1980
gennaio
Alfa Romeo – Quaderno n°8
novembre
Campagna Sesto
Esecuzioni Briano e Mazzanti
1981
Campagna Alfa Romeo
Autointervista su sequestro Sandrucci
Campagna Sesto
Attacco a dirigente Italtrafo e altri quadri di fabbrica
Fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo la sinistra rivoluzionaria in Italia pone per la prima volta la questione della conquista del potere politico da parte del proletariato in un paese a capitalismo avanzato. In questo contesto nascono le Brigate rosse, che intendono coniugare la tradizione marxista-leninista con gli insegnamenti della rivoluzione culturale cinese e le esperienze di guerriglia urbana nel mondo. Sono state l’organizzazione armata che maggiormente ha inciso sugli equilibri politici del paese.
L’ipotesi rivoluzionaria e la strategia della tensione
Fra il 1968 e il 1969 si sviluppano in Italia forti lotte studentesche e operaie. In numerose fabbriche del nord nasce un nuovo movimento autonomo dal basso, fuori dai partiti e dai sindacati della sinistra storica. Alcune realtà di base milanesi e comitati di lavoratori studenti formano il Collettivo politico metropolitano (Cpm), per costruire l’organizzazione rivoluzionaria a partire dal conflitto nelle fabbriche e nelle scuole. A novembre, con un convegno a Chiavari, la struttura cambia nome in Sinistra proletaria. Nel documento finale, Lotta sociale e organizzazione nella metropoli, la lotta armata viene posta come prospettiva concreta.
La strage di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, di cui sono strumentalmente accusati gli anarchici, dà inizio alla strategia della tensione, una catena di attentati, in gran parte rimasti impuniti, messa in atto da alcuni settori dello Stato, sostenuti dagli Usa, per combattere il «pericolo comunista» e bloccare la trasformazione sociale e politica. Le bombe accelerano nella sinistra extraparlamentare il dibattito sull’uso della violenza nel processo rivoluzionario. Il percorso organizzativo di Sinistra proletaria fa un passo avanti durante l’estate successiva, con il convegno di Pecorile, a cui partecipano anche i giovani di Reggio Emilia conosciuti come il «gruppo dell’appartamento», provenienti in buona parte dalla Fgci.
Le origini in fabbrica
Nel settembre 1970 a Milano va a fuoco la macchina di un manager della Sit Siemens. L’azione è firmata Brigata rossa. Al singolare. Seguono altre iniziative nelle fabbriche milanesi, centro nevralgico della nuova organizzazione. Sono per lo più incendi di auto dei capi aziendali. Ma anche dei cosiddetti fascisti – «il potere armato dei padroni» – «in camicia nera e in camicia bianca», ovvero esponenti dell’Msi e della Dc. Le prime due brigate nascono alla Pirelli e alla Sit Siemens.
Il battesimo mediatico delle Brigate rosse avviene il 25 gennaio 1971 con un’azione contro la pista di prova della Pirelli. Degli otto ordigni piazzati sotto altrettanti autocarri ne esplodono tre. Ma il clamore è grande. Nella primavera dello stesso anno Sinistra proletaria pubblica il giornale «Nuova Resistenza», che raccoglie il dibattito sulla lotta armata. Escono due numeri. Al centro c’è l’organizzazione operaia, ma l’attenzione è rivolta anche all’esperienza dei tupamaros uruguaiani, alle guerriglie in Germania e Palestina, alla Cina di Mao Tse-tung.
Fin dall’inizio, le Br superano il modello terzinternazionalista, specificando di non essere «l’embrione di un futuro esercito rivoluzionario», ovvero il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma un’organizzazione combattente caratterizzata dall’unità del politico e del militare. La lotta armata assume da subito un significato strategico.
Il 3 marzo 1972 c’è il primo sequestro lampo. L’ingegner Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit Siemens, viene prelevato di fronte allo stabilimento. Mentre il Partito comunista liquida le Brigate rosse come fenomeno di criminalità comune, la nuova organizzazione espande la propria presenza nelle fabbriche. Spesso sono gli stessi operai a segnalare le macchine e i capetti da colpire.
Nel maggio 1972 viene ucciso il commissario Luigi Calabresi, considerato dalla sinistra rivoluzionaria responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Nessuna rivendicazione. Nello stesso mese scatta la prima grande operazione repressiva contro le Br. I militanti che sfuggono agli arresti si riorganizzano in clandestinità. Nascono due colonne a Torino e Milano, ognuna composta da brigate di fabbrica e di quartiere.
L’attività delle Br diventa con il passare del tempo più intensa. Sono colpite sedi e rappresentanti di sindacati di destra, capireparto, imprenditori. Le azioni, tra cui alcuni sequestri lampo, sono condannate dai dirigenti confederali, ma ottengono la simpatia della base. Nel frattempo, nonostante le forti lotte operaie, e le vittorie ottenute, il contratto dei metalmeccanici viene rinnovato ignorando le richieste operaie.
Dalle fabbriche allo Stato
All’inizio del 1974, mentre il Partito comunista di Enrico Berlinguer, dopo il golpe in Cile, lancia la politica del compromesso storico, le Brigate rosse – che si stanno consolidando in varie regioni – decidono di dare un respiro più ampio e una maggiore forza al loro intervento, allargando il campo d’azione dalle fabbriche allo scontro diretto con lo Stato nelle aree urbane. Colpire il potere politico, il potere democristiano, è l’obiettivo. Il primo a finire nelle maglie dell’organizzazione è il giudice Mario Sossi, rapito il 18 aprile a Genova. Reazionario, artefice di vari processi contro esponenti della sinistra. Durante il sequestro sono attaccate sedi di imprenditori legati alla Dc e viene distribuito l’opuscolo Contro il neogollismo, portare l’attacco al cuore dello Stato, in cui si afferma la necessità di conquistare il potere attraverso la lotta armata, abbattendo lo stato borghese democristiano che sta trasformando la repubblica nata dalla Resistenza in una repubblica presidenziale. Con il rafforzamento dei poteri del governo e del capo dello Stato a danno del Parlamento, la modifica del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario.
Nel 1974 il clima è molto teso, la strategia della tensione al suo apice. È l’anno della strage di Brescia, della bomba sul treno Italicus, di tentativi golpisti. Il rapimento crea contrasti nelle istituzioni. La richiesta delle Br di liberare i detenuti della XXII Ottobre, inizialmente accolta, è bloccata all’ultimo dal procuratore generale Francesco Coco. Per le Brigate rosse è comunque una vittoria. Dopo trentacinque giorni il giudice viene rilasciato.
Il 17 giugno 1974 a Padova, a venti giorni dalla strage di Brescia, durante un’incursione in una sede missina restano incidentalmente uccisi due fascisti. L’organizzazione si assume la responsabilità dell’evento pur non condividendolo. Ribadisce però che l’attacco armato deve essere rivolto contro lo Stato e non centrato sull’antifascismo militante.
Alla metà di ottobre si riunisce la prima Direzione strategica, per ridefinire la propria struttura in seguito agli arresti di Renato Curcio e Alberto Franceschini. Altri dirigenti vengono catturati nei giorni e nei mesi successivi. Nel febbraio 1975 un commando libera Curcio dal carcere di Casale Monferrato. Sarà di nuovo arrestato circa un anno dopo. Alla guida dell’azione c’è sua moglie Margherita Cagol, che perde la vita il 5 giugno, in un conflitto a fuoco nel corso di un sequestro per autofinanziamento. È la prima militante delle Brigate rosse che cade sotto i colpi del nemico. L’emozione è forte, ma l’attività prosegue.
La ristrutturazione economica e lo Sim
Gli effetti della più profonda crisi economica successiva alla seconda guerra mondiale iniziano a farsi pesantemente sentire in Italia nel 1974. In autunno parte la ristrutturazione della Fiat e del mercato del lavoro. Licenziamenti, cassa integrazione, delocalizzazione, ovvero il trasferimento della produzione in paesi a basso costo e scarsa sindacalizzazione della forza lavoro.
In questo periodo, fra il 1974 e il 1975, le Br definiscono i tre terreni di intervento che rimarranno costanti negli anni, pur assumendo nei vari periodi un peso diverso: l’attacco allo Stato, in particolare alla Democrazia cristiana, l’offensiva nelle fabbriche per promuovere l’autonomia operaia, la liberazione dei prigionieri.
