1977
L’antagonismo totale fra il sistema e i bisogni
1979
Febbraio
Rivendicazione azione contro sorvegliante carcere Le Nuove
Marzo
Carla e Charlie sono due comunisti
Il dibattito che l’operazione compiuta contro Alessandrini…
1974
Settembre
Nucleo esterno movimento dei detenuti, volantino
Ottobre
Nucleo esterno movimento dei detenuti, volantino
Nucleo fiorentino, volantino in ricordo di Luca Mantini e Sergio Romeo
Nucleo fiorentino, volantino relativo all’incursione nella sede della Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti
1975
Nucleo Armato 29 ottobre, Intervista ai compagni dei Nap
Marzo
In ricordo di Vito Principe
Maggio
Nucleo Armato 29 ottobre, Azione Di Gennaro, volantino
Nucleo Armato 29 ottobre, Azione Di Gennaro, Comunicato N.1
Nucleo Armato 29 ottobre, Azione Di Gennaro, Comunicato N.2
Nucleo Armato 29 ottobre, Azione Di Gennaro, Comunicato N.3
Gruppo Sergio Romeo, Comunicato ai proletari detenuti nel manicomio lager di Aversa
Giugno
Nucleo interno, Azione Di Gennaro, Autointervista
Nucleo Armato 29 ottobre, Autointervista
Luglio
Comunicato in onore di Annamaria Mantini
Ottobre
Nucleo Armato Giovanni Taras, Rivendicazione azione contro Cosimo Vernich
1976
Gennaio
Nuclei Armati Proletari, Rivendicazione azione contro Pietro Margariti
Febbraio
Nucleo Armato 29 ottobre, Rivendicazione azione contro Antonio Tuzzolino
Marzo
Comunicato congiunto Br-Nap su azioni contro caserme dei CC in varie città
Aprile
Comunicato congiunto Br-Nap su azione contro Ispettorato Distrettuale di prevenzione e pena
Maggio
Nucleo Armato Annamaria Mantini, Rivendicazione azione contro Paolino Dell’Anno
Dicembre
Onore al compagno Martino Zichittella
Rivendicazione azione contro Alfonso Noce
I dannati della terra, da Lotta continua ai Nap
Nel 1969 si sviluppa in Italia un vasto movimento, che trae la sua forza innovativa dal collegamento fra le lotte operaie e studentesche. In questo contesto nascono le prime organizzazioni della sinistra extraparlamentare, fra cui Lotta continua, che indirizza il proprio intervento verso soggetti e settori proletari – detenuti, disoccupati, militari di leva – fino ad allora esclusi dai percorsi di trasformazione sociale e politica. Dopo aver costituito nel 1970 una Commissione carceri, per sostenere le lotte dei proletari prigionieri, l’anno successivo il gruppo dedica a questi temi una rubrica del suo giornale, che intitola I dannati della terra, come la celebre opera di Frantz Fanon, in cui il sottoproletariato è considerato un soggetto determinante nel processo rivoluzionario per il superamento del modo di produzione capitalista. I sempre più frequenti arresti di militanti della sinistra extraparlamentare favoriscono la crescita di una coscienza fra i detenuti comuni, che porta alla formazione di numerose avanguardie di lotta e organizzazioni interne. Come le Pantere rosse nate nel carcere di Perugia, che guidano le proteste e le rivolte anche violente moltiplicatesi nelle carceri italiane dalla fine degli anni Sessanta. L’obiettivo principale è un miglioramento delle condizioni di vita, tramite una riforma che abolisca il Regolamento per gli istituti di prevenzione e pena, firmato dal guardasigilli Alfredo Rocco nel 1931, fedele traduzione dell’ideologia fascista nel settore penitenziario.
Alla metà del 1972, l’iniziale attività di solidarietà ai detenuti promossa dal Collettivo teatrale La Comune, di cui erano animatori Dario Fo e Franca Rame, si trasforma in una vera e propria struttura nazionale, il Soccorso rosso militante, che riprende il nome di una storica organizzazione del movimento comunista e coordina gli «avvocati rivoluzionari», per fare fronte alle accresciute esigenze di sostegno legale ed economico determinate dagli arresti di militanti politici.
Mentre si sviluppano le iniziative di solidarietà nei confronti dei detenuti, e in molti vogliono mettere in pratica la parola d’ordine lanciata da Lotta continua con il libro pubblicato nel 1972, Liberare tutti i dannati della terra, l’anno successivo il gruppo sente sfuggire di mano la situazione. Scioglie la Commissione carceri e indirizza il proprio intervento verso obiettivi e contenuti che a molti militanti appaiono sfumati e insufficienti. Alcuni abbandonano l’organizzazione.
A Firenze nasce il Collettivo George Jackson mentre a Napoli, dove la mobilitazione si diffonde anche in seguito allo scoppio di una epidemia di colera, si realizza un incontro fra i proletari extralegali, strappati per la prima volta al controllo della destra, e gli studenti universitari, determinati a condurre una lotta contro il sistema. Da queste realtà nel 1974 nascono i Nuclei armati proletari (Nap), che si dotano di strutture clandestine. Pur operando anche al nord, intendono proseguire il lavoro con il proletariato prigioniero collegandolo allo slancio rivoluzionario dei soggetti sociali emarginati del Sud Italia.
Gli inizi: la propaganda armata
Il simbolo scelto dai Nuclei armati proletari è quello di una brigata partigiana. Falce e martello in una stella a cinque punte. Il martello poggia sull’impugnatura della falce, e la stella ha una punta più corta. Il timbro viene regalato a un militante da un tipografo milanese, ex partigiano. Un ideale passaggio di consegne.
La prima azione dimostrativa dei Nap, che apre la campagna Rivolta generale nelle carceri e lotta armata dei nuclei esterni, è finanziata con il sequestro lampo di Antonio Gargiulo, figlio di un noto professionista napoletano. Viene effettuata fra la sera del 1 ottobre 1974 e la mattina del giorno successivo davanti a tre grandi carceri. Poggioreale a Napoli, Rebibbia a Roma, San Vittore a Milano. Un messaggio registrato rivolto ai detenuti, diffuso tramite altoparlanti che si autodistruggono dopo la trasmissione, poi ripreso in un volantino di rivendicazione.
Attenzione, state lontani, questa apparecchiatura e questo luogo sono minati ed esploderanno al minimo tentativo di interrompere questo messaggio. Compagni e compagne detenuti nel carcere, questo messaggio è rivolto a tutti voi dai Nuclei Armati Proletari che si sono costituiti in clandestinità all’esterno dei carceri per continuare la lotta dei detenuti contro i lager dello Stato borghese e la sua giustizia; il nostro è un appello alla ripresa delle lotte per il conseguimento degli obbiettivi espressi nelle piattaforme dal ’69 in poi. Una ripresa delle lotte nei carceri che ci vede uniti, ora come dal ’69 in poi, al proletariato; contro il capitalismo violento dei padroni, contro lo Stato dei padroni ed il suo governo. […] Compagni proletari detenuti, per i nostri diritti, contro la violenza di stato nelle carceri, nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole e nelle caserme, contro il rafforzamento della repressione, rivolta generale nelle carceri. Rifiutiamo il modo di vivere impostoci dalla classe borghese con lo sfruttamento, la miseria e l’oppressione; rifiutiamo di continuare ad essere l’alibi delle struttu- re poliziesche ed antiproletarie dello Stato. Compagni, la repressione su di noi affianca e perfeziona il fascismo delle leggi di Stato, conferma che il potere calpesta il diritto del proletariato più debole preparandosi a calpestare la libertà di tutto il proletariato. Noi non abbiamo scelta: o ribellarsi e lottare o morire lentamente nei carceri, nei ghetti, nei manicomi dove ci costringe la società borghese e nei modi che la sua violenza ci impone. Contro lo Stato borghese, per il suo abbattimento, per la nostra autoliberazione di classe, per il nostro contributo al processo rivoluzionario del proletariato, per il comunismo: rivolta generale nei carceri e lotta armata dei nuclei all’esterno.
