagonismo politico, la loro crisi disgregativa più grave.)

Il fatto è che l’elemento positivo, tendenzialmente rivoluzionario. non si presenta in forma pura, cristallina, ma convive e si confonde con altri elementi meno avanzati e pure arretrati che vivono e persistono dentro le manifestazioni di classe. Per di più la sua emergenza in seno ai M.M. dipende esattamente dalla interrelazione, dalla dialettica politica con il Partito (o con il suo embrione); di certo è un’altra assurdità assolutistica l’attesa di un Movimento di Massa Rivoluzionario, tra l’altro invocato come una delle condizioni di un’effettiva fase rivoluzionaria, a sua volta indispensabile per la costruzione del Partito (infatti nella visione bordighista la rinascita del “Partito formale” è un fatto che viene dopo, o comunque durante, il presentarsi di tutte le condizioni favorevoli della situazione rivoluzionaria: con il che non si capisce proprio dove sarebbe il suo ruolo d’avanguardia, né l’utilità della lotta politica.)

In più interventi abbiamo cercato di sintetizzare l’esperienza storica del Movimento Comunista Internazionale per giungere ad una corretta impostazione del rapporto tra dinamica delle masse e dei loro movimenti e dinamica dell’avanguardia, del Partito.

Siamo giunti ad affermare l’insostituibilità e l’indispensabilità dell’una e dell’altra: non si più impostare alcuna strategia Rivoluzionaria che non sia basata sulla dialettica rispetto ai Movimenti di Massa ed alla finalità suprema della loro maturazione in senso Rivoluzionario (strategia che quindi consideri sempre attentamente la realtà di classe da cui si parte) né si può attendere dai Movimenti di Massa una coscienza Rivoluzionaria compiuta (e quindi programma, strategia, organizzazione), perché quest’ultima è propria dell’avanguardia, del Partito.

E la situazione attuale è paradossale perché vede una presenza già significativa di Movimenti di Massa (soprattutto a partire dal ’92), mentre quello che è gravemente deficitario è il percorso di ricostituzione dell’avanguardia: finché quest’ultimo non farà concreti passi avanti, i Movimenti di Massa non potranno dare granché in più. Da anni a questa parte compito prioritario non è un presunto lavoro di ricucitura dei Movimenti di Massa (come gran parte degli opportunisti va proclamando), bensì quello di costituzione dell’avanguardia (possibilmente del Partito) che sola può operare una ricucitura ed un elevamento politico dei Movimenti di Massa. I limiti, le esitazioni dei Movimenti di Massa sono dovuti alla mancanza di una prospettiva politica, cioè di un soggetto politico che sappia farsi carico dei nodi irrisolti e delle contraddizioni accumulate del passato per risolverli dentro un percorso d’avanguardia concreto e credibile.

Fermiamoci un attimo ad osservare la dinamica dei Movimenti di Massa. Nell’autunno ’92 abbiamo una violenta precipitazione di crisi, con un’esplosione di massa molto significativa. Per la prima volta da anni, assistiamo ad uno strappo di massa rispetto ai sindacati: per simultaneità, estensione ed intensità fu un fenomeno di prim’ordine, tant’è che diede il via ad alcuni mesi di conflittualità intensa e diffusa. Ma va soprattutto sottolineato che l’attacco ai vertici sindacali fu, in sé, segno di una certa maturazione, di una positiva evoluzione in seno alle masse, segno della valenza politica insita nelle lotte, delle potenzialità insite nella stessa lotta difensiva.

Ma proprio in casi avanzati come questi si vedono i limiti del Movimento di Massa: un livello di scontro del genere necessitava e richiedeva sbocco politico, non poteva trovare soluzione nelle capacità di autorganizzazione di massa (peraltro necessari ed auspicabili). Controprova possono essere l’incapacità dei Cobas (pertanto rete consistente e diffusa) a sfondare il muro del loro minoritarismo ed il fatto eclatante di queste masse enormi in piazza che, cacciati i sindacalisti a suon di bulloni, restavano lì senza che nessun gruppo politico riuscisse a prendere l’iniziativa.

Abbiamo avuto poi altri M.M. importanti: quelli di singole fabbriche e settori, come quelle di Crotone, Sulcis, Pordenone, lotte che sono giunte all’uso organizzato della violenza; la lotta alla Fiat dove si è invertito il ciclo di riflusso degli ’80 e dove si è massificato un fenomeno di primaria importanza, cioè la partecipazione degli impiegati alla lotta.

È vero che globalmente la quantità annuale degli scioperi ristagna (rispetto ai ’70) ma questo è un fatto ricorrente nei periodi di crisi capitalista: non si può sottovalutare il fatto che il proletariato vive sotto permanente ricatto e che, comunque, i conflitti che si esprimono sono mediamente radicali nel contenuto e nelle forme. In Europa vale la pena di citare le lotte “vincenti” di Air France e dei giovani francesi contro il “salario d’ingresso” e di alcuni settori operai in Germania ed all’Est.

Diciamo che queste lotte sono difensive, ma nel momento e nel contesto in cui si situano mettono in discussione tutta la logica che governa le istituzioni sociali e l’organizzazione del lavoro. Sulla stessa stampa borghese se ne discute sempre più, per quanto strumentalmente: a molti non sfugge che, pur nei limiti tollerabili dal sistema, bisognerà comunque operare una ripartizione di reddito e lavoro per contenere le attuali devastanti conseguenze dei processi ristrutturativi (ardua intenzione vista la tendenza concreta su cui si muovono i gruppi capitalisti ed i governi).

Quindi, ciò che ci interessa è l’esistenza di un terreno concreto su cui svolgere un ruolo politico, in cui ricercare un rapporto dialettico tra la nostra proposta politica, come sintesi (per quanto difettosa ed approssimativa) del nuovo Movimento Rivoluzionario sorto dalla ripresa dei ’70. Quello che manca, e che da alcuni anni sta diventando mancanza pericolosa, è un livello minimo per operare politicamente sul terreno suddetto, è la capacità di fare alcuni passi visibili e verificabili, è la capacità di far vivere la proposta non più e no solo nel circuito dei “vecchi” rivoluzionari ma dentro il vivo dello scontro di classe.

È una tesi fondante per noi, non più rinviabile: l’unità del politico-militare deve darsi da subito (pur ai livelli minimali concretamente sostenibili) come dato costitutivo dell’Organizzazione d’avanguardia, perché è elemento che struttura, che dà credibilità alla proposta rivoluzionaria, perché è l’elemento che sintetizza e rilancia le punte più alte raggiunte dal Movimento rivoluzionario.

Quindi noi affrontiamo questa contraddizione: arretratezza delle condizioni oggettive di classe e della sua espressione comunista, necessità di rilanciare una proposta politica basata sulla centralizzazione delle Forze rivoluzionarie e sulla sua strutturazione complessiva. Sentiamo cosa dicono i compagni belgi al riguardo (anch’essi alle prese con grosse difficoltà):

 

I rivoluzionari in Belgio si trovano di fronte ad una situazione di vuoto completo, in cui tutto dev’essere apportato, tutto deve essere costruito. Da parte nostra abbiamo l’abitudine di dire che le C.C.C. sono il prodotto di questa estrema povertà del M.R. di classe e, più ancora, dell’imperativa necessità storica di uscirne. (…) e se la modestia e la fragilità della nostra O. hanno testimoniato l’atomizzazione e la dispersione dell’insieme delle forze proletarie, ciò va messo in rapporto con la durata e la profondità dello sbandamento del M.C. nel paese e va compreso, di conseguenza, che questa atomizzazione e questa dispersione sono a tal punto radicate che caratterizzeranno ancora per un certo tempo la realtà su cui agire.

Sarebbe dunque vano sperare di veder sorgere, qui ed a breve scadenza, una forza organizzata realmente presente in tutti i settori proletari (o per lo meno nei principali) e che potrebbe quindi ambire alla polarizzazione dell’insieme delle iniziative delle avanguardie R. di classe. (…) le condizioni oggettive per ciò non sono semplicemente riunite.

Pertanto questa centralizzazione è d’importanza capitale. Questo è il motivo per cui i comunisti e i proletari d’avanguardia devono lavorare prioritariamente all’emergenza di queste condizioni.

Praticamente, ciò implica secondo noi la costituzione di una vera e propria rete di iniziative R., la costruzione responsabile di numerose piccole unità p.m. attive, il più generalmente – purtroppo – isolate le une dalle altre. Qui si dà il principio strategico della parola d’ordine “che mille cellule nascano”: poiché attualmente la costituzione d’una O.R. in grado di esercitare un’azione centripeta è fuori portata, è dovere di ogni compagno di operare concretamente all’impulso di iniziative R., quali che ne siano i limiti o il grado d’isolamento iniziali. Solo la comparsa di tale rete (il cui sviluppo si farà naturalmente in trama), la sua propria dinamica e la sua azione sulla realtà politico-sociale consentiranno il superamento della disgregazione e del disarmo attuale (in tutti i campi ed in primo luogo politico) del campo R., la conquista di tappe superiori di lotta per la R.

Tuttavia, che ci si comprenda bene: questa concezione strategica particolare d’emergenza è indissociabile dall’obiettivo primordiale della costruzione dell’O. unica, politica e combattente, centralizzata e gerarchizzata, catalizzante e sintetizzante le aspirazioni dell’insieme del proletariato in una prospettiva storica, raggruppante gli elementi d’avanguardia della classe. Perché il peggiore errore sarebbe certamente di stabilizzarsi nella frammentazione o di accomodarsene politicamente: più presto avremo finito di averne bisogno, meglio sarà! Questa situazione non è tollerabile che nell’esigenza della sua liquidazione più rapida e completa.

(…) A nostro avviso, i seguaci della tesi dogmatica, che subordina una volta per tutte la pratica armata all’esistenza ed alla direzione del M.C., commettono un doppio errore. Il primo è che non comprendono il ruolo politico ideologico essenziale della L.A. nel processo R. all’interno delle metropoli imperialiste. Il secondo è che la loro concezione del P.R. e del suo processo di edificazione è idealista.