La Risoluzione della Direzione strategica diffusa nell’aprile 1975 specifica le caratteristiche della crisi e del processo di ristrutturazione mondiale, che provoca cambiamenti nei rapporti di produzione, a tutto svantaggio della classe operaia e del proletariato. Nella nuova situazione nasce in ogni paese lo Stato imperialista delle multinazionali (Sim), per garantire le esigenze del capitale internazionalizzato, della «controrivoluzione globale» guidata dagli Stati Uniti. La Democrazia cristiana è il cardine in Italia di questo progetto, volto a legare le sorti della classe operaia a quelle del capitale e dello Stato, per farle assumere i costi economici della ristrutturazione. Attraverso la politica del compromesso storico, il Pci tenta di entrare nella gestione del processo. La prospettiva politica delle Br diviene allora quella di «unificare e rovesciare ogni manifestazione parziale dell’antagonismo proletario in un attacco convergente al cuore dello Stato». Mentre l’obiettivo ultimo rimane la presa del potere, gli obiettivi congiunturali da attaccare sono individuati nel patto corporativo fra governo, Confindustria, sindacati, asse portante della ristrutturazione capitalistica, nelle strutture politico-militari dello Stato, negli organi della repressione e in alcuni settori del giornalismo che si distinguono nella «guerra psicologica».
La struttura organizzativa
Le Brigate rosse si pongono come il nucleo che lavora per la costruzione del Partito combattente, una struttura di quadri, il reparto più avanzato della classe operaia, in cui radicare l’organizzazione della lotta armata e la coscienza della sua necessità storica, nella forma di una guerra civile di lunga durata. Al contrario di altre organizzazioni di quegli anni, convinte che l’avanguardia combattente scaturisca spontaneamente dall’autonomia di classe, le Br ritengono che sia la guerriglia urbana, colpendo il nemico sul suo terreno, a permettere lo sviluppo della resistenza e dell’autonomia operaia.
Nella prima metà degli anni Settanta le Brigate rosse perfezionano la loro struttura organizzativa. Arrivano a essere formate da colonne su base territoriale, composte da brigate, e ad avere un lavoro articolato in Fronti di combattimento, per elaborare e indirizzare la lotta nei settori specifici.
Colonne delle Br, intitolate in genere a militanti uccisi, sono state presenti a Torino (Margherita Cagol), Milano (Walter Alasia), Genova (Francesco Berardi), Roma (28 marzo), nel Veneto (Annamaria Ludmann), a Napoli. In Toscana e nelle Marche sono esistiti Comitati rivoluzionari territoriali diretti dalle colonne più vicine, mentre in Sardegna per alcuni anni è stato attivo un rapporto politico-organizzativo con Barbagia rossa.
La linea politica viene decisa nella Direzione strategica; il Comitato esecutivo è incaricato di attuarla. I regolari lavorano a tempo pieno per l’organizzazione, sono per lo più clandestini, al momento della cattura devono dichiararsi prigionieri politici. Gli irregolari hanno gli stessi diritti e doveri, ma non sono clandestini. Per non compromettere l’intero gruppo in caso di arresto, i militanti usano fra di loro nomi di battaglia.
Le Br agiscono per campagne, che concentrano nei vari periodi le principali energie dell’organizzazione, pur non escludendo contemporanee azioni su altri fronti di lotta.
Il cuore dello Stato
L’abbattimento del regime democristiano, attraverso l’attacco al cuore dello Stato, è considerato un passaggio necessario per la conquista del potere. Il «cuore» è identificato nei progetti di intervento tramite i quali lo Stato, nello scontro fra le classi, rappresenta gli interessi generali della borghesia. Il 15 maggio 1975 c’è il primo ferimento intenzionale a Milano di un consigliere comunale della Dc. Il partito della borghesia, della classe dominante, dell’imperialismo. Alla fine dell’anno si verifica una divisione nelle Br, con la fuoriuscita di Corrado Alunni, Susanna Ronconi e Fabrizio Pelli, che creano le Formazioni comuniste combattenti (Fcc). Nel 1976 invece il confronto con i Nap porta a una breve campagna congiunta, con attacchi a caserme dei carabinieri e strutture repressive.
La prima grande azione di «disarticolazione politica e militare delle strutture dello Stato» è effettuata dalle Brigate rosse l’8 giugno 1976. A Genova vengono uccisi il Procuratore generale della Repubblica Francesco Coco e due uomini della sua scorta. Fra il 1976 e il 1977 l’organizzazione decide di alzare il tiro, colpendo anche mortalmente numerosi «servi dello Stato»: giornalisti, magistrati, appartenenti alle forze di polizia, esponenti democristiani e missini, dirigenti industriali. I tentativi di aprire un intervento a Roma, centro del potere politico, sulle prime non danno risultati. La colonna romana entra in azione agli inizi del 1977. Nello stesso periodo a Genova il sequestro dell’armatore Costa a scopo di finanziamento porta ai brigatisti un miliardo di lire.
Nel giugno 1977 viene lanciata la campagna contro la «stampa di regime» e la sua funzione controrivoluzionaria. Si articola nel ferimento di alcuni giornalisti e nell’uccisione di Carlo Casalegno, de «La Stampa». Parallelamente viene sviluppato un vasto attacco contro uomini politici, dirigenti di fabbrica, esponenti dell’apparato repressivo.
Il processo guerriglia
Nel maggio 1976 si apre a Torino il primo grande processo contro il «nucleo storico» delle Brigate rosse, come viene definito dalla stampa. Per i prigionieri è un momento di confronto politico-militare fra proletariato e borghesia, interno alla guerra di classe. Decidono di trasformarlo in processo guerriglia, ribaltando il loro ruolo da accusati ad accusatori. Rifiutano il tribunale giudicante, gli interrogatori in aula, revocano il mandato ai difensori, chiedono agli avvocati d’ufficio di rinunciare all’incarico. Leggono comunicati in cui si dichiarano combattenti comunisti, assumendosi la responsabilità politica di tutta l’attività delle Brigate rosse. Ribadiscono che lo Stato va disarticolato nei suoi centri vitali in quanto strumento della controrivoluzione, usato per tentare di distruggere ogni resistenza proletaria e superare le contraddizioni strutturali del capitalismo. Il processo è più volte sospeso, anche perché le numerose rinunce dei giudici popolari impediscono di formare la corte. L’organizzazione all’esterno coordina le azioni con l’evoluzione del dibattimento. Nell’aprile 1977 un decreto legge blocca la scarcerazione degli imputati per scadenza termini. Poco dopo le Brigate rosse uccidono Fulvio Croce, presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Torino, incaricato di nominare i difensori d’ufficio. Il dibattimento riprende a Torino nel marzo 1978 e si conclude a giugno, nonostante il contemporaneo «processo» delle Brigate rosse ad Aldo Moro. Le condanne più pesanti, 15 anni, sono contro Renato Curcio e Pietro Bassi.
La tecnica del processo guerriglia sarà in seguito riproposta dalle Brigate rosse. Nella prima metà degli anni Ottanta viene però meno il comportamento unitario dei prigionieri di fronte ai tribunali. Pentimenti, dissociazione, divisioni politiche portano nelle aule bunker dei maxiprocessi alla frammentazione degli imputati, che prendono posto in gabbie distinte.
La Risoluzione della Direzione strategica del febbraio 1978
È uno dei principali documenti nella storia delle Br, e rappresenta la sintesi di un lungo dibattito interno, esteso ai militanti in carcere. Contiene un’analisi dell’imperialismo entrato nella fase delle multinazionali, in cui i governi dei singoli paesi si trasformano in articolazioni locali della borghesia imperialista e in cui la crisi strutturale per sovrapproduzione assoluta di capitale obbliga a una ristrutturazione dell’apparato economico ma anche di quello politico-militare. In questa situazione la controrivoluzione assume un carattere internazionale, che rende la lotta armata nelle metropoli una «guerra di liberazione antimperialistica». Solo la trasformazione della propaganda armata in guerra civile potrà evitare un nuovo conflitto generalizzato fra l’imperialismo e il socialimperialismo (Urss e paesi del Patto di Varsavia).
Lo Stato imperialista delle multinazionali (Sim), di cui la Dc è in Italia «forza centrale e strategica», ha come principali caratteristiche: la formazione di un personale politico imperialista, la centralizzazione delle strutture statali sotto il controllo dell’esecutivo, il riformismo, espresso dalla concertazione tra le parti sociali, la controrivoluzione preventiva, con l’annientamento di ogni forma di antagonismo non gestibile pacificamente. Le forze rivoluzionarie devono prepararsi a una guerra di classe di lunga durata di cui la propaganda armata è la fase iniziale. L’uscita dalla crisi si avrà solo con la conquista del potere da parte del proletariato, e il distacco dell’«anello Italia» dalla catena imperialista.
Le Br ritengono necessario agire sin da subito da Partito, ponendosi come nucleo strategico del Pcc in costruzione, collocando «l’iniziativa politico-militare all’interno e al punto più alto dell’offensiva proletaria, cioè sulla contraddizione principale e sul suo aspetto dominante in ciascuna congiuntura». Gli slogan finali del documento sintetizzano gli obiettivi delle Brigate rosse: portare l’attacco allo Stato imperialista delle multinazionali; disarticolare e distruggere i centri della controrivoluzione imperialista; creare-organizzare ovunque il potere proletario armato; riunificare il movimento rivoluzionario nella costruzione del Partito comunista combattente.