Gli obiettivi immediati dei Nap sono: abolizione dei manicomi giudiziari e dei riformatori minorili; amnistia generale e incondizionata, tranne che per i reati di mafia e per la «sbirraglia nera»; inchiesta da parte di una commissione «composta da compagni, avanguardie di lotta delle fabbriche e dei quartieri» sulle torture, gli abusi e gli omicidi nelle carceri; la verità sulla morte di Del Padrone, detenuto ucciso nel corso della rivolta alle Murate, a Firenze, e sulla strage che ha stroncato la rivolta di Alessandria. L’azione è riuscita.
I primi caduti
Ma non del tutto. I militanti fiorentini non ce l’hanno fatta a effettuare il volantinaggio davanti al quarto carcere previsto, le Murate. L’insuccesso brucia. Mentre il nucleo napoletano prosegue le azioni effettuando tra l’altro l’irruzione in una sede dell’Unione cristiana imprenditori dirigenti (Ucid), legata alla Democrazia cristiana, a Firenze viene organizzato in tutta fretta un esproprio in banca per acquistare una partita di armi. La preparazione è così approssimativa che il gruppo agisce il 29 ottobre 1974, giorno di sciopero. La filiale è chiusa e i cinque ripiegano sulla prima aperta. Mentre sono all’interno vengono intercettati dai carabinieri e alla loro uscita scoppia un conflitto a fuoco. I militanti, feriti, riescono a salire in macchina quando il ventottenne Luca Mantini, alla guida, si accorge che uno di loro è rimasto a piedi. La reazione è istintiva. Mette la retromarcia per tornare a prenderlo. Viene freddato da una raffica di mitra insieme al ventenne Giuseppe Romeo (nome di battaglia Sergio), ex detenuto napoletano. Pasquale Abatangelo e Pietro Sofia, feriti, sono arrestati, Nicola Pellecchia riesce a fuggire. Per l’organizzazione è un duro colpo. La rabbia è forte ma si va avanti.
A dicembre a Napoli viene sequestrato a scopo di finanziamento Giuseppe Moccia, imprenditore cementiero ed ex sindaco democristiano di Afragola. Un miliardo di lire di riscatto, e l’industriale viene liberato. I soldi – il cui successivo parziale ritrovamento da parte delle forze di polizia farà collegare il sequestro all’organizzazione – sono usati per aprire basi a Roma e acquistare armi ed esplosivi. Ma proprio quando la disponibilità economica permette una maggiore libertà d’azione, nei Nap nascono divergenze fra i militanti che vogliono continuare a concentrare l’iniziativa prevalentemente sull’antifascismo, le carceri e la repressione, e chi ritiene invece sia giunto di momento di iniziare l’attacco al cuore dello Stato. Fedele alla linea iniziale è soprattutto Fiorentino Conti, che forma un gruppo romano determinato ad agire in autonomia rispetto al resto dell’organizzazione.
L’uso di esplosivo e le morti accidentali
Mentre proseguono le azioni, ma anche gli arresti di alcuni militanti, l’organizzazione perde altri due membri, per incidenti collegati all’utilizzo di esplosivo, di cui i Nap fanno largo uso, a differenza delle Brigate rosse, contrarie a tecniche indiscriminate di intervento. L’11 marzo 1975 muore a Napoli Giuseppe Vitaliano Principe, per lo scoppio accidentale di un ordigno che sta confezionando, volto a colpire una divisione dei carabinieri, mentre resta gravemente ferito Alfredo Papale. Parte dell’organizzazione napoletana viene individuata.
Il 30 maggio perde la vita Giovanni Taras, appartenente al gruppo guidato da Conti, a causa dello scoppio anticipato della carica esplosiva, collegata a un registratore, che sta sistemando sul tetto del manicomio giudiziario di Aversa per diffondere un messaggio di solidarietà con gli internati. Nonostante il fallimento, l’azione, rivendicata dal Nucleo Sergio Romeo, fa salire l’attenzione su quello che da più parti è definito un lager sanitario, una fabbrica di tortura dove si vive in condizioni disperate e si muore per incuria.
Il sequestro del giudice
A Roma, il 6 maggio 1975, viene effettuata l’azione più clamorosa condotta dai Nap, il sequestro di Giuseppe Di Gennaro, consigliere di Cassazione e capo di un ufficio della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena del Ministero di Grazia e giustizia. Di Gennaro è considerato un magistrato democratico, lavora alla riforma carceraria. Per i Nap è un «servo dello Stato» in funzione antiproletaria e repressiva, perché attraverso la riforma e la creazione di carceri più «umane», intende indebolire le lotte dei detenuti. In particolare, lo accusano di aver creato una schedatura elettronica e aver realizzato, con la collaborazione dell’architetto Sergio Lenci, ferito da Prima linea nel 1980, un testo sull’architettura penitenziaria e il nuovo carcere di Rebibbia. Ma Di Gennaro ha tanti nemici nei suoi ambienti e subisce un violento attacco mediatico.
Il 9 maggio nel carcere di Viterbo tre detenuti, Pietro Sofia, Giorgio Panizzari e Martino Zichittella, dopo aver tentato senza esito l’evasione, sequestrano alcuni agenti di custodia e rivendicano ai Nap il rapimento del giudice. Consegnano un comunicato, di cui chiedono la diffusione via radio, e la foto di Di Gennaro. Il sequestro ha anche lo scopo di evitare ritorsioni nei confronti dei detenuti in caso di fallimento dell’evasione. Di Gennaro viene rilasciato il 10 maggio in «libertà provvisoria», dopo che il comunicato è stato letto al giornale radio del mattino. Appena uscito riprende il suo lavoro. Per i Nap è comunque una vittoria politica. Hanno dimostrato di riuscire a entrare nei centri nevralgici del potere, mentre nelle carceri proseguono le evasioni.
In una riflessione sull’impostazione politica e organizzativa diffusa in forma di autointervista nel giugno 1975 si dice, tra l’altro: I Nap sono nati da precise esperienze di massa in vari settori, che hanno spinto alcuni compagni a porsi concretamente il problema della clandestinità. […] Noi vediamo la sigla Nap non come una firma che caratterizza un’organizzazione con un programma complessivo, ma come una sigla che caratterizza i caratteri propri della nostra esperienza. […] La nostra esperienza ha portato alla creazione di nuclei di compagni che agiscono in luoghi e situazioni diverse, in maniera totalmente autonoma e che conservano tra di loro un rapporto organizzativo e di confronto politico.
Il 26 luglio 1975 viene promulgata la legge n. 354/75, una riforma dell’ordinamento penitenziario che introduce elementari diritti di dignità umana. Nelle carceri si sviluppano proteste e rivolte per la sua applicazione, mentre i Nap si battono per mutamenti più radicali.
L’uccisione di Annamaria Mantini e le azioni con le Br
Fra il 1974 e la primavera del 1975 i Nap effettuano azioni anche contro associazioni di imprenditori, sedi e uomini di partiti, in particolare il Msi-Dn e la Dc, individuata come responsabile della trasformazione dell’Italia in una provincia dell’impero americano. L’attenzione è concentrata su Andreotti e i suoi uomini di fiducia. Ma i contrasti interni alla Dc sono così forti, che quando i Nap tentano di colpire Filippo de Jorio, nonostante i volantini di rivendicazione in molti pensano sia un regolamento di conti interno al partito.
Nell’estate del 1975 vengono scoperte varie basi e arrestati numerosi militanti. L’8 luglio, a Roma, una squadra dell’antiterrorismo si apposta nell’appartamento di Annamaria Mantini che, al suo rientro, viene uccisa a freddo. Il Nucleo 29 ottobre ne vendica la morte ferendo a Roma, il 9 febbraio 1976, Antonino Tuzzolino, il vicebrigadiere che ha sparato ad Annamaria ed è stato prosciolto dai giudici. Il successivo 5 maggio stessa sorte tocca al magistrato Paolino Dell’Anno, accusato di avere nascosto la vera dinamica dell’esecuzione. Il 14 dicembre viene ferito il capo dei Servizi di Sicurezza di Lazio e Abruzzo, Alfonso Noce. Nell’azione muoiono un agente di scorta e un nappista, Martino Zichittella, colpito da un suo compagno per un errore risultatogli fatale.