Il P. non nasce né fuori né prima della lotta. Nasce nella lotta R., come espressione dello sviluppo e della maturazione delle F.R., come segno della radicalizzazione dello scontro di classe. Ai primi tempi del processo R. corrispondono forze deboli o relativamente isolate (come le C.C.C.). Al secondo stadio emerge un’O. (che noi chiamiamo “O. combattente dei proletari”) che polarizza le manifestazioni crescenti della lotta R. e costituisce l’embrione partiti sta. E solamente in seguito, ad un livello superiore, appare il P. come espressione organizzata dell’avanguardia R. del proletariato, capace di rappresentare gli interessi generali e particolari di tutto il proletariato nella lotta di classe. Il P. non si proclama, non si decreta: si fonda nella lotta ad un certo momento del processo R., ben dopo le prime iniziative – armate o non – d’agitazione, di propaganda e di strutturazione. Considerato ciò, rinviare l’inizio della propaganda a dopo la fondazione del P. equivale, nella situazione delle metropoli imp. D’oggi, ad intralciare il progresso R. e dunque ogni cammino che porta alla fondazione del P. Tale rinvio consiste infine nel rifiutare un elemento capitale per la riunione delle condizioni necessarie alla fondazione del P.

 

Allo stato attuale non possiamo che ribadire: bisogna affrontare questo nodo dialettico, questa relazione dialettica indissolubile tra il presente della difficile realtà di classe ed il suo unico futuro concepibile, la lotta R. sulla base del programma comunista, la relazione dialettica tra il presente della disgregazione ed il futuro della centralizzazione, dell’unificazione. Perciò dobbiamo avere sia la massima attenzione e presenza possibili nelle realtà di classe, sia la massima tenuta sul terreno del programma comunista e del progetto di costruzione del P., trovando i ponti, i legami possibili tra i due livelli.

Rinunciare ad uno dei due elementi di questa relazione significa rassegnarsi, perdere, rinunciare.

 

Cellula per la costituzione del Partito comunista combattente

1997.

La lotta di Melfi – Bozza di volantino

La lotta di Melfi ha riportato in superficie la condizione da “dannati del sottosuolo sociale” di buona parte della classe operaia. Melfi è il simbolo delle nuove fabbriche, frutto della frantumazione e dislocazione delle storiche concentrazioni industriali (la sua apertura coincise con la chiusura della Lancia di Chivasso), della nuova disposizione del ciclo produttivo su un territorio “totale” (dalle regioni meno industrializzate d’Italia ai continenti della nuova mondializzazione), simbolo della riduzione della grande fabbrica a segmento di montaggio finale con corrispettivo decentramento di crescenti parti della produzione componentistica. La stessa componentistica ha seguito questo movimento di frantumazione-dislocazione, con un’accelerata cadenza di rinnovamento e mobilità degli stabilimenti.

L’apertura delle nuove fabbriche ha sempre significato livelli intensificati di sfruttamento. Un’organizzazione del lavoro imperniata su macchinari e robotizzazione che incorporano cadenze altissime (ricordiamo che mentre nel gruppo FIAT la media del parametro-base della produttività si situava intorno alle 30 vetture all’anno per dipendente, Melfi apriva a partire da 60 e oggi ne è a 95!), la predisposizione di un terreno di sfruttamento ideale con la cogestione sindacale delle nuove “gabbie salariali” e di condizioni di lavoro e flessibilità pesanti, l’utilizzazione degli strumenti messi a disposizione dalle leggi anti-operaie degli anni ’90 (fino alla famigerata ultima legge del “compianto” Biagi) o dei classici strumenti del clientelismo; l’insieme di questi strumenti hanno caratterizzato l’apertura di fabbriche alla “giapponese”. È il loro sogno: fabbriche a ritmi infernali, lavoratori silenziosi e gettabili, partecipi all’ideologia d’impresa e alla guerra di concorrenza.

Così l’esplosione imprevista di questo bagno penale dello sfruttamento capitalistico – Melfi -, la trasformazione repentina di tanti operai “silenziosi e sottomessi” in lottatori determinati e uniti ha mandato in frantumi tante chiacchiere borghesi, tante falsità mediatiche, tante strategie di pacificazione concentrata.

Questa lotta ha fatto venire in superficie la drammatica realtà del sottosuolo sociale, della persistenza del rapporto di sfruttamento (particolarmente della classe operaia) come del pilastro su cui regge tutto l’edificio capitalistico. Cioè se è vero che la struttura economico/sociale si è complessificata, ricollocandosi differentemente sul territorio internazionale e se è certo che qui, nei paesi del centro imperialista, sono cresciuti settori terziari, anch’essi sfruttati ma meno brutalmente, ciò non toglie che le nuove e vecchie concentrazioni industriali restano il perno del sistema di sfruttamento su cui si rovescia tutta la brutalità del rapporto di oppressione capitalistica.

Questa lotta ha messo in evidenza non solo le chiacchiere borghesi sulla fine della classe operaia ma pure i limiti di ogni sistema di oppressione. Dov’è finito il bel giocattolo della produzione “a flusso teso”, “just in time”?! Ma come, gli scioperi non dovevano essere superati da questo bel sistema tecnologico, così preciso e così “pulito”?!

La lotta di Melfi ha rotto questo bel giocattolo. La fermata decisa di uno stabilimento ha scompaginato quasi tutto il ciclo produttivo del gruppo FIAT. Così come lo sciopero dei ferrotranvieri ha scompaginato il decorso del ciclo economico della metropoli.

Ecco la grande potenzialità della classe operaia!

Proprio per questo, ogni volta che si determina un tale momento di unità e determinazione operaia, assistiamo allo schieramento delle diverse forze politiche e istituzionali, allo svelarsi della loro vera natura di funzionari del capitale. In particolare si è ben visto da che parte stanno le direzioni sindacali. Si è ben visto come la loro più grande preoccupazione fosse la ripresa del lavoro, il ristabilimento dell’ordine dello sfruttamento, con quale compartecipazione alle ansie padronali abbiano vissuto lo scontro.

Storia arciconosciuta, le direzioni sindacali sono parte integrante della catena di dominio dello Stato borghese, loro funzione principale essendo quella di ingabbiare, recuperare, devitalizzare le spinte operai alla lotta e all’autonomia di classe. Ma non è storia conosciuta da tutti ed è con l’esperienza vissuta nelle lotte che nuovi strati proletari vi accedono.

Percorso di conoscenza e di coscienza che si pone ancor più all’interno dell’attuale tessuto di classe attraversato profondamente dai tanti processi di ristrutturazione che hanno portato alla riduzione e/o rilocalizzazione dei grandi stabilimenti, all’emergere di un fitto tessuto di piccola impresa, alla diffusione di precarietà e fragilità normativa.

Abbiamo il problema di come organizzare le diverse realtà del lavoro precario di trovare percorsi di ricomposizione che permettano di nuovo di stravolgere il territorio dello sfruttamento in luoghi di lotta, vita, organizzazione. Andando a toccare l’insieme delle condizioni di vita e di lavoro sempre più compresse dal ritmo globale di una macchina capitalistica tirannica.

Per esempio, quante malattie professionali, quanti cancri causati da questi livelli di sfruttamento selvaggio? Quante esistenze rovinate, quante vite distrutte? Quanti incidenti e morti sono causati direttamente dal taglio ai costi di manutenzione e sicurezza? Quanti dall’eccessiva mobilità e pressione sui ritmi, con conseguente esposizione a rischi non conosciuti? A cosa si riduce la vita proletaria con il prolungamento degli anni lavorativi e la demolizione delle strutture sociali?

Le lotte come quelle di Melfi e dei ferrotranvieri toccano alcune di queste questioni e arrivano a sconvolgere un vasto ciclo produttivo, l’area metropolitana, a dare voce a una rabbia diffusa e sotterranea. Senza essere ancora forme di avanguardia di massa, possono aiutare altri strati proletari a emergere, lottare, unirsi, trovare i modi e le possibilità per ribellarsi. E questo soprattutto nel tessuto del precariato e della fabbrica diffusa. Ma è evidente che ciò non basta.

Non basta perché Stato e Capitale hanno portato lo scontro ad un livello più alto, dove i margini di mediazione sono strettissimi e dove le armi classiche di pressione e ricatto sconfinano in tendenza alla militarizzazione dei rapporti sociali. Non si può non tenere in conto tutta l’involuzione sociale-istituzionale del dopo-11 settembre… stravolgimento dello “stato di diritto”, sospensione di garanzie storiche giuridiche (arresto arbitrario, senza mandato – segregazione in carceri speciali – tribunali militari, ecc…), leggi speciali che estendono la connotazione terrorista a fasce intere di “delitti sociali”, mirando esplicitamente a criminalizzare i movimenti di classe…

Questi aspetti costitutivi del nuovo contesto sociale innervano profondamente la realtà del mondo del lavoro, del proletariato. Repressione delle manifestazioni di autonomia di classe e organizzazione neo-corporativa sono il tentativo borghese di impedire la tendenza rivoluzionaria, deviando nello stesso tempo la crescente rivoluta di massa verso il sostegno alle imprese imperialiste nel mondo. La repressione acquista sempre più i caratteri di un’autentica “guerra del fronte interno”, versante interno dello stato di guerra “indefinita”, decretata all’esterno.

Ecco un fatto secondo noi determinante: ogni dinamica di lotta e organizzazione di classe deve saper affrontare questa connessione “guerra interna guerra esterna dell’imperialismo”, della guerra come forma attuale della società capitalista, della guerra come prolungamento dello sfruttamento, come “continuazione dello sfruttamento con altri mezzi”.

Il tutto fondato alla radice del sistema stesso, nella storica e ineluttabile crisi generale da sovraproduzione di capitale, alla quale non esiste altra soluzione che la guerra inter-imperialista come distruzione in grande scala, regolamento di conti tra concorrenti e, in seguito, rilancio di un nuovo ciclo sulla base di una nuova spartizione del mondo.