La campagna di primavera: il sequestro di Aldo Moro
Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, è il principale artefice della formazione di un governo di solidarietà nazionale, guidato da Giulio Andreotti e sorretto da una maggioranza allargata al Pci. Viene rapito a Roma il 16 marzo 1978, mentre sta andando a votare la fiducia al nuovo governo, anche se la coincidenza è casuale. Nell’azione restano uccisi i cinque agenti della scorta. Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il «teorico» e lo «stratega» indiscusso di quel regime democristiano che da trent’anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la Dc è stata artefice nel nostro Paese, dalle politiche sanguinarie degli anni Cinquanta, alla svolta del «centro-sinistra» fino ai giorni nostri con «l’accordo a sei», ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste.
La campagna di primavera, una delle vicende più complesse dell’Italia repubblicana, mira a incidere sugli equilibri politici generali. Le Br chiedono, in cambio del rilascio dell’ostaggio, la liberazione di alcuni militanti prigionieri. Lo Stato adotta la linea della fermezza, la trattativa fallisce e il corpo dello statista viene ritrovato il 9 maggio a Roma, a due passi dalle sedi centrali della Dc e del Pci.
Con il rapimento Moro, le Brigate rosse diventano un elemento nodale della politica italiana. Contro il quale lo Stato impiega tutto il potenziale repressivo che riesce a mettere in campo, imponendo leggi speciali e arrivando a usare in modo sistematico la tortura. Sulla campagna Moro si sono negli anni scatenate varie interpretazioni dietrologiche, prive di fondamento, nel tentativo di dimostrare che le Brigate rosse sono state dirette o manovrate dall’esterno.
Il «dopo Moro»
Per tutto il 1978 proseguono le azioni delle Br, anche nelle grandi fabbriche del nord. Forti lacerazioni provoca l’uccisione, il 24 gennaio 1979 a Genova, del sindacalista della Cgil Guido Rossa, responsabile dell’arresto dell’operaio dell’Italsider Francesco Berardi, irregolare delle Br suicidatosi in carcere alcuni mesi dopo.
Una significativa frattura interna avviene invece a febbraio, quando Valerio Morucci e Adriana Faranda lasciano l’organizzazione dopo il disaccordo sulla gestione del rapimento Moro. Nello stesso anno si sviluppa un acceso dibattito fra i brigatisti in carcere e l’Esecutivo su come indirizzare l’attività e superare la fase della propaganda armata. I militanti prigionieri producono un ampio testo teorico che sarà pubblicato nel dicembre 1980 con il titolo L’ape e il comunista.
Il 3 maggio 1979, in piena campagna elettorale, le Br assaltano la sede provinciale della Dc di piazza Nicosia a Roma. Sono sequestrati documenti, fatti esplodere ordigni, disegnate stelle a cinque punte e lasciata la scritta Trasformare la truffa elettorale in guerra di classe. Nella sparatoria che scoppia all’intervento di una pattuglia della Digos, due agenti sono feriti a morte.
In estate la campagna contro le carceri speciali – dove dal 1977 sono stati trasferiti i detenuti politici e dove si susseguono lotte, proteste, rivolte – viene ripresa con l’uccisione di Antonio Varisco, comandante del nucleo traduzioni del tribunale di Roma.
Dopo la conclusione del processo di Torino molti brigatisti sono finiti nel carcere speciale dell’Asinara, considerato un vero e proprio lager. Creano una brigata di campo che comprende i detenuti comuni. Nell’agosto 1978, nel corso di una settimana di lotta danneggiano alcune strutture del penitenziario. Chiedono l’abolizione del trattamento differenziato a cui sono sottoposti i detenuti considerati pericolosi. Nella primavera del 1979 i prigionieri comunicano ai compagni esterni di aver organizzato un’evasione per i 53 detenuti. Le Br prendono contatti con alcuni militanti sardi per costruire una nuova colonna e mettere in atto il piano. I problemi logistici si dimostrano però insormontabili. L’arresto di Prospero Gallinari, a cui viene trovata la piantina del carcere, fa mettere definitivamente da parte il progetto. Fallita l’idea della fuga, il 2 ottobre i detenuti dell’Asinara, con una notte di battaglia, rendono inagibile la famigerata sezione Fornelli. Nel frattempo le Br, tramite i palestinesi dell’Olp, riescono a prendere in Libano un carico di armi pesanti.
Il nuovo decennio si apre con la creazione della colonna napoletana e varie azioni armate contro personale dello Stato e della repressione. Tra il giugno 1978 e la primavera del 1980, nella campagna contro gli apparati dell’Antiterrorismo, le Br uccidono dodici militari in diverse città. Nei primi mesi del 1980 sono colpiti a morte due giudici, Vittorio Bachelet, vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, e Girolamo Minervini, neodirettore degli Istituti di prevenzione e pena.
Intanto esplode un fenomeno che contribuirà allo smantellamento dell’organizzazione. Nel febbraio 1980 viene catturato Patrizio Peci, dirigente della colonna torinese. La sua delazione porta a oltre ottanta arresti e alla scoperta della base di via Fracchia a Genova, dove il 28 marzo i carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa uccidono a freddo quattro brigatisti: Annamaria Ludmann, Riccardo Dura, Piero Panciarelli, Lorenzo Betassa.
Dalla propaganda armata alla guerra civile
Nell’ottobre 1980 viene diffusa una nuova Risoluzione della Direzione strategica. Intende sancire la fine della fase della propaganda armata e l’inizio di un periodo di transizione che, in modo lento, contraddittorio ma irreversibile, sta assumendo i tratti della guerra civile dispiegata. La Dc continua a essere l’asse portante della controrivoluzione imperialista, il Pci il partito dello Stato dentro la classe operaia.
La ristrutturazione capitalistica ha prodotto la precarizzazione del mercato del lavoro, la rottura della solidarietà di classe, una forte intensificazione dello sfruttamento. La classe operaia mantiene un ruolo centrale ma non è più l’unico referente sociale strategico. Le carceri sono parte del cuore dello Stato in quanto luogo di controllo del proletariato metropolitano e di annientamento della sua avanguardia politico-militare. Per la fase di transizione le Br lanciano al movimento di classe la parola d’ordine di costruire i primi nuclei clandestini di resistenza, capaci di unire la pratica politica e quella militare, mentre il Partito comunista combattente ha il compito di conquistare le masse alla lotta armata e organizzarle in un articolato sistema di potere proletario armato. Ai due Fronti esistenti (lotta alla controrivoluzione e logistico) viene aggiunto il Fronte di massa, suddiviso in tre settori: classe operaia e fabbriche, lavoratori dei servizi, proletariato marginale.
Nel frattempo prosegue l’attacco della Fiat alla classe operaia. Dopo i 61 licenziamenti politici dell’estate 1979, nel settembre 1980 l’azienda, in profonda crisi, annuncia quasi quindicimila licenziamenti. In seguito alle lotte, ai picchetti che bloccano l’azienda, per la prima volta nella storia d’Italia i quadri intermedi – impiegati, colletti bianchi – sfilano a Torino chiedendo il diritto di tornare al lavoro. Sarà chiamata la «marcia dei quarantamila». È la vittoria della ristrutturazione. La Fiat blocca i licenziamenti ma mette in cassa integrazione a zero ore ventitremila operai.
Il sequestro D’Urso
Nel dicembre 1980 le Brigate rosse rapiscono a Roma il magistrato Giovanni D’Urso, della Direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena presso il Ministero di Grazia e giustizia, responsabile del trattamento dei detenuti. Nell’iniziativa vengono coinvolti i Comitati di lotta delle carceri, per la prima volta considerate dalle Br come «l’altra faccia della fabbrica per chi lotta e combatte», dove vivono i settori più deboli del proletariato metropolitano, extralegale, un terreno che si prepara a divenire decisivo nello scontro di classe.
La strategia differenziata attuata nelle carceri non è svincolata dalla ristrutturazione nelle fabbriche, ma parte integrante di essa: il momento più alto di annientamento delle forze rivoluzionarie.