Tra la fine del 1975 e i primi mesi del 1976 i Nap intensificano le azioni contro il personale di custodia delle carceri e dirigenti e sedi del Ministero di Grazia e giustizia. Nell’ambito di questa campagna, che mira a colpire le carceri e la controrivoluzione, realizzano una alleanza operativa con le Brigate rosse, nonostante le profonde differenze fra le due organizzazioni. Le Br hanno infatti un impianto marxista-leninista fondato sulla centralità operaia, una precisa strategia di attacco al cuore dello Stato, una struttura centralizzata e un metodo rigoroso. Nella notte del 1 marzo 1976 vengono attaccate in contemporanea caserme a Torino, Milano, Genova, Firenze, Pisa, Roma, Napoli. Il volantino di rivendicazione congiunto si conclude così: Di fronte al nemico comune, unità delle forze combattenti! Tutto il potere al popolo armato!
Una seconda azione comune viene effettuata il 22 aprile, contro l’Ispettorato degli Istituti di prevenzione e pena di Milano.
L’organizzazione alla sbarra
Nel novembre 1976 inizia il grande processo contro i Nap, in cui i militanti dell’organizzazione adottano le tecniche del processo guerriglia – un processo di rottura che non riconosce lo Stato borghese – già sperimentate in un procedimento per la tentata evasione di alcuni nappisti dal carcere di Poggioreale.
Pochi giorni prima dell’udienza, circa quindici militanti vicini ai Nap irrompono a Napoli nel Circolo della stampa in appoggio ai compagni detenuti, che possono contare sulla solidarietà di vasti settori di proletariato urbano e della sinistra rivoluzionaria napoletana. A difenderli, ci sono gli avvocati del Soccorso rosso, tra i migliori legali della sinistra. Ma i nappisti revocano i difensori e minacciano quelli d’ufficio. Solo gli imputati minori, non presenti in aula, accettano il giudizio dichiarandosi estranei all’organizzazione. Nel processo, che si svolge in un ex convento blindato per l’occasione, i nappisti scelgono un comportamento che mira a ribaltare le parti. Sotto accusa deve essere lo stato delle multinazionali [che] pretende di processare i militanti comunisti delle organizzazioni combattenti.
Durante le udienze i detenuti leggono comunicati, cantano Bandiera rossa e L’Internazionale, battono le manette sulla gabbia di legno. Il pubblico presente in aula applaude, esibisce striscioni e grida slogan, mentre gli avvocati del Soccorso rosso – rimasti a difendere gli imputati minori – presentano numerose eccezioni di incostituzionalità e richiami alla difesa dei diritti umani. Ci sono frequenti interventi dei carabinieri, scontri fisici, sospensioni delle udienze. Un corteo in appoggio ai compagni processati viene caricato e si conclude con l’arresto di tre partecipanti. Lo Stato appare impreparato e incapace di gestire la situazione. La sentenza arriva a febbraio del 1977. Tra le ventidue condanne, le più pesanti vanno dai 20 ai 22 anni.
Le evasioni
La storia dei Nap è accompagnata da tentativi, riusciti o falliti, di evasione. La liberazione dei detenuti è un obiettivo prioritario dell’organizzazione, che insieme alla capacità di mediazione nei confronti delle direzioni, dà ai suoi militanti prestigio e credibilità nelle carceri. Il 20 agosto 1976 dal carcere di Lecce evadono venti detenuti, tra cui Martino Zichittella, Giuseppe Sofia e il bandito Graziano Mesina.
Ma la fuga più eclatante, la prima in Italia in un carcere femminile, avviene nel gennaio 1977. Mentre a Napoli è in corso il processo, due imputate, Franca Salerno e Maria Pia Vianale evadono dal carcere di Pozzuoli. Il direttore viene sospeso. Nel processo viene letto un comunicato. Sabato 22 gennaio, alle ore 4, l’organizzazione comunista combattente Nap ha attaccato il carcere lager di Pozzuoli. L’azione tendente alla liberazione delle compagne Pia e Franca, militanti dell’Organizzazione, si è sviluppata con un attacco coordinato interno-esterno ed ha raggiunto in pieno l’obiettivo fissato. […] È solo sulla parola d’ordine portare l’attacco al cuore dello stato che si supera la parzialità delle esperienze di lotta armata e si ricompone l’unità della classe delle sue avanguardie armate nel partito combattente.
L’epilogo
Per lo Stato l’evasione è un forte smacco, e si scatena la caccia alle due nappiste. Il 22 marzo 1977 su un autobus, a Roma, l’agente di polizia Claudio Graziosi riconosce Maria Pia Vianale. Antonio Lo Muscio lo colpisce a morte, per impedire l’arresto della sua compagna. Nella ricerca dei due nappisti i poliziotti uccidono per errore una guardia zoofila, unitasi alle ricerche.
La sera del 1 luglio 1977 a Roma, sulla scalinata di San Pietro in Vincoli, una pattuglia di carabinieri individua tre militanti dei Nap. Maria Pia Vianale e Franca Salerno, incinta, sono percosse a sangue e arrestate. Antonio Lo Muscio, ferito da raffiche di mitra mentre tenta di aprire una via di fuga, viene finito con un colpo di pistola.
Il bilancio
Si conclude così la breve e intensa storia dei Nap. Pagata con un alto tributo di morti e feriti. Alcuni prigionieri confluiscono nelle Brigate rosse, i restanti scontano la pena senza aderire a altre organizzazioni. Per i Nap sono state inquisite 65 persone.
Nel maggio 1977, con un decreto interministeriale (Difesa, Interno, Grazia e giustizia), vengono istituite le carceri speciali, riservate ai militanti della lotta armata e ai detenuti comuni più pericolosi. Il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, a cui viene affidato il coordinamento della sicurezza interna ed esterna degli istituti penitenziari, individua e predispone in gran segreto le strutture destinate a diventare di massima sicurezza. Durante il mese di luglio centinaia e centinaia di detenuti vengono prelevati dalle diverse carceri italiane e trasferiti nelle sezioni speciali, situate spesso in luoghi scomodi da raggiungere (come l’isola dell’Asinara), o comunque distanti dalla zona di residenza delle famiglie. Per i prigionieri politici sottoposti a trattamento differenziato, il carcere diviene un fronte di lotta in cui si realizza l’incontro fra detenuti dei Nap e delle Br. Nascono le Brigate di campo, i Comitati di lotta. Proteste e rivolte proseguono negli anni successivi. Il 20 dicembre 1980, a Napoli, Alberto Buonoconto, militante dei Nap, si impicca nella casa dei genitori. Torturato dopo l’arresto, nel 1975, per anni aveva subito un pesante trattamento carcerario e ripetuti trasferimenti. Durante il sequestro Moro nella trattativa viene proposto il suo nome, ma la liberazione non è accettata dai giudici. È scarcerato, per motivi umanitari, quando le sue condizioni sono ormai gravi. Un anno dopo muore suicida.
Scheda tratta da: Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, Roma, DeriveApprodi 2015.
La Prima e la Seconda posizione
Nelle Br-Pcc vanno via via delineandosi due concezioni, sempre più distanti tra loro, del processo rivoluzionario e dei compiti delle avanguardie, definite Prima e Seconda posizione. Le divergenze riguardano questioni di strategia e di tattica, bilancio del passato e attività futura. A porre le basi di quella che sarà la Seconda posizione è il libro Politica e rivoluzione, scritto nel 1983 da quattro brigatisti prigionieri (Andrea Coi, Prospero Gallinari, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti), partendo da una critica serrata delle tesi esposte nella pubblicazione Gocce di sole nella città degli spettri, di Renato Curcio e Alberto Franceschini. Nel novembre 1984 viene diffuso l’opuscolo Brigate rosse Partito comunista combattente, Un’importante battaglia politica nell’avanguardia rivoluzionaria italiana, che riporta lo sviluppo delle due posizioni.