Loro vorrebbero intrupparci nello spirito di concorrenza e conquista dei mercati (mobilitazione reazionarie attraverso i movimenti identitari, razzisti, sciovinisti), fino alla guerra come sua logica conseguenza.

A questo noi abbiamo una sola risposta: PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITI!!

Dall’alto di un armamento che non ha eguali nella storia, gli imperialisti predicano “pacifismo e buoni sentimenti” per impedire agli oppressi del mondo l’unico sbocco necessario:

ARMARSI IDEOLOGICAMENTE, POLITICAMENTE, MILITARMENTE, PER LA RIVOLUZIONE!

UNIRSI ALLA RESISTENZA – SVILUPPARE L’AUTONOMIA DI CLASSE!

GUERRA ALL’IMPERIALISMO!

COSTITUIRE IL PARTITO!

 

Per il Partito Comunista Politico-Militare

 

Autunno 2004

Bozza di Circolare campagna organizzazione (maggio-dicembre)

Per il partito comunista politico militare

Diamo avvio alla nostra terza campagna sull’organizzazione quando la crisi generale del capitalismo ha fatto compiere un grande salto alla tendenza alla guerra con la guerra imperialista e l’occupazione militare angloamericana dell’Iraq.

Tutti gli eventi che sono accaduti nell’ultimo periodo ci hanno mostrato un continuo acutizzarsi delle contraddizioni da quella di classe che vede la classe operaia impegnata a fondo nella lotta in difesa delle conquiste, del posto di lavoro e delle condizioni di vita, a quella tra imperialismo e nazioni oppresse che vede il confronto tra guerre imperialiste di conquista e guerre popolari di liberazione, a quelle interimperialiste che mostrano il campo imperialista diviso e contrapposto nella contesa della ripartizione del mondo.

Questo influisce significativamente sulle condizioni oggettive del processo rivoluzionario anche nel nostro paese.

Il governo Berlusconi è direttamente coinvolto e invia truppe in Iraq come ha già fatto in Afghanistan. Truppe inviate con il mandato di garantire l’ordine pubblico che vuol dire che partecipano alla guerra di aggressione imperialista con il compito di stabilizzare l’occupazione militare. In pratica si contrapporranno alla resistenza delle masse popolari irachene contro l’invasione.

Le truppe italiane inviate sono corpi di élite dei carabinieri, dei paracadutisti e dei bersaglieri, le migliori forze di intervento rapido dell’esercito italiano. Partono con il voto favorevole non solo della maggioranza governativa ma anche di buona parte dell’opposizione compresi riformisti e revisionisti (Margherita, Ulivo e DS). Il movimento contro la guerra si è sviluppato in maniera ampia con decine di manifestazioni e che ha espresso anche forme di azione radicale dovrà assumere il contenuto dell’opposizione all’occupazione militare dell’Iraq e schierarsi a fianco della guerra popolare prolungata di liberazione della dominazione imperialista che fin d’ora si va sviluppando in Iraq. In questo processo di trasformazione il movimento dovrà fare i conti con la direzione revisionista che, con il suo falso pacifismo, nasconde il carattere imperialista della guerra e le vere ragioni del suo sviluppo legato alla crisi generale del capitalismo. Le condizioni materiali di sviluppo della guerra con le sue nuove tappe (Siria o Iran) mostreranno sempre più chiaramente il disegno imperialista e di conseguenza indeboliranno sempre di più la posizione revisionista aprendo nuovi spazi per la posizione rivoluzionaria; la posizione che sostiene che la guerra si può fermare solo con la mobilitazione rivoluzionaria principalmente contro il proprio imperialismo, il servile imperialismo italiano che mendica qualche briciola dei superprofitti che si realizzeranno con l’occupazione.

Noi sappiamo che, per utilizzare quegli spazi che si vanno aprendo, e percorrere la via rivoluzionaria che le condizioni determinate dalla crisi e dalla guerra imperialista rendono possibile anche in paesi imperialisti come il nostro, dobbiamo costruire l’organizzazione in grado di promuovere l’organizzazione delle forze.

Dallo sviluppo delle condizioni oggettive che concorrono a determinare la situazione come situazione rivoluzionaria anche per il nostro paese emerge una spinta alla determinazione soggettiva da parte dei settori di avanguardia della classe operaia e delle masse popolari. Dobbiamo raccogliere questa spinta per un nuovo impulso a fare risoluti passi in avanti nel lavoro di costruzione del partito comunista nel nostro paese.

Le nostre stesse condizioni soggettive sono influenzate positivamente da questa spinta e registrano una fase di crescita. Una piccola crescita che ci permette di articolare meglio il nostro lavoro e ci pone di fronte nuovi problemi a cui dare una soluzione. Una piccola ma importante crescita sia sul piano quantitativo, con l’adesione di nuovi compagni e la presenza in nuove situazioni, sia dal punto di vista qualitativo con l’espressione di un livello operativo più elevato concretizzatosi in una iniziativa di propaganda armata. Una crescita che ha come riflesso una maggiore esposizione rispetto alle attenzioni degli apparati informativi della controrivoluzione preventiva. Attenzioni che da tempo già subiamo anche indipendentemente dallo sviluppo della nostra azione politica.

Abbiamo definito che siamo nella fase in cui la raccolta delle forze soggettive che si pongono l’obiettivo della ricostruzione del partito e che sono omogenee sulla strategia, sulla natura e sul carattere del partito da costruire si realizza con processi di fusione organizzativa. Oggi siamo nelle condizioni di poter avviare la prima esperienza in merito e dobbiamo risolvere il problema di costituire una direzione comune ed elaborare e sviluppare una linea organizzativa comune tra due forze soggettive che, dopo aver condotto un approfondito confronto politico, hanno deciso politicamente di fondersi.

Ad ogni linea politica deve corrispondere una linea organizzativa in grado di svilupparla ed ad ogni obiettivo politico un impianto organizzativo in grado di perseguirlo. Al di fuori di questa concezione vi è l’anarchismo o il dogmatismo, l’anarchismo di chi non si pone il problema o il dogmatismo di chi considera l’organizzazione una cosa che si materializza all’occorrenza.

Per questo vogliamo promuovere una campagna unitamente con la forza soggettiva amica sul tema dell’integrazione organizzativa. E proponiamo come obiettivo principale:

–          Promuovere la fusione costruendo una direzione unica del lavoro di costruzione del partito.

Nell’ambito di questa campagna vogliamo verificare la possibilità di costituire un gruppo dirigente che si assuma la responsabilità di condurre in porto il processo di fusione organizzativa dirigendo la campagna e pianificando la riorganizzazione delle forze come un’unica organizzazione che si pone nelle condizioni di poter perseguire ad un livello più avanzato l’obiettivo della ricostruzione del partito comunista.

Per quanto riguarda la nostra esperienza abbiamo una piccola organizzazione che si articola in strutture centrali di direzione e strutture locali di radicamento. Abbiamo definito che il lavoro di costruzione del partito va distinto dall’atto costitutivo e si concretizza oggi principalmente nella costruzione di organismi di partito nella forma di nuclei e che lo sviluppo di questo lavoro è necessario per creare le condizioni della costituzione formale del partito.

In merito al lavoro per nuclei abbiamo già alcune piccole esperienze da cui possiamo trarre insegnamenti per proseguire individuando e facendo tesoro degli errori e generalizzando i successi, portando avanti la parola d’ordine 10,100,1000 nuclei per la ricostruzione del partito.

Considerando la natura del partito che intendiamo costruire, che è necessariamente riflessa (nella forma della semi) negli organismi di partito che fin da ora stiamo costituendo, il limite principale che abbiamo riscontrato nelle esperienze organizzative da noi fin qui condotte è stata l’immaturità del nostro impianto logistico. È un limite che non ci permette di andare oltre ai livelli espressi complessivamente nel nostro lavoro sia sul piano della propaganda che sul piano operativo, sia sul piano della propaganda degli scritti (foglio) che su quello della propaganda tramite azioni. Per questo dobbiamo mettere al centro del lavoro di costruzione del nostro quadro, che è un quadro pm, la capacità di sviluppare lavoro logistico come dato essenziale per la natura del percorso che vogliamo realizzare. Sviluppare il settore logistico diventa quindi un compito essenziale per questa campagna. Senza una crescita su questo terreno il nostro percorso ne risulterà rallentato o si esporrà più del dovuto alla possibilità di essere represso.

Nello sviluppo del nostro lavoro abbiamo verificato che non sempre, nelle situazioni in cui abbiamo una presenza possiamo costituire nell’immediato un nucleo. Questo dato deve essere registrato e ci deve portare a considerare che allo stato attuale e probabilmente anche in futuro la nostra organizzazione sarà composta anche da militanti che non hanno una collocazione all’interno di nuclei perché nelle loro situazioni questo livello di organizzazione non è ancora realizzabile.

Dalle esperienze che abbiamo fin’ora condotto possiamo trarre l’insegnamento che dobbiamo raccogliere e dirigere il lavoro di questi compagni sul piano centrale promuovendo la loro collaborazione con le strutture centrali dell’organizzazione ponendoci così in grado di dirigere il loro lavoro sul piano locale con l’obiettivo principale di costruire il nucleo.

Pertanto consideriamo che questa campagna debba essere condotta su tutti e tre i livelli. Quello delle strutture centrali, quello delle strutture locali e quello dei singoli militanti che in quanto tali sono coordinati con il lavoro dell’organizzazione.

In merito ai contenuti da sviluppare per perseguire l’obiettivo principale e gli obiettivi locali che i diversi ambiti possono darsi proponiamo che per quanto riguarda le strutture centrali siano:

1) Discussione dello sviluppo congiunto della campagna. Relazione di valutazione generale delle rispettive esperienze organizzative, dibattito sulla bozza di circolare di produrre poi in forma definitiva, nomina del responsabile generale della campagna.