L’azione ha come obiettivo la chiusura dell’Asinara e delle altre carceri speciali. Il 26 dicembre, mentre il governo ribadisce la politica della fermezza, il Ministro di Grazia e giustizia annuncia lo sgombero dell’Asinara provocando varie proteste, anche del Pci. Il Comitato di lotta del carcere parla di vittoria. Durante il sequestro scoppia la rivolta nel carcere di Trani. Lo Stato adotta la linea della fermezza; il primo assalto della polizia viene respinto con l’uso di esplosivo. I detenuti fanno una serie di richieste sulle condizioni di vita e la legislazione speciale, oltre che sulla chiusura dell’Asinara. Il 29 dicembre i reparti speciali dei carabinieri assaltano il carcere, i detenuti subiscono pesanti pestaggi. Due giorni dopo le Brigate rosse uccidono il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, responsabile della sorveglianza esterna delle carceri speciali. La richiesta dei brigatisti di dare spazio ai comunicati dei Comitati di lotta delle carceri divide i mass media. Alcuni li pubblicano. Il giudice è rilasciato a gennaio. La sentenza viene sospesa e il prigioniero D’Urso viene rimesso in libertà. La lotta contro l’annientamento carcerario continua fino al conseguimento dell’obiettivo finale: distruzione di tutte le carceri e liberazione di tutti i proletari prigionieri.
La fine dell’unità
In questo periodo si conclude di fatto il percorso unitario delle Brigate rosse, nonostante i tentativi per evitare le divisioni. Così i sequestri del 1981, in precedenza decisi dall’Esecutivo come operazioni dell’organizzazione, vengono in seguito utilizzati dalle varie componenti nella battaglia politica interna.
La prima separazione viene sancita negli ultimi mesi del 1980 con la colonna milanese Walter Alasia. Le divergenze riguardano prevalentemente il ruolo della fabbrica e la centralità operaia, l’organizzazione del Pcc e degli organismi di massa rivoluzionari. La Walter Alasia prosegue autonomamente le azioni. Tra queste, il 3 giugno 1981, il rapimento dell’ingegnere dell’Alfa Romeo Renzo Sandrucci, capo dell’ufficio organizzazione del lavoro dell’Alfa di Arese. Alcune iniziative di propaganda nello stabilimento confermano il radicamento dei militanti. Per la liberazione del sequestrato viene chiesta la revoca della cassa integrazione, prevista in un accordo firmato dai sindacati. Sandrucci è rilasciato dopo cinquanta giorni.
L’arresto di Mario Moretti, il 4 aprile 1981, a lungo dirigente delle Br, coincide con una accelerazione del processo disgregativo. La colonna napoletana e il Fronte delle carceri, guidati da Giovanni Senzani, gestiscono i sequestri Cirillo e Peci, acuendo le divergenze con l’Esecutivo nazionale. La scissione viene ufficializzata nell’autunno. A dicembre nascono le Br-Partito della guerriglia, con un opuscolo in cui si diffondono le Tesi di fondazione del Partito Guerriglia. Questa componente sostiene la necessità di adeguare la linea politico-militare ai bisogni delle masse, e ritiene esista una inimicizia assoluta tra le classi che nella metropoli assume la forma di scontro totale in tutti i rapporti sociali, in vista di una imminente guerra civile strisciante. Ciro Cirillo, assessore regionale democristiano all’urbanistica e all’edilizia popolare e vicepresidente del comitato tecnico campano per la ricostruzione dopo il terremoto del 1980, è rapito a Napoli nell’aprile 1981. L’azione, in discontinuità con la linea storica dell’organizzazione, si rivolge ai bisogni e alle lotte del proletariato marginale (senzatetto, disoccupati), per costruire il potere proletario armato. Per liberare l’ostaggio si richiede la requisizione degli alloggi sfitti, la chiusura di un villaggio di roulotte per terremotati, un sussidio di disoccupazione, la pubblicazione di comunicati. Nella controversa trattativa fra la Dc e la colonna napoletana cercano di intromettersi i servizi segreti e la criminalità organizzata. Il sequestro si conclude con la firma di un decreto di requisizione delle case e di indennità di disoccupazione per i giovani, il pagamento di un ingente riscatto – inizialmente non preventivato – che andrà a finanziare il nuovo Partito guerriglia. L’ostaggio è liberato.
Nel giugno 1981 viene rapito Roberto Peci, per un breve periodo militante del Comitato marchigiano delle Brigate rosse e fratello del pentito Patrizio. È accusato di essere stato un informatore. Viene ucciso il 3 agosto alla periferia di Roma.
Il sequestro di Giuseppe Taliercio, direttore del petrolchimico Montedison di Marghera, nel maggio 1981, provoca un’ulteriore frattura, con la formazione della effimera colonna 2 agosto. L’azione mira a rafforzare e sviluppare le lotte operaie, con l’attacco al piano di ristrutturazione del settore chimico, accettato dai sindacati, che avrebbe portato a licenziamenti, cassa integrazione, intensificazione dei ritmi di lavoro in quella che, per la sua nocività, viene definita «fabbrica della morte». Le Br chiedono la revoca della cassa integrazione. Non viene aperta alcuna trattativa, e il corpo dell’ingegnere è ritrovato vicino al Petrolchimico. La componente «ortodossa» delle Br, che ha gestito questo sequestro e si pone in continuità con il passato, tenta di rilanciare la proposta politica con un’azione clamorosa.
Le divisioni interne e la «ritirata strategica»
Il generale James Lee Dozier, il più alto comandante delle forze terrestri Nato in Italia, di stanza a Verona, viene rapito il 17 dicembre 1981, per denunciare il ruolo subordinato dell’Europa agli Stati Uniti, la politica di potenziamento degli armamenti, la prevista installazione nelle basi militari italiane degli euromissili Cruise. Nel secondo comunicato della campagna si annuncia il nuovo nome dell’organizzazione: Per il comunismo. Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente. Lo Stato, pressato dal governo americano, utilizzando sevizie, ricatti, dichiarazioni di collaboratori, individua un gruppo di militanti a conoscenza della base padovana in cui è tenuto l’ufficiale. Dozier viene liberato il 28 gennaio 1982 da un blitz dei Nocs (Nucleo operativo centrale di sicurezza). I cinque catturati sono sottoposti a pesanti torture, come numerosi brigatisti arrestati in quei mesi. Cesare Di Lenardo resiste, denunciando le sevizie alla magistratura. Gli altri quattro cedono. Due di essi, Antonio Savasta e Emilia Libera, dirigenti dell’organizzazione, con le loro dichiarazioni producono una catena di fermi e arresti in varie regioni. Il bilancio interno seguito a questi fatti, e alle divisioni organizzative, viene reso noto in un volantino «A tutto il movimento rivoluzionario». Si annuncia la proposta di «ritirata strategica», ovvero un periodo di riflessione critica in cui l’avanguardia rivoluzionaria dovrà adeguare l’impianto teorico e la linea politica alle mutate condizioni, ritirandosi in seno alle masse e costruendo al loro interno un sistema di potere, senza abbandonare la lotta armata. La volontà di sottrarsi ai possibili esiti della tortura è posta dai dirigenti delle Br-Pcc al di sopra della salvaguardia della propria vita. Nel tentativo di evitare a qualsiasi prezzo la cattura, Umberto Catabiani, ex membro della Direzione strategica, viene ucciso a maggio dai carabinieri. Mentre nelle carceri vari militanti si sono pentiti o dissociati, e all’esterno la Walter Alasia e il Partito guerriglia sono smantellati nel 1982, le azioni delle Br-Pcc proseguono sui due fronti centrali: questione sociale e antimperialismo. Il 3 maggio 1983 viene ferito a Roma il giuslavorista Gino Giugni, docente e membro del Comitato centrale del Partito socialista italiano. Il 15 febbraio 1984 a Roma le Br-Pcc, insieme alla Frazione armata rivoluzionaria libanese (Farl), uccidono Leamon Hunt, direttore generale della Forza multinazionale e di Osservazione dell’Onu in Sinai, a cui partecipa un contingente italiano, considerata un baluardo degli interessi statunitensi in Medio Oriente in funzione antipalestinese. Nel giugno 1985 è arrestata Barbara Balzerani, rimasta alla guida dell’organizzazione. Nel febbraio 1986 è ucciso l’ex sindaco di Firenze Lando Conti, accusato di aver partecipato al progetto di Guerre stellari, e nel febbraio 1987 viene effettuato un assalto a un furgone postale, in cui perdono la vita due agenti di polizia, mentre i brigatisti lavorano anche per realizzare il Fronte di lotta antimperialista con organizzazioni armate di altri paesi.
La soluzione politica
Contrapposti a chi all’esterno prosegue la lotta armata, alcuni prigionieri, che non hanno seguito percorsi di dissociazione o pentitismo, lanciano una battaglia volta alla soluzione politica del conflitto degli anni Settanta. La campagna parte con una lettera diffusa nel febbraio 1987, firmata da Renato Curcio, Mario Moretti, Piero Bertolazzi, Maurizio Iannelli, in cui si dichiarano chiusi un ciclo di lotte e l’esperienza della lotta armata, si chiedono una rivisitazione critica degli anni Settanta e la liberazione dei prigionieri. Vi aderiscono vari brigatisti ed ex dirigenti, tra i quali Barbara Balzerani. Numerosi militanti, dentro e fuori le carceri, individuano nella proposta una trattativa volta a svendere un patrimonio storico politico nell’ambito di un quadro di pacificazione sociale funzionale agli interessi borghesi. Il dibattito investe i settori legali della sinistra antagonista. I più radicali ritengono la soluzione politica una dichiarazione di abbandono e delegittimazione dell’ipotesi rivoluzionaria.