La Prima posizione, maggioritaria, sostiene la tesi propria dell’organizzazione dalla sua nascita, sintetizzabile come «strategia della lotta armata», ovvero la possibilità di dare inizio, anche in un paese imperialista quale l’Italia e in una situazione non rivoluzionaria, a un processo di guerra di classe di lunga durata. Il partito deve sfruttare le contraddizioni che la guerriglia metropolitana apre nello Stato disarticolando i progetti generali della borghesia, accumulare progressivamente forza militare per dare una prospettiva concreta di potere alle masse proletarie e contribuire a creare le condizioni per l’emergere di una situazione rivoluzionaria. L’offensiva finale sarà ristretta nel tempo e sferrata in condizioni oggettive particolari.
Basandosi sulla storia del movimento comunista internazionale, sugli insegnamenti del marxismo e soprattutto del leninismo riguardo alla questione della conquista del potere politico, la Seconda posizione ritiene invece che le Br siano cadute in un eclettismo teorico – con un alternarsi di spontaneismo e militarismo – che ha portato all’adozione in un paese imperialista di schemi rivoluzionari propri dei paesi dipendenti. La teoria maoista della guerra popolare prolungata rimane un riferimento per le rivoluzioni di nuova democrazia e le lotte di liberazione nazionale, mentre in un paese in cui il capitalismo è definitivamente giunto allo stadio monopolistico la guerra rivoluzionaria assume la forma dell’insurrezione. Una guerra aperta, in cui vasti settori di classi contrapposte si confrontano per mezzo delle armi, potrà verificarsi solo nel corso di una situazione rivoluzionaria. Fino a quel momento eccezionale, in cui si realizzerà l’incontro tra le condizioni oggettive e soggettive necessarie per la rivoluzione, il partito deve rappresentare una guida in grado di far crescere la coscienza e l’organizzazione del proletariato attraverso una politica comunista e un’attività centrata in modo essenziale ma non esclusivo sulla lotta armata, considerata un metodo di lotta e non una strategia.
L’esordio dell’Udcc e la morte di Wilma Monaco
Nel marzo 1985 i «dissidenti» (circa un terzo dei brigatisti) sono espulsi dalle Br-Pcc. Nello stesso anno a Parigi, dove alcuni militanti si sono rifugiati, vengono elaborate le tesi di fondazione di una nuova organizzazione, che si basa sull’esperienza delle Brigate rosse e sul marxismo leninismo, con l’obiettivo di giungere a una teoria e una pratica rivoluzionarie adeguate alla situazione. In autunno il Manifesto e tesi di fondazione annuncia: Sotto l’impulso e l’iniziativa di alcuni ex-militanti delle Brigate Rosse fuoriusciti da questa organizzazione in seguito alle loro battaglie per l’adozione delle tesi politiche enunciate nella cosiddetta «seconda posizione», nel mese di ottobre 1985, si è costituita la Unione dei comunisti combattenti.
Alcuni militanti tornano in Italia per organizzare la struttura a partire da Roma. Riescono a far arrivare un piccolo carico di armi dalla Francia e iniziano l’opera di reclutamento. L’Udcc decide di presentarsi pubblicamente con un’azione considerata politicamente gestibile, il ferimento di un personaggio di medio livello vicino a Bettino Craxi. Il 21 febbraio 1986 viene colpito a Roma Antonio Da Empoli, neodirettore del Dipartimento degli Affari economici e sociali di Palazzo Chigi. In qualità di collaboratore del governo Craxi ha svolto un ruolo essenziale nella formulazione della legge finanziaria. Durante l’inchiesta preliminare i militanti non si rendono conto che l’autista è un poliziotto di scorta. L’agente reagisce agli spari colpendo a morte Wilma Monaco, una delle componenti del gruppo di fuoco.
Dopo l’azione, oltre a un lungo volantino, l’Unione diffonde una Autointervista di riflessione. Nei due documenti si rende onore a Wilma Monaco, Roberta, caduta combattendo per il comunismo, il cui sacrificio deve servire a tutto il movimento rivoluzionario per rinsaldare le fila e avanzare più speditamente sulla via di una lotta armata realmente marxista. Si afferma che la lotta rivoluzionaria è risorta in Italia negli anni 1968-’69, sulla base della spinta politica impressa dalle mobilitazioni operaie, proletarie e studentesche. Dopo anni di esclusiva lotta economica, di egemonia revisionista sul proletariato, durante i quali il Pci è divenuto una componente organica del sistema politico rappresentando l’ala sinistra della borghesia, la prospettiva della conquista del potere è ritornata attuale grazie alle Br e al loro uso sistematico della lotta armata.
Nonostante il prezzo pagato con la morte di Wilma, dirigente dell’organizzazione, l’Udcc ritiene che l’azione Da Empoli abbia raggiunto i suoi obiettivi e abbia chiaramente espresso il significato politico di attacco al governo e alla sua politica economica. Si decide quindi di proseguire nella strada intrapresa, nel ricordo dell’indimenticabile figura di «Roberta», della sua umanità e della sua determinazione, adottando la lotta armata come metodo decisivo della politica comunista, verso un partito marxista leninista che guidi la classe sino all’insurrezione, la conquista del potere politico e la dittatura del proletariato.
Nel 1986 l’Italia sta discutendo l’adesione allo Sdi (Strategic defense iniziative), lo «scudo spaziale», un colossale sistema di difesa fra i vari paesi dell’Alleanza atlantica, che non sarà poi realizzato. Da più parti chiamato Guerre stellari, è stato voluto dall’amministrazione Reagan sotto l’influenza delle forze più aggressive e reazionarie dell’imperialismo americano, quel manipolo di grandi compagnie multinazionali affiancate dal Pentagono e da settori della burocrazia statale, per ristabilire il primato politico e militare nel mondo. Attraverso l’ombrello spaziale, oltre che tramite bombardamenti, occupazioni militari, destabilizzazione aperta e occulta di governi legittimi, sabotaggio economico e appoggio a organizzazioni mercenarie, sostegno a regimi reazionari, ridimensionamento dei paesi dell’Est. L’Unione decide di colpire il generale dell’Aeronautica militare Licio Giorgieri, direttore della Sezione costruzione armi e armamenti aeronautici e spaziali. L’azione salta due volte per imprevisti e problemi tecnici. Nel frattempo l’Udcc scrive un nuovo testo di analisi Come uscire dall’emergenza? che viene diffuso in librerie e centri antagonisti di tutta Italia.
Gli arresti e l’uccisione di Giorgieri
Nel gennaio 1987 l’Unione riceve un duro colpo con l’arresto di tre suoi dirigenti, Fabrizio Melorio, Geraldina Colotti e Paolo Cassetta. Gli ultimi due rimangono feriti nel corso del conflitto a fuoco. Licio Giorgieri viene ucciso a Roma il 20 marzo 1987 mentre rientra nella sua abitazione con la macchina di servizio. L’autista rimane illeso. Una parte dei detenuti politici plaude all’azione.