2) Elaborazione e sviluppo comune di una linea organizzativa. Definizione degli ambiti in cui si articola l’organizzazione. Definizione delle funzioni dei diversi ambiti. Divisione dei compiti all’interno degli ambiti, ecc…

3) Elaborazione dei piani di lavoro centrali per lo sviluppo del settore logistico. Logistica centrale per riunioni e lavoro redazionale del foglio. Operazioni di finanziamento.

4) Valutazione delle singole situazioni locali e delle loro possibilità di sviluppo organizzativo. Spostamento di quadri e accorpamenti.

5) Continuità nel lavoro di produzione e distribuzione del foglio di propaganda comune.

Per quanto riguarda le strutture locali siano:

1) Valutazione e riorganizzazione del proprio lavoro organizzativo. Revisione della divisione dei compiti.

2) Attuazione di seminari sul partito per la formazione e la cooptazione di quadri.

3) Elaborazione di piani di lavoro locali per lo sviluppo del settore logistico locale e contributo a quello centrale. Reperimento informazioni e piccole operazioni di finanziamento.

4) Diffusione del foglio comune di propaganda.

Per quanto riguarda i singoli militanti siano:

1) L’inchiesta sulle forze soggettive della zona.

2) Il reperimento di informazioni su disponibilità di tipo logistico e finanziamento.

3) Diffusione del foglio comune di propaganda.

 

N.B. La circolare nella sua forma definitiva è il testo di orientamento e il piano generale della campagna. Ogni organismo locale e i compagni singoli delle altre situazioni sono invitati a nominare un proprio responsabile della campagna, a formulare un proprio obiettivo principale e i contenuti attraverso i quali intende perseguirlo e comunicarlo al responsabile generale. Il piano va concepito come uno strumento per l’orientamento del lavoro. È particolarmente utile anche in sede di bilancio per valutare il lavoro svolto in rapporto a quanto pianificato.

 

Maggio 2003

Aggiornamento della Direzione Strategica N.2

(testo ricostruito)

Scopo di questo lavoro è di dare un contributo all’aggiornamento dello statuto dell’O. Un aggiornamento che si è reso necessario alla luce del complesso riadeguamento operato dall’O. in questi anni di RS, quindi degli insegnamenti conseguiti nel percorso pratico sul carattere della guerra di classe e come questi si riflettono sull’impianto politico-organizzativo.
Parliamo di aggiornamento in quanto si tratta di adeguare quegli aspetti dell’impianto pol-org. che sono soggetti a mutamento con il mutare delle fasi rivoluzionarie e del conseguente indirizzo politico ovvero, della parte relativa alla disposizione organizzazione delle forze in campo. Mentre risultano valorizzati dalla pratica i nodi centrali costituenti l’impianto strategico, ovvero i criteri di clandestinità e compartimentazione che permettono il carattere offensivo della guerriglia, per lo specifico dell’O., la sua strutturazione nel modulo politico organizzativo descritto nello statuto (DS2) e i principi di costruzione del PCC.
L’esperienza fin qui accumulata permette di mettere a sintesi e precisare, rispetto alla parte generale contenuta nello statuto, il contesto storico e politico dello sviluppo, della LA nei paesi a capitalismo maturo, che seppure ne sottintende e traccia la sostanza di fondo, risente ancora di un certo ideologismo; questo è palese nella caratterizzazione della autonomia di classe in cui viene dato all’antirevisionismo un peso maggiore di quanto politicamente ha avuto nella formazione della stessa; invece va ricordato, e il dibattito di allora lo ha ben messo in risalto, che il carattere principale dell’autonomia di classe è dato dall’essere antistituzionale e antistatuale, solo secondariamente e di riflesso al ruolo assunto dalle rappresentanze istituzionali è antirevisionista. L’affermazione quindi, che il ruolo che si poneva (nodo) alle avanguardie era la risoluzione del problema della violenza in ogni fase del processo rivoluzionario, deve trovare la sua giusta collocazione nelle ragioni storiche della LA e non solo con la rottura con la politica del PCI in quanto aveva alimentato false speranze (benché vada tenuto conto quanto ciò rappresenti una peculiarità nella storia dello scontro di classe in Italia).
Già sul finire degli anni ’60 il ricco dibattito che si era sviluppato tra le avanguardie rivoluzionarie, sia nel centro che nella periferia, si coagula intorno ai nuovi termini che assume la politica rivoluzionaria nell’affermarsi della LA, della guerriglia, quale suo modo di esprimersi adeguatamente, a questo dibattito non furono estranee le esperienze della rivoluzione cinese, di quella cubana e del guevarismo, in generale dei movimenti di liberazione del terzo mondo (Algeria, Angola ect.) e non ultima la guerra popolare Vietnamita e indocinese. Le espressioni più mature di tale dibattito sintetizzarono le prime linee teoriche e politiche di quello che va considerato sul piano dell’esperienza rivoluzionaria, uno sviluppo del marxismo, un dibattito sintesi dell’attività rivoluzionaria di forze come i Montoneros, i Tupamaros ecc. per quanto riguarda l’America latina, la RAF, la Gauche Proletarienne, le BR per quanto riguarda l’Europa, tenendo conto anche dell’esperienza particolare del Black Panter Party e dei Weathermen negli USA.
Le ragioni storiche e politiche dell’affermarsi della LA sono date dai mutamenti che lo sviluppo dell’imperialismo con il secondo conflitto mondiale ha posto in essere sia sul piano storico/politico che economico/sociale. Sul piano storico/politico tali trasformazioni che già emergevano all’interno degli sconvolgimenti operati dalla guerra stessa a partire dalla necessità per l’imperialismo di assestare a suo favore gli equilibri che configureranno il bipolarismo, un contesto questo in cui si sviluppa una controrivoluzione imperialista alla cui testa stanno gli USA con l’intento di pacificare le aree attraversate dai risvolti rivoluzionari che si erano formati durante il conflitto, questo a partire dal punto critico costituito dalla Germania.
Controrivoluzione imperialista e piano Marshall furono il binomio con cui fu normalizzata l’Europa, aiuti economici e interventi militari pur rispondendo ad esigenze diverse, costituirono il necessario complementarsi di un duplice piano, da un lato preparava il terreno alla penetrazione del capitale finanziario USA, dall’altro lato doveva garantire condizioni politiche dei paesi per la ripresa del ciclo economico, dato che il permanere di condizioni “sfavorevoli” agli investimenti si sarebbe tradotto in una grave recessione della economia USA. In che modo sia passata la “normalizzazione” è storia recente, nello specifico del nostro paese i proletari sanno bene cosa ha significato il disarmo politico e militare della resistenza date le spinte rivoluzionarie e proletarie che vi dominavano. Un disarmo che ha preparato il terreno agli anni di Scelba e alla restaurazione borghese. Quello che importa qui rilevare è come il “ripristino” dell’ordine imperialista, le condizioni dettate dalla controrivoluzione, andranno a formare l’ossatura stessa della controrivoluzione preventiva, un dato che cioè permanentemente caratterizzerà il rapporto politico tra le classi.
Sul piano economico/sociale, il processo di sviluppo monopolistico dell’imperialismo, il piano di internazionalizzazione ed interdipendenza economica che lo caratterizzano, ha dato luogo al formarsi di una frazione dominante di borghesia imperialista aggregata al capitale finanziario USA, attorno a cui ruotano le altre frazioni di borghesia all’interno dell’ambito di concorrenza definito da questo sviluppo economico e nel contempo al formarsi del proletariato metropolitano. Il movimento economico che ha scompaginato le figure di piccola e media borghesia rurale e cittadina spingendole all’interno di un processo di proletarizzazione. Una tendenza alla polarizzazione tra le classi che non vuol dire scomparsa degli strati intermedi, ma modifica di quegli strati che nel periodo tra le due guerre avevano la loro base materiale in quello stadio economico di sviluppo prevalentemente su base nazionale.
I mutamenti delle condizioni politico/sociali determinate dallo sviluppo dell’imperialismo sono alla base della inadeguatezza della strategia terzinternazionalista dell’insurrezione, ovvero il fallimento delle tattiche dei PC di allora, prima di essere dato dal “tradimento e dallo sciovinismo” dei loro capi era determinato da questa situazione di fondo. In questo senso possono essere lette le sconfitte dei movimenti insurrezionali europei che caratterizzano le fasi precedenti e tra le due guerre, la sconfitta nella guerra civile spagnola e in quella greca che aprono e chiudono il ciclo rivoluzionario nella fase di crisi che troverà sbocco con il secondo conflitto mondiale.
In sintesi le nuove condizioni storiche possono così essere riassunte:

(1) il quadro del bipolarismo che stanti le ragioni per cui si è formato e le caratteristiche assunte non permette il riprodursi delle condizioni per un conflitto interimperialista come la seconda guerra mondiale, questo per il conseguente grado di integrazione economico/politico/militare tra gli stati della catena, quindi viene meno il dato del momento eccezionale che nel passato era riferito alle condizioni create in termini controrivoluzionari dalla guerra interimperialista (per lo meno con le caratteristiche avute allora)