Nell’aprile 1988 le Br-Pcc uccidono il senatore Roberto Ruffilli, esperto di problemi istituzionali e collaboratore del presidente del Consiglio, il democristiano Ciriaco De Mita. L’azione ha anche l’obiettivo di rilanciare la lotta armata per contrastare quella che viene considerata la resa di buona parte dei prigionieri. L’organizzazione è decimata nel settembre 1988 con arresti nel Lazio e in Toscana.
Alcuni dati
Secondo il Progetto memoria, per le Brigate rosse (Br) sono state inquisite 911 persone, tra cui quasi il 25% di operai. A questi si aggiungono, dopo le divisioni, 93 inquisiti per le Brigate rosse-Partito comunista combattente (Br-Pcc), 147 per le Brigate rosse-Partito guerriglia (Br-Pg), 113 per le Brigate rosse-Walter Alasia (Br-WA). Tra i militanti morti, 12 sono riconducibili alle Br, 3 alle Br-Pcc, 1 alle Br-Pg, 5 alle Br-WA. Tra le persone colpite dalle organizzazioni armate, 52 morti sono rivendicate o attribuite alle Br, 6 alle Br-Pcc, 11 alle Br-Pg, 3 alle Br-WA.
Scheda tratta da: Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, Roma, DeriveApprodi 2015.
1970
Novembre
Comunicato n° 1 – Brigata Rossa
Dicembre
Comunicato n° 3 – Brigata Rossa
Comunicato n° 4 – Brigata Rossa
1971
Febbraio
Comunicato n.6 – Rivendicazione dell’attacco alla Pirelli di Lainate
Marzo
Comunicato n.7
Aprile
Molti compagni o gruppi della sinistra rivoluzionaria…
Maggio
Comunicato a seguito di azioni di provocazione
Luglio
Volantino
Settembre
Autointervista
Novembre
Un destino perfido
1972
Marzo
Rivendicazione incursione nella sede MSI di Cesano Boscone (MI)
Volantino sequestro Idalgo Macchiarini
Aprile
Il voto non paga, prendiamo il fucile!
Novembre
Azioni di incendio auto di 9 fascisti FIAT
Dicembre
Guerra ai fascisti
1973
Gennaio
Autointervista – Seconda intervista a se stessi
Rivendicazione incursione sede UCID di Milano
Febbraio
Rivendicazione sequestro segretario provinciale Cisnal Bruno Labate
Marzo
Guerra ai fascisti nelle fabbriche torinesi
Giugno
Rivendicazione sequestro dirigente Alfa Romeo – Michele Mincuzzi
Dicembre
Rivendicazione sequestro dirigente FIAT – Cav. Ettore Amerio Comunicato N.1
Comunicato N.2 – I licenziamenti non resteranno impuniti!
Comunicato n° 3 – Rilascio di Ettore Amerio
1974
Aprile
Contro il neogollismo portare l’attacco al cuore dello Stato
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.1
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.2
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.3
Maggio
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.4
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.5
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.6
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.7
Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.8
Relazione sull’interrogatorio di Mario Sossi
Intervista di Mario Scialoja («L’Espresso») alle BR – Ragioni e modi del sequestro Sossi
Giugno
Volantino rivendicazione azione Msi Padova
Estate
Alcune questioni per la discussione sull’organizzazione
Settembre
Sull’arresto di Curcio e Franceschini
Autunno
Norme di comportamento (stralcio)
1975
Febbraio
Volantino per la liberazione di Renato Curcio dal carcere di Casale Monferrato
Volantino di rivendicazione azione contro sede IDI
Marzo
Cronaca delle lotte a Mirafiori
Aprile
Sulle carceri e sui processi
Sulla guerra psicologica e sulla caduta della base di Robbiano di Mediglia
Risoluzione della Direzione strategica
Maggio
Comunicato sull’assalto alla sede di Iniziativa Democratica
Giugno
Comunicato in ricordo di Margherita Cagol
Luglio
Cronaca delle lotte alla Fiat Mirafiori e alla Spa di Stura
Settembre
Magneti Marelli. Licenziamenti politici: sindacato e autonomia operaia
Dicembre
Le Br e l’accordo di novembre
1976
Marzo
Comunicato congiunto Br-Nap su azioni contro caserme dei CC in varie città
Aprile
Comunicato congiunto Br-Nap su azione contro Ispettorato Distrettuale di prevenzione e pena
Giugno
Volantino rivendicazione azione contro Francesco Coco
Comunicato N.6 sull’uccisione di Francesco Coco
Milano. Settimana rossa all’ALFA ROMEO
1978
Febbraio
Risoluzione delle Direzione strategica
Marzo
Campagna Moro, Comunicato N.1
Campagna Moro, Comunicato N.2
Campagna Moro, Comunicato N.3
La campagna di primavera
Aprile
Campagna Moro, Comunicato N.4
Campagna Moro, Comunicato N.5
Campagna Moro, Comunicato N.6
Campagna Moro, Comunicato N.7
Campagna Moro, Comunicato N.8
Maggio
Campagna Moro, Comunicato N.9
1979
Gennaio
Rivendicazione azione contro Guido Rossa
Marzo
La campagna di primavera
Luglio
Opuscolo BR n° 7 – “Dal campo dell’Asinara a tutto il Movimento Rivoluzionario”
1980
Gennaio
Alfa Romeo – Quaderno N° 8
Ottobre
Direzione strategica
Dicembre
Campagna D’Urso, Comunicato N.1
Campagna D’Urso, Comunicato N.2
Campagna D’Urso, Comunicato N.3
Campagna D’Urso, Comunicato N.4
Campagna D’Urso, Comunicato N.5
Campagna D’Urso, Comunicato N.6
Comitato di Lotta prigionieri di Trani Comunicato N.1
Colonna Walter Alasia, Volantino di commemorazione di Roberto Serafini e Walter Pezzoli
1981
Gennaio
Campagna D’Urso, Comunicato N.7
Campagna D’Urso, Comunicato N.8
Campagna D’Urso, Comunicato N.9
Campagna D’Urso, Comunicato N.10
Giugno
Autointervista
Agosto
Campagna sulle fabbriche, Opuscolo BR n. 17 (stralci)
I Gruppi d’azione partigiana sono stati la prima organizzazione armata clandestina del ciclo di lotte seguito al biennio 1968-1969. Essi compaiono sulla scena italiana tra l’aprile e il maggio del 1970. La sigla può indurre errori di valutazione. Molti infatti hanno creduto di cogliere nell’analogia che essa presenta con i Gruppi d’Azione Patriottica (attivi nella Resistenza) una certa indicazione nostalgica di ancoraggio alle tematiche resistenziali. In questa chiave i Gap sono stati interpretati come una formazione preoccupata, più che altro, di fronteggiare il pericolo golpista che, agli inizi degli anni ’70, minacciava le istituzioni democratiche del nostro paese.
La chiave interpretativa sopra esposta non risponde alla realtà dei fatti. Ciò del resto è stato dichiarato anche al processo contro i Gap da alcuni imputati: “Si è detto che Giangiacomo Feltrinelli inseguiva l’allucinazione di un ‘golpe fascista’, e che il suo discorso si risolveva di conseguenza nel riproporre meccanicamente una frusta tematica resistenziale. Questo è completamente falso’’ (Comunicato n. 4, Milano 31-3-79).
La preoccupazione di un colpo di stato, peraltro, in quegli anni fu reale e non a caso condivisa, in forme più o meno esplicite, da tutta la sinistra italiana, compresa quella partitica e parlamentare.
Peculiare ai Gap era la visione unitaria degli apporti che, a livello mondiale, movimenti, gruppi, partiti o stati fornivano al processo rivoluzionario. In questo grande quadro, l’Unione Sovietica, veniva percepita come un retroterra strategico essenziale.
In ciò i Gap si differenziavano sensibilmente da altre nascenti formazioni rivoluzionarie quali, ad esempio, la Rote Armee Fraktion (RAF) operante nella Repubblica Federale Tedesca, la Nouvelle Résistance Populaire di Parigi, o, in Italia, le Brigate Rosse o Potere Operaio.
Sin dalla loro nascita i Gap operarono per propagandare, in Italia ed in Europa, i fondamenti strategici ed i principi organizzativi della guerriglia urbana. Quest’ultima, veniva immaginata entro il quadro di riferimenti proprio delle teorie “fochiste”. In definitiva, i Gap si proposero come “fuochi guerriglieri” autonomi, con funzioni di avanguardia rispetto ai movimenti dì massa e di appoggio esterno alle loro lotte.