Nel lungo documento di rivendicazione l’Udcc spiega che il generale è stato colpito esclusivamente per le responsabilità da lui esercitate in seguito all’adesione italiana al progetto delle «guerre stellari», che rafforza quell’intreccio di interessi, complicità e connivenze espresso dal complesso militare-industriale. L’organizzazione intende rappresentare su scala nazionale il soggetto politico rivoluzionario che dà «voce politica» e riferimento all’insieme delle forze sociali, a cominciare dalla classe operaia, duramente colpiti dalla svolta reazionaria voluta dalla grande borghesia e realizzata dai governi del Pentapartito. Il protocollo di intesa firmato a Washington nel settembre 1986 consente alle imprese italiane di partecipare alla fase di progettazione dello Sdi. La decisione di aderire, affermano i militanti dell’Unione, viene dai settori più retrivi della grande borghesia e dai vertici delle Forze armate. È stata favorita dalla politica neo-autoritaria del governo Craxi, che ha preparato il terreno per modificazioni della struttura istituzionale in grado di approfondire la svolta reazionaria, a cui il Pci, per ambiguità e inettitudine, è stato «incapace» di opporsi. Si è così creato un vuoto politico che ha reso la classe operaia la «grande assente» della sfera politica nazionale. Solo il Pcc può riempire il vuoto, guidando quello schieramento di forze sociali che si oppone ai governi reazionari, con al centro la classe operaia, verso una trasformazione sociale profonda, partendo dalla conquista rivoluzionaria del potere politico. La lotta armata viene individuata come il metodo di lotta fondamentale che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi politici delle avanguardie, permette al Pcc di conquistare lo spazio necessario nella lotta politica per rappresentare l’interesse generale e la capacità dirigente della classe operaia nelle concrete battaglie, non limitandosi alla semplice propaganda, ma pesando sugli equilibri e le alleanze che presiedono alla formazione dei governi e alle scelte di una borghesia succube ai «doveri imperialisti». L’attacco al cuore dello Stato, afferma il documento, non è quindi indirizzato verso astratti progetti di ristrutturazione, ma è la «punta» della politica rivoluzionaria che mette l’iniziativa armata al servizio di obiettivi che contribuiscono a creare un quadro favorevole di rapporti di forza. I comunisti combattenti, afferma l’Udcc, sono interni al fronte contro la militarizzazione dello spazio e all’adesione italiana allo Sdi e considerano l’uscita dalla Nato un obiettivo prioritario. In caso di conflitto si batteranno per trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria.
La tentata evasione e la chiusura di un ciclo
Nei mesi successivi all’omicidio Giorgieri l’Unione è smantellata dagli arresti effettuati a Roma e in Francia. Per l’Udcc sono inquisite 73 persone. Nel 1987 viene approvata la legge sulla dissociazione, di cui usufruiscono anche figure con un passato di rilievo nelle Brigate rosse quali Alberto Franceschini, Valerio Morucci, Adriana Faranda. Ma è anche l’anno in cui nelle carceri si sviluppa il lacerante dibattito fra i prigionieri sulla soluzione politica.
Intanto alcuni dirigenti dell’Udcc, insieme a brigatisti che in carcere hanno aderito alla Seconda posizione, tentano una laboriosa evasione scavando per mesi, con strumenti rudimentali, un tunnel sotto le loro celle nel carcere di Rebibbia. Fallita la fuga, otto prigionieri (Prospero Gallinari, Pasquale Abatangelo, Paolo Cassetta, Francesco Lo Bianco, Maurizio Locusta, Remo Pancelli, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti) inviano un documento alla stampa. Pur non mettendo in discussione le ragioni sociali e storiche della scelta rivoluzionaria, e considerando le Br il soggetto politico che ha trasformato in progetto una tensione sociale al cambiamento rivoluzionario, prendono atto di una sconfitta. Partiamo una volta da un dato che ci riguarda. Oggi, ottobre 1988, le Brigate rosse coincidono di fatto con i prigionieri politici delle Brigate rosse. È una situazione mai verificatasi prima in diciotto anni di attività politica. […] La rottura della continuità organizzativa e dell’attività combattente delle Br costituiscono un elemento che di fatto modifica il quadro generale di uno scontro politico influenzato in misura variabile nell’arco di vent’anni dalla presenza di un’opposizione armata. […] Intendiamo riportare la nostra esperienza sul terreno della lotta politica aperta, di massa. […] Un terreno concreto su cui operare il passaggio politico che abbiamo di fronte è secondo noi quello della lotta per un’amnistia politica generale. Come primo passaggio chiedono il raggruppamento in un unico carcere di tutti gli arrestati per la storia dell’organizzazione, al di là delle differenze politiche, e «diffidano» chiunque in futuro a utilizzare la sigla delle Brigate rosse.
Nonostante le differenze di analisi e di affermazioni di intenti, nei fatti tutte le proposte di soluzione politica dichiarano soggettivamente chiusa una fase politica e si muovono nel quadro di una reintegrazione nel gioco «democratico», ponendo la questione della liberazione dei prigionieri fuori da un percorso di lotta rivoluzionaria, nell’ambito di una trattativa con lo Stato che non andrà in porto.
Scheda tratta da: Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, Roma, DeriveApprodi 2015.
1984
Novembre
Un’importante battaglia politica nell’avanguardia rivoluzionaria italiana. Sviluppo della Seconda posizione del settembre 1984
1985
Ottobre
Manifesto e tesi di fondazione
1986
Febbraio
Rivendicazione del ferimento di Antonio Da Empoli e ricordo di Wilma Monaco
Autointervista
1987
Marzo
Rivendicazione dell’iniziativa contro Licio Giorgieri
1986
Novembre
Orientamenti generali e proposta di tesi per la convocazione del Congresso di fondazione del Partito Comunista Combattente
1987
Ottobre
Per una politica comunista
1989
Rivista «Per il partito», n. 1
1990
Gennaio
Rivista «Per il partito», n. 2
Giugno
Rivista «Per il Partito» n.3
1991
Aprile
Rivista «Per il partito», n.4
1993
Settembre
Rivista «Per il Partito» n.5
1994
Febbraio
Comunicato in ricordo di Sergio Spazzali (Pino)
1995
Settembre
Sergio Spazzali “Pino“ (1989-1991) – Scritti rivoluzionari
1997
Abbiamo alternative?
1999
Aprile
Presentazione. (Per il dibattito e la fusione con altra organizzazione)
2000
Luglio
Confronto con BR-PCC e CPx(n)PCI
2002
Gennaio
Autocritica e rettifica
2002
Gennaio
Per il processo rivoluzionario di classe
costituire il Partito Comunista nell’unità del politico-militare!
Primavera
Aurora n°0
2003
Maggio
Bozza di circolare campagna organizzazione
2004
Gennaio
Circolare campagna propaganda
Primavera
Aurora n°1
Autunno
La lotta di Melfi – Bozza di volantino
2005
Marzo
Dibattito interno PCP-M seguito
Autunno
Aurora n°2
2006
Primavera
Aurora n°3
2007
Aurora n°4
La ricostruzione delle forze
Dai primi anni Ottanta le Brigate rosse iniziano a essere smembrate dagli arresti e dalle divisioni interne. L’uso sistematico da parte dello Stato della tortura nei confronti dei fermati, le leggi premiali per pentiti e dissociati, le varie proposte elaborate da gruppi di detenuti per una soluzione politica di un conflitto soggettivamente dichiarato concluso, favoriscono la rottura della solidarietà all’interno delle carceri. Numerosi prigionieri, insieme ad alcuni militanti in libertà, non ritengono però conclusa l’esperienza, e intendono raccogliere il testimone per proseguire la «guerra rivoluzionaria» in continuità con la teoria e la prassi dell’organizzazione. Una generazione successiva a quella delle Brigate rosse «storiche» inizia così un percorso di ricostruzione, compattamento e direzione delle forze proletarie sul terreno rivoluzionario volto a superare la fase di ritirata strategica annunciata dalle Brigate rosse nel 1982. Un percorso basato sulla prassi e non su un atto di fondazione a priori. Ricostruire un’organizzazione comunista combattente che agisca da partito per costruire il Partito, è uno degli slogan dei gruppi che fanno riferimento alla Prima posizione. Un Partito comunista combattente che trasformi lo scontro, nell’unità del politico e del militare, in un processo di guerra di classe di lunga durata per la conquista del potere attraverso la strategia della lotta armata.
All’inizio degli anni Novanta i militanti che si propongono di proseguire l’esperienza delle Brigate rosse individuano come nodo politico centrale su cui rilanciare l’offensiva rivoluzionaria il patto neocorporativo fra le parti sociali, in cui partiti e sindacati della sinistra storica hanno assunto un ruolo fondamentale nella progressiva eliminazione delle garanzie dei lavoratori. Nell’ottobre 1992, in un periodo in cui la protesta operaia è forte, e la contestazione ai vertici sindacali molto dura, i Nuclei comunisti combattenti (Ncc), nati nell’ambito della Prima posizione, firmano il volantino di rivendicazione di una fallita azione contro la sede della Confindustria di Roma. Attaccare il patto governo-Confindustria-sindacato. Portare l’attacco al cuore dello Stato. Onore a tutti i militanti caduti combattendo. Il 31 luglio è stato firmato il Patto per il lavoro, che abolisce definitivamente la scala mobile e pone le basi per la riforma della contrattazione collettiva, aprendo la strada al più organico Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo del luglio 1993, che ratifica il metodo della concertazione.