(2) la diversa caratterizzazione delle forme di dominio e quindi del rapporto classe/stato con l’affermarsi della controrivoluzione imperialista; questi i dati storici che unitamente ai dati economico sociali hanno costituito il terreno oggettivo su cui si e misurata la soggettività rivoluzionaria, fino ad affermare la LA come il suo modo di operare in queste condizioni e specificamente per il centro imperialista nella necessità di operare nell’unità del politico e del militare presupposto che si confermerà come indispensabile per la guerriglia nelle metropoli imperialiste, unitamente al carattere di lunga durata della guerra di classe.
Questo quadro complessivo è quindi il riferimento generale su cui si afferma la LA, la guerriglia nei centri imperialisti, lo specifico contesto dello scontro di classe in cui si inserisce, ne determina politicamente il tipo di strategia da seguire e le particolarità di sviluppo. Per questo affermiamo che le ragioni dello sviluppo della LA in Italia non risiedono solo nel ciclo di lotte sviluppato dall’autonomia di classe a cavallo degli anni ’70 da qualità maturate dalle avanguardie operaie di quel periodo che ponevano all’ordine del giorno la questione del potere, che ha costituito invece il terreno della specificità di sviluppo del processo rivoluzionario in Italia, caratterizzando la proposta strategica dell’avanguardia rivoluzionaria della LA alla classe.
Operare un tale riduzionismo, oltre a declassare la funzione dell’avanguardia rivoluzionaria (in questo caso la guerriglia) a mero prolungamento della lotta di massa, e la natura stessa dello scontro ad un succedersi lineare di flussi e riflussi, si è poi rivelato il terreno di gestione dagli esperti antiguerriglia coadiuvati dagli ex militanti elevati al rango di collaborazionisti.
L’acquisizione della complessità dello sviluppo del processo rivoluzionario è un dato che per molti versi solo la verifica pratica poteva mettere in luce non solo per gli aspetti generali ma anche per quanto riguarda l’originalità in parte assunta nello specifico percorso nel nostro paese, in questo senso l’approssimazione e gli errori che la prassi ha poi evidenziato sono anche naturale portato di un processo rivoluzionario che non ha ancora precedenti compiuti da cui trarre esempio ed insegnamenti generali, tenendo anche conto della giovinezza politica, stante il fatto che un tale processo è obiettivamente prolungato nel tempo.
Quello che possiamo affermare indipendentemente dalla relativa originalità del nostro percorso specifico è che i caratteri generali e fondamentali della guerriglia, validi in ogni stato a capitalismo maturo, determinano un processo di maturazione del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che obbligatoriamente si generalizza in ogni contesto ed in ogni Stato. Cosicché lo sviluppo di nuove Forze Rivoluzionarie (poiché niente è mai nuovo in questa materia, ma affonda le sue peculiarità nelle radici storiche dello scontro di classe in cui si situa e negli insegnamenti del movimento comunista internazionale) devono (sono costrette) a prendere atto di cosa è già stato determinato sul piano generale dell’attività dalle altre Forze Rivoluzionarie. Relazionarsi a ciò non significa travalicare il necessario calibramento politico che ogni forza rivoluzionaria è tenuta a misurare nel radicare la sua proposta politica tra le classi entro cui si racchiudono, le specifiche forzature, ma relazionarsi anche al livello che si è stabilito sul piano generale tra rivoluzione e controrivoluzione. L’esempio delle Cellule Belghe (CCC) e del loro coraggioso esordio è lampante di come una così giovane forza rivoluzionaria si sia dovuta misurare con un piano di scontro dello Stato belga il quale ha tenuto conto (in termini relativi) delle esperienze degli altri Stati europei (la strage di Stato anticellule della cosiddetta banda del Brabante-Vallone ect), un fatto questo che ha a che fare con l’accresciuto peso della soggettività nello scontro sia politico che rivoluzionario nei centri dell’imperialismo.
Sul piano del funzionamento della guerriglia negli Stati a capitalismo maturo, l’esperienza dell’O. permette di precisare le importantissime implicazioni che condizionano tutto con cui si sviluppa la guerra di classe. In questo senso possiamo dire che l’unità del politico e del militare agisce come una matrice nel processo rivoluzionario, dai meccanismi che permettono ad una forza rivoluzionaria di essere tale, al suo modo di sviluppare prassi rivoluzionaria, al processo rivoluzionario nel suo complesso. Per quanto riguarda l’esperienza dell’O. possiamo affermare ciò: la guerriglia nelle metropoli non è sola e semplice guerra surrogata, essa agisce e può sviluppare la sua efficacia muovendosi ben dentro ai nodi centrali dello scontro tra le classi 1’attacco al nemico perciò, per essere disarticolante, per incidere ed aprire spazio, deve riferirsi strettamente a questo piano politico generale.
La guerriglia esplicita dunque nella sua attività la natura di guerra di classe che pure vive nello scontro di classe, una natura che perciò influenza tutte le dinamiche dello scontro di classe dal piano generale al piano rivoluzionario.
La guerriglia essendo direzione dello scontro rivoluzionario, muovendosi dentro ai criteri obbligati dell’unità del politico e del militare, deve affrontare contemporaneamente e globalmente tutti i piani del processo rivoluzionario, quindi la sua direzione è volta ad organizzare e disporre le forze in maniera adeguata ai livelli dello scontro ed ai fini delle forze rivoluzionarie. Il processo rivoluzionario è processo di attacco militare al nemico (cuore dello stato, politiche dell’imperialismo) dentro ai nodi politici centrali che oppongono le classi e nel contempo è costruzione ed organizzazione delle forze sulla LA al grado definito dallo scontro e dai diversi livelli delle forze che vi concorrono (Forze rivoluzionarie, spezzoni di avanguardie di classe, etc.).
Questo complesso andamento (la guerra di classe) si muove all’interno dei caratteri che ha assunto lo scontro di classe negli stati a capitalismo maturo, e quest’ultimo ne influenza fortemente la dinamica di movimento e ne definisce la peculiarità. I caratteri del processo rivoluzionario soprascritti comportano il fatto che l’avanguardia armata del proletariato si configuri come una Forza Rivoluzionaria, più precisamente le BR operano e si dispongono come un vero e proprio esercito rivoluzionario ovviamente in relazione alle particolari condizioni e peculiarità dello scontro proprie al centro imperialista, in altre parole le BR sono una forza rivoluzionaria che pur essendo il nucleo fondante il Partito non sono il Partito. Questo perché il nodo della direzione rivoluzionaria della guerra di classe di lunga durata non si scioglie con un atto di fondazione, ma esso è un processo vero e proprio di fabbricazione/costruzione del Partito che si configura come tale all’interno del percorso di costruzione delle condizioni stesse della guerra di classe, nella sua più precisa definizione e progettualità le BR si costruiscono come Partito Comunista Combattente. In sintesi la direzione rivoluzionaria dello scontro si realizza agendo da Partito per costruire il Partito. Questa concezione fondamentale, unitamente ai criteri di clandestinità e compartimentazione e al modulo politico organizzativo secondo cui si sono strutturate le BR, costituiscono gli elementi sempre validi affinché la guerriglia possa agire con il suo portato rivoluzionario in queste condizioni dello scontro tra le classi (storicamente determinate).
La prassi di questi ultimi anni ha reso evidente la discontinuità dello scontro rivoluzionario, esso cioè non si svolge in modo lineare, ma è fatto di ritirate ed avanzate, successi e sconfitte, il superamento di una visione lineare ha perciò comportato una ripuntualizzazione più completa delle varie fasi dello scontro rivoluzionario il quale veniva compreso in ultima istanza in due sole fasi rivoluzionarie: quella dell’accumulo di capitale rivoluzionario e il suo successivo dispiegamento nella guerra civile, la realtà ha dimostrato, soprattutto a fronte della controrivoluzione degli anni ’80, come sia più complesso questo procedere e come il succedersi delle fasi rivoluzionarie non sia definibile a priori dall’inizio alla fine.
Fatto salvo l’indirizzo strategico entro cui si collocano, la connotazione della fase rivoluzionaria dipende quindi anche dall’esito della fase precedente e dagli obiettivi definibili nel complesso più generale della evoluzione dello scontro. Il giusto affermarsi della fase della Ritirata Strategica oltre a dimostrare ciò evidenzia come all’interno del processo prassi-teoria-prassi sia possibile imparare dagli errori. Questa acquisizione per una forza che necessariamente sviluppa con caratteri di esercito rivoluzionario data la natura del processo rivoluzionario nei paesi del centro imperialista, ha comportato l’adeguamento nella disposizione ed organizzazione delle forze in campo nonché dell’impianto politico/organizzativo ad esso relativo.
In altri termini ferma restando la disposizione generale strategica delle forze sulla LA, è data la disposizione ed organizzazione delle forze in campo relativa ai caratteri dello scontro e alle finalità delle forze rivoluzionarie. All’interno di ciò vanno distinti due diversi livelli di organizzazione disposizione, uno riguardante le forze interne all’O., l’altro le forze che si dispongono sulla LA intorno all’attività dell’O (istanze, avanguardie, reti proletarie), nella dialettica tra questi due piani si definisce il tipo di direzione organizzazione politica che la guerriglia stabilisce all’interno dello scontro dato.
Il muoversi della guerriglia si è misurato con la necessità di adeguare l’impianto politico organizzativo che risentiva di linearità e di schematicità. Una visione lineare che (in parte favorita dallo sviluppo di massa della LA) si discostava anche dalla giusta intuizione che lo scontro rivoluzionario nelle metropoli non poteva che essere di lunga durata e della necessità di assestare le forze dinanzi al profilarsi dell’approfondimento del rapporto controrivoluzione/rivoluzione. In sintesi la visione linearista dello sviluppo dello scontro rivoluzionario se in parte è anche il naturale prodotto dell’inesperienza e giovinezza politica, in parte risentiva dell’applicazione un po’ manualistica dell’impianto. In tal modo si spiega come la disposizione delle forze era rispondente al fine di attaccare lo Stato in tutte le sue componenti nello stesso tempo (a tenaglia) fino a paralizzare la macchina statale. Uno schema che non coglie la complessità del funzionamento dello Stato, pone sullo stesso piano funzioni ed apparati (politici, economici e militari) e che ha la sua validità nella fase finale dello scontro, appunto in una fase di guerra dispiegata. Questa visione di fatto ha influenzato l’impianto in quelle direttive politico organizzative che daranno poi vita ai Fronti di Combattimento: la maturazione ovvero sul piano politico organizzativo di tale concezione lineare sia dello scontro che dello Stato.
La realtà dello scontro, l’esperienza stessa del processo rivoluzionario diretto dalle BR, ha dimostrato che il rapporto classe/Stato si è modificato negli strumenti, nella sostanza: via via che l’attività della guerriglia s’inseriva nel contesto politico dello scontro di classe, di fatto la proposta strategica della LA alla classe si è imposta come uno spartiacque tra posizioni arretrate (i gruppi, il doppio livello, ect.) e la giusta risoluzione della questione del potere. Questi solo apparentemente sembrano cavalcare le condizioni della lotta assumendo solo l’estremismo sterile dell’operaismo, di fatto scivolando nella riproposizione di vecchie strategie.
La guerriglia fa assumere allo scontro la dimensione rivoluzionaria imposta dal rapporto di scontro nella sua attività realizzando la dialettica con le espressioni avanzate dell’autonomia di classe, influenzandone di conseguenza le caratteristiche di sviluppo. Nel contempo lo Stato misurandosi con la qualità dello scontro di classe dopo un primo inevitabile smarrimento ha maturato al suo interno la risposta controrivoluzionaria che come abbiamo visto (verificato) nella sua essenza ha finito con l’influenzare in ultima istanza la mediazione politica tra classe e Stato. Questo perché lo Stato non è una sommatoria di apparati. Lo Stato sviluppa una forte centralizzazione nell’apparato politico delle sue funzioni, un dato che se da un lato si riferisce alla necessità di dare risposte adeguate allo sviluppo economico, dall’altro è riferito al governo del conflitto di classe. La dinamica d’accentramento dei poteri è solo un effetto delle caratteristiche dello Stato, più sostanzialmente gli organi esecutivi e politici devono misurarsi con le capacità di esprimere la mediazione politica idonea al governo del conflitto di classe che più precisamente è l’affinamento degli strumenti non solo di contenimento della spinta delle lotte di classe, ma del loro coinvolgimento negli strumenti della “democrazia rappresentativa”.
In sintesi la complessità della macchina statale, se è vero che la sua sostanza era già presente, si è poi sviluppata con l’evolvere dello scontro in cui la dinamica rivoluzione/controrivoluzione ha influenzato i caratteri odierni del rapporto politico tra classe e Stato.
La centralità dell’attacco allo Stato costituisce oggi per l’O. uno dei principali assi programmatici attorno a cui si costruisce organizzazione di classe sulla LA.
L’esperienza su questo terreno ha posto concretamente i criteri con cui si dà attacco al cuore dello stato. Si dà efficacemente disarticolazione e si ha il massimo profitto politico incentrando l’attacco sui criteri di centralità, selezione e calibramento.
Centralità: nell’attacco del progetto politico dominante della BI che si forma all’interno della contraddizione politica che oppone le classi.
Selezione: del personale che di questo progetto costituisce l’elemento di equilibrio che lo fa maturare.
Calibramento: ai rapporti di forza interni al paese e tra imperialismo e antimperialismo col grado d’assestamento delle forze rivoluzionarie e proletarie.
Per tornare alla visione lineare e manualistica delle due fasi (accumulo e dispiegamento) dobbiamo rilevare come essa abbia comportato una conseguente disposizione ed organizzazione delle forze che l’esperienza concreta ha mostrato essere inadeguata soprattutto per la guerriglia del centro imperialista, che per le sue peculiarità opera in condizioni di accerchiamento strategico, priva di “santuari” e retrovie, essa non può accumulare forze al di fuori del piano politico raggiunto dallo scontro e quindi del grado di assestamento politico organizzativo che essa è in grado di consolidare a fronte della controrivoluzione e all’interno dell’alterno andamento dello scontro rivoluzionario.
L’accerchiamento strategico è una condizione generale ed immanente che sovrasta lo sviluppo del processo rivoluzionario, data dal fatto che essendo il potere nelle mani del nemico sino al suo abbattimento, questo determina una situazione di perenne accerchiamento per cui il vantaggio nei rapporti di forza a favore del campo proletario operato dall’avanguardia rivoluzionaria è sempre relativo, nel contempo vive il principio che la guerra di classe è strategicamente vincente perché: se il nemico non può distruggere il proletariato la sua avanguardia rivoluzionaria può distruggere il nemico di classe.
Va messo in evidenza che l’accerchiamento strategico nel contesto dello scontro che si sviluppa negli Stati a capitalismo maturo acquista delle peculiarità politiche riconducibili in ultima istanza all’aumentato peso della soggettività nello scontro generale, più specificamente v’influiscono i termini della controrivoluzione preventiva.

CRITICA ALLA FORMULAZIONE DELLA RISERVA. La prassi ha reso evidente l’inadeguatezza del criterio politico organizzativo della riserva così come è inteso nello statuto perché inattuabile e di fatto non attuato se non nel suo modo più deleterio con la riserva dei dirigenti. Essendo 1a guerriglia nelle metropoli per eccellenza una guerra senza fronte, ed operando essa nel cuore del nemico di classe, né strutture fisiche né militanti possono essere immuni da questo dato.
Nella pratica di un processo rivoluzionario nei paesi a capitalismo maturo che si svolge in perenne condizione di accerchiamento, nell’impossibilità di mantenere zone liberate, ciò che invece necessita è attivizzare tutte le forze disponibili, da quelle militanti a quelle rivoluzionarie e proletarie (pur nelle diverse funzioni assegnate) nella concreta attività che all’interno del principio dell’unità del politico e del militare è complessiva e investe tutti i termini dello scontro. È l’attivizzazione delle forze sul piano complessivo di attività dell’O. che ne fa conseguire anche la necessaria formazione, il piano di attivizzazione delle forze intorno all’attività generale dell’O. vive in termini organizzati ed il criterio organizzato del lavoro trova nella Cellula (al suo interno come verso l’esterno per le forze che essa centralizza e dirige) l’unità elementare in grado di riprodurre l’attività dell’O. nel suo complesso, questo tenuto conto che il rapporto di militanza ha come presupposto la formazione del militante complessivo.
L’esperienza concreta ha dimostrato come la mancata attivizzazione delle forze abbia reso problematico il loro reinserimento poiché impedisce ad esse di essere adeguatamente formate al livello raggiunto dallo scontro ed ai compiti della fase rivoluzionaria, la mancata attivizzazione genera dispersione ed impoverimento delle forze cioè l’esatto contrario di quanto ci si prefiggeva con il principio della riserva, per cui la riserva per la guerriglia può essere intesa politicamente come capacità di formare quadri militanti complessivi in grado di riprodurre il patrimonio politico ed organizzativo su cui si basa la guerra di classe in ogni condizione dello scontro. Per altro verso sono i principi strategici di clandestinità e compartimentazione nella loro accezione politica sostanziale (base per la condizione offensiva) e non formalmente intesi, l’attenzione continua al loro ripristino quando all’interno delle esigenze e dell’attività concreta vengano meno, che garantiscono il mantenimento della capacità offensiva della guerriglia anche in seguito agli inevitabili attacchi della controrivoluzione.
Materialmente la riserva trova applicazione nel principio della salvaguardia dei militanti responsabili dei servizi strategici (basi, ecc.) i quali sono fuori dal lavoro politico attivo.

CRITICA ALL’IMPOSTAZIONE DEI FRONTI. Lo sviluppo dell’O. per colonne corrisponde alla giusta esigenza politica di svilupparsi per poli a partire da quelli strategicamente centrali costituiti dalle zone industriali a grande concentrazione operaia. Questo perché il proletariato metropolitano a dominanza operaia è la base sociale della lotta armata. Le colonne si sviluppano nei poli di appartenenza sul principio della duplicazione d’O. L’O. coglie le contraddizioni che sul piano politico tale sviluppo può generare, al fine di superare questa contraddizione presente materialmente e mantenere l’unitarietà dell’intervento complessivo si sviluppano i Fronti di combattimento.
I Fronti hanno lo scopo di attraversare orizzontalmente l’attività dell’O. così i loro campi d’intervento (fabbriche, controrivoluzione, carceri, ecc.). Nella realtà questa contraddizione ha approfondito le contraddizioni e la tendenza al particolarismo ed al frazionismo. Infatti, i Fronti lontano dal costituire veicolo di unitarietà della linea politica nelle colonne, si sono trasformati per paradosso in settori specializzati d’intervento favorendo le tendenze particolari dei poli.
La giusta concezione dello sviluppo per poli se da un lato ha favorito lo sviluppo dell’O. nel territorio dall’altro ha potenzialmente posto la contraddizione del frazionamento dell’intervento. Ciò però è potuto avvenire anche per il persistere della visione linearista dello scontro rivoluzionario che poteva preludere ad una rapida conclusione. Nel momento in cui si rese necessario in relazione all’approfondirsi dello scontro esprimere il salto alla centralizzazione dell’attività al fine di consolidare le posizioni ottenute non facendole disperdere ed operare il necessario tipo di direzione centralizzata, l’indirizzo dei fronti e la conseguente disposizione delle forze in campo non permisero questo salto perché forti si erano fatte le spinte al frazionismo espresse politicamente dalle deviazioni dell’operaismo della colonna W. Alasia e dal soggettivismo della colonna Napoletana-Fronte carceri.
Nello statuto vengono giustamente definiti i criteri di clandestinità e compartimentazione che permettono il carattere offensivo della guerriglia. Così si mette giustamente l’accento sul pericolo della deformazione di questi criteri a logica carbonara o peggio a spirito di setta, ovvero ad una visione capovolta della loro funzione al limite misurata al piano organizzativo. L’esperienza permette di affermare che tale pericolo può aumentare a causa degli arretramenti, laddove le particolari condizioni dello scontro che subentrano ad un arretramento possono indurre ad una logica difensivistica che è al suo estremo la negazione della guerriglia stessa, contro questa malattia va posta costante vigilanza politica, sia perché sono oggettive le condizioni in cui si produce, ma soprattutto perché si traduce in errori di comportamento nell’affrontare il lavoro politico.
Tutto il complesso arco di criteri, principi, modi di esprimere prassi rivoluzionaria caratterizza lo stile di lavoro dell’O, uno stile di lavoro che in questi anni d’esperienza rivoluzionaria si è ben stagliato negli atti politici e materiali dell’O. Esso contraddistingue lo spirito della militanza d’O. e trae la sua caratterizzazione dalla natura proletaria dell’O. e dagli insegnamenti generalizzabili su questo terreno del movimento comunista internazionale. La pratica ha dimostrato che la guerriglia deve necessariamente funzionare con il modulo politico organizzativo definitosi storicamente come il più adeguato, ovvero la strutturazione delle forze rivoluzionarie deve rispondere ad un criterio che permette la praticabilità del modulo guerrigliero all’interno dei principi strategici di clandestinità e compartimentazione in quanto principi che permettono di esplicare il carattere offensivo della guerriglia e limitare le perdite (comunque sempre alte!).
Le BR hanno verificato la validità del proprio modulo e di come, venendo meno, si riflette in negativo sulle capacità di ricondurre le forze al livello politico necessario. Il modulo politico organizzativo delle BR risponde alla necessità di strutturare i diversi livelli in istanze superiori ed in inferiori all’interno del principio del centralismo democratico. L’unità di base costituita dalla Cellula è la struttura fondamentale dell’O., al suo interno si riproduce sia il funzionamento del modulo che il patrimonio politico dell’O., questo ne permette la riproduzione complessiva.

SULLA RITIRATA STRATEGICA. All’interno del principio dell’unità del politico e del militare la RS non è risolvibile semplicemente nella ricollocazione di un corpo di tesi ma investe non solo l’adeguamento dell’impianto organizzativo quanto soprattutto il modo con cui si costruiscono i termini politico-militari della guerra di classe; quindi la RS assume un carattere di fase generale influendo sulla disposizione tattica delle forze. La disposizione tattica pur assumendo all’interno delle peculiarità dello scontro carattere dinamico è condizionata sia dal piano strategico di disposizione generale delle forze sulla LA, sia dalle finalità della fase rivoluzionaria di scontro. Nel merito della caratterizzazione della RS occorre non cadere in un’inadeguata concezione quasi fosse applicata alla “politica dei due tempi”, non tenendo conto cioè del salto di qualità comportato nella politica rivoluzionaria operando nell’unità del politico e del militare, cosa che coinvolge tutti i termini della condotta della guerra di classe, ovvero, non basta ricondurre questo salto alla definizione strategica che il processo della guerra di classe si basa sulla proposta della LA alla classe.
Come l’esperienza ha dimostrato già sappiamo invece quale particolare modo di procedere implica per le BR e per il processo rivoluzionario che dirigono tradurre la forza politica che l’iniziativa combattente produce in consolidamento delle posizioni proletarie. Tornando alla RS, è inevitabile collocarla storicamente negli insegnamenti del movimento comunista internazionale per la funzione che già con Mao è riferibile ad un processo rivoluzionario di guerra di popolo con tutto quello che comportava sul piano dell’avanzamento di un processo politico anche d’organizzazione e di definizione di una strategia militare.
Saltando alla nostra situazione la concezione di fondo della RS (ritirarsi da posizioni insostenibili) va collocata nella peculiarità di sviluppo della guerra di classe nei paesi a capitalismo avanzato, ed è elemento tutto soggettivo della capacità dell’avanguardia combattente di sviluppare le condizioni del riadeguamento che giocoforza comporta uno stretto legame con la ricostruzione delle condizioni politiche e materiali della guerra di classe, quindi niente di oggettivo, ma capacità di determinare una condizione che non può essere limitata alla sola chiarezza teorica e politica dell’impianto, dato che il riadeguamento della guerriglia ai nuovi termini dello scontro rivoluzionario comporta articolare un processo politico e militare di attivizzazione delle forze proletarie sulla LA, sul terreno rivoluzionario. Una condizione che va costruita dentro una conduzione della guerra (e d’altra parte non può essere altrimenti) che deve essere interna al mandato della RS fino al completamento di alcune condizioni politiche e militari al di fuori delle quali è impossibile parlare di uscita dalla RS, tenendo conto che l’andamento dello scontro è fortemente discontinuo (avanzate-ritirate) e quindi la condotta tattica dello scontro è sottoposta a questo movimento che non è lineare. È chiaro che pure il termine di ricostruzione delle forze e delle condizioni politiche materiali del campo proletario non è semplicemente momento congiunturale ma una fase rivoluzionaria che però è strettamente condizionata dalla funzione della RS ed è tutta interna alla RS anche se mette le basi materiali e complessive per l’uscita da essa.

LA FASE DI RICOSTRUZIONE. Si tratta di analizzare i fattori che definiscono l’attuale Fase di Ricostruzione, tenendo conto che essa prende forma e consistenza all’interno della RS perché per modi, sostanza e tempi politici a cui deve essere finalizzata l’attività rivoluzionaria complessiva, si può e si deve parlare di fase rivoluzionaria. Questa, sebbene sia influenzata dal senso generale che ha la RS, costituisce la base, le fondamenta, su cui invertire la condizione attuale dei rapporti di forza, ovvero la Fase di Ricostruzione, che già vive nell’attività rivoluzionaria, muove per creare le condizioni politiche e materiali atte a modificare e spostare in avanti il piano rivoluzionario e di conseguenza le posizioni del campo proletario.
In sintesi, una fase rivoluzionaria che condiziona fortemente l’atteggiamento tattico relativo a come organizzare-disporre le forze in campo stante la fase di scontro politico tra le classi a fronte del contesto prodotto dalla controrivoluzione e del derivato approfondimento del piano rivoluzionario.
Sono tre i fattori a cui vanno riferiti i caratteri della Ricostruzione:
A) contesto della controrivoluzione e suo riflesso sulla mediazione politica. Il riflesso degli effetti della controrivoluzione sul carattere della mediazione politica tra le classi all’interno del contesto politico generale che la guerra di classe sviluppa, mette in risalto come questo rapporto politico sia connotato da un maggior intervento diretto dall’esecutivo nelle principali questioni che riguardano il governo del conflitto di classe a partire dalle vertenze “calde” (accordi pilota) agli interventi istituzionali (diritto di sciopero e libertà sindacali). Un dato che chiarifica la natura politica dello scontro di classe e il suo grado d’approfondimento evidenzia inoltre come in questo quadro sono mutate le funzioni delle opposizioni istituzionali: siano esse politiche che sindacali nella relazione esistente tra neocorporativismo e accentramento nei poteri dell’esecutivo, un fatto che seppure contraddittoriamente li porta a ruotare nella sostanza intorno alle scelte dell’esecutivo, a farsi carico di spinte lealiste e demagogiche, come nell’uso spregiudicato dei referendum, sia nella contrattazione col fine di contenere le istanze di lotta, sia sul piano politico generale in senso filo governativo.
In sintesi, il carattere della mediazione, il modo con cui si esprime il rapporto politico è dunque riferimento obbligato nel definire il tipo d’intervento rivoluzionario adeguato ad inciderlo e che giocoforza va riferito alla contraddizione dominante che matura nel rapporto politico tra le classi.
B) evoluzione dello Stato, necessità e progetti borghesi. Le peculiarità dello Stato date in Italia dall’esistenza del terreno rivoluzionario hanno condizionato per molti versi la stessa formazione delle forze politiche che rappresentano l’interesse della frazione dominante di borghesia imperialista. Ma l’elemento di sostanza della sua evoluzione sta proprio nei processi attuali di riformulazione del poteri poiché evidenzia una rinnovata capacità da parte delle forze politiche di ridefinire un progetto complessivo non solo riferito alle esigenze della BI nostrana, ma conseguentemente all’altezza delle posizioni che l’Italia ha e deve assumere nel contesto imperialista, soprattutto nello specifico europeo.
Una capacità a tutt’oggi riconquistata dalla DC che si qualifica come forza politica complessiva matura, quella maggiormente in grado di imprimere le svolte necessarie agli interessi della BI.
Questo sintetico quadro per comprendere che l’attacco allo Stato, l’incisività necessaria a disarticolarne i progetti non può eludere alla comprensione dell’evoluzione generale dello sviluppo del paese nel contesto della catena, di conseguenza dal tipo di progetti politici che vengono definiti e di come questi si collocano di volta in volta in termini dominanti in relazione ai rapporti di forza ed agli equilibri politici tra le classi. Ciò comporta la ferma assunzione nel definire l’attacco ai criteri di centralità e selezione la cui valenza viene esaltata proprio dal grado di scontro e che danno all’attacco la necessaria portata per incidere al punto più alto di esso.
C) stato del campo proletario, condizioni politiche e materiali del movimento di classe e rivoluzionario. Lo stato del campo proletario riflette il modo con cui si è materializzata la controrivoluzione, avendo essa attraversato orizzontalmente l’intero corpo di classe a partire dalle espressioni più avanzate dell’autonomia di classe che si sono dialettizzate con la guerriglia. Una dinamica che ha scompaginato il tessuto di lotte proletarie e ridimensionato in ultima istanza il peso politico della classe, un dato che paradossalmente ha influito sul ridimensionamento delle sue rappresentanze istituzionali.
Quello che va tenuto presente è il quadro determinato nella dialettica rivoluzione controrivoluzione nel nostro paese, un processo che si ripercuote nel modo in cui lo Stato si relaziona al campo proletario, in altri termini, lo Stato ha ben presente che, se non può eliminare la componente rivoluzionaria, deve obbligatoriamente contrastare gli effetti e la valenza della sua proposta politica: in questo senso ha definito un apparato antiguerriglia con un raggio di intervento politico complesso, ovvero finalizzato a tenere sotto pressione le componenti proletarie e rivoluzionarie che esprimono antagonismo contro lo Stato, un aspetto questo che si compenetra con la mediazione politica facendo di quest’ultima un reticolo di atti politici e materiali che contrastano l’ambito stesso di formazione delle avanguardie nel tentativo di impedire all’autonomia di classe di esprimersi.
In sintesi, misurandosi con le condizioni politiche del rapporto classe/Stato per pesare sugli equilibri dello scontro stesso mette in luce i termini della necessaria dialettica guerriglia/autonomia di classe a partire dalla direttrice dell’attacco allo Stato all’interno dei criteri sopraddetti. Una dialettica che a livello dell’organizzazione di classe sul terreno della LA, tenendo conto della materialità, concretezza, carattere dello scontro, deve agire sul binomio ricostruzione/formazione, ovvero ricostruzione nell’ambito operaio e proletario delle condizioni politiche e materiali danneggiate e disperse dalla controrivoluzione; formazione delle forze che si dispongono in modo da renderle adeguatamente organizzate a sostenere il livello di scontro con lo Stato. Un termine di lavoro che attraversa orizzontalmente e verticalmente le forze in campo (seppure con le dovute differenze) a partire in primo luogo dalla formazione dei rivoluzionari (forze rivoluzionarie) i quali devono esprimere la direzione adeguata a questo piano di disposizione.
In ultima analisi questo duplice intervento recupera il patrimonio di vent’anni d’attività rivoluzionaria delle BR per rilanciarlo alla maturità e progettualità attuali.
Riassumendo, la fase di ricostruzione è un passaggio delicato e complesso ed investe il tipo di riadeguamento intrapreso dalle BR nel senso più generale, ovvero riferito alla capacità non solo di riqualificare l’impianto e il tipo di caratterizzazione del quadro militante, ma questo in interrelazione alla necessità di determinare una direzione/organizzazione delle forze in campo, di muovere sul duplice binario di ricostruzione/formazione al fine di disporle adeguatamente nello scontro.

LA CENTRALIZZAZIONE. L’adeguamento nella capacità di esprimere la direzione idonea alle mutate condizioni dello scontro è dato dal salto alla centralizzazione delle forze in campo sull’attività generale dell’O. Ovvero emerge la necessità politica che l’attività dell’O. si muova in termini di forte centralizzazione politica che nell’accezione leninista significa centralizzazione delle direttive politiche sull’intero movimento delle forze, decentralizzazione delle responsabilità politiche alle diverse sedi ed istanze organizzate.
Più precisamente la centralizzazione deve rispondere alla capacità di far muovere le forze dentro a un quadro organico di lavoro come un solo corpo, ovvero la capacità di responsabilizzare il movimento delle forze dentro un piano di lavoro di cui le caratteristiche politiche siano patrimonio di tutti ma non interpretabili spontaneamente dai diversi livelli organizzati. La centralizzazione dell’attività del movimento delle forze è perciò una necessità politica imposta dall’approfondimento dello scontro, una condizione che richiede il massimo dell’utilizzo politico delle medesime all’interno di una disposizione volta a farle muovere come un cuneo intorno all’iniziativa dell’Organizzazione, il che può avvenire solo dentro un piano di lavoro definito all’interno del quale tutte le forze concorrono, ma non per spontaneo apporto, ma disposte ed organizzate in modo da poter contribuire confacentemente. Una dinamica politico-organizzativa che può avvenire appunto nel duplice movimento centralizzazione, decentralizzazione delle responsabilità. Questo perché non è più sufficiente disporsi spontaneamente sulla LA pensando di ritagliarsi in piccolo i problemi posti dallo scontro. In altri termini una riproposizione dell’esperienza dei nuclei che al proprio livello riprendevano le indicazioni d’O., in questo contesto non è più praticabile politicamente.
Ecco perché necessariamente le istanze dei compagni rivoluzionari e i proletari coscienti che si rapportano alla linea politica dell’O. vengono disposte sin da subito all’interno del piano di lavoro centrale, così come la costruzione delle reti proletarie non ha una funzione solamente locale. Una disposizione che comporta nel contempo il calibramento delle diverse responsabilità ai differenti livelli di coscienza, ma tutti ugualmente funzionalizzati al piano generale di lavoro. Non si tratta di far fare al proprio livello esperienza alle forze che si relazionano, ma si tratta sin da subito di formarle all’interno di una disposizione che permetta di acquisire una dimensione politico-organizzativa che lo scontro richiede: la dimensione del senso organizzato del lavoro per rispondere alle necessità che assume a questo livello di sviluppo della guerra di classe. Tutto ciò all’interno dell’esigenza di operare politicamente e militarmente alla ricostruzione degli strumenti politico organizzativi per attrezzare il campo proletario, in questa fase, nello scontro prolungato contro lo Stato.
Il problema delle istanze di compagni rivoluzionari non significa inglobamento di esse nell’O., ma la dialettica, il rapporto che si forma deve rispondere all’obiettivo politico di contribuire all’avanzamento del processo rivoluzionario a partire dalle necessità poste dallo scontro.
Al di fuori di questo dato politico c’è solo un’interpretazione fumosa dell’unità dei comunisti che, muovendosi in ordine sparso, non può che trascendere dalle condizioni che lo scontro stesso impone, al limite tagliandosi un proprio spazio di intervento ininfluente ad incidere su di esso, di fatto favorendo la dispersione delle forze e delle iniziative in quanto su di esse grava, indifferentemente dalla coscienza con cui si sono poste verso lo scontro, tutto il peso delle condizioni politiche.
Quest’adeguamento ai termini dello scontro implica la capacità di esprimere un livello di direzione politico-organizzativa adeguata alla centralizzazione nella disposizione delle forze sull’attività dell’O.
La questione della direzione è questione fondamentale all’interno della fase di ricostruzione/formazione che per l’O, e data la sua strutturazione, deve esprimersi ai diversi livelli, dal carattere generale e a livello complessivo (come capacità concreta di far vivere il ruolo di avanguardia della classe all’interno dello scontro e quindi di esprimere il necessario indirizzo politico con il combattimento), sino alle sue determinazioni (cellule) e in rapporto alle forze esterne (istanze, reti, rapporti) è quindi questione che attraversa verticalmente ed orizzontalmente l’O. Tenuto conto che la disposizione delle forze in campo implica la loro funzionalizzazione all’attività generale dell’O. che ruota intorno all’attacco ed agli obiettivi di fase individuati dal piano di lavoro, e che ciò ha significato concepire l’O. come un unico cuneo indirizzato all’obiettivo, poiché questa disposizione delle forze è la sola che si è dimostrata utile e necessaria a far vivere i termini organizzati del lavoro, cioè esplicitare l’attività dell’O. in questa fase in termini adeguati alle necessità poste dallo scontro, termini organizzati che sono altro dalla semplice sommatoria d’attività di singoli; una disposizione che ha permesso la valorizzazione delle forze poiché adatta ad indirizzare l’attività dell’O. sul piano del necessario politicamente superando i limiti posti dal “possibile”, inoltre atta a rispondere alle esigenze di formazione e ricostruzione delle forze stesse all’interno del principio che solo la prassi utile e necessaria al piano di lavoro ed agli obiettivi dello stesso produce il necessario avanzamento ed adeguamento politico delle strutture, dei singoli e dell’O. nel suo complesso.
La strutturazione in istanze superiori ed inferiori all’interno del centralismo democratico e della corretta dialettica sia orizzontale che verticale ha permesso il calibramento e la centralizzazione necessaria ai compiti ed ad una simile disposizione delle forze nel movimento, centralizzazione delle forze sull’indirizzo politico del lavoro/decentralizzazione delle responsabilità ai vari livelli politici espressi.
L’esperienza concreta ha dimostrato l’importanza che assume nell’assestamento dell’attività delle cellule la funzione del responsabile quale elemento in grado di far vivere lo stile di lavoro e la capacità organizzata di operare della struttura nel complesso del lavoro d’O., non mero coordinatore ma effettivo responsabile in grado sempre e comunque di indirizzare il lavoro di struttura e delle forze da questa dirette alle effettive necessità dettate dal piano di lavoro e dagli obiettivi di fase all’interno dello scontro, nella necessaria dialettica e nella piena valorizzazione delle forze; l’esperienza chiarisce come, e in ogni attività dell’O., siano i fatti concreti sui quali si misura l’adeguatezza o meno di ruoli e funzioni e di quanto sia importante far vivere l’attenzione continua costruttivamente critica ed autocritica verso il lavoro proprio e generale, questo nell’intero corpo militante; questo sia nell’individuazione che nel governo indirizzato alla loro risoluzione in avanti delle inevitabili contraddizioni che sorgono nel rapporto e nello sviluppo con l’attività stessa.
Nell’attività di una forza rivoluzionaria che pratica la guerriglia non esistono vacche sacre né meriti acquisiti, né capacità individuali insostituibili, né contributi più o meno importanti, ma solo rispondenza alle responsabilità ed alle esigenze del lavoro che è solo utile e necessario, e che solo nei suoi termini organizzati permette il conseguimento degli obiettivi e la valorizzazione, la necessaria socializzazione delle capacità oltre al superamento dei limiti che sempre presenta il singolo.
La questione del responsabile si è dimostrata fondamentale nell’esperienza condotta con le istanze di compagni rivoluzionari: laddove possibile l’O. ha sempre privilegiato la costituzione di istanze di militanti rivoluzionari per responsabilizzare sin da subito i compagni all’interno dello stile di lavoro organizzato dell’O., in questo senso si può dire che si da istanza esclusivamente laddove essa riesce ad esprimere al suo interno la propria figura di responsabile, quando ciò non è avvenuto o è venuto meno abbiamo assistito allo svilimento delle forze, al loro impoverimento con l’emergere di contraddizioni varie, dallo spirito di gruppo alla deresponsabilizzazione verso il lavoro che ha reso necessario il loro scioglimento.
L’importanza della qualità e dello sviluppo del lavoro di direzione in relazione all’andamento dello scontro e all’interno di questa particolare fase, la sua complessità, sono tutte interne ed in stretto rapporto con la questione del Partito, nell’unità del politico e del militare, la sua adeguatezza al piano di scontro ed ai compiti, non solo risponde al giusto principio dell’agire da Partito per costruire il Partito, ma nel suo sviluppo dialetticamente legato alle condizioni politiche e materiali dello scontro stesso, misura e nel suo complesso muove verso un avanzamento del piano di scontro e del processo di costruzione-fabbricazione del PCC.

Marzo 1989 (versione originale 1988)