Furono i Gap, per iniziativa specifica di Giangiacomo Feltrinelli, a far conoscere, in Italia ed in Europa, molti documenti fondamentali delle più importanti formazioni guerrigliere latinoamericane.
Tra il settembre e l’ottobre del 1970, a Milano, i Gap attuano alcune azioni di sabotaggio contro impianti di cantieri edili in cui erano avvenuti incidenti mortali sul lavoro. Nelle rivendicazioni essi assumono la denominazione Gap – Brigata Valentino Canossi, in ricordo di un operaio edile morto sul lavoro.
Il 2 aprile 1972 ad Amburgo, in Germania, Monika Hertl uccide il console boliviano Roberto Quintanilla, ex capo della polizia del suo paese. Nella rivendicazione, Quintanilla venne indicato come responsabile della cattura e dell’uccisione di Ernesto “Che” Guevara.
Quintanilla, aveva avuto parte anche nell’arresto, in Bolivia, di Giangiacomo Feltrinelli quando, nel 1967, egli s’era recato in quel paese per richiedere e sostenere la liberazione di Regis Debray. Feltrinelli collaborò direttamente alla progettazione dell’attentato contro Roberto Quintanilla e fornì l’arma di cui Monika Hertl si servì.
Tra la fine del 1970 e l’inizio del 1971 i Gap si procurano un certo numero di radio modificate per interferire sui canali delle reti nazionali. Loro intendimento è quello di incoraggiare altri raggruppamenti al loro impiego. In tale prospettiva essi stringono accordi di collaborazione con aggregazioni locali in varie città. In particolare a Trento, Genova, Torino e Milano.
Giangiacomo Feltrinelli muore nella notte del 14 marzo 1972 – in località “Cascina Nuova” nei pressi di Segrate, a Milano – a causa dello scoppio accidentale di un ordigno, da lui confezionato, che stava collocando sul montante di un traliccio.
Con questa azione i Gap si proponevano di creare un black-out in alcuni quartieri di Milano. Ciò era inteso come manifestazione d’appoggio al movimento che pochi giorni prima, l’11 marzo 1972, s’era scontrato, con inedita ampiezza e determinazione, con le forze dell’ordine.
Il 15 aprile 1972, con l’arresto di due suoi militanti, la storia dei GAP si conclude.
Per l’organizzazione Gruppi d’azione partigiana sono state inquisite 65 persone.
Scheda tratta da: Progetto memoria, La mappa perduta, Sensibili alle foglie, Roma 1994.
Compagni lavoratori,
la notte del 14 luglio le “BRIGATE ROSSE” hanno REQUISITO la MINI MORRIS del fascista RAFFAELE ANTONI detto “LELE” abitante in via Catone, 17.
La macchina è stata PERQUISITA e sono stati rinvenuti elementi che ci hanno confermato la responsabilità del fascista “LELE” nell’aggressione squadristica al Circolo Perini, quanto all’attentato dinamitardo alla macchina del compagno MARRA del PCI. A conclusione della perquisizione la MINI MORRIS targata MI L78624 è stata portata in un immondezzaio lontano dalle abitazioni ed è stata fatta “saltare” con tre etti di tritolo. Con ciò si è inteso AVVERTIRE chi è pagato per eseguire, chi è confidente della polizia, chi collabora con i fascisti, ed i fascisti che: NIENTE RESTERÀ IMPUNITO.
Niente resterà impunito a Quarto Oggiaro dove da alcuni mesi i padroni e fascisti cercano la prova di forza. La nostra memoria è buona e ricorda una per una le aggressioni alle avanguardie del quartiere, l’azione squadristica con le armi in pugno al Circolo Perini, il tritolo alla macchina del compagno MARRA. E la nostra capacità di aspettare non va scambiata per tolleranza. QUARTO OGGIARO è per tutti noi simbolo della lotta sociale e rivoluzionaria per la casa. E questo simbolo sappiamo difenderlo. QUARTO OGGIARO è per tutti i padroni lo spettro della resistenza rivoluzionaria allo sfruttamento degli affitti. Per questo non hanno esitato ad usare la forza, il terrore e la violenza fascista. Oggi noi sappiamo che la lotta allo sfruttamento, ai padroni e allo STATO vuol dire anche SPAZZARRE VIA con azioni di GIUSTIZIA PROLETARIA le iene nere che infettano il quartiere. Per questo ci siamo organizzati: per combattere non solamente con assemblee, manifestazioni e comitati, ma coi fatti: per costruire anche qui un POTERE armato e proletario che nelle cose piccole e nelle grandi si contrapponga, combatta e vinca il potere dei maiali. Un POTERE che significa forza di realizzare GIUSTIZIA PROLETARIA cioè la giustizia di chi lotta contro tutti gli sfruttatori e gli oppressori per il COMUNISMO.
In conclusione, compagni NOI NON SIAMO DINAMITARDI, ma la dinamite dei fascisti non ci intimorisce né ci mette in imbarazzo; NOI NON SIAMO VIOLENTI ma la nostra mano non si lascia fermare quando si tratta di difendere ed allargare nei fatti la nostra autonomia e la nostra lotta: NOI SIAMO COMUNISTI! NIENTE RESTERÀ IMPUNITO!
VIVA L’UNITÀ DEL POPOLO ARMATO!
BRIGATE ROSSE
Leggere – Far circolare – Passare all’azione.
Milano 19 luglio 1971
Martedì 8 giugno un nucleo armato delle Brigate Rosse ha giustiziato il procuratore generale della Repubblica di Genova Francesco Coco. La scorta armata che lo proteggeva è stata annientata. Vale la pena di ricordare alcune tappe che hanno costellato la lunga carriera di questo feroce nemico del proletariato e della sua avanguardia armata.
– Settembre 1970. In via Digione crollano gli edifici di un intero quartiere che i pescecani dell’edilizia avevano costruito con i consueti criteri criminali. Risultano 18 proletari massacrati. Per Coco “Il fatto non costituisce reato”.
– Ottobre 1971. Nel carcere di Marassi vengono denunciati una serie di pestaggi, nei confronti di molti detenuti, che persino la stampa borghese definirà “di stampo nazista”. Coco archivia il tutto sostenendo che il pestaggio senza alcun motivo dei detenuti costituisce “legittima difesa preventiva”.
– Novembre 1972. Tramite il suo fedele scudiero Mario Sossi, costituirà quello che lo collocherà all’avanguardia dell’attacco controrivoluzionario sferrato dalla borghesia contro le avanguardie comuniste: il processo al gruppo rivoluzionario “22 ottobre”. L’obiettivo era quello di distruggere sul nascere ogni tentativo di sviluppare la lotta armata per il comunismo. A distanza di quattro anni possiamo constatare che questo obiettivo è chiaramente fallito, ma a suo tempo Coco non lasciò nulla di intentato e si adoperò con la consueta ferocia. Raggruppò intorno a sé l’intera équipe politica della questura di Genova manovrandola come un vero e proprio corpo speciale che con una serie incredibile di provocazioni “costruì” fatti e prove che utilizzati dal tribunale speciale assicureranno il risultato finale: quattro ergastoli e alcuni secoli di galera per tutti i compagni. L’uso in chiave militare di tutti gli organi dello Stato, che è oggi la linea scelta dalla borghesia per affrontare la sua crisi, trovò così in Coco un miserabile precursore.
– Maggio 1974. Le BR catturano e processano il manutengolo di Stato Mario Sossi. Lo Stato deve fornire una prova di forza. Se ne incarica il generale Dalla Chiesa effettuando un massacro di detenuti e ostaggi al carcere di Alessandria. Coco un anno dopo cancellerà l’episodio archiviando tutto. Concluso il processo a Sossi le BR riescono ad imporre lo scambio con i detenuti compagni della “22 Ottobre”. Rispettando la parola data le BR liberano Sossi. Coco, dando invece prova di infinita viltà, nega la libertà ai compagni. A questo punto il tribunale del popolo decide di porre fine al suo bieco operato e lo condanna a morte. Ora questa sentenza è stata eseguita, e gli aguzzini del popolo possono stare sicuri che se il proletariato ha una pazienza infinita, ha anche una memoria prodigiosa e che alla fine niente resterà impunito.