Nel gennaio 1994 i Ncc effettuano, sempre a Roma, un’azione contro il Nato Defence College, in occasione del Vertice Nato di Bruxelles che elabora una strategia militare aggressiva e di espansione imperialista verso est, negli spazi lasciati liberi dallo scioglimento del Patto di Varsavia. Qualche mese prima, nel settembre 1993, era stata compiuta un’azione contro il muro di cinta della base dell’Aeronautica militare americana ad Aviano, rivendicata con la sigla Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente, seguita da vari arresti. Negli anni successivi qualche azione minore, firmata dal Nucleo di iniziativa proletaria (Nipr) o dal Nucleo proletario rivoluzionario (Npr), è riconducibile agli stessi militanti dei Ncc, che usano sigle diverse a seconda del livello politico-militare delle operazioni. A piccoli altri gruppi, come i Nuclei armati per il comunismo (Nac), sono invece attribuibili incendi e ordigni artigianali. Per alcuni anni in Veneto e in Friuli una serie di azioni minori sono siglate dai Nuclei territoriali antimperialisti (Nta), risultati poi essere il bluff di un pubblicista mitomane. La rabbia nei confronti del ruolo che i sindacati svolgono nella ristrutturazione del mercato del lavoro si esprime anche con microazioni illegali diffuse. Tra il luglio 2002 e il maggio 2003 vengono denunciati 43 danneggiamenti a sedi sindacali e 12 piccoli attentati dinamitardi o incendiari. La Cisl è il sindacato più colpito.
La Brigate rosse tornano sulla scena politica
Nei primi mesi del 1999 il governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema è militarmente impegnato nella guerra dei Balcani, un’aggressione della Nato contro la Serbia presentata come «intervento umanitario», mirante in realtà a smembrare la Jugoslavia e assoggettarla agli interessi imperialisti. Il quadro politico interno è invece dominato dalla questione capitale-lavoro, con un progressivo attacco alle conquiste ottenute dai lavoratori nei decenni precedenti con dure lotte, volto a spezzare ogni forma di rigidità operaia aumentando la flessibilità e la precarietà del lavoro, in una politica neocorporativa di concertazione che mira a governare le contraddizioni sociali con la partecipazione attiva dei sindacati storici della classe operaia.
In questa situazione di diffuso malcontento popolare, la mattina del 20 maggio le Brigate rosse irrompono di nuovo sulla scena politica uccidendo a Roma, sulla via Salaria, Massimo D’Antona. Avvocato, docente di diritto del lavoro, è un nome poco conosciuto al grande pubblico ma ha svolto un ruolo di primo piano nella regolamentazione del diritto di sciopero e nella ristrutturazione del mercato del lavoro durante i governi guidati da Lamberto Dini, Romano Prodi e Massimo D’Alema. Si legge nella rivendicazione: Le Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente hanno colpito Massimo D’Antona, consigliere legislativo del Ministro del Lavoro Bassolino e rappresentante dell’Esecutivo al tavolo permanente del Patto per l’occupazione e lo sviluppo. Con questa offensiva le Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente riprendono l’iniziativa combattente, intervenendo nei nodi centrali dello scontro per lo sviluppo della guerra di classe di lunga durata, per la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura del proletariato, portando l’attacco al progetto politico neo-corporativo del Patto per l’occupazione e lo sviluppo, quale aspetto centrale nella contraddizione classe/Stato, perno su cui l’equilibrio politico dominante intende procedere nell’attuazione di un processo di complessiva ristrutturazione e riforma economico-sociale, di riadeguamento delle forme del dominio statuale, base politica interna del rinnovato ruolo dell’Italia nelle politiche centrali dell’imperialismo.
Massimo D’Antona è definito esponente di spicco dell’equilibrio politico dominante e del progetto affermatosi come centrale nel corrispondere agli interessi di governo dell’economia e del conflitto di classe della Borghesia Imperialista, ha costituito cerniera politico-operativa del rapporto tra esecutivo e sindacato confederale, un formulatore ed interprete della funzione politica del «Patto Sociale» e della sede neocorporativa in dialettica con i caratteri storici della democrazia rappresentativa in Italia, e del ruolo antiproletario e controrivoluzionario della corresponsabilizzazione delle parti sociali e innanzitutto del sindacato, nelle decisioni sulle materie di politica economica.
Le Brigate rosse si riferiscono all’Accordo sociale per lo sviluppo e l’occupazione (il Patto di Natale), firmato nel dicembre 1998, l’ultimo grande provvedimento del periodo della concertazione, che riprende i contenuti del Patto del 1993 fra governo, Confindustria e sindacati e rappresenta un attacco, condotto da un governo di centrosinistra, alle condizioni della classe operaia e dei lavoratori. Massimo D’Antona aveva avuto un ruolo essenziale sia nella definizione del Patto sia nel comitato incaricato di attuarlo, adeguando la legislazione italiana alle direttive europee del programma di Maastricht.
Alcuni prigionieri rivendicano l’uccisione, «scomunicata» invece dai detenuti che hanno fatto proprie le varie proposte di soluzione politica. I media parlano di «nuove» Brigate rosse, a sancire una rottura con il passato, mentre gli autori dell’azione, ovvero i militanti dei Ncc, ritengono, per la valenza politica che essa assume nello scontro generale tra le classi, di poter svolgere un ruolo d’avanguardia in continuità oggettiva con la proposta delle BrPcc ed assumersi perciò la responsabilità politica di prenderne la denominazione.
Pur considerando come dimensione politica principale della lotta di classe quella della rivoluzione nel proprio paese, nel documento viene confermata la centralità del Fronte Antimperialista Combattente per la costruzione di alleanze politiche che operino all’indebolimento dell’imperialismo nella nostra area, per lo sviluppo di un processo che costruisca una prospettiva di potere. La diffusa opposizione nei confronti della partecipazione italiana ai bombardamenti nel Kosovo, allora in corso, porta in quel periodo a numerose manifestazioni contro la guerra, ma anche ad alcune iniziative emulative, con la comparsa di stelle a cinque punte sui muri di varie città.
Le indagini a vuoto e l’uccisione di Marco Biagi
Dopo l’omicidio D’Antona gli inquirenti brancolano nel buio. Perquisizioni, pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali non danno alcun risultato significativo. Nel maggio 2000, partendo dalla testimonianza di un tredicenne, viene arrestato un giovane che lavora in una cooperativa legata alla Fiom e ha frequentato un centro sociale romano. Lo si accusa di essere il «telefonista» delle Br-pcc. La sua posizione sarà archiviata dopo un anno di detenzione.
All’inizio del 2002 non ci sono certezze investigative. Per il 23 marzo la Cgil ha indetto a Roma una manifestazione in difesa dei diritti pesantemente attaccati dal governo Berlusconi e dalla Confindustria, in particolare dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, strumento di tutela in caso di licenziamento ingiustificato (sarà modificato nel 2012 con la Riforma Fornero). Tre milioni di persone scendono in piazza. Pochi giorni prima del grande appuntamento sindacale, la sera del 19 marzo, le Brigate rosse tornano a colpire a Bologna, uccidendo Marco Biagi, esperto giuslavorista e delle relazioni industriali, rappresentante delle istanze della Confindustria, consulente del Ministro del Lavoro Maroni e collaboratore dei governi degli anni Novanta in tema di lavoro e relazioni industriali, anche a livello internazionale. Nel lungo documento di rivendicazione, Biagi viene definito ideatore e promotore delle linee e delle formulazioni legislative di un progetto di rimodellazione della regolazione dello sfruttamento del lavoro salariato, e di ridefinizione tanto delle relazioni neocorporative tra Esecutivo, Confindustria e Sindacato confederale, quanto della funzione della negoziazione neocorporativa in rapporto al nuovo modello di democrazia rappresentativa.
Si ricorda in particolare il suo ruolo, nel 1996 con il governo Prodi, nell’elaborazione del Pacchetto Treu, base dell’accordo neocorporativo tra Governo, Confindustria e Sindacato confederale con cui fu fatto il salto di qualità nelle varie forme di precarizzazione del lavoro salariato e la sua responsabilità nel Patto di Milano, anticipazione del modello di mercato del lavoro e sociale che avrebbe voluto oggi generalizzare e con cui si è tentato di ritagliare il prezzo e le condizioni di impiego della forza-lavoro sulla base della ricattabilità di condizioni sociali di dipendenza particolarmente svantaggiate.
Durante il governo Berlusconi Marco Biagi ha un ruolo di primo piano nell’elaborazione del Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia ed è promotore di un progetto di Statuto dei lavori, in sostituzione dello Statuto dei lavoratori, che prefigura un nuovo sistema di relazioni sociali e un mercato del lavoro composto da giovani «flessibili» e precari, non conflittuali, adattabili alle esigenze del capitale.
In sintesi: Con questa azione combattente le Brigate rosse attaccano la progettualità politica della frazione dominante della borghesia imperialista nostrana per la quale l’accentramento dei poteri nell’Esecutivo, il neocorporativismo, l’alternanza tra coalizioni di governo incentrate sugli interessi della borghesia imperialista e il «federalismo» costituiscono le condizioni per governare la crisi e il conflitto di classe in questa fase storica segnata dalla stagnazione economica e dalla guerra imperialista.
Pochi giorni dopo, dalle gabbie di un processo in corso a Roma alcuni brigatisti rivendicano l’azione. Sulla stampa vengono rese note varie comunicazioni che dal 2001 il professor Biagi aveva indirizzato a personalità del mondo politico ed economico chiedendo che gli fosse ripristinata la scorta, per essere stato «l’estensore tecnico del Patto per il lavoro di Milano» e collaboratore di governo e Confindustria, per «una strategia di flessibilità sul lavoro». Nel 2003 le indicazioni di Biagi furono formalizzate nella Delega al governo in materia di occupazione e mercato del lavoro, nota come Legge Biagi, varata dal secondo esecutivo Berlusconi. Una legge, duramente criticata anche dalla Cgil, che riduce diritti e tutele, assegna un ruolo fondamentale allo Stato e introduce il concetto di Borsa del lavoro, un mercato dove il costo del lavoro è determinato dall’incontro fra domanda e offerta.
Dopo l’attentato viene creato un Gruppo investigativo Biagi, che inizia un complesso lavoro utilizzando le più moderne tecniche informatiche, sono eseguite perquisizioni negli ambienti ritenuti più vicini alla lotta armata, ma le indagini procedono senza una direzione precisa. Viene però costruito il capro espiatorio di turno da mostrare all’opinione pubblica, come già accaduto per il cosiddetto telefonista delle Br. Nell’agosto 2002 Paolo Persichetti, ex militante dell’Unione dei comunisti combattenti rifugiato a Parigi, dove si era ricostruito una vita e aveva un contratto da assistente universitario, è indagato per l’omicidio di Marco Biagi e consegnato alle autorità italiane al di fuori di ogni procedura di estradizione. Una montatura messa in piedi per abbattere la «dottrina Mitterrand» sui rifugiati politici. Riconosciuta la sua estraneità ai fatti, sconta altri undici anni di carcere in Italia per una precedente condanna.
La sparatoria sul treno e l’uccisione di Mario Galesi
La svolta arriva la mattina di domenica 2 marzo 2003. Nadia Lioce e Mario Galesi, clandestini e ricercati, viaggiano sul treno interregionale Roma-Firenze diretti ad Arezzo. Nei pressi della stazione di Castiglion Fiorentino tre uomini della Polizia ferroviaria effettuano un controllo di routine. Alla richiesta di identificazione, i brigatisti mostrano due false carte di identità. L’agente non sospetta nulla e la sala operativa della polizia comunica che i due nomi sono puliti. Mario Galesi non fa in tempo a rendersene conto. Nel timore di essere riconosciuto, punta una pistola contro uno dei poliziotti e, sostenuto da Nadia Lioce, intima di consegnare le armi. Uno di loro getta la pistola, la brigatista la raccoglie e c’è una colluttazione. Inizia il conflitto a fuoco. Rimangono a terra il sovrintendente Emanuele Petri, che muore sul colpo, e Mario Galesi, che spira la sera stessa in un ospedale di Arezzo durante un intervento chirurgico. Un altro poliziotto resta ferito, mentre Nadia Lioce viene disarmata e immobilizzata. Davanti agli investigatori si dichiara prigioniera politica. Nell’isolamento della cella, in due giorni scrive un documento politico che presenta ai magistrati, in cui sono tracciate «le linee che in questa fase congiunturale caratterizzano la proposta delle Brigate rosse alla Classe».
Gli arresti e i processi
Con la cattura di Nadia Lioce e l’analisi dei materiali informatici rinvenuti il giorno della sparatoria sul treno, le indagini subiscono una svolta. Il 24 ottobre, fra Roma e la Toscana vengono arrestati Federica Saraceni, Laura Proietti, Cinzia Banelli, Paolo Broccatelli, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma e una settima persona che sarà poi assolta. Nei giorni successivi finiscono in carcere Simone Boccaccini e Bruno Di Giovannangelo. Emerge una notevole presenza e un importante ruolo politico delle donne nell’organizzazione.
Tramite un minuzioso lavoro investigativo gli inquirenti individuano le schede telefoniche che i brigatisti hanno utilizzato nell’immediatezza di alcune azioni e riescono a risalire a una cantina affittata a Roma da Diana Blefari con la sua vera identità. Da quel momento la donna si rende irreperibile. All’interno vengono ritrovati esplosivo, documenti politici, e molti altri oggetti e materiali usati dall’organizzazione. Diana viene catturata la notte del 22 dicembre a Santa Marinella, sul litorale romano, in un miniappartamento appena affittato a suo nome. Gli arresti proseguono fino al luglio 2005.
Inizia così la fase dei processi, che vede coinvolti 22 imputati e termina con quindici condanne e sette assoluzioni. Nel giugno 2004 Nadia Lioce viene condannata all’ergastolo per la sparatoria sul treno Roma-Firenze. In aula legge un suo documento di ricostruzione dei fatti. Ribadisce che non si è trattato di una azione premeditata ma della necessità di far fronte al pericolo sfruttando il vantaggio della sorpresa e del diritto di sottrarre le forze alla cattura.
Nel luglio 2005 a Roma, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, si conclude il processo di primo grado per l’uccisione di Massimo D’Antona, con la condanna all’ergastolo per Nadia Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma, confermata in appello, e con altre pene minori. Con cinque ergastoli si chiude invece a Bologna il processo per l’omicidio Biagi: Nadia Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari e Simone Boccaccini, la cui condanna verrà ridotta in appello a 21 anni.
Cinzia Banelli, che al momento della cattura è incinta e già prima dell’arresto aveva avuto una militanza discontinua, dopo la nascita del figlio decide di parlare, fornendo agli inquirenti indicazioni particolareggiate. Condannata con rito abbreviato per la partecipazione agli omicidi di D’Antona e Biagi, esce dal carcere nel 2009. Vive insieme alla famiglia in una località segreta, con un sussidio e una nuova identità.
Diana Blefari Melazzi, un suicidio annunciato
La sera del 31 ottobre 2009 Diana Blefari Melazzi, condannata all’ergastolo per concorso nell’omicidio di Marco Biagi, si toglie la vita impiccandosi in una cella nel carcere romano di Rebibbia. Un suicidio prevedibile e previsto. A partire dal 2006 i difensori denunciano il progressivo peggioramento delle sue condizioni psichiche e l’incompatibilità con la detenzione. Il caso è segnalato dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni e in un’interrogazione parlamentare. Il sistema carcerario prosegue la sua opera di annientamento. Nelle perizie psichiatriche Diana viene giudicata in grado di stare in giudizio, subisce vari trasferimenti e per lunghi periodi è tenuta, come altri coimputati, in regime di art. 41 bis, uno strumento di tortura bianca applicato nei confronti dei detenuti considerati più pericolosi, inserito all’interno della riforma penitenziaria del 1975 dalla Legge Gozzini, nel 1986, in sostituzione dell’art. 90. Prevede un trattamento differenziato, una sospensione di garanzie e diritti contenuti nell’ordinamento penitenziario. Isolamento, un solo colloquio mensile con i familiari attraverso vetri e citofoni, limitazione delle ore d’aria, della socialità, della corrispondenza pur se sottoposta a censura, di libri, riviste, oggetti, indumenti, possibilità di assistere ai processi solo in videoconferenza.
Il 1 ottobre 2009, con l’accusa di banda armata viene arrestato un ex compagno di Diana (assolto e liberato dopo quasi 18 mesi), con cui ha mantenuto un profondo legame affettivo. Nel 2009 hanno anche effettuato alcuni colloqui. Pochi giorni prima del suicidio, Diana viene trasferita a Rebibbia sotto sorveglianza speciale. Nonostante il drastico peggioramento delle sue condizioni di salute, si fa più serrata la pressione degli inquirenti per estorcerle informazioni. Il 27 ottobre la Cassazione conferma in via definitiva la condanna all’ergastolo. La sentenza le viene notificata poche ore prima del suicidio.
Scheda tratta da: Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, Roma, DeriveApprodi 2015.
1992
Ottobre
Nuclei Comunisti Combattenti, Volantino dell’azione contro la Confindustria
1994
Gennaio
Nuclei Comunisti Combattenti, Volantino dell’azione contro il Nato Defence College
1999
Maggio
Rivendicazione azione contro Massimo D’Antona
2002
Marzo
Rivendicazione azione contro Marco Biagi
2009
Dicembre
Onore alla compagna Diana Blefari – Comunicato di alcuni militanti prigionieri
1981
Dicembre
Campagna Dozier, Comunicato N.1
Campagna Dozier, Comunicato N.2
1982
Gennaio
Campagna Dozier, Comunicato N.3
Campagna Dozier, Comunicato N.4
Campagna Dozier, Comunicato N.5
Campagna Dozier, Comunicato N.6
Marzo
Volantino A tutto il movimento rivoluzionario sulla ritirata strategica
Aprile
Volantino A tutto il movimento rivoluzionario
Maggio
In onore di Umberto Catabiani
1983
Maggio
Rivendicazione ferimento Gino Giugni
La sintesi
1984
Febbraio
Rivendicazione azione contro Ray Leamon Hunt
Novembre
Un’importante battaglia politica nell’avanguardia rivoluzionaria italiana. Sviluppo della Prima posizione del settembre 1984
1985
Marzo
Rivendicazione azione contro Ezio Tarantelli
1986
Febbraio
Rivendicazione azione contro Lando Conti
1987
Febbraio
Volantino rivendicazione azione in via Prati di Papa
1988
Aprile
Rivendicazione azione contro Roberto Ruffilli
Settembre
Testo congiunto Raf Br-Pcc
Bilancio ed ulteriore riadeguamento politico-organizzativo
Documento interno
1989
Bozza di riflessione sugli arresti di settembre – Documento interno
Marzo
Aggiornamento della Direzione Strategica 2 (testo ricostruito)
Rivendicazione congiunta con la RAF dell’azione contro Hans Tietmeyer
Marzo
Rivendicazione congiunta con la RAF dell’azione contro Hans Tietmeyer
Dopo il sequestro del giudice Giovanni D’Urso (12 dicembre 1980 – 15 gennaio 1981), il confronto politico già in corso da alcuni mesi tra il Fronte carceri e la Colonna di Napoli, da una parte, e le altre articolazioni delle Brigate Rosse, dall’altra, subisce una radicalizzazione estrema.
Il Fronte carceri e la Colonna di Napoli, sostenuti da un membro dell’Esecutivo nazionale delle BR, decidono di gestire autonomamente alcune iniziative:
– il sequestro dell’assessore democristiano Ciro Cirillo, nel corso del quale restano uccisi Mario Canciello e Luigi Carbone, addetti alla scorta (Napoli 27 aprile 1981), che si conclude con il rilascio del sequestrato, dietro il pagamento di un riscatto, il 24 luglio 1981;
– la campagna Peci, iniziata a San Benedetto del Tronto (AP) il 10 giugno con il sequestro di suo fratello Roberto e conclusa con la sua uccisione, a Roma, il 3 agosto 1981.
La decisione di condurre autonomamente i due sequestri, sancisce di fatto la divisione di questa parte delle Br da quella restante.
Nell’estate 1981 l’Esecutivo Br s’incontra con il Fronte carceri e con la Colonna di Napoli per verificare la possibilità di ricomporre le contraddizioni, ma il tentativo fallisce.
La scissione vera e propria tuttavia sarà ufficializzata soltanto nel mese di settembre.
Nel dicembre del 1981 questo raggruppamento prende il nome di Br – Partito della Guerriglia e diffonde il documento: “Tesi di fondazione del Partito Guerriglia”.
L’orientamento teorico di fondo si basa sull’assunto dell’inimicizia totale ed assoluta tra le classi, che si palesa nella metropoli come scontro che attraversa tutti i rapporti sociali.
Le Brigate rosse – Partito della Guerriglia (Br-Pg), ritenendo che la società italiana sia prossima ad una fase di guerra civile strisciante, promuovono la loro presenza per l’adeguamento delle forze rivoluzionarie a questo livello dello scontro. La loro proposta di interventi armati per “la liberazione del proletariato prigioniero” incontra diffuso consenso tra i militanti in carcere.
Il 4 gennaio 1982 le Br-Pg subiscono un duro colpo a causa dell’arresto di molti militanti e dirigenti. Nei mesi successivi restano attive soltanto a Napoli e Torino.
A Napoli, infatti, intervengono:
– con l’attentato mortale contro Raffaele Delcogliano, assessore regionale alla formazione professionale, ed il suo autista, Aldo Iermano (27-4-82);
– con l’attentato mortale contro Antonio Ammaturo, vice questore e capo della squadra mobile, ed il suo autista, Pasquale Paola (15-7-82).
Il 27 luglio 1982, il militante Ennio Di Rocco, che a seguito delle torture subite dopo l’arresto ha collaborato con le forze dell’ordine, viene ucciso nel carcere di Trani.
L’omicidio viene rivendicato con un volantino dai “Proletari prigionieri per la costruzione dell’organismo di massa del campo di Trani”. Il 30 luglio successivo una telefonata al quotidiano «Vita» rivendica il fatto alle Brigate rosse – Partito della Guerriglia.
Il 26 agosto 1982, a Salerno, le Br-Pg attaccano un convoglio di militari di leva per un esproprio di armi. Nel conflitto a fuoco con la volante di scorta restano uccisi Mario De Marco e Antonio Bandiera, agenti di polizia e Antonio Palumbo, militare di leva. Insieme a questa azione, le Br-Pg rivendicano anche l’esproprio di armi compiuto il 19 agosto 1982 ai danni del Centro Radiotrasmissioni dell’Aereonautica militare di Castel di Decima, sulla via Pontina, a Roma.
Il 21 ottobre 1982, a Torino, le Br-Pg colpiscono mortalmente Antonio Pedio e Sebastiano D’Alleo, agenti della Mondialpol in servizio presso l’Agenzia dei Banco di Napoli di via Domodossola, e diffondono un comunicato nel quale denunciano una militante di infiltrazione tra le fila dell’organizzazione, denuncia che risulterà infondata.
Tra novembre e dicembre del 1982, vengono arrestati gli ultimi militanti esterni.
Per l’attività delle Brigate rosse – Partito della Guerriglia sono state inquisite 147 persone.
Scheda tratta da: Progetto memoria, La mappa perduta, Sensibili alle foglie, Roma 1994.