Compagni, nel tentativo di arginare la sua crisi la borghesia ha scelto la linea della crescente militarizzazione dello Stato. Incapace di controllare il movimento proletario e la sua avanguardia comunista con strumenti esclusivamente politici ha accelerato l’uso delle strutture dello Stato in chiave militare. Da tempo è così iniziato un rapido rafforzamento di tutto l’apparato coercitivo, con la creazione dei corpi speciali dei CC e della PS, che, coperti dalla famigerata legge Reale, scorrazzano come bande di assassini. Senza nessun clamore né atto formale la magistratura in blocco si è mobilitata istituendo veri e propri tribunali speciali che negli ultimi tempi hanno distribuito senza parsimonia secoli di galera alle avanguardie proletarie. Il tentativo di distruggere la resistenza proletaria viene completato dagli aguzzini che nelle carceri nulla tralasciano per arrivare alla distruzione fisica dei proletari detenuti. Magistratura, polizia, carabinieri, carceri, costituiscono ormai un blocco unico, sono le articolazioni cardine di uno stesso fronte militare che lo Stato delle multinazionali schiera contro il proletariato. Questo è il progetto della borghesia che, caduta ogni possibilità di uscire dalla crisi in maniera indolore, vuole imporre il suo ordine nell’unica maniera che gli è possibile: con le armi, la rifondazione dello Stato delle multinazionali dovrà avvenire su queste direttrici, dovrà essere imposta con la ristrutturazione di ogni movimento proletario autonomo.
In questa situazione, cadono le elezioni del 20 giugno, che dovranno stabilire il quadro politico, le alleanze politiche, che si faranno gestori della realizzazione di questo progetto. Il 20 giugno si potrà solo scegliere chi realizzerà lo Stato delle multinazionali, che darà l’ordine di sparare ai proletari. Chi ritiene oggi che per via elettorale si potranno determinare equilibri favorevoli al proletariato o addirittura creare una alternativa di potere, non solo opera una meschina mistificazione, ma indica una linea avventuristica e suicida. L’unica alternativa di potere è: la lotta armata per il comunismo. Occorre acuire la crisi di regime puntando l’attacco al cuore dello Stato. Occorre rafforzare il potere proletario armato costruendo il partito combattente.
In merito al processo di Torino, ripetiamo che tutti i militanti detenuti della nostra organizzazione sono prigionieri politici e ad essi va riservato il trattamento dei prigionieri di guerra stabilito dalla Convenzione di Ginevra. Il non rispetto di queste norme, sia per quanto riguarda la detenzione, sia per quanto riguarda l’andamento processuale, verrà giudicato per quello che è: crimine di guerra. Ad essi risponderemo con la giustizia proletaria e la rappresaglia.
Ricordiamo, ad un anno dalla sua uccisione, la compagna Mara, caduta in combattimento nella battaglia di Arzello. Il suo sacrificio non è stato vano. Altri hanno raccolto il suo esempio di militanza comunista e lo porteranno avanti fino alla vittoria.
BRIGATE ROSSE
Questa mattina un gruppo di fuoco dell’Organizzazione Comunista Prima Linea composto di sole compagne ha colpito una sorvegliante della sezione femminile delle Nuove Rossella Napolitano che si è particolarmente distinta per zelo e solerzia nel compiere il suo sporco mestiere di spia e di guardiana e che fa parte di quel personale non direttamente militarizzato che non si sporca le mani con le torture o i pestaggi che vengono invece delegati alle solite figure come Cotugno e Lorusso, anche per le sezioni femminili, quando i ricatti delle sorveglianti e delle suore non bastano più a mantenere la normalità.
Il personale che gestisce le sezioni femminili ha solo una funzione di controllo, di assopimento delle tensioni, di riproposizione alle proletarie detenute dei modelli che da sempre garantiscono la soggezione delle donne: il lavoro domestico, la preghiera, l’asservimento alle gerarchie, la passività. Queste “dame di carità” bigotte e riformiste come la signora Cabrini dovrebbero essere nella mente del potere il nostro esempio di virtù. Le sorveglianti, le suore, le assistenti sociali che all’interno di un progetto complessivo si prestano a gestire le sezioni femminili come momento di ricatto e di divisione e come anello debole dentro al processo di socializzazione e di organizzazione del proletario detenuto, devono cominciare a stare attente: le lotte all’interno del carcere hanno identificato il loro ruolo e posto questi personaggi nel mirino dei proletari e dei loro reparti organizzati.
L’attacco contro di loro sarà calibrato alle loro responsabilità: morte ai torturatori, ai delatori, al personale strategico e direttivo: disarticolazione dei collaboratori, di chi accetta di servire lo stato “per un piatto di lenticchie” a prescindere se uomo o donna. Da tre mesi a Torino la sezione femminile delle Nuove è in lotta e da tre mesi le compagne si riprendono spazi di libertà e di socializzazione imponendo alla direzione e al personale di guardia di accettare quello che il movimento dei proletari prigionieri si è ormai preso ovunque. L’elemento che rende questa lotta esemplare non sta solo nell’aver ribaltato i rapporti di forza esistenti finora nelle sezioni femminili facendo propria l’indicazione emessa dal lager di Messina ma soprattutto nell’essere riuscita a coinvolgere le proletarie detenute e a porre nei fatti un processo di ricomposizione.
L’invalidamento della spia Napolitano è la risposta ai trasferimenti con cui ora la direzione cerca di attaccare i livelli organizzati nati da questa lotta ed è un avvertimento a questo personale ricordandogli che il fatto di essere donna non gli garantisce l’immunità. Solo la collaborazione con i detenuti in lotta può garantirgli la sopravvivenza, chi invece si fa strumento delle repressioni e serve lo Stato con “onestà e efficienza” verrà colpito secondo le sue responsabilità. Il livello strategico delle lotte dei proletari prigionieri è indicazione per tutto il proletario delle forme di lotta generali su cui assestare l’attacco al comando: è quindi ampia indicazione rispetto al movimento delle donne su come debba essere affrontato il rapporto con le proletarie detenute perché non rimanga ancora una volta un generico discorso di solidarietà che cade inevitabilmente o nell’intellettualismo dei “gruppi di studio” o nel movimento militante. La lotta di Messina e delle Nuove ha definitivamente fatto chiarezza su cosa si debba intendere per autonomia: lotta contro la propria condizione specifica che si fa solo all’interno della pratica di programma su cui si fonda l’esercizio del contro potere proletario e non pratica separata che ripropone anziché distruggere la subalternità della condizione della donna.
La qualità comunista delle lotte di questi anni, l’antagonismo espresso dai bisogni proletari e le contraddizioni materiali della crisi che si abbattono in prima persona sulle donne, costringendole a confrontarsi con i reali livelli di comando, hanno infatti sancito la fine del movimento femminista come movimento generico, ricco ma contraddittorio, hanno definitivamente rotto la falsa unità che nascondeva condizioni materiali differenti e punti di vista assolutamente inconciliabili. Chi oggi pretende ancora di riproporre una pratica separata e di mantenere su questa una falsa ideologia femminista si pone oggettivamente al di fuori del movimento rivoluzionario e finisce con il legittimare chi in questo movimento ha una funzione di delazione e controllo. La legge di liberazione dell’aborto è stata la risposta istituzionale ad una giusta esigenza delle donne e come tale è stata usata dai cosiddetti partiti di sinistra e dalle loro sezioni femminili per penetrare nel movimento: ma questa operazione è stata possibile grazie alle ambiguità che hanno caratterizzato sempre il movimento femminista. Questo significa che oggi, sul territorio delle donne proletarie si contrappone un apparato di controllo, che nasconde dietro una apparente partecipazione popolare, la realtà della pianificazione scientifica antiproletaria: la funzione dei consultori, degli asili, delle unità sanitarie locali, gestite nell’ambito del decentramento amministrativo, è la schedatura e il controllo capillare del corpo proletario. Ma lo sporco gioco di questi infiltrati è già stato smascherato dai percorsi reali, misurati sui bisogni complessivi, sia materiali che politici, che le donne più che mai si danno e che possono riproporre anche momenti di organizzazione parziali e specifici per la pratica di questi bisogni. Nelle fabbriche, nei territori, ovunque esiste proletariato femminile riconoscersi come soggetto politico per la lotta può voler dire infatti la costruzione di propri momenti organizzati, per i quali però non c’è possibilità di esistenza al di fuori dell’esercizio complessivo di contro potere proletario.
Oggi infatti autonomia femminista non può significare altro che il ribaltamento della propria condizione subalterna e pratica di liberazione all’interno di un programma comunista.
Tutto questo vuol dire porre nei fatti il superamento della propria specificità organizzativa da parte delle donne, è la capacità dei reparti avanzati di classe e delle sue forme di milizia di esprimersi su questa contraddizione fondamentale.
L’opportunismo con cui il movimento rivoluzionario ha sempre rifiutato di assumersi questa contraddizione, lasciando che a gestirla fossero solo le donne, ha finito per avallare l’ideologia del ghetto: oppure, quando ha cercato di assumerla, non ha saputo uscire da una logica terzainternazionalista, in cui il problema della ricomposizione di classe viene affrontato in termini di “fronte” e di alleanza tra vari settori del proletariato. Il gruppo di fuoco composto di sole compagne che ha colpito oggi Raffaella Napolitano è una scelta tattica con cui Prima Linea ha inteso affrontare il problema per imporre nel movimento la discussione su esso; per togliere le ambiguità che ancora persistono, per indicare una pratica corretta. Non c’è quindi nessun tentativo di fondare stereotipe “sezioni femminili” che appunto rimandano ad una teoria di pratica frontista che non ci appartiene ma volontà politica di assumere anche questa contraddizione dentro un’ottica complessiva di potere, per ribaltarla in una logica di guerra e di attacco al comando nemico.
Organizzazione combattente
“Prima Linea”
Febbraio 1979
Oggi 28 gennaio 1976 alle ore 8 è stato colpito dai Nuclei Armati Proletari il consigliere di Corte d’Appello Pietro Margariti, direttore dell’ufficio III del ministero di Grazia e Giustizia, responsabile del trattamento, delle punizioni, dei trasferimenti, delle schedature cui vengono sottoposti i proletari detenuti. Questo porco, solo negli ultimi mesi ha sotto la sua diretta responsabilità:
1. la tentata strage contro i proletari detenuti a Rebibbia durante la rivolta dell’agosto 1975 e il loro trasferimento nei carceri più schifosi d’Italia.
2. i pestaggi, le provocazioni, i trasferimenti nei lager di Alghero, Lecce, Volterra, Porto Azzurro cui sono stati sottoposti i compagni Pietro Sofia, Pasquale Abatangelo, Martino Zichitella, Giorgio Panizzari.
3. i continui trasferimenti e le provocazioni che colpiscono i compagni delle Brigate Rosse in maniera sistematica e continua.
4. la repressione infame con cui si è voluto schiacciare la bellissima ribellione delle donne proletarie detenute a Rebibbia e i successivi trasferimenti.
5. i pestaggi operati alle Murate di Firenze da secondini mascherati contro i detenuti che protestavano in maniera pacifica.
6. l’accoltellamento avvenuto a San Vittore contro i compagni Miagostovic e Morlacchi delle Brigate Rosse, Siriani di Lotta Comunista, e Spazzali del Soccorso Rosso, organizzato dal direttore Savoia e dai Carabinieri ed eseguito da quei detenuti mafiosi di cui abitualmente si servono direttore e maresciallo per reprimere e mistificare le lotte dei proletari detenuti e per fare opera di provocazione nei confronti dei compagni.
Un fatto di questa gravità può essere eseguito solo con la preventiva ed esplicita copertura del ministero e di Margariti stesso.
Attualmente il carcere, insieme alla sempre maggiore “efficienza” fascista di alcuni magistrati (ad esempio i 30 anni dati al compagno Massimo Maraschi e i 15 alla compagna Paola Besuschio delle Brigate Rosse, i 10 anni dati al compagno Pasquale De Laurentis dei Nuclei Armati Proletari), e alla formazione e al potenziamento di nuovi e moderni strumenti di repressione come il raggruppamento di carabinieri di Dalla Chiesa, specializzato nell’assassinare, arrestare, organizzare provocazioni contro i rivoluzionari, è un anello essenziale per la costruzione di un apparato militare che sostenga e difenda la ristrutturazione politica ed economica che il grande capitale sta sviluppando in Italia.
E’ compito essenziale per tutti i rivoluzionari individuare e colpire i dirigenti di questa operazione e contrastare in ogni modo la costruzione di questo “nuovo modello” di apparato repressivo.
SOSTENIAMO LE LOTTE DEI PROLETARI DETENUTI
DIFENDIAMO I COMPAGNI RIVOLUZIONARI PRIGIONIERI DELLO STATO BORGHESE
SEMPRE AVANTI FINO ALLA VITTORIA!
LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO
CREARE E ORGANIZZARE 10, 100, 1000 NUCLEI ARMATI PROLETARI
Fonte: Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione
Oggi 9 febbraio 1976 un gruppo di compagni del nucleo armato 29 ottobre ha colpito Tuzzolino Antonino, assassino dell’antiterrorismo romano, esecutore dell’omicidio di Annamaria Mantini.
Nato a Caltanisetta nel 1948, si è guadagnato, agli ordini dei suoi capi, il grado di vicebrigadiere. Agli ordini diretti di Noce, capo del NAT del Lazio e di Improta, capo dell’ufficio politico, ha eseguito a freddo e con predeterminazione l’assassinio di Annamaria Mantini, militante rivoluzionaria comunista.
La complicità dei suoi capi, l’omertà servile dei giornalisti che pubblicavano il suo nome cambiandolo in Tuzzolillo e travisavano le sue foto, il nascondersi presso parenti, la cura estrema, quanto inutile che questo assassino poneva nei suoi spostamenti, sia a piedi che in macchina (una 128 bianca a due porte targata Roma M56882 sul cui libretto risultava falsamente residente in via Castro Pretorio 3); tutto ciò non ha salvato questo boia dalla violenza proletaria.
Individuato con una attenta e continua opera di appostamento e pedinamento, oggi è stato colpito.
Colpire gli assassini di stato significa operare in un’ottica di lotta armata per il comunismo che veda come uno dei punti centrali dello scontro, accanto alla lotta contro la ristrutturazione economica e politica dello stato borghese, una lotta senza quartiere contro la ristrutturazione dei corpi militari di polizia; ristrutturazione che ha il suo perno nei carabinieri, in particolare nelle “brigate speciali”, nei NAT, nella magistratura serva e complice della mano assassina dello stato.
CONTRO I CARABINIERI, CONTRO I NAT, CONTRO LE “BRIGATE SPECIALI”, CONTRO TUTTI GLI ASSASSINI DI STATO, LOTTA SENZA QUARTIERE!
ANNAMARIA MANTINI, PIETRO BRUNO, MARGHERITA CAGOL, GIOVANNI TARAS, BRUNO VALLI, VITALIANO PRINCIPE, GIANNINO ZIBECCHI, BOSCHI, SERGIO ROMEO, LUCA MANTINI, ASSASSINATI DAGLI SBIRRI DELLA BORGHESIA, INSIEME A DECINE DI ALTRI PROLETARI, VIVONO NELLE LOTTE DI TUTTI I COMUNISTI.
CHIEDERE AI MANDANTI DEI KILLERS DI STATO DI FARE “GIUSTIZIA” RIVELA L’OPPORTUNISMO PIU’ ABBIETTO E STUPIDO. E’ COMPITO DEI COMUNISTI, DELLE LORO AVANGUARDIE ARMATE, REGOLARE I CONTI CON GLI ASSASSINI, CON I LORO CAPI, I LORO PADRONI, CON LO STATO BORGHESE.
LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO
CREARE E ORGANIZZARE 10, 100, 1000 NUCLEI ARMATI PROLETARI
Fonte: Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione
Stamattina è stato colpito il brigadiere Vernich, guardia carceraria e aguzzino, che spesso e volentieri comanda la squadra di picchiatori all’interno delle carceri di San Vittore.
Amico e protettore dei mafiosi, ben voluti dal maresciallo Palazzo e dal Direttore, è ben noto a tutti quei proletari che sfruttati e buttati poi a marcire nelle carceri per la loro precaria condizione sociale, hanno cercato di difendere in carcere la loro dignità ed i loro diritti.
Di boia di questa risma ce ne sono molti, è compito di tutti i rivoluzionari smascherarli e, là dove le condizioni sono favorevoli, colpirli. Sappiamo bene che la maggior parte delle guardie carcerarie sono dei proletari che hanno scelto per fame ed ignoranza questo sporco mestiere, ma questo non cambia il ruolo di servi della borghesia che ricoprono.
Alcuni di loro, poi, hanno fatto una miserabile carriera, o hanno ottenuto vantaggi sulla pelle dei proletari detenuti.
Anzitutto contro di loro va indirizzata la lotta.
Il potere usa il terrore, nelle carceri con una durissima repressione fisica e morale, nelle fabbriche con la minaccia di buttare alla fame con i licenziamenti migliaia di famiglie proletarie, nei quartieri proletari con i rastrellamenti polizieschi e gli assassini “accidentali”, intanto per i proletari si preparano con le nuove “carceri modello” 4000 posti letto nella sola Lombardia.
A tutto questo diciamo basta, diciamo no alla ristrutturazione imperialista della borghesia, difendiamo con tutti i mezzi quello che ci siamo conquistati in anni di lotte, sviluppiamo nuove forme di potere operaio armato nelle fabbriche e nei quartieri.
Alla repressione armata dei padroni rispondiamo con la violenza armata dei proletari e con l’organizzazione rivoluzionaria.
LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO
CREARE E ORGANIZZARE 10 100 1000 NUCLEI ARMATI PROLETARI
NUCLEO ARMATO GIOVANNI TARAS
Milano 7 ottobre 1975
Fonte: Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione