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Processo di Firenze per i fatti del 2 marzo 2003. Documento di Nadia Lioce letto in aula il 9 giugno 2004

La mattina del 2 marzo 2003 sul treno Roma-Fi due militanti delle BR-PCC incorrono in un ordinario controllo di identità dei passeggeri da parte di personale della polizia ferroviaria. Si profilava perciò il concreto pericolo della cattura e la necessità di farvi fronte. Data l’inferiorità numerica e nell’armamento, qualunque ipotesi tattica praticabile avrebbe presentato un alto margine di rischio per la salvaguardia delle forze e del loro lavoro rivoluzionario, ma sfruttando il vantaggio della sorpresa poteva essere esercitata una minaccia per realizzare il disarmo dei poliziotti e garantire il successivo sganciamento delle forze. Tuttavia per la debolezza della minaccia viene persa l’iniziativa e ne esce un conflitto a fuoco con esiti tragici che causa la morte del compagno Mario Galesi, la cattura di un militante e la perdita di materiali organizzativi.

Quello del 2 marzo è il primo conflitto a fuoco dopo molti anni tra mil delle BR e forze di polizia. Improvvisamente dopo numerosi tentativi sterili, lo Stato infligge le prime perdite alle BR-PCC a seguito del rilancio della strategia della LA. Un conflitto a fuoco dall’esito mil sfavorevole alle forze riv dunque, ma che pur con il suo doloroso epilogo, è un’evenienza intrinseca al rapporto e al terreno di guerra su cui si confrontano forze riv e Stato, in cui le perdite per entrambe le parti sono fisiologiche. Perdite che pesano diversamente sul lavoro riv o sul concreto andamento della fase riv in relazione alla natura della fase stessa e alle circostanze specifiche nel loro complesso. In generale l’indirizzo tattico delle BR-PCC nello SA che attraversa la fase di Ric. delle forze riv e prol, ai fini della massima limitazione delle perdite e in presenza di valide alternative predispone di evitare il conflitto a fuoco casuale con forze di polizia. Ciò nondimeno i mil se necessitati lo ingaggiano o lo sostengono esercitando il diritto di sottrarre le forze alla cattura o all’annientamento e assolvendo al dovere di garantirne il lavoro riv.. Tuttavia se questi sono stati i contorni e la sostanza di quella tragica vicenda, fin dai primi giorni la propaganda controriv ha dipinto i due mil BR né più né meno che alla stregua di belve sanguinarie perciò non solo avulsi dalla realtà pol e sociale secondo lo storico e prevalente cliché controriv., ma perfino privi di caratteristiche umane, passibili perciò di una campagna di linciaggio mediatico. Che viene realizzata inventando notizie, dando alle stampe fantasiose testimonianze, pretesi comportamenti irrazionali del mil catturato e strumentali ricostruzioni dell’evento, allo scopo di avvalorare come “realtà descritta” quelli che invece erano solo modi e mezzi per raggiungere gli obiettivi pol della campagna stessa. Con la promozione del registro della mostrificazione delle figure dei brigatisti infatti, l’Esecutivo si prefiggeva di incidere sulla tenuta dei mil in attività e prigionieri e di favorirne disorientamento e cedimenti, di prevenire, intimorendole, espressioni di riconoscimento pol e di solidarietà di classe, di creare un clima allarmistico e di pressione funzionale a dare l’impressione di un collaborazionismo diffuso all’attività antigu, ad indurre prese di posizione lealiste e non ultimo a giustificare l’adozione di ulteriori misure preventive e repressive di ordine generale e a garantire pratiche di isolamento del mil catturato fuori dai canoni attualmente codificati e interventi da “guerra sporca” verso il campo di classe e riv.. Ottenuto cioè l’insperato successo mil lo Stato avvia un attacco pol alle BR che sono una forza riv che da 30 anni rappresenta nel nostro paese gli interessi generali e storici del prol e la sua prospettiva di potere, la cui attività combattente ha dimostrato anche al mutare della fase storica, in tutt’altri rapporti di forza tra riv e controriv e tra classe e Stato rispetto alla sua origine, la capacità della strategia della LA e della linea di attacco al cuore dello Stato di incidere nello scontro generale tra le classi, di trasformare a favore del campo prol e riv i rapporti di potere nello scontro con lo Stato e la BI e di far avanzare il processo riv pur a seguito delle discontinuità di percorso sopravvenute. Un attacco che a livello mediatico raggiunge apici “furiosi” oltrepassando ampiamente la soglia dei toni e degli argomenti plausibili rispetto all’effettiva realtà pol e al ruolo di direzione riv svolto dalle BR cosicché dopo un primo passaggio di coesione del quadro pol-istituzionale e sindacale intorno alla priorità controriv., lo stesso ministro dell’Interno si incarica di sollecitare la stampa borghese a recuperare una patina di decenza, recupero a sua volta preparatorio della più sofisticata manovra della messinscena dell’isolamento del mil BR caduto nel frangente del suo funerale. Quando la salma del compagno Galesi, tenuta sotto sequestro alla Misericordia di Arezzo, veniva fatta allontanare da un’uscita posteriore ed il corteo funebre, separato da feretro, propiziamente bloccato e trattenuto dalla polizia stradale, di modo che giunta la salma al cimitero di Trespiano potesse essere tumulata in tutta fretta così da “prevenire” persino le espressioni di cordoglio e simularne la solitudine, tra le corone di fiori a renderle omaggio e le schiere di digossini predisposti al controllo, sotto gli occhi dei giornalisti che avrebbero testimoniato l’indomani la scena dell’isolamento del brigatista, portando a termine l’opera propagandistica di quella prima fase. Se la costruzione di “notizie” è una pratica ricorrente di inquinamento e mistificazione dell’informazione pubblica con cui la BI puntella il suo dominio in crisi, spesso con il paradossale risvolto di alimentare le confuse illusioni dello schieramento a suo sostegno, mai finora era stato fatto un uso così spregiudicato della salma di un brigatista, trattata come un ostaggio a tutti gli effetti, impiegato nella sua funzione deterrente preventiva verso l’avanguardia riv ed il prol.. Un agire meschino e ipocrita, espressione chiara tra le tante di ciò che rappresenta e di cui è portatrice la classe dominante sul piano dei rapporti sociali e quantomai emblematico della difensiva pol in cui si muove nel confronto con la strategia della LA per il Comunismo proposta dalle BR a tutta la classe quale alternativa riv alla crisi della BI e alla sua guerra. Infatti, nonostante tutta la martellante campagna intimidatoria alimentata nel corso della preparazione dell’aggressione imp all’Iraq e del varo delle riforme del lavoro, con un’opposizione crescente nel campo prol e riv rafforzato politicamente dalla prospettiva strategica rilanciata nello scontro dall’attacco delle BR-PCC allo Stato, non solo non ha potuto raccogliere che parziali e consunte dichiarazioni di lealismo, né consentire ai vertici sindacali – alle prese con ben altri problemi di legittimazione e contenimento delle spinte operaie alla lotta – di riversare il successo mil e i contenuti controriv. nella mobilitazione della classe, ma non ha nemmeno evitato che venisse espresso riconoscimento pol verso i militanti BR e tributato omaggio al compagno caduto. In sintesi, il dato pol che ha reso impossibile che la vile propaganda controriv strappasse alla classe le sue av rivoluzionarie e in specifico confondesse ed oscurasse la limpida e generosa figura del mil caduto, il suo percorso di lotta ed emancipazione pol e il suo irrinunciabile impegno riv, è stato la dialettica tra l’intervento e la proposta riv delle BR e le istanze pol e strategiche della classe nello scontro con lo Stato e la BI.

Con tutto ciò per un mil delle BR-PCC che in questi anni ha avuto l’onore di condividere la lotta ed il lavoro riv con il compagno Galesi è naturale ricordarne l’impegno quotidiano profuso e la coscienza pol del ruolo della riv comunista quale alternativa storica alla crisi e alla barbarie Imperialista che lo sosteneva saldamente. Il compagno Mario Galesi è stato un esempio di come può e deve essere un’autentica av comunista combattente che si fa carico di misurarsi con le cd e le problematiche del processo riv in rapporto a quanto attestato dalla controriv., senza arretrare di fronte ai rapporti di forza di questa fase relativamente sfavorevoli alla riv e al prol., né ai limiti odierni della soggettività di classe e riv nello scontro con lo Stato e la BI. Un compagno che in ogni suo atto ha rappresentato la rottura poi con i rapporti di subordinazione a cui la BI ed il suo Stato hanno preteso di ridurre la CO ed il prol per tutti gli anni 90 attraverso le pol ed il tessuto di relazioni neocorporative che sviluppavano, e la ricerca, la pratica e la maturazione del salto di emancipazione pol nella soggettività di classe che assume e valuta le cd e le problematiche dell’agire riv in questa fase e gli dà soluzione in avanti. Fattori soggettivi che hanno reso realizzabile il necessario sviluppo della linea pol strategica dell’O. a seguito del consolidamento della controriv maturato nel corso degli anni 90 e perciò l’avanzamento del processo riv stesso e che hanno caratterizzato la soggettività pol, il percorso e il contributo del compagno Mario Galesi alla riv, mentre la sua capacità di affrontare i compiti, le difficoltà e talora gli imprevisti del lavoro riv con lievità, con quella naturalezza della soggettività di classe che ha conquistato la sua autonomia poi ed ha perciò acquisito consapevolezza e fiducia nelle potenzialità riv della propria classe, gli permetteva di valorizzare le qualità di ogni compagno favorendo il lavoro riv collettivo. Caratteristiche soggettive del compagno Galesi, del resto tutt’altro che esclusive, che anzi hanno contraddistinto milioni di comunisti e prol riv in tutto il mondo e che sono corrispettive ai contenuti sociali dei massimi livelli di progresso storico di cui la rivoluzione comunista è portatrice e che ha conseguito nei primi passaggi del suo lungo percorso. Perciò in questa fase storica contrassegnata dalla tracotanza controriv e guerrafondaia della Bi quale risvolto della sua profonda crisi, dal relativo arretramento pol del prol e da equilibri internazionali meno favorevoli alle guerre di liberazione dei popoli, ma in cui la BI incontra anche forti resistenze al rafforzamento e all’avanzata del suo dominio e all’intensificazione dello sfruttamento che ne approfondiscono la crisi pol., queste qualità soggettive delle figure mil rivestono una particolare valenza pol perché rappresentano il valore storico della riv comunista e la forza pol rivoluzionaria e la capacità coesiva che può sviluppare la classe dominata nello scontro di potere con la Bi e il suo Stato sul terreno riv della strategia della LA, indirizzata dalla linea politica sviluppata dalle BR-PCC. Non a caso il tentativo è stato quello di contrastare in tutti i modi questa evidenza pol anche con una propaganda controriv tesa a demolire le figure riv e in specifico a cancellare la memoria del mil caduto. Ma sebbene la perdita del compagno Mario Galesi, del suo spessore umano, del suo contributo al processo riv e del suo sostegno premuroso sia incolmabile per tutti i compagni e per l’O., egli resta per sempre un punto di riferimento e di forza pol che nessuna propaganda controriv potrà mai sottrarre al campo di classe e rivoluzionario.

Rendendo onore al militante Mario Galesi e tentando di restituirne la figura rivoluzionaria alla classe a cui appartiene ribadisco di rispondere dei miei atti pol soltanto al proletariato e alle BR che ne sono l’avanguardia e lo rappresentano.

La militante delle BR per la costruzione del PCC
Nadia Lioce

 

Prima corte d’Assise d’Appello di Roma, Processo “Esproprio”. Dichiarazione di Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli, Vincenza Vaccaro letta in aula il 7/10/2003

Il 2 marzo del 2003 sul Treno Roma-Firenze a seguito di un controllo della Polfer si verifica un conflitto a fuoco che provoca la morte del compagno Mario Galesi che cade in combattimento e la cattura della compagna Nadia Lioce, entrambi militanti della nostra Organizzazione. Nel quadro dello scontro che lo Stato ha ingaggiato per annientare le BR-PCC in risposta al rilancio della strategia della L.A. su cui la nostra O. persegue e afferma concretamente gli interessi di classe, lo Stato dal primo momento in cui si è reso conto di avere nelle sue mani due “brigatisti”, ha cercato di traformare un episodio del tutto incidentale, sempre possibile nella militanza clandestina, in una vittoria sulle BR-PCC, dilatando a dismisura secondo i dettami della controguerriglia psicologica la portata delle perdite dell’O. per farle pesare su di essa in termini di demoralizzazione, come anche sul campo di classe e rivoluzionario, palesando così l’uso di guerra del compagno caduto e della compagna catturata.

Allo stesso tempo lo Stato ha orchestrato una prolungata campagna di mistificazione e mostrificazione tesa ad accreditare l’immagine di una Organizzazione “sanguinaria” che colpisce indiscriminatamente come suo modus operandi, che agisce perciò in modo avulso dai modi dello scontro, quindi non legata alla classe e ai suoi interessi. Lo Stato ha cercato cioè di accreditare che l’episodio del 2 Marzo rispondesse all’indirizzo politico di combattimento dell’O. mentre in realtà i compagni hanno esercitato il diritto proprio ai militanti d’O. e rivoluzionari, di impedire la cattura, combattendo se necessario, come Mario ha coerentemente fatto, pur in una situazione sfavorevole per la disparità di forze, da cui si evince, contrariamente alla ricostruzione interessata dello Stato, l’alto senso di responsabilità del compagno Mario che ha messo in gioco la propria vita a fronte di uno stato di necessità. Un valore rivoluzionario che è stato immediatamente recepito nel sentire delle avanguardie e dei proletari, e che lo Stato non ha esistato ad occultare, ricorrendo ad un uso odioso del corpo del compagno, tenuto in ostaggio nella camera ardente come monito, dato il chiaro intento di identificare chiunque si fosse avvicinato per esprimere solidarietà, e su questa deterrenza convalidare la tesi del supposto isolamento delle BR dalla classe. In sostanza lo stato ha fatto un uso terroristico del corpo di un rivoluzionario, come è tipico della pratica controrivoluzionaria degli imperialisti.

L’intera campagna è stata poi capitalizzata ai fini del compattamento delle forze politiche di maggioranza e opposizione, e del sindacato, sulle pratiche antiproletarie e di criminalizzazione a largo raggio delle più diverse forme di lotta del proletariato allo scopo di divaricarle dalla proposta rivoluzionaria dimostrando in concreto come lo Stato sia consapevole del riconoscimento delle BR-PCC nel campo di classe, quale sua avanguardia riv. e reale rappresentanza dei suoi interessi. Un compattamento antiproletario che acuisce quanto mai la divaricazione degli interessi di classe contrapposti, in una realtà di scontro in cui lo Stato non ha potuto concretizzare le mobilitazioni lealiste, sollecitate dai sindacati confederali, intento che si è sciolto come neve al sole mostrando il sostanziale fallimento delle pressioni alla desolidarizzazione.

Ma chi era il militante Mario Galesi? La ricerca da parte della stampa di particolari sulla vita del compagno per individuare quale anomalia si celasse dietro alla scelta di essere un “brigatista” ha restituito l’immagine limpida di un giovane proletario impegnato come tanti nelle situazioni di aggregazione politica della sua città, un percorso accomunabile a quello di tanti compagni e proletari a dimostrazione del suo impegno militante sul piano rivoluzionario nel momento più difficile dello scontro, quando a seguito della stasi riv. ristrette avanguardie riv. si sono assunte il compito di avviare la costruzione della capacità offensiva adeguata a rilanciare la strategia della L.A., e con essa la prospettiva di modificare le condizioni del proletariato di contro all’offensiva della BI e dello Stato. Un compito che si è qualificato come un passaggio fondamentale per la prosecuzione del processo riv. e che, per il grado di coscienza e adeguamento che ciò ha richiesto, fa dei compagni che se lo sono assunto dei militanti altamente qualificati alla direzione dello scontro. Dunque Mario è per la classe tra quei preziosi compagni protagonisti del rilancio dell’attività riv. Un militante che, con senso di responsabilità e dedizione al lavoro riv., assumendosi di ricostruire e organizzare l’attività combattente, ha affrontato quel percorso soggettivo che trasforma l’avanguardia di classe in avanguardia riv., in militante delle BR-PCC. E quindi il contributo di Mario al rilancio della strategia della L.A. fa della sua morte una perdita inestimabile per l’O. e per il proletariato, e per questo il suo percorso militante e la sua caduta in combattimento lasciano un segno profondo nelle avanguardie e nei proletari che lo riconoscono come propria espressione riv. Per questo Mario è diventato fin da subito simbolo della possibilità e necessità per ogni proletario di riscattarsi dalla condizione di subalternità politica e materiale a cui è sottoposto dalle gabbie neocorporative del sistema democratico borghese.

E dunque il compagno Mario vive nell’esempio costituito dalla sua militanza che viene e verrà raccolto dalle avanguardie di classe consapevoli che solo nello sviluppo della strategia della L.A. risiede la possibilità di ribaltare i rapporti di forza e affermare gli interessi generali e storici di classe. Un riconoscimento espresso anche negli episodi in cui avanguardie e proletari hanno reso onore in diverse forme e modi al militante combattente caduto, indicative di come sia sentita nel campo di classe la necessità dell’esistenza della sua avanguardia comunista combattente, le BR-PCC. Infatti le iniziative offensive contro M. D’Antona e M. Biagi, contrastando i passaggi principali del progetto neocorporativo, hanno effettivamente sostenuto la classe di fronte all’offensiva degli Esecutivi, iniziative che hanno rilanciato la strategia della L.A. nello scontro di classe generale, determinando una ampia dialettica col campo proletario in termini di prassi e di contenuti di autonomia politica di classe che si è tradotta nella promozione di uno schieramento rivoluz. teso a costruire un campo rivoluz. reale, ma anche caratterizzando modalità e qualità delle mobilitazioni sviluppate contro le politiche riformatrici dello Stato sul lavoro e l’interventismo guerrafondaio dell’Esecutivo Berlusconi.

E rispetto alla caratterizzazione dello scontro rivoluz. e di classe a seguito del rilancio della strategia della L.A. che si comprende come, fuori dalla compagna mass-mediata sul conflitto a fuoco del 2 marzo, le reazioni scomposte che lo Stato ha espresso siano indice di debolezza politica. E se è vero che lo Stato può contrastare la rivoluzione perché tatticamente forte, è altrettanto vero che è politicamente e strategicamente sempre debole, e questa debolezza è tanto più evidente oggi, nell’attuale quadro di crisi generale, economica, politica e sociale della BI, con i suoi sempre più ridotti margini di ricomposizione delle contraddizioni antagoniste, cosa che rende lo Stato particolarmente vulnerabile alle iniziative offensive dell’O. In questo senso il potenziamento e dispiegamento degli strumenti controrivoluzionari e repressivi per annientare la guerriglie da riversare sul campo di classe per scongiurare il suo legarsi alla proposta riv. non sono espressione di forza politica ma della difensiva dello Stato rispetto al riorganizzarsi del processo riv. sulla base di forza del patrimonio trentennale maturato dalle BR nello scontro con lo Stato e l’imperialismo e fatto avanzare alle condizioni dell’oggi.

– Onore a Mario Galesi, militante delle BR-PCC, caduto in combattimento
– Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti
– W la strategia della Lotta Armata
– Proletari di tutto il mondo uniamoci.

 

I Militanti delle BR-PCC
Maria Cappello
Tiziana Cherubini
Franco Grilli
Flavio Lori
Fabio Ravalli

La Militante Rivoluzionaria
Vincenza Vaccaro

Dichiarazione allegata agli atti e letta in aula il 7 ottobre 2003.

 

Prima Corte d’Assise d’Appello di Roma, Udienza del 07/10/2003. Dichiarazione letta in aula da Stefano Minguzzi, allegata agli atti

Questa è la posizione rispetto al tribunale, al procedimento e ai fatti.

Come militanti prigionieri delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente riaffermiamo la validità dell’impianto strategico e della linea politica della nostra organizzazione rivendicandone per intero l’attività politico-militare, il ruolo di direzione e organizzazione nella conduzione del processo rivoluzionario in Italia. Un ruolo sempre svolto all’interno dei nodi centrali che caratterizzano lo scontro di classe intervenendo di volta in volta con l’attacco della guerriglia nella contraddizione dominante che oppone il proletariato allo Stato e all’imperialismo.

È questa attività rivoluzionaria, operata in stretta dialettica con i contenuti espressi dall’autonomia di classe, dentro l’indirizzo strategico della lotta armata, a costruire l’alternativa di potere del proletariato.

Coerentemente con questa concezione ribadiamo la rivendicazione dell’esproprio in via Prati di Papa come azione politico-militare finalizzata a reperire i mezzi necessari per portare avanti il programma rivoluzionario, un’azione tutta interna alla logica della guerriglia, al portato storico e strategico della lotta armata e in particolare al patrimonio di esperienza delle Brigate Rosse.

La fase politica e sociale in cui le Brigate Rosse rilanciano in questo paese la propria proposta strategica nello scontro generale tra le classi è profondamente diversa da quella in cui 30 anni fa avviarono la lotta armata contro lo Stato e l’imperialismo. In quegli anni le condizioni di impetuoso avanzamento generalizzato delle lotte proletarie e dei movimenti rivoluzionari e di liberazione dall’imperialismo in tutto il mondo ponevano concretamente alle avanguardie scaturite dal movimento di classe dei paesi del centro imperialista la questione di dare soluzione teorico-pratica al problema della presa del potere da parte del proletariato metropolitano mentre tutte le aspettative e le posizioni revisioniste storicamente presenti nel movimento operaio dimostravano di avere solo contribuito a consolidare e perpetuare il dominio della borghesia. Nella prospettiva storica del superamento del modo di produzione capitalistico e dell’estinzione della società divisa in classi, il programma dei comunisti ha sempre indicato le tappe della distruzione dello Stato borghese, della conquista violenta del potere politico e dell’instaurazione della dittatura proletaria come passaggi necessari e inevitabili del processo di liberazione della classe operaia dalla sfruttamento del lavoro salariato. Solo l’esercizio del potere politico da parte del proletariato in armi, organizzato come classe dirigente, può determinare infatti le condizioni per il compiuto sviluppo della trasformazione in senso comunista dei rapporti sociali. È precisamente su questo punto fondamentale che nelle alterne vicende del movimento operaio si è costruito il discrimine fra strategia rivoluzionaria e posizioni conciliatrici, compromissorie o gradualiste comunque destinate a ribadire la subordinazione del proletariato agli interessi della borghesia: evitare o rifiutare il terreno politico dello scontro per il potere eludendo la questione della natura di classe dello Stato ha sempre condotto il proletariato a sicura sconfitta. Con la nascita delle Brigate Rosse la lotta armata per il comunismo assolveva una funzione di sbocco politico e di avanzamento per le istanze di potere che maturavano nello scontro di classe verso una prospettiva rivoluzionaria i cui termini non venivano definiti solo in relazione all’andamento congiunturale della lotta, ma ai caratteri storici dello Stato e dell’imperialismo, quindi dell’approfondirsi dei termini della controrivoluzione in relazione alla situazione complessiva dello scontro e all’estensione e al radicamento della stessa lotta armata. Veniva superata una visione manualistica che riduceva il processo a due sole fasi, quella dell’accumulo delle forze e quella del loro disgregamento nella guerra civile e si comprendeva il carattere non lineare della successine delle fasi con il continuo riferirsi alle modificazioni indotte dagli esiti concreti dello scontro e quindi la necessità di conseguire la tappa storica della presa del potere attraverso un processo di guerra di classe di lunga durata.

Aver compreso, praticato e sviluppato la concezione strategica della lotta armata in uno Stato imperialista, aver unificato nel combattimento il piano politico e quello militare e, insieme, l’analisi di classe con la sua applicazione concreta sono conquiste irreversibili, punti di non ritorno acquisiti nel vivo dello scontro dal patrimonio rivoluzionario della storia delle Brigare Rosse.

La fase politica attuale, pur nel precisarsi dell’aggravamento delle condizioni strutturali di crisi del capitalismo, non si caratterizza per la disposizione generalizzata delle istanze proletarie sul terreno della lotta di potere né per lo sviluppo del movimento rivoluzionario. Oggi perciò la lotta armata rappresenta il piano su cui sostanziare il ruolo di avanguardia rivoluzionaria che parte dalla compiuta acquisizione dei termini politici e strategici elaborati dal patrimonio delle BR perché indispensabili per impattare adeguatamente le forme politiche con cui lo Stato si rapporta all’antagonismo proletario e adottare gli strumenti con cui operare la frattura soggettiva richiesta dalla consapevole assunzione del terreno di lotta per il potere. Per questo assume rinnovata importanza la chiarezza dei termini strategici su cui in ogni fase l’avanguardia può far avanzare lo scontro e che inducono anche a ricentrare correttamente la natura stessa del processo rivoluzionario, librandolo dalle incrostazioni spontaneiste e revisioniste, restituendogli funzione orientativa della prassi rivoluzionaria. In generale: i termini teorico strategici che impostano la strategia della lotta armata per il comunismo muovono dalla concezione marxista della necessità storica della rivoluzione comunista ad opera della classe operaia e del proletariato, come un processo che nasce dalle contraddizioni del capitalismo e della sua funzione nella storia sociale, per svilupparsi in continuità con la concezione leninista dell’imperialismo quale fase suprema del capitalismo, del ruolo che adempie lo Stato nella società divisa in classi antagoniste, e del rapporto tra Stato e rivoluzione che costituiscono la base teorica dei termini generali della conduzione della guerra di classe e della concezione strategica dell’attacco al cuore dello Stato, combattimento che caratterizza la guerra di classe di lunga durata nelle democrazie mature.

La strategia della lotta armata è la politica rivoluzionaria con cui le avanguardie comuniste organizzate nella guerriglia praticano obiettivi politicamente offensivi, cioè rivolti all’indebolimento dello Stato nella sua azione di dominio sulla classe nella prospettiva della sua completa distruzione e facendo avanzare l’antagonismo proletario sul terreno della lotta per il potere. La guerriglia, con l’attacco militare contro l’azione dello Stato di governo della crisi e del conflitto, disarticolandone gli equilibri politici che la sostengono, agisce da partito per costruire il partito, opera la trasformazione dello scontro di classe in scontro per il potere, in guerra di classe, costruendo e disponendo le forze proletarie e rivoluzionario che si dialettizzano alla linea e al programma politico proposti dalla guerriglia.

Con la strategia della lotta armata le avanguardie e il proletariato rivoluzionario immettono nello scontro di classe gli obiettivi dello scontro per il potere che costituiscono il programma politico intorno a cui costruire la guerra di classe di lunga durata, in funzione e relativamente alle diverse fasi che essa attraversa, sia quando sono connotate prevalentemente dal ripiegamento delle forze e dall’arretramento del proletariato, sia quando lo sono dall’attestamento di avanzamenti dello scontro rivoluzionario, aprendo il rapporto di guerra “fin da subito” e cioè in qualunque condizione storica, anche a partire dai nuclei esigui di avanguardie rivoluzionarie che lo assumono soggettivamente come proprio obiettivo, proponendolo alla classe.

La guerra di classe è condotta nell’unità del politico e del militare, tanto nell’iniziativa politica che nell’organizzazione delle forze, perché il potere della borghesia imperialista è organizzato in funzione antiproletaria e controrivoluzionaria, con progettualità e mezzi che integrano il piano politico e quello militare, e articola le sue iniziative nella costante azione tesa a convogliare la lotta di classe all’interno di compatibilità economico-sociali e forme di rapporto istituzionalizzate per svuotarne di contenuti la contrapposizione e annientarne la spinta antagonistica. Nelle diverse congiunture l’iniziativa rivoluzionaria deve rivolgersi quindi contro le politiche con cui lo Stato affronta la contraddizione dominante tra le classi, per disarticolare l’equilibrio politico dominante, rendere relativamente ingovernabili le contraddizioni e disporre sullo scontro per il potere le avanguardie e i proletari rivoluzionari. Il processo rivoluzionario nella metropoli imperialista è quindi un processo di distruzione dello Stato che attraverso l’offensiva militare finalizzata alla sua disarticolazione politica procede in rapporto alla trasformazione concreta degli equilibri di forza e politici verso una fase di guerra dispiegata, processo in cui l’aspetto politico è sempre dominante. Nelle condizioni di scontro presenti nel centro imperialista la guerriglia vive in “stato di accerchiamento strategico” dall’inizio della sua attività fino alla fase finale della presa del potere. Ha dunque un rapporto con il nemico di guerra senza fronti, in cui non ci sono spazi politici diversi da quelli che la guerriglia stessa si conquista per esistere ed avanzare e su cui attestare le forze organizzate. La guerra di classe nel centro imperialista nasce perciò dall’attacco politico-militare al nemico e non da forze accumulate giudicate sufficienti a condurla nelle sue fasi successive.

La guerra non è costituita solo da iniziativa militare perché è una guerra di classe in cui il nemico non è una forza esclusivamente militare, ma lo Stato, cioè una forza politico-militare il cui rapporto con il proletariato è dominato dalla politica proprio in funzione contro rivoluzionaria e della stabilità del proprio dominio, per cui l’attacco militare e la corrispettiva forza da costruire per condurre la guerra, devono essere rivolti a colpirne l’azione politica, non le forze militari in quanto tali e devono esprimere una capacità offensiva selettiva dell’azione politica del nemico per ottenere l’effetto del suo logoramento.

La guerra di classe è di lunga durata perché le contraddizioni intrinseche del capitalismo non portano a un crollo, il potere politico è stabile, la borghesia imperialista convoglia interessi sociali attorno al suo potere perché le condizioni per lo sviluppo della guerra di classe stessa sono prodotte dall’azione soggettiva delle forze rivoluzionarie, che deve realizzare un logoramento del nemico e una costruzione delle forze del proprio campo per poter arrivare a una rottura rivoluzionaria vincente.

Coerentemente col principio dell’unità del politico e del militare che informa la guerra di classe nei paesi a democrazia matura, la strategia della lotta armata definisce il partito comunista come un partito combattente e in relazione alla natura del processo rivoluzionario – di distruzione dello Stato/costruzione del partito – definisce la sua formazione come risultato di un processo politico-militare che la guerriglia determina sulla linea dell’agire da partito per costruire il partito. Per le Brigate Rosse le condizioni politiche della costruzione del partito comunista combattente si danno a partire dalla capacità di disarticolare l’azione politica dello Stato, perché la progettualità con cui lo Stato interviene nelle congiunture politiche della contraddizione dominante che oppone le classi è la modalità con cui si esprime la sua funzione antiproletaria e controrivoluzionaria. Le Brigate Rosse non sono il partito ma sono la forza rivoluzionaria operante come un esercito rivoluzionario che attaccando lo Stato nelle sue politiche centrali sostanzia l’agire da partito per costruire il partito e avvia la costruzione del partito, la costruzione degli elementi politico-teorici, strategici, soggettivi, organizzativi che costituiscono il nucleo fondante il partito.

Il programma politico di disarticolazione dello Stato che le Brigate Rosse propongono alla classe definisce gli obiettivi programmatici concreti che costituiscono nello scontro di classe effettivo il piano di lotta per il potere, di costruzione del partito comunista combattente e di mobilitazione della classe sulla sua linea politica. Il progetto politico con cui lo Stato affronta la contraddizione dominante tra le classi è il cuore dello Stato. Non si tratta quindi di un uomo, di una struttura, di una funzione o di uno specifico apparato statale, ma di una progettualità che non si definisce a tavolino una volta per tutte, ma si imposta e si aggiorna irradiandosi progressivamente nel complesso delle relazioni tra le classi, specificando la costruzione di equilibri politici generali e parziali intorno ad essa. Il massimo vantaggio politico conseguibile dal combattimento si dà colpendo il personale che costruisce l’equilibrio politico in grado di far avanzare i programmi della borghesia imperialista, un equilibrio che lega interessi non univoci e anzi contrastanti agli interessi sociali e agli obiettivi politici della frazione dominante della borghesia imperialista. La guerriglia può conseguire così l’obiettivo politico di disarticolare la progettualità statale, squilibrandone l’azione delle varie forze che concorrono a realizzarla. La disarticolazione non è effetto politico ottenuto una volta per tutte con un singolo attacco, ma si produce nella misura in cui si sviluppa il combattimento. L’attacco allo Stato non è inteso in sé e per sé a paralizzare e a impedire in modo assoluto lo sviluppo reale delle sue politiche antiproletarie e controrivoluzionarie, per far questo è necessario un intero processo di guerra che faccia man mano conquistare posizioni più avanzate nei rapporti di forza e politici alla classe organizzata dal partito comunista combattente sul terreno della guerra. L’attacco al cuore dello Stato quindi è al linea strategica di disarticolazione politica dello Stato, impostata sui criteri di centralità, selezione e calibramento definiti dal patrimonio della guerriglia delle Brigate Rosse nel nostro paese.

Il rilancio dell’attacco al cuore dello Stato operato dalle BR-PCC con l’iniziativa del 20 maggio ’99 contro D’Antona ha dimostrato la vitalità e la propositività politica della strategia della lotta armata nello scontro generale tra le classi, pur a fronte di una lunga interruzione del combattimento nella quale sono intervenuti cambiamenti sociali e politici che hanno riguardato i termini della mediazione politica tra le classi stesse. Questo primo rilancio dell’intervento combattente ha confermato la maturità raggiunta dalla guerriglia nel nostro paese e del patrimonio elaborato e verificato nel corso dello scontro rivoluzionario dalle Brigate Rosse. Un rilancio a cui lo Stato ha risposto elevando i livelli di controrivoluzione, come sempre al fine di annientare la guerriglia e di esercitare un’azione deterrente e preventiva sulla dialettica aperta dall’iniziativa delle BR-PCC con le istanze antagoniste prodotte dal conflitto di classe, un’azione sostenuta dai mezzi, dalle ingenti risorse e dagli apparati repressivi rafforzati in questi anni e dal collaborazionismo di quei ceti politici che hanno fatto del controllo delle realtà di classe il valore d’uso del loro ruolo da parte dello Stato e quindi la condizione della propria agibilità politica. Questo non ha impedito, pur nella situazione di arretramento complessivo del campo proletario e di svuotamento del movimento rivoluzionario, che si potessero avviare delle dialettiche politiche che sono andate dalla semplice espressione pubblica del riconoscimento della prassi rivoluzionaria delle BR, in varie forme ovviamente adeguate a parare la reazione della controrivoluzione, ad istanze e nuclei rivoluzionari che hanno preso concretamente posizione sia in appoggio all’iniziativa delle BR sia assumendosi la responsabilità di disporsi nello scontro con contenuti e pratiche offensivi, definendo così uno schieramento rivoluzionario. Al di là delle specificità queste dialettiche hanno avviato un percorso politico e materiale concreto di costruzione di un reale campo rivoluzionario sulla base della discriminante della lotta armata per il comunismo. Piano diverso da quello della formazione di uno schieramento rivoluzionario è quello della costruzione del partito comunista combattente, un’entità che non si produce spontaneamente o come frutto virtuale di un allineamento ideologico, ma è un’organizzazione concreta centralizzata su una linea precisa e con un’articolazione di strutture in grado di applicarne il programma politico-militare in base all’impianto teorico e strategico della lotta armata, all’indirizzo politico-strategico delle Brigate Rosse. È questa impostazione di fondo che garantisce alle BR-PCC la capacità di individuare e colpire il cuore dello Stato.

Con l’azione del 19 marzo 2002 contro Biagi, ideatore e promotore delle linee e formulazioni legislative elaborate nel “Libro bianco”, l’attacco delle Brigate Rosse in quanto prassi cosciente e adeguata alla fase, ha indotto visibilmente una netta chiarificazione del quadro politico e sociale rilevando responsabilità e posizioni di tutte le forze in campo, riconducendole alla sostanza del conflitto inconciliabile fra gli interessi generali del proletariato e quelli della borghesia imperialista, al rapporto rivoluzione/controrivoluzione. Colpendo Biagi le BR-PCC attaccano la progettualità politica della frazione dominante della borghesia imperialista nostrana, per la quale l’accentramento dei poteri nell’esecutivo, il neo corporativismo, la stabilizzazione dell’alternanza fra coalizione incentrate sui propri interessi, il “federalismo” costituiscono le condizioni per governare la crisi e il conflitto di classe in questa fase storica segnata dalla stagnazione economica e dalla guerra imperialista. Una progettualità politica tesa a riadeguare il dominio della borghesia imperialista e rafforzarlo nei confronti delle istanze proletarie e della tendenza al loro sviluppo in autonomia politica antistatuale e antiistituzionale che nascono dalle attuali condizioni strutturali. Una progettualità politica che si costruisce e si sviluppa attraverso entrambi gli schieramenti politico-istituzionali e che, misurandosi con i nodi generati dalle risposte di politica economica, di riforme strutturali e di rifunzionalizzazione dello Stato che sono state messe in campo negli anni trascorsi per governare la crisi e il conflitto di classe, deve ora affrontare il contemporaneo maturarsi di questi processi. Diventa quindi decisiva la capacità di integrare organicamente i passaggi di questa duplice priorità che ha connotato in generale le legislature degli anni ’90 pena l’incapacità di governare efficacemente le contraddizioni alimentate dall’andamento della crisi. Il governo Berlusconi si è insediato qualificando quale aspetto prioritario del suo programma proprio l’accelerazione e l’approfondimento del processo di complessiva ristrutturazione e riforma del sistema economico-sociale. La effettiva capacità di varare una serie di riforme definite improcrastinabili avrebbero costituito un punto di forza per consolidare il sostegno di tutti i settori confindustriali (come non si verificò durante la prima esperienza governativa del centro-destra) e limitare la vulnerabilità di una maggioranza coesa dalla figura stessa di Berlusconi caratterizzata notoriamente (rispetto ad altri paesi a democrazia matura) dall’anomala concentrazione di interessi capitalistici e politici, perciò vulnerabile all’iniziativa congiunta della concorrenza economica e dell’opposizione parlamentare, anche attraverso le molte occasioni offerte all’iniziativa giudiziaria. L’azione dell’esecutivo per la riforma del mercato del lavoro secondo le direttrici delineate dal Libro bianco di Biagi riflette il livello di crisi a cui è pervenuto il capitale che obbliga la borghesia imperialista a recuperare margini di profitto e prevenire l’acutizzarsi del conflitto fra interessi sempre più polarizzati, a fronte di una base produttiva in continua contrazione, processo che, come hanno dimostrato gli ultimi trent’anni, non c’è politica economica in grado di invertire, specie dopo il varo dell’euro e l’impossibilità di ricorrere al palliativo delle “svalutazioni competitive”. In questo quadro per una economia come quella italiana sempre più debole nelle produzioni di punta e sottoposta tanto alla concorrenza dei monopoli europei e americani quanto a quella dei “paesi emergenti” diventa necessaria una riorganizzazione delle relazioni sociali in funzione: 1) dell’obiettivo della competitività del capitale attraverso la regolazione al ribasso del costo del lavoro grazie all’organizzazione del mercato del lavoro tesa a rendere l’esercito industriale di riserva non solo un perenne calmieratore del prezzo della forza lavoro ma un fattore forzoso (le politiche “attive”) di capacità competitiva del sistema economico sociale; 2) della strutturazione di forme di rapporto sociale idonee non solo a rendere “flessibili” i fattori produttivi umani, cioè la forza-lavoro, ma anche a rimodellare il conflitto per prevenire la caratterizzazione di classe, tramite le nuove condizioni contrattuali e normative appositamente articolate per la selettività progressiva e individualizzata dall’accesso al lavoro salariato; 3) della rimodellazione della rappresentanza politica e sociale in correlazione ai processi di accentramento nell’esecutivo delle misure necessarie al governo della crisi, esecutivizzazione da articolare in dimensioni localizzate e tra loro, a volte, competitive (col supporto dei necessari strumenti di coercizione e repressione – polizie regionali e provinciali) presupposto questo tanto della riforma dello Stato in senso “federale” che della tenuta del fronte interno rispetto all’impegno bellico costane dello Stato. La compenetrazione tra pubblico e privato nei settori dell’istruzione, della sanità, dell’assistenza, etc. con un maggior ruolo delle fondazioni, del terzo settore, dei fondi per la previdenza integrativa privata, dà una base economica e sociale concreta a questo disegno politico, come pure glielo assicura l’ulteriore trasformazione del sindacato confederale (ufficialmente rivendicata da Cisl e Uil) in associazione di iscritti ai quali fornire essenzialmente “servizi”, e non più ruolo di organizzatore del conflitto col capitale. È riferendosi politicamente a questa base sociale che il governo formalizza quel modello di nuove relazioni neo corporative delineate nel “Patto per l’Italia”, sottoscritto con solo una parte dei sindacati confederali e giunto a compiuta definizione dopo una serie di forzature e successive mediazioni connesse alla necessità di stabilizzare la fase del superamento della concertazione come “metodo per governare”, concertazione già entrata in crisi manifesta con il governo D’Alema per la resistenza che suscitavano nella classe le misure che ne giustificavano il ruolo politico e la difficoltà di varare le ulteriori trasformazioni del mercato del lavoro per cui premeva la Confindustria. Se alcune componenti governative sottolineano la novità del metodo del “dialogo sociale” mentre altre evidenziano i fattori di continuità con la lunga storia delle relazioni neo corporative e, in stretta consonanza con la Cisl definiscono il nuovo assetto “concertazione con chi ci sta”, l’esecutivo nella sua interezza, attraverso il “Patto per l’Italia” opera per ottenere quel ridimensionamento del peso politico della Cgil che comporta anche l’indebolimento del Centro-sinistra e in particolare dei DS. L’esito del referendum sull’art. 18 e l’approvazione del decreto attuativo della riforma Biagi segnano ulteriori passaggi di un’azione di governo che non ha ancora dispiegato interamente i propri contenuti antiproletari ma la cui tenuta politica è comunque vincolata dall’efficacia con cui perseguirà il processo di rimodellazione economica e sociale, condizione interna imprescindibile per il ridefinirsi del ruolo dell’Italia nelle politiche centrali dell’imperialismo. Perciò l’esecutivo è impegnato a sciogliere nodi cruciali tuttora esistenti come una effettiva riforma previdenziale secondo linee ormai proprie a tutti i paesi a democrazia matura e l’avvio di una revisione costituzionale necessaria per fornire un compiuto quadro istituzionale funzionale alla progettualità politica della borghesia imperialista. Il riadeguamento delle forme di domino della borghesia è una dinamica in corso che investe tutti i paesi imperialisti. Nel caso italiano questo processo si carica di un ulteriore valore politico immediato, assumendo la funzione di verifica della capacità dell’esecutivo nella gestione di un periodo di riacutizzazione dello scontro di classe nella prospettiva di aggravamento in senso apertamente recessivo dell’attuale stagnazione economica, e insieme di verifica, che, sul piano internazionale, il governo Berlusconi garantisca di saper articolare la conferma del rapporto bipolare privilegiato con gli Usa e il ruolo italiano nel riavvio dei processi di coesione europea dopo il posizionamento differenziato dei maggiori paesi imperialisti a fronte delle forzature americane per accelerare i tempi dell’attacco all’Iraq. L’attiva partecipazione italiana alla proiezione bellicistica delle politiche centrali dell’imperialismo si concretizza nel massimo dispiegamento di truppe operative oltre confine (Balcani, Afghanistan, Iraq) mai verificatosi nella storia recente del paese, impegno consentito dal compiersi della trasformazione delle forze armate, avviata dai governi di centro-sinistra, da esercito di leva a esercito di mestiere, impostato organizzativamente sul crescente impegno in missioni all’estero in piena coerenza con la tendenza alla guerra che caratterizza la fase attuale dell’imperialismo.

Con l’attacco dell’11 settembre l’intera catena imperialista si è dovuta misurare con le conseguenze e le ripercussioni in ogni parte del mondo. L’elevata potenza distruttiva dell’azione e la sua specifica selettività hanno inferto un rilevantissimo colpo destabilizzante tale da indurre la controrivoluzione imperialista ad operare un salto di qualità complessivo con immediate implicazioni politiche e sociali interne ai vari Stati e riflessi a lunga scadenza sugli equilibri internazionali, sullo stesso significato della mediazione politica, sul piano del diritto, sul ruolo e la funzione delle organizzazioni sovrannazionali, sul’assetto delle alleanze e sugli sviluppi della stessa dottrina militare. È stata infatti dimostrata la praticabilità (e quindi la possibile reiterazione) di un attacco di portata prima impensabile ad obiettivi centrali, politico-militari ed economico-finanziari nel cuore del territorio nemico senza impiegare le sue tecnologie avanzate e senza disporre l’enorme capacità distruttiva dei suoi arsenali. La successiva propaganda sulle vittorie conseguite nella guerra al “terrorismo internazionale” non ha potuto comunque mistificare l’evidenza storica di un’azione che ha sbriciolato il mito americano dell’inviolabilità del proprio spazio metropolitano, privando nei fatti gli Usa di uno dei pilastri di quel potere di deterrenza da sempre basato sull’asserita impossibilità di subire danni paragonabili all’entità delle distruzioni inflitte in tutto il mondo nel corso di decenni di aggressioni imperialiste. In questo senso l’11 settembre ha rappresentato un concreto fattore di contrasto della strategia americana, ne ha dimostrato la vulnerabilità sistemica, l’ha costretta a modificare piani e tempi di applicazione pur senza ovviamente farne venir meno gli interessi che la motivano, scaturiti da ragioni strutturali, proprie della dinamica generale della crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale che si riflette nell’estendersi e prolungarsi della recessione con le sue conseguenze geopolitiche sulla rimodellazione gerarchica della catena imperialista. Gli Usa hanno dovuto perciò accelerare la propria mobilitazione, esponendosi alle contraddizioni di scelte operate per reazione e non nel momento e nelle modalità previste, dovendosi limitare ad allestire una coalizione a sostegno dell’aggressione dell’Afghanistan non interamente attivizzata nell’invasione nonostante la conclamata e pressoché unanime adesione ad “Enduring freedom”. Questa accelerazione della proiezione bellica americana già all’indomani dell’occupazione dell’Afghanistan si è tradotta nell’adozione ufficiale della nuova “Strategia per la sicurezza nazionale” da parte dell’amministrazione Bush. È il passaggio dalla dottrina della deterrenza e del “contenimento” delle situazioni di crisi alla rivendicazione del diritto alla “guerra preventiva” come garanzia del consolidamento dell’egemonia globale attraverso l’intervento militare diretto in qualsiasi contesto individuato come potenzialmente pericoloso per gli interessi Usa. In tale quadro la mediazione politica assume sempre più le vesti di una forzatura, tendente a ricomporre le contraddizioni latenti nel campo imperialista con il riadeguamento della Nato ai nuovi compiti (allargamento che influisce sulla dinamica del processo di coesione europea, ampliamento indefinito dell’area operativa) ed affidando una volta per tutte all’Onu il ruolo di ratifica del fatto compiuto, con copertura strumentale e relativa cosmesi “umanitaria” delle linee stabilite da Washington. La vecchia rete di alleanze viene affiancata dalla promozione di coalizioni a “geometria variabile” finalizzate sia all’obiettivo immediato da conseguire sia alla verifica permanente del riallineamento gerarchico della catena imperialista. Nel rapporto Usa/Europa (e in particolare con Francia e Germania da un alto e con i paesi del “Gruppo degli otto” dall’altro) l’applicazione di questo schema politico-diplomatico ha aperto al strada dell’aggressione all’Iraq. La decennale resistenza di questo paese all’embargo e alla costante pressione militare angloamericana, nonché l’indisponibilità del suo governo ad alcun compromesso con l’entità sionista e l’appoggio fornito alle componenti (nazionali e islamiste) più conseguenti della resistenza palestinese, facevano dell’Iraq il maggiore ostacolo al dominio imperialista di tutta l’area più cruciale per il controllo delle risorse energetiche e per il futuro assetto degli equilibri internazionali. Un’area che alla vigilia dell’attacco a Baghdad vede ai suoi due estremi da una parte l’avvenuto insediamento politico-militare Usa in Asia centrale e dall’altra la rinnovata offensiva israeliana contro il popolo palestinese per piegarne definitivamente la resistenza e costringerlo ad accettare la sottomissione storica all’entità sionista, reale contenuto di ogni manovra e accordo diplomatico per la pacificazione dai patti di Oslo in poi. L’annientamento del governo iracheno e la dissoluzione del paese come struttura statale ed entità nazionale autonoma e indipendente sono quindi l’obiettivo su cui convergono gli interessi americani, sionisti e quelli inglesi, orientati a riproporre l’influenza britannica in un’area dove tradizionalmente è sempre stata insediata sia a veder confermata la posizione dell’Inghilterra come partner privilegiato degli Usa. Si delinea così l’ambizioso disegno complessivo di riscrivere la carta geografica mediorientale attraverso una serie di tappe che, a partire dall’occupazione dell’Iraq e dall’incameramento delle sue risorse petrolifere, prevedono crescenti misure economiche, politiche e militari di pressione diretta su Siria e Iran e indiretta verso quei paesi della Lega araba che, seppur strettamente vincolati a Washington, rappresentano un potenziale fattore di crisi a fronte di una situazione interna dove l’insofferenza crescente delle masse per condizioni economiche e sociali in progressivo deterioramento si alimenta politicamente con il riferimento alla resistenza palestinese come punta avanzata della lotta al sionismo e alla presenza imperialista. La conquista di Baghdad con la conclusione relativamente rapida delle operazioni manovrate, ha confermato – dopo la Jugoslava e l’Afghanistan – l’evidente strapotere americano nella conduzione dei conflitti tradizionali tra forze regolari, non solo grazie all’enorme disponibilità di mezzi e risorse mobilitabili da una rete sempre più estesa di basi logistiche ma per l’impiego di tecnologie sofisticate missilistiche, avioniche, satellitari frutto dell’espansione del complesso militare-industriale come scelta di politica economica controtendenziale alla dinamica generale della crisi e volano per il rilancio dell’apparato produttivo. La tattica impiegata non ha provocato affatto vittime civili solo come “effetto collaterale” di obbiettivi militari: ancor più che in Afghanistan lo scopo di colpire le popolazioni inermi è stato perseguito come parte integrante della pianificazione operativa così come il surplus di brutale cinismo con venature razziste della concomitante campagna mediatica. Eppure è proprio nel momento della massima ostentazione della potenza Usa che si evidenziano le difficoltà e l’arco di contraddizioni aperto da una strategia imperialista in cui ogni avanzamento è precondizione vincolante di ulteriori forzature. All’impossibilità di allestire in tempi politicamente utili un credibile governo collaborazionista si somma la crescente intensità e diffusione della resistenza popolare irachena e la sua prospettiva di passaggio alla fase della guerriglia dispiegata. Questa situazione, oltre a frustrare le aspettative di un veloce ritorno economico con l’immediata spartizione del bottino petrolifero e la sua immissione sul mercato, pone alle forze occupanti enormi problemi di prospettiva che l’allargamento del numero e della consistenza dei contingenti già presenti ad affiancare gli angloamericani (come quello italiano a Nassiriya) non sono attualmente in grado di risolvere. Nel contempo rimane più che aperto il quadro di operazioni afghano (anch’esso dato molto prematuramente come già pacificato) e si radicalizza l’opposizione palestinese alla cosiddetta “Road map”.

La catena imperialista a guida Usa nell’allargare i fronti di conflitto si espone alla dispersione delle forze e laddove deve insediarsi militarmente per conquistare e preservare il controllo fisico del territorio crea quindi le stesse condizioni che favoriscono la resistenza e il contrattacco antimperialista, sostenendo costi economici e politici crescenti e perdite umane sempre meno sopportabili, a dimostrazione dell’intrinseca vulnerabilità di una strategia a cui per prevalere non basta il più formidabile degli arsenali.

L’attacco all’imperialismo è asse programmatico della strategia che le BR praticano e propongono alla classe e con cui storicamente hanno sostanziato la necessità e possibilità di alleanze antimperialiste tra forze rivoluzionarie dell’area europeo-mediterranea-mediorientale da stringere nella costruzione di un Fronte combattente antimperialista che ha lo scopo di indebolire e destabilizzare l’imperialismo attaccandone le politiche centrali. Se per le BR-PCC lo sviluppo del processo rivoluzionario continua a realizzarsi facendo “la rivoluzione nel proprio paese” perché questa rimane la dimensione politica principale della lotta fra le classi, l’integrazione della catena imperialista intorno al capitale statunitense e al sistema di alleanze a egemonia americana, il formarsi di una frazione di borghesia imperialista aggregata al capitale finanziaria Usa e di un proletariato metropolitano costituiscono i termini attuali della contraddizione storica borghesia/proletario in tutto il campo imperialista entro cui si ripropongono i nodi dello sviluppo di una prassi rivoluzionaria adeguata a far avanzare una prospettiva di potere. Questa condizione politica generale richiede fin da subito di praticare l’obiettivo dell’indebolimento dell’imperialismo operando sull’asse programmatico dell’attacco alle sue politiche centrali. L’obbiettivo politico-strategico della costruzione del Fronte combattente antimperialista può essere raggiunto nella misura in cui si realizzano condizioni politiche e militari per attaccare l’imperialismo da parte di forze rivoluzionarie dell’area europeo-mediterranea-mediorientale, area che ha una sua estrinseca complementarietà economico-politico, cioè di forze rivoluzionarie che possono avere anche diverse finalità o concezioni rivoluzionarie. Il FCA non sostituisce l’obiettivo storico del processo di costruzione dell’Internazionale comunista che è realizzabile tra forze che hanno identiche finalità politiche e concezione teorica e condividono la discriminante di fondo della lotta armata per il comunismo. Una discriminante storica che ha rimarcato l’inconciliabilità con le posizioni revisioniste, comunque camuffate. Oggi i simulacri residuali di queste opzioni politiche si rinnovano non solo come legittimatori, ma come veri e propri attori dell’azione degli Stati imperialisti nel genocidio dei popoli e nella subordinazione del proletariato alla schiavitù salariata, sulla base dell’attribuzione di un valore assoluto alla democrazia rappresentativa borghese come fattore di superiorità e di conquiste sociali in cui il proletariato potrebbe avanzare le proprie istanze di “libertà e diritti” e che perciò gli Stati imperialisti sarebbero legittimati ad imporre nel mondo con la guerra, contro il proletariato e i popoli tramite la sconfitta di quelle forze antimperialiste o rivoluzionarie che si pongono sul terreno di una lotta finalizzata alla distruzione dell’imperialismo o anche solo alla difesa di una reale autonomia nazionale di singoli paesi. La situazione in Palestina e Iraq dimostra che lo scontro continua e la avanguardie rivoluzionarie sapranno fare del contrasto contro le mire israelo-anglo-statunitensi di ridefinizione a proprio vantaggio degli equilibri in medio oriente un punto di programma su cui aprire la prospettiva storica della costruzione del fronte combattente antimperialista promuovendo i termini politico-militari necessari per affrontare gli impegnativi e decisivi compiti legati alla trasformazione della guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe.

Abbiamo il dolore e l’orgoglio di rendere onore al nostro compagno Mario Galesi, caduto il 2 marzo 2003 combattendo per il comunismo. Nella guerriglia si mette a disposizione se stessi, si combatte e si può cadere, come è accaduto nella storia a tanti compagni. Mario Galesi ha fatto questa scelta di militanza con la responsabilità che ne è connessa e con la coerenza di cui è stato capace, cosciente di quanto ciò sia necessario per l’avanzamento del processo di liberazione del proletariato, nella sua lotta per il potere, la distruzione dello Stato e dell’imperialismo, per l’abolizione di lavoro salariato e capitale, per il superamento rivoluzionario della società divisa in classi.

La sua vita e la sua storia dimostrano come, nel processo di costruzione del Partito comunista combattente, la militanza rivoluzionaria si misura con una profonda frattura politica soggettiva, necessaria alle avanguardie cresciute nelle lotte del proletariato per trasformare un ruolo politico che si forma e matura nel contesto del movimento di classe in un ruolo indispensabile e più avanzato; un ruolo che determina il proprio rapporto con la classe in quanto combattente contro lo Stato e l’imperialismo. È questo un mutamento complessivo del punto di vista formatosi nella storia di una militanza e nella mobilitazione delle lotte in un salto qualitativo che consiste nell’assumere le finalità della lotta armata per il potere come propria finalità soggettiva. Il compagno caduto ha messo a disposizione senza limiti le proprie forze nel programma rivoluzionario delle Brigate Rosse. Il suo impegno, lo studio e il lavoro politico-militare, la sua vita sono ricchezza collettiva del partito combattente e del proletariato rivoluzionario. Vivono, come la storia di cui è parte, nelle finalità, nella strategia, nella linea, nel programma, nella prassi combattente delle Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente, che egli ha contribuito a sviluppare, entro cui operava quando è caduto, e che oggi l’organizzazione porta avanti nella conduzione dello scontro, adesso e domani. Perché lo scontro continua e le BR-PCC proseguiranno nella linea di attacco al cuore dello Stato, oggi che, anche confidando nel vantaggio militare momentaneamente conseguito contro la guerriglia, l’esecutivo Berlusconi si propone di accelerare le tappe di attuazione del programma antiproletario di rimodellazione economico-sociale e istituzionale delle forme di dominio statale, condizione interna imprescindibile per il ridefinirsi del ruolo dell’Italia nelle politiche centrali dell’imperialismo.

Come militanti prigionieri delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente rivendichiamo di fronte al nemico e di fronte alla nostra classe la nostra piena responsabilità per la storia, per il programma, per la linea politico-militare, per la prassi combattente della nostra organizzazione dal 1970 ad oggi.

Ai tribunali dello Stato imperialista non riconosciamo il diritto di giudicarci: siamo combattenti nemici prigionieri nel quadro di un conflitto concreto oggi più chiaro che mai. Il nostro rapporto con lo Stato e la giustizia borghese non può che essere un rapporto di guerra. Della nostra condotta politica e pratica rispondiamo solo al proletariato e alla nostra organizzazione che ne rappresenta gli interessi strategici.

Meglio di noi prigionieri, dunque, parlerà la guerriglia in attività, le Brigate Rosse.

– Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di rimodellazione economico-sociale neocorporativa e di riforma dello Stato.

– Organizzare i termini politico-militare per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata.

– Attaccare le politiche centrali dell’imperialismo, dalla linea di coesione europea ai progetti e alle strategie di guerra e controrivoluzionari diretti dagli Usa e dalla Nato.

– Promuovere la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista.

– Trasformare la guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe.

 

Onore al compagno Mario Galesi caduto combattendo per il comunismo!
Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti!

Militante prigioniero delle Brigate Rosse
per la costruzione del PCC
Minguzzi Stefano

Roma 07/10/2003

Tribunale di Roma, udienza GUP 13/09/2004. Dichiarazione di Francesco Donati allegata agli atti

Intendo precisare come la mia presenza in questa aula nel corso del processo non sia dettata da un interesse sul piano giudiziario in virtù delle accuse che mi vengono mosse, e questo non solo per la pretestuosità delle stesse e dalle motivazioni politiche che sono alla base di questo processo, ma perché qui si tenta di processare la guerriglia e il processo rivoluzionario portato avanti, pur tra mille difficoltà, dalle Brigate Rosse Partito Comunista Combattente, ed è questo, e solo questo, il dato politico che emerge in tutta la sua forza ed evidenza in questa aula. Un’aula di giustizia borghese non è certo un luogo neutrale, al di sopra delle classi, ma la sede dove vengono applicate le leggi della dittatura di classe contro tutti coloro che sono spinti da condizioni economiche e sociali, grazie anche alle condizioni di sfruttamento e ricatto di un mercato del lavoro sempre più flessibile ed aleatorio e piegato agli interessi del capitale, verso un terreno di più o meno aperta “neutralità”; un luogo che è espressione di una funzione politica dell’esercizio del dominio di classe e questo lo è in modo ancor più evidente quando lo Stato borghese ha la presunzione di voler processare la guerriglia, il processo rivoluzionario, la storia del percorso di liberazione delle classi subalterne. E se è possibile lo è ancora di più in questa occasione ed in questo particolare processo dove anche attraverso l’utilizzo dei prigionieri nella loro condizione di ostaggi, cui si cerca di attaccare e svilire l’identità rivoluzionaria tentando di criminalizzarne gli atti politici, anche attraverso accuse deliranti e cercando in ciò di impedirgli di esercitare il ruolo e la funzione storica di rappresentare in ogni circostanza e al livello più alto i contenuti rivoluzionari propri dell’avanguardia. Aspetto questo che va al di là di questo specifico processo per caratterizzare invece in questa fase la politica della controrivoluzione nei confronti dei prigionieri rivoluzionari nel tentativo di farne un simulacro di deterrenza. Si vorrebbe cercare di far passare la storia e l’attività delle Brigate Rosse Partito Comunista Combattente, in particolare il percorso di ricostruzione operato in questi anni dai militanti rivoluzionari che si sono assunti la responsabilità politica di rimettere al centro dello scontro il dato politico assente ossia l’attacco al cuore dello Stato inteso come attacco al progetto centrale della borghesia imperialista, e per questo e solo in virtù di questo hanno assunto la denominazione di Brigate Rosse Partito Comunista Combattente in continuità con il patrimonio dell’Organizzazione e con i suoi termini più avanzati, assumendo così il ruolo di direzione dello scontro rivoluzionario in Italia, come un fatto del tutto residuale, opera di un gruppo di militanti completamente isolati e scollegati dalla realtà sociale e politica di questo Paese e dal più generale contesto internazionale caratterizzato sempre più da fame, oppressione e guerra, nell’ambito della quale l’Italia svolge un ruolo decisamente attivo a fianco dell’imperialismo USA. Di più, in questo quadro e coerentemente agli obiettivi della propaganda controrivoluzionaria, si vorrebbe far passare quanto prodotto dalle Brigate Rosse Partito Comunista Combattente con il rilancio della Strategia della Lotta Armata per il Comunismo, come frutto di decisioni politiche ed organizzative elaborate tra le mura del carcere imperialista e impartite all’esterno a chi avrebbe solo dovuto metterle in pratica. Non è certo così che funziona ed i fatti stanno a dimostrare esattamente il contrario e paradossalmente questo stesso processo, nelle necessità di fondo che lo animano, dimostra l’assoluta inconsistenza di questa costruzione politico/giudiziaria che è appunto il frutto e il tentativo di risposta messo in campo dallo Stato borghese per cercare di contrastare e delegittimare l’enorme qualità e lo spessore politico dimostrato dall’Organizzazione con le iniziative del 20 maggio 1999 contro Massimo D’ Antona e del 19 marzo 2002 contro Marco Biagi, con le quali sono stati attaccati e contrastati gli aspetti centrali del progetto neocorporativo che ci dimostrano, qualora ce ne fosse ulteriore bisogno, la maturità del nostro processo rivoluzionario. È il grado di attestazione al quale le forze rivoluzionarie che operano nel nostro paese e in generale nelle metropoli imperialiste non possono venir meno se vogliono incidere realmente nei rapporti di forza generali tra le classi e far pesare nello scontro gli interessi generali del proletariato e l’obiettivo strategico della presa del potere. Processo questo che rientra a pieno titolo in quella che è “l’offensiva” politico/giudiziaria che la borghesia ha lanciato nel tentativo di capitalizzare al massimo, per farli pesare nello scontro, i risultati ottenuti con la cattura di una compagna e la morte in combattimento del compagno Mario Galesi avvenuti a seguito di un episodio del tutto accidentale; catture,      processi,         condanne, campagne massmediatiche e mistificatorie nel tentativo di riequilibrare tatticamente la condizione politicamente e strategicamente difensiva in cui si è venuto a trovare lo Stato, a seguito del rilancio della strategia della Lotta Armata per il Comunismo e dell’apertura di un varco offensivo nell’ambito di una attestazione più avanzata delle posizioni del proletariato e il confronto con il suo nemico di classe. Recuperare questo svantaggio politico è quindi l’obiettivo politico perseguito con grande impegno di ogni mezzo politico e militare della controrivoluzione per cercare di danneggiare l’organizzazione, per contenere le dialettiche aperte dalla guerriglia con il proletariato per dare sviluppo alla guerra di classe e tentare così di recuperare condizioni di governabilità minime necessarie ad approfondire, nel quadro dell’avanzata ed estensione della guerra e della controrivoluzione imperialista, la rimodellazione economico-sociale e politico-istituzionale che sostanzia il riassetto neocorporativo della società.

Voglio qui ricordare ed onorare la memoria del compagno Mario Galesi la cui militanza è e sarà di esempio per tutti noi e per tutte quelle avanguardie di classe che sapranno far propria la scelta rivoluzionaria sul terreno della lotta armata per il comunismo, per affermare gli interessi generali e storici del proletariato e dare il loro contributo alla costruzione del Partito Comunista Combattente.

– Onore al compagno Mario Galesi e a tutti i militanti antimperialisti caduti.
– Viva la Strategia della Lotta Armata per il Comunismo.
– Viva l’intifada palestinese e la guerra di liberazione nazionale irakena.
– Proletari di tutti i paesi uniamoci.

Il militante rivoluzionario per la costruzione del Partito Comunista Combattente Francesco Donati

Tribunale di Milano, udienza del 26 marzo 2003. Dichiarazione di Francesco Aiosa, Cesare Di Lenardo, Stefano Minguzzi, Ario Pizzarelli in ricordo di Mario Galesi

Abbiamo il dolore e l’orgoglio di rendere onore al nostro compagno Mario Galesi, caduto il 2 marzo 2003 combattendo per il comunismo.

Nella guerriglia si mette a disposizione se stessi, si combatte e si può cadere, come è accaduto nella nostra storia a tanti compagni. Mario Galesi ha fatto questa scelta di militanza con la responsabilità che ne è connessa e con la coerenza di cui è stato capace, cosciente di quanto ciò sia necessario per l’avanzamento del processo di liberazione del proletariato, nella lotta per il potere, la distruzione dello Stato e dell’imperialismo, per l’abolizione di lavoro salariato e capitale, per il superamento rivoluzionario dell’attuale società divisa in classi.

La sua vita e la sua storia dimostrano come, nel processo di costruzione del partito comunista combattente, la militanza rivoluzionaria si misura con una profonda frattura politica soggettiva, necessaria alle avanguardie cresciute nelle lotte del proletariato per trasformare un ruolo politico che si forma e matura nel contesto del movimento di classe in un ruolo indispensabile e più avanzato: un ruolo che determina il proprio rapporto con la classe in quanto combattente contro lo Stato e l’imperialismo. È questo un mutamento complessivo del punto di vista formatosi nella storia di una militanza e nella mobilitazione della lotta armata per il potere come propria finalità soggettiva.

La concezione della costruzione del partito combattente nel vivo dello scontro, come condizione e risultato dello sviluppo del processo rivoluzionario, è infatti una conquista cruciale dell’esperienza delle Brigate Rosse. Nella concezione guerrigliera della lotta armata il definirsi di questo carattere si è precisato con la necessità di unificare sempre il piano politico con quelle militare, e assieme alla linea politico militare di attacco al cuore dello Stato secondo i criteri di centralità, selezione e calibramento sedimentati e verificati in più di trent’anni di attività, dimostratasi nella storia valida, vincente, propositiva. È basandosi su questo impianto, è applicando questa linea politica militare che le Brigate Rosse-partito comunista combattente hanno rilanciato la lotta armata, individuando e colpendo il progetto neocorporativo come aspetto dominante della contraddizione classe/stato.

Il compagno caduto ha messo a disposizione senza limiti le proprie forze nel programma rivoluzionario delle Brigate Rosse. Il suo impegno, lo studio e il lavoro politico-militare, la sua vita sono ricchezze collettive del partito combattente e del proletariato rivoluzionario. Vivono, come la storia di cui è parte, nelle finalità, nella strategia, nella linea, nel programma, nella prassi combattente delle Brigate Rosse, che egli ha contribuito a sviluppare, entro cui operava quando è caduto; e che oggi l’organizzazione porta avanti nella conduzione dello scontro, adesso e domani.

Perché lo scontro continua. E le BR-PCC proseguiranno nella linea di attacco al cuore dello Stato, oggi che, anche confidando nel vantaggio militare momentaneamente conseguito contro la guerriglia, il governo Berlusconi si prepara all’avvio dell’applicazione della riforma Biagi del mercato del lavoro, nel quadro dello scontro di potere fra classe e Stato sulla rimodellazione economico-sociale e istituzionale delle forma di dominio statale, condizione interna imprescindibile per il ridefinirsi del ruolo dell’Italia nelle politiche centrali dell’imperialismo.

È la crisi capitalista che genera la guerra imperialista, necessariamente. Nel rapido precipitare attuale degli assetti internazionali e nella conseguente ridefinizione generale in corso, l’attacco all’Iraq è finalizzato ad abbattere il principale ostacolo all’egemonia dell’entità sionista, bastione dell’imperialismo nell’area, per conseguire il ridisegno geopolitico del medio Oriente anche con l’obiettivo di imporre la soluzione finale di Sharon al problema palestinese nell’illusione di annientare la resistenza, punto di riferimento e di forza per tutte le masse arabe e islamiche espropriate e umiliate dall’imperialismo; che nel complesso costituiscono il naturale alleato del proletariato metropolitano dei paesi europei.

Lo scontro continua. E le avanguardie rivoluzionarie sapranno fare del contrasto contro le mire israelo-anglo-statunitensi di ridefinizione a proprio vantaggio degli equilibri in Medio oriente un punto di programma su cui aprire la prospettiva storica della costruzione del fronte combattente antimperialista; promovendo i termini politico-militari necessari per affrontate gli impegnativi e decisivi compiti legati alla trasformazione della guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe.

Come militanti prigionieri, coscienti dell’importanza dei compiti che ha saputo affrontare, abbracciamo fraternamente, con amore rivoluzionario, il combattente comunista caduto, nella memoria di tutti i compagni caduti nella lotta armata per il comunismo.

Ai tribunali dello stato Imperialista non riconosciamo il diritto di giudicarci: siamo combattenti nemici prigionieri, nel quadro di un conflitto concreto oggi, marzo 2003, più chiaro che mai. Di fronte al nemico, e di fronte alla nostra classe, rivendichiamo la nostra piena responsabilità per la sua storia, per il programma, per la linea-militare, per prassi e condotta combattente della nostra organizzazione; integralmente, dal 1970 ad oggi.

Saprà la nostra organizzazione in attività valutare adeguatamente anche l’esperienza del 2 marzo, e farne tesoro nel proseguimento della lotta: meglio di noi prigionieri, dunque, parlerà la guerriglia, le Brigate Rosse.

– attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di rimodellazione economico-sociale neocorporativa e di riforma dello Stato;

– organizzare i termini politico-militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata;

– attaccare le politiche centrali dell’imperialismo, dalla linea di coesione europea ai progetti e alle strategie di guerra e controrivoluzionari diretti dagli USA e dalla Nato;

– promuovere la costruzione del fronte combattente antimperialista;

– trasformare la guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe.

Onore al compagno Mario Galesi! Onore ai martiri della rivoluzione palestinese!
Onore a tutti i combattenti comunisti e a tutti i combattenti che cadono in tutto il mondo nella guerra contro l’imperialismo, oggi!
Rivoluzione fino alla vittoria!

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente
Francesco Aiosa
Cesare Di Lenardo
Stefano Minguzzi
Ario Pizzarelli

Milano, 26 marzo 2003

Tribunale di Trani, Udienza del 2 marzo 2005 Dichiarazione di Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Rossella Lupo, Fabio Ravalli, Vincenza Vaccaro al processo davanti al giudice monocratico. In ricordo di Mario Galesi.

Oggi, 2 marzo, ci troviamo in quest’aula come militanti rivoluzionari e militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente di fronte all’accusa di “apologia sovversiva” che vuole sanzionare il carattere e il profilo che abbiamo dato e che intendiamo dare alla nostra militanza in prigione. Ma oggi, anniversario della sua morte in combattimento, vogliamo tributare l’amore rivoluzionario nostro e delle avanguardie del proletariato al compagno Mario Galesi, caduto il 2 marzo 2003 sul treno Roma‑Firenze mentre assolveva al suo diritto‑dovere di militante delle BR‑PCC di sottrarsi con ogni mezzo alla cattura. Vogliamo rendergli onore sottolineando la sua dedizione al lavoro rivoluzionario, assunto con quel senso del dovere e della disciplina per lui naturali, come non è strano che sia tra i proletari coscienti che sentono di dover fare la propria parte nel lavorare all’emancipazione politica della classe cui appartengono. La sua perdita resta irreparabile per il proletariato e per l’Organizzazione, ma lascia in eredità un esempio di militanza nel Partito del proletariato in costruzione che le avanguardie sapranno raccogliere e portare avanti nel dare il proprio contributo all’avanzamento dei processo rivoluzionario, cui Mario ha contribuito in quel processo che ha portato la soggettività rivoluzionaria di classe negli anni ’90 ad assumersi il compito di rilanciare la strategia della Lotta Armata nello scontro generale tra le classi, dando continuità alla fase della Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie interna alla più generale fase di Ritirata Strategica che attraversa il nostro processo rivoluzionario.

Sta in questo il valore straordinario di questo militante, quello di aver contribuito a concretizzare un passaggio di valenza storica nel nostro processo rivoluzionario, di aver cioè contribuito a ricostruire, passando necessariamente per uno stadio aggregativo delle forze, il soggetto organizzato in grado di agire da Partito per costruire il Partito, le BR‑PCC, che hanno costruito la capacità offensiva adeguata a riportare l’attacco al cuore dello Stato.

Il 2 marzo è forse una data “simbolica” per lo Stato, che quel giorno del 2003 solo grazie al caso e alle circostanze fortuite ha potuto catturare una militante d’O e uccidere in combattimento Mario Galesi, per poi portare avanti la sua linea antiguerriglia che oggi gli consente di aprire una nuova stagione processuale in cui avvalersi del vantaggio militare acquisito nell’illusione di farlo pesare sulla classe e sulle sue avanguardie in termini di deterrenza e minaccia. Ma dobbiamo qui ricordare che proprio la forza, la propositività, la prospettiva aperta dal rilancio della strategia della LA ha obbligato lo Stato, all’indomani del conflitto a fuoco sul treno, a ricorrere ad una delle più barbare tra le sue iniziative antiguerriglia: tenere in ostaggio il corpo del compagno caduto per evitare che gli fosse tributato il giusto riconoscimento del proletariato con il ricatto e l’intimidazione poliziesca e repressiva. È stata una scelta conseguente alla paura che l’avanzamento del processo rivoluzionario ha provocato alla borghesia e allo Stato, di nuovo alle prese con la lotta armata dopo l’illusione di aver per sempre “sconfitto” l’opzione rivoluzionaria: le iniziative offensive del ’99 e dei 2002 nell’aprire un varco offensivo nella difensiva di classe hanno radicalizzato lo scontro rivoluzionario e di classe, hanno aperto dialettiche con le avanguardie di classe e contribuito alla formazione di uno schieramento rivoluzionario che si avvale della forza che il rilancio ha immesso nello scontro tra le classi avendo spostato momentaneamente i rapporti di forza tra classe e Stato a favore del proletariato, per la centralità degli obiettivi colpiti all’interno di una linea di attacco mirata a ostacolare e impattare le politiche di ristrutturazione e rimodellazione economico­sociale e di riforma politico‑istituzionale con la modifica della forma‑Stato in senso federale, veicolate nel quadro del progetto neocorporativo quale nodo di contraddizione principale che oppone borghesia e proletariato in questa fase politica.

Di fronte a questo nodo dello scontro, la reazione dello Stato alla morte di un militante delle BR‑PCC è stata quella di tentare di annullare l’esistenza di questo corpo, nascondere la realtà che scaturiva da quel conflitto a fuoco casuale, tentare di impedirne le esequie per “motivi di ordine pubblico” e mostrificare il militante catturato spostando l’attenzione dal dato che emergeva in quel contesto: la realtà di un’avanguardia rivoluzionaria che negli anni ’90 si è riorganizzata in continuità‑critica‑sviluppo con il patrimonio rivoluzionario dell’espressione più matura di autonomia politica della classe, le BR, e ha operato alla costruzione delle forze per l’offensiva ben dentro il grado e i caratteri del rapporto rivoluzione/controrivoluzione per com’è stato approfondito dallo Stato nel corso di tutti gli anni ’80, ma avvalendosi di come vi ha inciso il riadeguamento operato nella fase di Ritirata Strategica con l’apertura della fase di Ricostruzione delle forze tesa ad attrezzare il campo proletario e rivoluzionario allo scontro prolungato con lo Stato e la borghesia imperialista.

In quel 2 marzo 2003 lo Stato ha scelto di rapportarsi in quel modo ignobile di fronte alla morte del compagno perché nella sua figura di militante della guerriglia era incarnato tutto il portato delle iniziative offensive di attacco al cuore dello Stato, la valenza storica e strategica del rilancio con la prospettiva di avanzamento del processo rivoluzionario e di costruzione del PCC che contiene, la reale rappresentanza degli interessi generali politici e storici del proletariato fatta pesare dalla prassi combattente nello scontro di classe e rivoluzionario di contro agli interessi della BI e dello Stato, l’ostacolamento del lineare avanzamento dei progetti antiproletari e controrivoluzionari degli esecutivi in carica e lo scompaginamento degli equilibri politici e politico‑istituzionali a loro sostegno. La reazione scomposta dello Stato in quell’occasione ci parla di uno Stato in difficoltà in quanto ha perso l’iniziativa sul piano delle politiche che offensivamente si sono riversate sul campo di classe per oltre un decennio, e della problematicità del suo tentativo di riportare sul piano politico l’azione di convogliamento, accerchiamento e neutralizzazione delle istanze dell’autonomia di classe che dal rilancio della LA hanno tratto forza in quanto la prassi combattente è fattore concreto che incide nei rapporti di forza tra le classi. Questo perché il rilancio ha alimentato e politicizzato il movimento di resistenza della classe alle politiche neocorporative per il coniugarsi del peso del fattore rivoluzionario nello scontro e del danno subito dai progetti che sono stati attaccati, anche approfondendo la difficoltà dei vertici del sindacato confederale in crisi di legittimità a portare avanti la loro opera antiproletaria in linea con le esigenze degli esecutivi di centrodestra e di centrosinistra, accomunati dall’adozione delle politiche neocorporative che costituiscono il filo a piombo delle scelte di qualunque coalizione si trovi a governare, essendo queste l’unico piano politico che consenta allo Stato in questa fase di tentare di subordinare politicamente il proletariato e renderlo ancora più sfruttabile al fine di governare l’economia e il conflitto nell’ambito della crisi economica mondiale e delle risposte che necessita, compresa la scelta della guerra e della controrivoluzione imperialista.

Mario Galesi incarna la risposta proletaria cosciente, di Partito, organizzata politicamente e militarmente, nella finalità strategica della conquista del potere politico da parte del proletariato, a tutto questo insieme di politiche e scelte della borghesia e dello Stato, “edificate” sulla forza della controrivoluzione che dagli anni ’80 ha segnato i rapporti di forza tra classe e Stato. La costruzione del rilancio della strategia della LA nello scontro generale tra le classi si è confrontata con il suo carattere e con il suo livello, dentro l’assunzione del dato politico rappresentato dal riadeguamento che ha consentito alle BR‑PCC di mantenere aperta l’iniziativa e rilanciare la proposta della Lotta Armata a tutta la classe, ottenendo così una vittoria strategica, segnando il raggiungimento di un punto di non ritorno nel nostro processo rivoluzionario, il cui radicamento nello scontro fa sì che lo Stato non possa sradicare l’opzione rivoluzionaria facendo leva sui vantaggi militari che riesce a conseguire con le linee di antiguerriglia e controrivoluzionarie che adotta.

Di fronte ai fatti dei 2 marzo lo Stato ha dovuto scoprire il volto infamante delle sue pratiche controrivoluzionarie, peraltro non nuove in rapporto all’esistenza del processo rivoluzionario nel nostro paese, e se per lo Stato e la borghesia il nostro compagno Mario Galesi rimarrà sempre uno spettro che disturberà i loro sonni, per il proletariato e le avanguardie di classe e rivoluzionarie resterà un esempio da seguire per il contributo che ha dato al lavoro rivoluzionario nelle Brigate Rosse, nel quadro della lotta per l’emancipazione politica della classe dal sistema di sfruttamento e dominio della borghesia.

Trani, 2/3/2005

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista Combattente: Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Rossella Lupo, Fabio Ravalli
La militante rivoluzionaria Vincenza Vaccaro

Comunicato congiunto BR e NAP su azioni contro caserme dei CC in varie città (1976)

Compagni,

le multinazionali, Agnelli, Cefis, la Confindustria hanno da tempo sferrato un pesante attacco alla Classe Operaia, creando con massicci licenziamenti ed il crescente costo della vita, un clima di terrore con il quale sperano di avere poi carta bianca per ristabilire i loro profitti che le lotte hanno definitivamente compromesso.

Ma sanno che tutto ciò non basta e che il loro “ordine” dovrà essere imposto con le armi. In questo progetto i CC rappresentano la punta di diamante ed il nucleo strategico della repressione armata controrivoluzionaria. È così che negli ultimi tempi la pratica dell’omicidio contro i proletari con la quale i CC hanno costruito la loro “luminosa” storia, si è scatenata nel tentativo di liquidare le avanguardie rivoluzionarie.

La messa in campo di tutto il loro apparato terroristico vuole raggiungere l’obbiettivo di scoraggiare e sconfiggere ogni momento di resistenza proletaria.

La “licenza di uccidere” della famigerata legge Reale è ora diventata un esplicito “ordine di uccidere”.

La politica seguita dal partito di Berlinguer, che fino ad ora poteva essere scambiata per vergognosa compiacenza con i padroni, ora si dimostra quale vera e propria complicità nei piani di ristabilimento dell’ordine imperialista delle Multinazionali della Classe Operaia:

  • organizzarsi sul terreno della guerra di classe, della Lotta Armata per impedire che attraverso l’oppressione militare, lo Stato delle Multinazionali Imperialista decreti la sua sconfitta.
  • lottare in ogni ambito per approfondire la crisi della borghesia perché i bisogni proletari sono, oggi più che mai, antagonisti alle aspettative padronali ed il loro unico interesse è la Rivoluzione Comunista.
  • unificare il movimento operaio attorno alla strategia della Lotta Armata per il potere proletario isolando e sconfiggendo i paladini del “Compromesso” e dell’ “Interesse Nazionale”.

 

L’attacco alle caserme dei CC non ha il respiro della rappresaglia, ma indica una linea di combattimento che insieme a tutte le forze rivoluzionarie combattenti intendiamo percorrere FINO ALLA VITTORIA!

PORTARE L’ATTACCO ALLO STATO!

CI DEVE ESSERE UNA SOLA FORZA ARMATA: I PROLETARI CON IL FUCILE IN SPALLA.

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!

 

Il giorno 1 marzo 1976 nuclei armati delle Brigate Rosse e dei Nuclei Armati Proletari hanno attaccato simultaneamente le seguenti caserme dei CC distruggendo numerosi mezzi militari.

MILANO: Comando di Compagnia di Rho, in via Buon Gesù.

TORINO: Stazione di Madonna di Campagna, in via Zubrieno.

GENOVA: Comando Compagnia di Sampierdarena, corso L.A. Martinetti n. 7.

ROMA: sono state attaccate tre caserme dei CC, tra cui la Stazione di Quadraro, di via Quintilli 130 e la Stazione Garbatella, di Luigi Orlandi 8.

NAPOLI: Caserma zona Fuorigrotta, via Benedetto Cariteo.

FIRENZE: Stazione del Campo di Marte.

PISA: La BRIGATA D’ASSALTO “DANTE DI NANNI” ha attaccato la caserma dei CC di via Guido da Pisa.

 

Compagni,

il presente comunicato è firmato da due organizzazioni combattenti: Brigate Rosse e Nuclei Armati Proletari.

Nella prospettiva della costruzione del Partito Combattente occorre operare per la riunificazione di tutto il movimento rivoluzionario, facendo ogni sforzo perché da ogni esperienza di Lotta Armata nasca una sempre maggiore capacità politica, militare e di organizzazione del proletariato rivoluzionario.

In questo senso è da tempo in corso un confronto politico tra le Brigate Rosse e i Nuclei Armati Proletari. Verificato che non esistono sostanziali divergenze strategiche tra le due organizzazioni, permangono tuttavia delle diversità di prassi politica dovute soprattutto alla diversa storia delle Br e dei NAP ed al diverso cammino fin qui percorso.

Quindi nel rispetto della propria autonomia, le BR e i NAP possono fin da ora praticare comuni scadenze di lotta e realizzare una unità d’azione in un unico fronte di combattimento.

Alla borghesia che ha tutto l’interesse a presentare le forze combattenti come divise, frantumate, disperse, occorre contrapporre una sempre maggiore unità delle Organizzazioni Rivoluzionarie che nella strategia della Lotta Armata combattono per una società comunista.

DI FRONTE AL NEMICO COMUNE UNITA’ DELLE FORZE COMBATTENTI!

TUTTO IL POTERE AL POPOLO ARMATO

Milano, 1-3-76

Brigate Rosse
Nuclei armati proletari

 

Fonte: Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione

Firenze, processo di primo grado “Lando Conti”. Dichiarazione finale di Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli, Daniele Bencini, Marco Venturini

Il rito che si è consumato in quest’aula ha messo in evidenza i tentativi di demonizzare l’attività rivoluzionaria delle BR. Una demonizzazione che si serve delle formule processuali per costruire la verità giuridica con cui lo Stato, per mezzo del processo, cerca di negare quello che i prigionieri qui rappresentano: lo scontro rivoluzionario, la sua prospettiva di potere per il proletariato metropolitano di questo paese. Un tentativo sterile e velleitario perché nessuna formula giuridica, nessun pronunciamento di tribunale, né i secoli di galera che da sempre vengono comminati ai comunisti possono mutare la questione centrale posta nel processo: la prassi combattente delle BR e, nello specifico, l’iniziativa politico-militare contro Lando Conti che colpisce un esponente repubblicano che aveva un preciso attivismo intorno a quanto caldeggiava l’allora Ministro della Guerra Spadolini. Allora il PRI spingeva infatti per un maggior impegno e coinvolgimento dell’Italia rispetto alla “politica delle cannoniere” americana, ci riferiamo alle forzature militari USA nella regione mediterranea-mediorientale, tese ad innescare determinate condizioni per la maturazione dello scontro bellico, e che avevano anche la funzione di operare un coinvolgimento degli alleati che, per tempi diversi della crisi, non erano ancora allineati completamente sulla scelta guerrafondaia.

È di allora il bombardamento americano su Tripoli e Bengasi che, peraltro, ha usufruito dell’appoggio logistico, dato in modo informale dall’Italia, mentre ufficialmente essa, ma anche gli altri Stati europei, si sono ricomposti con la politica terroristica degli USA operando sul piano politico/diplomatico la ricucitura e l’assestamento di quanto gli USA avevano conseguito sul piano militare. Questo modo di operare dell’imperialismo rispondeva agli allora equilibri internazionali tra Est ed Ovest, ed era parte della politica imperialista capeggiata dagli USA per acquisire margini nei rapporti di forza internazionali tra i due blocchi.

È dentro questo quadro di riferimento che il PRI si faceva promotore delle posizioni più oltranziste a livello filoatlantico affinché l’Italia assumesse un ruolo maggiormente attivo nel fianco Sud della Nato, in questo solco lo specifico attivismo di Lando Conti all’interno delle posizioni del PRI di spalleggiamento aperto della politica reaganiana soprattutto riferita al riarmo col progetto SDI “guerre stellari”.

Attaccare i portatori di questa politica guerrafondaia ha significato per le BR dare continuità alla prassi antimperialista da esse messa in campo sin dall’82 con la cattura del generale NATO Dozier e in seguito con l’azione Hunt. Una pratica che ha individuato nella NATO, nelle politiche centrali dell’imperialismo, in specifico quelle guerrafondaie e di annientamento dei popoli, gli obiettivi principali su cui sviluppare l’antimperialismo e caratterizzare l’internazionalismo proletario oggi, su cui cioè la guerriglia in Europa in primo luogo e le forze rivoluzionarie da tempo già si confrontavano.

Con l’iniziativa Lando Conti le BR precisano anche l’analisi sulla fase dell’imperialismo, definiscono l’area geopolitica europea-mediorientale-mediterranea come area di massima crisi del mondo, che per le sue caratteristiche storiche e politiche può essere il possibile detonatore di un conflitto allargato. Per altro verso si misurano con la proposta del Fronte Combattente Antimperialista contribuendo alla sua costruzione con un apporto fattivo definendo il proprio specifico punto di vista riguardo al Fronte come politica di alleanze contro il nemico comune da praticarsi, nell’attacco all’imperialismo, sia con la guerriglia in Europa che con le forze rivoluzionarie della regione mediterranea-mediorientale.

La promozione del Fronte Combattente Antimperialista marcia, per le BR, in unità programmatica con l’attacco al cuore dello Stato che in questa fase politica è rappresentato dalle politiche di riadeguamento dello Stato che in parte già contengono i presupposti per cambiamenti decisivi nel quadro complessivo delle relazioni politiche e sociali tra le classi e nelle forme di potere che vogliono essere istituite.

Nelle modalità con cui nel paese si stanno maturando i passaggi verso la Seconda Repubblica, al cui interno la stabilità cerca di imporsi avvalendosi, nel governo delle contraddizioni di classe, di politiche marcatamente coercitive e di risposte repressive, quali termini più evidenti della loro natura antiproletaria e controrivoluzionaria, si esprime al massimo grado l’instabilità critica dei reali equilibri nel paese, dove l’impronta data dagli strumenti messi in campo per rafforzare lo Stato, e la forma che viene ad assumere in un paese a capitalismo avanzato quale è l’Italia, mette a nudo la debolezza storica su cui poggia il dominio della borghesia imperialista italiana, che scaturisce dalle condizioni politiche generali di uno scontro di classe storicamente in grado di esprimersi ai più alti livelli e di porre costantemente l’ipoteca del risvolto proletario e rivoluzionario alla crisi dell’imperialismo.

Dentro ai caratteri attuali dello scontro di classe nel nostro paese è più che mai attuale lo sviluppo necessario e possibile dell’aggregazione ed organizzazione delle istanze più avanzate che esprime l’autonomia di classe, sul terreno della lotta armata. Un processo questo che si è configurato da oltre 20 anni come il solo in grado di ricomporre, unificare e far avanzare il processo di lotta ed organizzazione delle avanguardie proletarie sul terreno del potere, nella necessaria dialettica guerriglia-autonomia di classe quale naturale terreno di sviluppo di quest’ultima, così come si è andato definendo in tutto il corso dello scontro rivoluzionario.

È la dinamica complessiva attacco/distruzione, costruzione/nuovo attacco che consente di organizzare le forze sul terreno della Lotta Armata, costruendo i passaggi dello sviluppo della guerra di classe, uno sviluppo organizzato e diretto dalle BR a partire dalla concretizzazione dei suoi termini di programma e cioè: attacco allo Stato, alle sue politiche dominanti che lo oppongono alla classe nella congiuntura; attacco all’imperialismo, ai suoi progetti centrali, promuovendo in questo il rafforzamento del Fronte Combattente Antimperialista.

Per concludere, come militanti delle BR e militanti rivoluzionari prigionieri dichiariamo di non riconoscere nessuna legittimità a questo tribunale a processarci, consapevoli come siamo che questo processo è solo un momento, seppure particolare, del più generale rapporto tra rivoluzione e controrivoluzione che vive fuori da quest’aula, nello scontro di classe, riproducendosi pure qui dentro nei suoi stessi riti formali il rapporto di guerra esistente tra la guerriglia e lo Stato.

È d’altra parte impossibile processare lo scontro rivoluzionario, al contrario la legittimità politica e storica del proletariato a prendere il potere tramite l’unica strategia possibile, quella della lotta armata, mette costantemente sotto accusa la barbarie del dominio della borghesia imperialista e dello Stato che la rappresenta, che offre solamente crisi e guerra. Dei nostri atti politici come della nostra militanza rispondiamo solo alle BR e con esse al proletariato di cui sono l’avanguardia rivoluzionaria.

Per noi e meglio di noi parla la guerriglia in attività, le BR.

Non intendiamo presenziare alla lettura della sentenza.

 

Firenze, 21 maggio 1992

 

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli. I militanti rivoluzionari: Daniele Bencini, Marco Venturini

Bilancio ed ulteriore riadeguamento politico-organizzativo. Documento interno

Una riflessione sulle leggi generali dello scontro in merito all’esperienza dell’O. ci serve per collocare una serie di dinamiche e di contraddizioni che nell’insieme hanno condizionato in negativo il percorso d’affermazione delle risultanze del processo autocritico.

Infatti il processo di riadeguamento, ben lungi dal seguire un percorso lineare, ha dovuto fare i conti con le contraddizioni politiche di carattere generale, quale prodotto in ultima istanza dello scontro che hanno generato nella loro evoluzione vere e proprie deviazioni.

Gli effetti della sconfitta e del ridimensionamento politico-organizzativo dell’O, riversandosi sui rapporti di forza tra le classi, accanto allo scompaginamento delle condizioni politiche del tessuto proletario in cui si riproduce una forza rivoluzionaria, ha aperto dinamiche che all’indomani dell’82 non era possibile comprendere e governare in tutta la loro portata.

La Ritirata Strategica, atto dovuto, ha permesso di ricostituire l’impianto politico e di riprendere l’iniziativa su basi più adeguate; ma la sconfitta, l’impatto con lo Stato, ha comunque generato il maturarsi di deviazioni politiche che sono riconducibili al liquidazionismo. Queste hanno preteso di sottrarsi al livello di scontro attestatosi nel paese, negando la valenza della strategia della Lotta Armata e revisionandone i suoi presupposti di fondo. Per assurdo queste posizioni hanno dovuto fare i conti con la coscienza che lo Stato ha del problema, pur rappresentando l’estremo arretramento di posizioni rivoluzionarie. Un paradosso questo che dimostra come dentro ad una pesante sconfitta si innestino posizioni politiche rinunciatarie il cui unico pregio sta nel rendere evidente quanto sia facile teorizzare la propria condizione di debolezza, estrapolandola dal livello di scontro rivoluzionario attestatosi nel paese. Questa posizione politica (deviazione) pur essendo una posizione soggettiva è figlia dell’interiorizzazione della sconfitta, avendo come effetto in ultima istanza quello di delegare al movimento di massa la continuità del processo rivoluzionario che si è aperto in Italia.

L’aver espulso questa posizione e aver ridefinito l’impianto non ha significato l’aver superato e compreso la contraddizione di fondo su cui si era innestata la posizione dogmatica e ciò si è manifestato nell’oscillazione della teoria-prassi dell’O. Più precisamente si è passati dal concetto di ritirata strategica alla logica difensivistica e di tenuta.

Quello che si è verificato, è stata la non comprensione delle leggi generali dello scontro rivoluzionario. Lo scontro rivoluzionario segue un andamento discontinuo fatto d’avanzamenti e d’arretramenti, i ripiegamenti da parte delle forze rivoluzionarie avvengono quando si constata l’impossibilità, in date congiunture, di portare avanti una posizione offensiva, pertanto si ritirano allo scopo di ricostruire i termini più idonei per nuove offensive. In questo senso il ripiegare pur essendo un problema relativo alla soggettività rivoluzionaria è prodotto dal non essere adeguati allo scontro in atto, in altri termini il ritirarsi È UNA SCELTA POLITICA finalizzata a preparare nuove condizioni per sostenere lo scontro. Tutto ciò sempre e concretamente all’interno del processo prassi-teoria-prassi, metodo che permette di adeguare la propria pratica rivoluzionaria, imparando anche dagli errori.

Ripiegare non va visto come atto difensivo ma come elemento dinamico delle leggi della guerra, ignorare tale concezione porta in termini puramente militari al dissanguamento delle forze, in termini politici all’avventurismo. Considerarlo come un atto difensivo è altrettanto dannoso: perché la LOGICA DIFENSIVISTICA E DI TENUTA è la negazione della guerriglia in quanto si sottopone al logoramento del nemico e quindi di fatto all’arretramento. Quest’ultima è la contraddizione generale che ha attraversato l’O, e che ha ritardato il processo di riadeguamento teorico-politico-organizzativo provocandone l’oscillazione. La logica della conservazione delle forze ad oltranza è incapace di ridare fiato in termini offensivi alla strategia rivoluzionaria e porta per opposto al logoramento e alla demoralizzazione delle forze, alla perdita di incisività politica.

Nei fatti questa logica figlia anch’essa dell’interiorizzazione della sconfitta, si è manifestata con risposte organizzativiste ai problemi politici misurando il proprio agire a ciò che è possibile fare e non a ciò che è necessario fare, sfalsando la misura politica, influenzando negativamente persino la metodologia e lo stile di lavoro dell’O. La logica difensivistica si caratterizza per una visione statica dello scontro, di fatto elude sia una legge generale dello scontro tra le forze rivoluzionarie e Stato, sia gli aspetti peculiari che assume nelle democrazie mature.

Infatti il rapporto di guerra esistente tra le forze rivoluzionarie e lo Stato è dominato dalle caratteristiche della fase di scontro in cui si situa, che pur rispondendo alla logica del reciproco annientamento è calibrato alle condizioni politiche più generali, nella sostanza È CIÒ CHE PIÙ PAGA POLITICAMENTE (riferito al rapporto generale tra le classi) che domina il rapporto di guerra. Una legge generale che nelle democrazie matura peculiarità estremamente politiche e complesse, che ben lungi dal manifestarsi solo nel rapporto che oppone una forza rivoluzionaria allo Stato, attraversa orizzontalmente tutto il corpo di classe, pur manifestandosi su diversi piani. In altri termini, IN REGIME DI DEMOCRAZIA MATURA, nei paesi del centro imperialista, IL PROBLEMA PER LA BORGHESIA E PER LO STATO È QUELLO DI RICONDURRE IL CONFLITTO DI CLASSE NEI MECCANISMI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA, COMPRENDENDOVI ANCHE GLI ASPETTI PIÙ ANTAGONISTICI E LE FORME DI LOTTA PIÙ DURE. Quest’ultime devono essere mediate e depotenziate attraverso gli strumenti e gli organismi politici che rapportano il proletariato allo Stato, alla borghesia.

Difatti il problema della borghesia non è tanto la lotta di classe in sé, ma la coscienza che questa può maturarsi in lotta per il potere. Il problema è impedire questa possibile maturazione per questo LE POLITICHE CONTRORIVOLUZIONARIE, di controrivoluzione preventiva, non sono riferite solamente all’avanguardia rivoluzionaria, ma PRINCIPALMENTE SI RIFERISCON0 AL MODO CON CUI GLI ELEMENTI E GLI ORGANISMI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA POSSONO RICONVOGLIARE E COMPATIBILIZZARE NELL’AMBITO ISTITUZIONALE LE SPINTE DELLA LOTTA DI CLASSE.

In altri termini, nella sostanza, ciò si riflette sul carattere della mediazione politica che è possibile mettere in atto nei confronti del proletariato, il tipo di “governo possibile” delle contraddizioni di classe. Se questa, in termini generali, è la sostanza della controrivoluzione preventiva, essa si manifesta su diversi piani a seconda a chi è riferita e alla condizioni politiche più generali dei rapporti di forza tra le classi; nello specifico, la dinamica controrivoluzionaria è molto selettiva e tende a calibrare le forzature possibili. Infatti, se in termini sostanziali e generali è riferita a tutta la classe, in termini specifici si manifesta contro gli elementi più avanzati di quest’ultima, muovendosi in termini di accerchiamento ed isolamento.

È proprio per le peculiarità politiche e sociali dello scontro rivoluzionario odierno nel nostro paese che la logica difensivistica è quanto mai incapace di contribuire ad uscire sostanzialmente, e non solo virtualmente, dalla Ritirata Strategica. Una logica in ultima istanza che si presta, non collocandosi al punto più alto dello scontro, alle politiche di depotenziamento della guerriglia e di possibile endemizzazione. Per concludere, l’insegnamento che bisogna trarre da questi dati si può così sintetizzare: la necessità di ripiegare, di essere soggetti a possibili ridimensionamenti, è facente parte dello sviluppo del processo rivoluzionario (che precisiamo, soprattutto in riferimento alla nostra attività, è teso ad indurire lo scontro, non ad aprire spazi democratici), questo però non deve tradursi in una logica difensivistica, perché ciò porta a subordinare le esigenze politiche poste dallo scontro al puro dato organizzativo, e ciò ha come portato ulteriore il collocare su due piani distinti il politico ed il militare, mentre quest’ultimo deve essere sempre il riflesso delle esigenze politiche; in altri termini, si dà organizzazione ad una strategia, e ad una linea politica, e non è l’organizzazione che produce linea politica.

Sul piano generale non va mai persa la dimensione che sul piano storico ha l’organizzazione per quello che rappresenta in termini politico-strategici, al di là del dato organizzativo del momento. La logica difensivistica riducendo in organizzativismo la capacità di lettura politica dello scontro ha prodotto un’ulteriore contraddizione che per le sue caratteristiche riguarda gli aspetti più interni della vita dell’O. Ossia ha dato luogo a un’involuzione del modulo politico-organizzativo e del centralismo democratico su cui si basa un’organizzazione comunista: anche questo ha fatto da contributo al rallentamento del processo di riadeguamento, la cui risoluzione deve andare di pari passo all’assestamento teorico-politico-organizzativo dell’O.

Con questo intendiamo dire che deve cessare il carattere d’eccezionalità con cui a suo tempo, dentro una legittimità politica e condizioni materiali ben precise, furono varate modifiche sostanziali fra le istanze dell’O. Queste modifiche, allora necessarie e rispondenti ai problemi politici posti dalla Ritirata Strategica, nell’evolversi dei fatti e nell’approfondirsi della logica difensivistica, si sono tramutati in un meccanismo che si può sintetizzare in un rapporto semplificato tra un’unica istanza di direzione (che si perpetua per cooptazione) ed un insieme di singoli militanti che si rapportano ad essa. Questo modulo, proprio del democraticismo comporta inevitabilmente un impoverimento politico che può aprire spazi alla logica di gruppo.

Ciò che si è verificato è stato uno squilibrio tra risultanze del processo autocritico e il riadeguamento politico-organizzativo dell’O; in altri termini erano fragili le gambe su cui doveva marciare la messa in pratica e l’approfondimento della linea politica generando più di una contraddizione; paradossale per un’organizzazione dello spessore delle BR. L’anomala situazione che si è verificata non ha permesso di usufruire a pieno dell’energia del corpo militante, da un lato all’impegno possibile dei singoli e, dall’altro, accentrando il dibattito alla sola istanza di direzione. Il limite non è tanto il verticismo in sé, ma quanto il fatto che in tal modo non si produce il dibattito ma lo s’impoverisce venendo meno agli strumenti politico-organizzativi in cui questo può marciare. I fatti stanno a dimostrarlo.

Inoltre si verifica l’incapacità di attivizzare ed organizzare le forze perché va ribadito: che in un’organizzazione come la nostra niente può vivere in termini spontanei né tantomeno il dibattito che invece va organizzato. La capacità d’organizzare le forze, attivandole in riferimento alle esigenze politiche del momento, è tale nella misura in cui i provvedimenti presi rispondono alla concezione strategica dell’O e non alla contingenza immediata.

Se questi sono gli errori che si sono espressi all’interno dell’O, ben più gravi politicamente le contraddizioni riversatesi nel rapporto con l’esterno. La logica difensivistica e di contenimento ha estremizzato un punto cardine dell’ultima battaglia politica, ossia la critica alla centralità del lavoro di massa. In altri termini, la tendenza al settarismo che inevitabilmente tale logica produce non ha permesso la necessaria dialettica tra l’O e il movimento rivoluzionario, e tra l’O e l’autonomia di classe; riflettendosi persino nell’attività indispensabile di riproduzione dell’O dentro al campo proletario. A coprire le deficienze di questo modo di rapportarsi è stato l’uso improprio della critica alla centralità del lavoro di massa, di fatto usato come alibi alla chiusura.

In poche parole il rapporto con il movimento rivoluzionario e con l’autonomia di classe si è limitato al solo utilizzo dei compagni disponibili su base fiduciaria e di cooptazione trasmettendogli la logica di chiusura propria dell’O. È inutile dire che in tal modo si è venuti meno alla metodologia e allo stile di lavoro dell’O, criteri che sono stati conquistati dentro la decennale esperienza pratica dell’O, e che costituiscono il patrimonio del suo modus operandi.

Il venir meno alla sostanza di questi principi non è giustificato né dal ridimensionamento, né dall’opera della controrivoluzione, ma è lo snaturare la logica dell’O a Blanquismo.

Quello che va compreso è che la critica alla centralità del lavoro di massa non può tradursi nella negazione del normale lavoro di massa. Nel fare questo bilancio volutamente sono stati messi in rilievo gli elementi di contraddizione poiché questi rappresentano un serio impedimento alla riqualificazione ed arricchimento dell’impianto politico dell’O.

Riqualificazione che deve tenere conto dello spessore acquisito dall’O sul piano storico, e dei mutamenti che riguardano la complessità dello scontro politico in Italia. Altrimenti, fuori da questi termini non è dato rilancio del processo rivoluzionario pur esistendo uno spazio politico su questo terreno. Ciò che va ribadito è la capacità della proposta rivoluzionaria di muoversi nella dialettica distruzione/costruzione, il che significa intendere l’attività dell‘O non limitata alla sola disarticolazione. Se questo rappresenta il punto più alto dell’attività dell’O, essa non ne esaurisce i compiti, essa apre spazi politici su cui può instaurarsi la dinamica della costruzione nei termini dati dalle condizioni dello scontro. Non assolvere a questi compiti politici comporta l’incapacità di sostenere le dinamiche che l’attività politico-militare determina, che è ovvio sarebbe riduttivo e deviante misurare nella sola tenuta militare dell’O, ma va inquadrata nei termini politici riguardanti il rapporto classe/Stato. È attraverso la capacità politica di calibrare l’attività in relazione ai rapporti di forza interni ed internazionali, allo stato del movimento di classe, allo stato del movimento rivoluzionario, che si ha avanzamento e tenuta nello scontro rivoluzionario.

Due sono le direttrici su cui deve instaurarsi il piano di lavoro dell’O a medio termine:
– riorganizzazione delle forze;
– indirizzo politico dell’attività dell’O.

Riteniamo fondamentale per affrontare questo problema fare riferimento alla risoluzione della Direzione Strategica N° 2 poiché nella sua sostanza e nella sua portata strategica rimane a tutt’oggi più che mai valida. Quello che è importante nel farvi riferimento, è l’impostazione relativa alla sostanza dei principi cardine del funzionamento dell’organizzazione comunista clandestina. Il ripristino nella sostanza di questi principi permette di affrontare la riorganizzazione delle forze in relazione alle condizioni date dalla materialità del momento. Per questo proponiamo la costituzione di cellule, d’istanze di dibattito interne all’O costituite da almeno tre militanti, possibilmente là dove svolgono lavoro politico; questa proposta è solo il ripristino del modulo politico-organizzativo dell’O, il quale prevede che tutti i militanti (regolari ed irregolari) siano organizzati in istanze politiche. Data la materialità delle condizioni prescindiamo dal numero delle cellule possibili ed anche dalla collocazione geografica, ciò come passaggio transitorio al definitivo costituirsi, nei modi e nei tempi possibili, di vere e proprie strutture d’O. Queste cellule saranno la base per il ricostituirsi d’una futura Direzione Strategica, reale espressione dei migliori militanti d’O.

Ogni cellula si farà carico in termini generali di portare avanti per quanto gli compete il lavoro d’O. Più precisamente, per contribuire al dibattito seguendo l’indirizzo politico-programmatico dell’O. In tendenza ogni cellula deve raggiungere un’autonomia organizzativa, ossia deve essere una vera e propria struttura d’O. I contributi e le critiche politiche devono essere scritti. La circolazione del dibattito tra le cellule momentaneamente avverrà esclusivamente per iscritto. È la struttura di direzione che garantirà la circolazione del dibattito. Qualsiasi proposta d’iniziativa deve essere presentata e motivata all’istanza dirigente; le iniziative per passare operative dovranno avere l’avallo della Direzione; in riferimento alla ristrutturazione ogni cellula deve avere un bilancio spese.

Data la situazione attuale che dobbiamo considerare transitoria, anche il ruolo della DS in carica resta anomalo e continuerà a centralizzare questo passaggio affinché avvenga in termini rigidamente indirizzati per evitare possibili sbandamenti. L’attuale istanza dirigente, per le competenze che ha avuto e che oggi deve svolgere, è nella sostanza un Esecutivo oltre ad una vera e propria DS. Proprio per questi motivi il controllo tra le istanze inferiori e l’istanza superiore deve essere massima.

Uno dei compiti principali che viene perseguito per questo passaggio transitorio è di costruire le condizioni per riformulare la nuova DS, la quale, una volta definito il suo lavoro, eleggerà il Comitato Esecutivo.

È l’attuale Esecutivo che propone la formazione e la composizione delle cellule, che ne nomina i responsabili; le eventuali controproposte sia nell’immediato che in futuro devono essere presentate e motivate per iscritto.

L’Esecutivo ha l’obbligo di promuovere, indirizzare e sintetizzare il dibattito ed il lavoro politico e tutti quegli incarichi riportati nella DS2 a pag. 11 e 12. L’Esecutivo in carica risponde alle cellule del proprio operato e viceversa.

Il rapporto all‘interno delle cellule e all’interno dell’O preso nel suo complesso è regolato dal centralismo democratico.

Come dato generale le cellule, nel rapportarsi con l’esterno, devono tendere ad impiantare organizzazione là, nei posti dove svolgono lavoro politico. L’O si riproduce per duplicazione, quando una struttura riesce ad allargarsi (dentro i criteri di reclutamento dell’O) quantitativamente, si divide e costituisce due cellule, l’insieme di più cellule costituirà una brigata.

L’indirizzo politico nel relazionarsi a strutture del movimento rivoluzionario o a singoli compagni rivoluzionari è quello di attivizzarli all’interno della strategia e della linea politica dell’O, lavorando sin da subito a dargli dimensione d’O in termini politico—organizzativi. Questo non va inteso come costruzione di strutture che articolano poi la linea dell’O per conto proprio e, logicamente, al loro livello, ma dev’essere teso a costruire militanti d’O, precisando che comunque la militanza è un percorso singolo e che bisogna tenere presente tutti i diversi livelli di coscienza e disponibilità per poterli tutti organizzare.

Quest’indirizzo è oggi quello che risponde meglio alle esigenze politiche poste dalla fase di scontro e che materializzano fin da subito la parola d’ordine dell’unità dei comunisti per la costruzione del PCC.

Per quanto riguarda il rapporto con le avanguardie di classe, questo deve seguire l’indirizzo politico del lavoro di massa; nella situazione odierna deve tendere a recepire le contraddizioni politiche che si agitano nel movimento di classe, andando oltre la semplice fotografia, ciò va inteso come elaborazione e sintesi politica dei dati di cui si è in possesso; ciò è necessario per avere il polso politico del movimento di classe e più precisamente, dell’autonomia di classe esistente. Comprendere, sintetizzare, elaborare le tensioni politiche che l’autonomia di classe esprime passa attraverso l’individuazione della contraddizione dominante che essa vive e che la oppone allo Stato. Anche il dibattito politico che le avanguardie di classe svolgono e le proposte politiche che pensano vadano fatte alla classe per uscire dalla situazione di difensiva, diventano dati da elaborare, sempre all’interno della strategia dell’O, per realizzare e arricchire il programma politico che in tendenza dovremo sempre più affinare.

Quindi il polso politico è fondamentale per avere gli strumenti politici necessari a consolidare la dialettica possibile che l’attività rivoluzionaria mette in campo.

Se in prospettiva e dentro l’evoluzione della fase di scontro, punto di programma è quello di attrezzare il campo proletario partendo dai suoi reparti più avanzati, nei termini politico-organizzativi adeguati allo scontro rivoluzionario contro lo Stato, nella situazione odierna ciò non è materialmente dato. Comunque mai tale obiettivo è derogabile al solo lavoro di massa, ma è a partire dall’attività della guerriglia che si aprono gli spazi per la costruzione possibile e realistica di tale dialettica, relazionandola inoltre alle condizioni politiche dello scontro. Affrontare questo nodo non significa cercare di risolverlo con una formuletta elaborata a tavolino, ma significa prendere atto delle condizioni del movimento di classe nella sua reale dimensione politica, per potervi intervenire nella maniera più proficua senza disegnarsi il movimento di classe a propria immagine e somiglianza.

Tornando al rapporto con le avanguardie di classe, esso, in termini generali è teso a quanto detto sopra, in termini specifici è teso a stringere il rapporto sui termini di programma dell’O, tenendo ben presente il grado di coscienza e disponibilità. In questo senso sarebbe un gravissimo errore filtrare il rapporto solo in relazione all’adesione ai termini politici dell’O. Ribadiamo che soprattutto nel rapporto con le avanguardie di classe la sensibilità politica va nel saper valorizzare tutti i piani di contributo.

Il lavoro di massa risponde altresì all’esigenza strategica della riproduzione dell’O per linee interne al campo proletario.

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L’attività dell’O che va dall’82 all’84 matura la ridefinizione dell’impianto politico attraverso anche l’espulsione delle posizioni dogmatiche. In questo passaggio virtualmente si chiude il periodo della Ritirata Strategica; virtualmente perché non è l’espulsione delle posizioni dogmatiche in sé che risolve l’assestamento dell’impianto politico, ma il suo adeguamento sostanziale e complessivo ai termini dello scontro.

Il problema politico che abbiamo di fronte è relativo al rilancio della strategia rivoluzionaria, al rilancio dell’offensiva dell’O all’interno di una condizione di difensiva della classe, all’interno di rapporti di forza favorevoli alla borghesia, con il conseguente arretramento delle posizioni politiche e materiali della classe, con un impoverimento delle espressioni dell’autonomia politica di classe, con lo scompaginamento del tessuto proletario che produce avanguardie. Nonostante ciò lo spazio politico per la LA è sempre presente: spazio politico che si è attestato all’interno dello sviluppo dello scontro rivoluzionario in Italia, uno scontro che è il prodotto dell’evolversi della dialettica tra l’autonomia di classe e la Strategia della Lotta Armata, da una parte, e le politiche dello Stato dall’altra.

Ma se spazio politico c’è occorre il massimo d’intelligenza e sensibilità politica per occuparlo, proprio perché l’offensiva si relaziona alla difensiva di classe e ad uno Stato che ha fatto esperienza nel governo delle contraddizioni di classe e del suo antagonismo, così come nel combattere le avanguardie rivoluzionarie.

Una situazione così mutata può portare a ricercare scorciatoie e soluzioni artificiose senza fare tesoro dell’esperienza che l’O ha messo in campo sul terreno dello scontro tra le classi, perdendo di vista l’indirizzo strategico a cui è rivolto l’agire d’O.

Quello che vogliamo porre all’attenzione è che mai come adesso è importante equilibrare il proprio intervento a tutti i fattori facenti parte dello scontro di classe, ciò perché la fase politica odierna è caratterizzata dalla continua evoluzione e trasformazione dei fattori in gioco e degli equilibri esistenti, il tutto in un contesto internazionale che fa da amplificatore ad ogni evento messo in campo soprattutto da forze rivoluzionarie sia mediorientali che europee. In altri termini, si tratta di analizzare ciò che il proprio agire mette in campo sia rispetto allo scontro con lo Stato sia rispetto al movimento di classe, comprendendo ciò che si modifica nella contraddizione tra classe e Stato. Più precisamente, la dialettica distruzione/costruzione deve tenere presente ciò che si determina e lavorare al rilancio del movimento rivoluzionario e del movimento di classe. Se l’obiettivo per la borghesia è la rifunzionalizzazione dello Stato (del funzionamento dei suoi apparati e della definizione delle relazioni con la classe), il realizzare quest’ulteriore passaggio non è certo privo di contraddizioni e di squilibri, ma anzi la definizione di questo passaggio porta in luce tutti i contrasti provocando una relativa instabilità. Quest’ultima vive e matura nel periodo necessario alla distruzione dei vecchi equilibri e il costituirsi dei nuovi. Instabilità che attraversa le forze politiche, ma che si risolve con un nuovo equilibrio raggiunto, non tanto all’interno delle mediazioni tra le forze politiche (sempre necessarie), ma dando risposte adeguate alla situazione del paese tenendo conto dei rapporti di forza tra le classi, in particolare tra borghesia e proletariato. La crisi politica attuale è la manifestazione dell’importanza del passaggio politico che si sta attuando rispetto ad un ulteriore accentramento dei poteri e della leadership che a ciò vuole far capo.

Questo quadro interno è strettamente inserito nello scontro internazionale dove si sono aperti ampi margini di manovra al piano politico-diplomatico all’interno di una fase preparatoria tesa ad assestare equilibri e coalizioni nella più generale tendenza alla guerra. Tutto ciò pur in presenza di diversi tipi di contraddizioni, sia portate dalla politica estera dell’Unione Sovietica, sia per il peso degli equilibri delle forze nelle aree calde, sia per i contrasti sugli indirizzi economici sul piano internazionale. Infatti, il quadro della crisi economica risente fortemente degli squilibri generati dalle politiche economiche neoliberiste con pesanti riflessi anche nel rapporto Nord/Sud.

In altri termini, l’internazionalizzazione delle economie comporta che, con l’esaurirsi della reaganomics, le esigenze odierne dell’economia Usa si riversino obbligatoriamente nelle scelte economiche degli altri paesi industrializzati anche se al loro interno l’evoluzione della crisi segue tempi diversi.

Infatti, il disavanzo degli USA viene fatto pesare, come problema, su tutta l’economia occidentale. A parte ciò, la necessità di operare contromisure rispetto agli effetti più negativi del neo-liberismo (recessione, disoccupazione, stagnazione) riguarda tutta la catena, e le ricette convergono nel ridare parzialmente slancio alla domanda interna, anche attraverso il sostegno alle piccole e medie imprese con le conseguenze del caso in termini di contrasto tra esigenze di protezionismo e di liberalizzazione dei mercati.

Non a caso fino ad ora non è stato possibile definire nuovi GATT.

Ciò che va ribadito è che il cambio di gestione politica sul piano internazionale non è sganciato dall’evoluzione del quadro di crisi economica e relativa gestione politica.

Fonte: processo per banda armata 1988

Processo di Firenze per i fatti del 2 marzo 2003. Documento della militante delle BR per la costruzione del Partito Comunista Combattente Nadia Lioce allegato agli atti

Dagli inizi degli anni ’90 le condizioni generali e complessive dello scontro tra le classi con cui si misura l’avanguardia riv. sono profondamente segnate dal mutamento dei rapporti di forza (rdf) tra riv e controriv. risultanti dall’offensiva contro la strategia della LA e le forze rivoluzionarie che l’hanno praticata e, su un altro piano, di quella contro i paesi a transizione socialista con ricadute negative anche sulle guerre di liberazione. In particolare nel nostro paese per un lungo periodo si è determinata l’interruzione dell’intervento pol-militare delle BR-PCC e della direzione riv. che immette nello scontro tra le classi, e la discontinuità della fase di ricostruzione delle forze riv. e proletarie nata all’interno della più generale fase di Ritirata Strategica. Fattori, questi, determinanti la battuta d’arresto subita dal processo riv. in Italia, incidenti a favore della BI nel rapporto con il proletariato, e in negativo sulla tenuta pol. dell’autonomia di classe e del movimento riv.. Nei primi anni ’90 con l’esaurirsi di un’intera fase economica e pol. dell’imp. e degli equilibri internazionali, se ne apriva un’altra connotata dal subentrare al modello fordista del nuovo modello di produzione capitalistica “flessibile” a carattere non espansivo, dalla generalizzazione delle politiche economiche liberiste avviate dal polo dominante statunitense, dalla ridefinizione della strategia di dominio e di guerra dell’imp. in funzione del suo allargamento e della conquista di posizioni più avanzate verso l’est storicamente non integrato nella catena imp., e dalle complessive rifunzionalizzazioni dello Stato borghese e delle politiche degli esecutivi legate ai cambiamenti strutturali, al rafforzamento della BI e al vantaggio pol. e alle posizioni strategiche favorevoli conquistate dall’imp. negli equilibri internazionali. Per la gran parte degli anni ’80 per lo Stato, la realizzazione dell’obiettivo pol. di logorare e neutralizzare la guerriglia e attestare la controriv. è il presupposto del progressivo arretramento delle istanze autonome della classe necessario a scaricare sulla classe operaia e sul prol. gli effetti della crisi del capitale e ad adottare le nuove pol. economiche funzionali a sostenere la valorizzazione ai livelli di concentrazione e centralizzazione che raggiungeva sul piano internazionale a partire dal polo dominante. Dinamiche ed indirizzi pol. che, a maggior ragione per l’instabile posizione occupata dal paese nella divisione internazionale del lavoro a causa del tardivo sviluppo del modello fordista, si sarebbero riversati con gravi ed estese conseguenze sulle condizioni materiali della classe e dunque da parte della BI e della sua soggettività pol., per governare le cd antagonistiche che ne derivavano, era necessario stabilizzare rapporti pol. complessivi di subalternità del prol. nei conflitti che si aprivano e, in prospettiva, di subordinazione. La sostanziale debolezza del capitale multinazionale a base autoctona e il livello a cui la crisi ha investito l’economia del paese, avrebbero infatti spinto le pol. di privatizzazione dei monopoli statali e la finanziarizzazione dell’economia e del capitale alla ricerca di valorizzazione sul piano e su scala internazionale, generando la contrazione della base industriale del paese senza che le pol. economiche a sostegno delle dinamiche del capitale potessero favorirne la conquista di posizioni tali nei settori più avanzati della divisione internazionale del lavoro intorno a cui sviluppare a sufficienza un complesso di attività economiche in generale accentrate nelle formazioni economico-sociali dominanti, ma solo a conservare un capitalismo in dura competizione per mantenere le sue quote di mercato internazionale o rinchiuso nell’orizzonte dei monopoli di nicchia, inadatto ad assorbire la forza lavoro espulsa dai processi di ristrutturazione e in generale soggetto a subire la concorrenza dei monopoli più forti o dei paesi emergenti. Sul medio periodo l’andamento economico stagnate che ha prevalso negli anni 90, esaurito l’effetto di traino della locomotiva USA che era stata alimentata dalle ricadute economiche e produttive complessive derivate dal ruolo di volano economico che ebbe il riarmo reaganiano, e nel contesto di una più acuta concorrenza internazionale, ha esplicitato tutta la prospettiva socialmente regressiva a cui la BI avrebbe condotto sia sul piano della tenuta dei livelli economico-sociali nazionali complessivi che nuovamente su quello delle condizioni del lavoro salariato condannato alla continua intensificazione dello sfruttamento, ad una vita precaria in balia del capitale e, con decurtazioni dirette e indirette dei redditi operai e del lavoro dipendente in genere, all’impoverimento, essendo quella di ridurre il prezzo della f.l. al di sotto del valore medio dei mezzi storicamente necessari a riprodurla una delle ricorrenti controtendenze messe in campo dal capitale in risposta alla sua crisi, in questi anni costantemente favorita e sostenuta dagli indirizzi di pol. economica e di riforma economico-sociale adottati da tutti gli esecutivi che si sono succeduti a supporto del capitale in relazione al nuovo modello di produzione. In un processo critico di complessivi riadeguamento nei caratteri storici delle forze politiche istituzionali e nell’assetto dei poteri dello Stato sul cui lineare programma ed equilibrio pol. a sostegno gravava l’ipoteca impressa dall’attacco delle BR-PCC, con l’azione Ruffilli, la BI e la sua soggettività pol., per far marciare le trasformazioni strutturali e le riforme economico-sociali governandone i conflitti che generavano, doveva soprattutto prevenirli, così il suo attacco avrebbe potuto logorare e far arretrare le posizioni di resistenza su cui era attestata la classe. La formula pol. ed il piano di tenuta di una transizione pol. critica sono stati la concertazione nelle pol. economiche ed il tessuto di relazioni neocorporative tra esecutivo, Confindustria e Sindacato confederale, già rodato negli anni ’80 nella sua funzione antiproletaria e controriv. e stabilizzato negli anni ’90, che diventa un modo ed un terreno per governare secondo una progettualità ed una formula pol. il complesso di riforme economico-sociali e politiche necessarie, in rapporto a quanto di queste si concretizza sul piano della contrattazione e nelle pol. economiche di bilancio dello Stato o a quanto diventa “costituzione materiale” dei rapporti tra le classi. Un “metodo di governo” in base a cui, a partire dalla subalternità degli interessi di classe agli obiettivi della BI, poteva essere costruito un rapporto di subordinazione pol. del proletariato, accerchiandone e neutralizzandone le istanze autonome, radicando la depoliticizzazione dei conflitti e sospingendo la classe in difensiva. Un progetto pol. che, nelle sue evoluzioni, verrà colpito dalle BR-PCC con il rilancio dell’attacco al cuore dello Stato con le azioni D’Antona nel ’99 e Biagi nel 2002. In questo quadro pol. contraddittorio il nodo problematico con cui si confronta l’av. Riv. è il come dare concretizzazione, e in sostanza riprendere l’iniziativa nella nuova situazione dei rapporti riv/controriv e classe/Stato, all’intervento riv. e rilanciare la prospettiva di potere. Storicamente ai fini di una risposta adeguata a dargli risoluzione, l’av. riv. è obbligata a misurarsi con l’approfondimento della cd riv/controriv.. La discriminante tra le av. riv. è diventata la capacità di cogliere questo piano di cd e la sua centralità, e la volontà pol. di farci i conti definendo e collocando l’intervento riv. delle forze materialmente attivabili sul terreno della LA. Il riconoscimento pol. dell’incidenza riv. della strategia della LA, delle linee pol. e di programma dell’attacco allo Stato e alla BI e la verifica della rispondenza degli avanzamenti nella progettualità pol.-strategica prodotti dalla BR-PCC dall’avvio della fase di RS e con l’apertura di quella di Ricostruzione delle forze riv. e proletarie, alle istanze pol. e strategiche della classe nello scontro per affermare i suoi interessi generali e la sua prospettiva di potere contro lo Stato e la BI, sono parte integrante dell’iniziale sintesi necessaria a ristrette avanguardie per definire in ogni suo aspetto l’intervento riv.; intervento da cui progredire nella prassi verificata nello scontro, in continuità-critica-sviluppo con la LP delle BR-PCC verso una dimensione pol-militare superiore. L’assunzione di responsabilità pol. verso il proletariato e le BR nell’intraprendere una prassi riv. che sintetizza il rapporto pol. costruito dalle avanguardie con i termini della proposta delle BR, i nodi pol. centrali che investono lo scontro classe/Stato e la specifica capacità pol./militare esprimibile all’avvio dell’intervento riv. impostano le basi pol. e strategiche che, in mancanza di esperienza riv. complessiva, guidano le verifiche occorrenti a misurare e ponderare le scelte di ordine tattico e a selezionare la disposizione delle forze intorno alla LP e al programma perseguito. Nella prassi complessiva immessa nello scontro, l’avanguardia riv. verifica gli indirizzi e le potenzialità delle forze, le condizioni particolari dello scontro e le cd del lavoro riv. nella dinamica attacco/costruzione/attacco in rapporto con i nodi politici posti dallo scontro classe/Stato nella fase politica generale interna e internazionale e nelle sue congiunture, e affina e complessivizza la capacità progettuale. Nei primi anni ’90 sono gli NCC con le iniziative offensive contro la Confindustria e contro la Nato a proporre nello scontro la risoluzione possibile delle problematiche che investivano l’av. riv. e di classe a fronte dei passaggi politici in cui veniva messo a punto il patto neocorporativo sulla politica dei redditi che avrebbe supportato il governo della crisi e del conflitto e la realizzazione delle politiche economiche liberiste che urgevano alla B.I. e in cui veniva ridefinita la strategia imp. con la proiezione offensiva della Nato a seguito del vantaggio conquistato dall’imp. negli equilibri strategici con la disgregazione del Patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica e con la prima guerra all’Iraq. Nell’assumere nello scontro con lo Stato e la B.I. il necessario terreno della guerra gli N.C.C. ne impostavano i termini pol. e mil. a partire dai quali l’avanguardia potesse maturare la capacità politica e offensiva superiore adeguata ad incidere negli equilibri generali tra le classi e a modificarli a favore del campo di classe e riv., e ad esprimere con ciò il ruolo di direzione riv. storicamente svolto dalle B.R. su cui costruire il P.C.C. necessario a trasformare lo scontro di classe in guerra di classe per la conquista del potere politico. In questo senso con le iniziative contro la Confindustria e la NATO, propongono alle avanguardie la ricostruzione delle forze intorno al rilancio dell’iniziativa riv.. Un percorso che si confronta con le durissime condizioni dello scontro e che non è affatto lineare né scontato perché implica che l’av. identifichi il carattere generale delle cd con cui si misura nel lavoro riv., che ne dia una definizione pol. e che conquisti e affini la capacità di superarle o di governarle in avanti, approfondendo la progettualità in relazione al passaggio riv. in atto, passaggio che, interno alla fase di ricostruzione delle forze riv. e proletarie., ha sue peculiarità inerenti la discontinuità di percorso e di intervento riv. e la necessità di realizzare la costruzione-fabbricazione del Partito occorrente a dare avanzamento al processo riv. ma a partire da uno stadio aggregativo delle forze. Fattore quest’ultimo che ha rilevanza su un piano strategico perché non riguarda particolari nuclei di avanguardie né è casuale, ma inerisce lo stato e il contesto storici del campo prol e riv. del quale è parte l’avanguardia, in relazione a quanto la controriv. vi ha attestato in termini di dispersione delle forze e consolidato in termini pol. e mil. preventivi e che, finché non siano state ricostruite nello scontro le condizioni complessive del suo superamento, ossia tutti i termini pol-militari per dirigere il processo riv., si riproduce come episodicità più o meno accentuata dell’intervento riv. e instabilità delle forze organizzate. La conquista dei primi termini pol. da parte dell’avanguardia su questo piano è una delle condizioni imprescindibili per avviare l’intervento sul terreno riv. secondo gli indirizzi della strategia della LA assicurando tenuta delle forze e prospettiva di avanzamento. Un processo di acquisizione di cui l’intervento offensivo è uno snodo ma procede per salti e rotture complessivi in base alle verifiche della prassi nello scontro e alla rielaborazione che ne opera la soggettività riv. che in questa fase si misura con il problema di qualificare politicamente e militarmente l’av. favorendone le rotture soggettive necessarie ad assumere responsabilità pol. sul piano riv. ed i salti nella capacità di adempierla, problema da affrontare progettualmente e sul piano programmatico come aspetto pol. centrale della costruzione del Partito in questa fase e termine dell’avanzamento del processo riv.. L’insieme di riferimenti alla base dell’esperienza dei NCC si è riversato nella scelta pol. delle avanguardie riv. che hanno rilanciato l’attacco al cuore dello Stato con l’azione D’Antona, di esplicitare nel documento che la rivendicò, tanto il ruolo pol. centrale di questa esperienza nel percorso di rilancio della strategia della LA, che la presa di responsabilità pol. nell’assumere la denominazione BR-PCC affermando la continuità pol. e strategica dell’intervento dell’av. riv. con quanto praticato e proposto alla classe dalle BR e con il ruolo di direzione riv. svolto dall’O. nello scontro generale tra le classi. Un’assunzione di responsabilità pol. che pratica, attesta e propone l’agire da Partito per costruire il Partito espresso dalle BR in trent’anni di attività che in quanto tale e per i contenuti avanzati conquistati dal processo riv. diretto dall’O. è venuto a far parte in modo indelebile della storia concreta dello scontro di classe nel nostro paese, al di là dell’operato controriv. teso oltreché a neutralizzare le forze anche ad inquinare e a disperdere i contenuti pol. e strategici della proposta riv. e a negare con astruse ricostruzioni giudiziarie e poliziesche la riproducibilità nello scontro attuale dell’avanguardia riv. e della strategia della LA. In realtà quel che il rilancio della strategia della LA ha attestato dal ’99 nello scontro riv/controriv. e classe/Stato è il necessario e possibile approfondimento del rapporto pol. di Partito per far avanzare il processo riv. da dove è giunto dando prospettiva agli avanzamenti prodotti dall’O. e governando in avanti le cd indotte dagli arretramenti. Un nodo pol. discriminante per tutte le av. riv. e gli stessi militanti BR per sostenere lo scontro, stante l’approfondimento del rapporto riv/controriv. e la conseguente radicalizzazione del processo riv., e un dato attestato di valore pol. storico che inevitabilmente incide in profondità il rapporto riv/controriv.. Su un altro piano, il riflesso nelle considerazioni e scelte tattiche da operare di un passaggio ancora non concluso di una complessiva definizione strategica del modo di agire delle forze riv. in questa fase è all’origine dei colpi subiti dall’O. nel corso del 2003; tutt’altro dunque che derivati da una presunta onnipotenza dello Stato che la propaganda controriv. ha cercato di accreditare in una delicata congiuntura pol. in cui l’esecutivo, pur in grado di imporre le sue decisioni ad un Parlamento ridotto a una finizione ratificatrice, non è affatto riuscito a far marciare linearmente i suoi programmi.

Anzi, il suo procedere per forzature e strappi nel tessuto di relazioni neocorporative già eroso dall’attacco dell’O. e dall’opposizione della classe alle pol. che ha garantito, anche per dimostrare la tenuta delle sue linee programmatiche in reazione al colpo subito dal progetto di rimodellazione Economico-sociale (e di riforma in senso federale dello Stato) dall’azione Biagi e alla dialettica tra opzione riv. e istanze autonome della classe che ha approfondito, hanno costretto la soggettività pol. della BI e lo stesso padronato a misurarsi con la sostenibilità pol. di un indirizzo proteso ad attaccare frontalmente le conquiste storiche del movimento operaio e in generale alla drastica intensificazione dello sfruttamento del lavoro salariato come chiave di volta nella competitività, termine principale della rappresentanza pol. che la maggioranza CC può offrire alla BI. Un indirizzo che, mentre i margini lasciati dalla crisi sono sempre più ristretti, alimenta il conflitto, ne favorisce le spinte alla politicizzazione ed incrementa l’impiego di misure repressive nei confronti delle lotte della classe, rendendo critiche le ricuciture necessarie per compatibilizzare le istanze sociali e ricondurle sul programma della BI e questo per di più quando l’intero quadro pol.-istituzionale non è affatto riuscito a tradurre i risultati mil. conseguiti contro le BR in quest’anno in vantaggio pol. per attaccare ulteriormente la classe e indurla ad indietreggiare, come hanno dimostrato i reiterati fallimenti dei tentativi persino di inscenare uno schieramento di classe intorno ai vertici sindacali sul contenuto della “lotta al terrorismo” a sostegno dello Stato ed della BI. Fatti che confermano come, nel contesto di sostanziale vulnerabilità pol. di quanto consolidato nel decennio trascorso dalla controriv., il rilancio dell’opzione riv. e dell’attacco al cuore dello Stato, affermando gli interessi generali e storici del prol. nello scontro di potere tra classe e Stato e dando prospettiva strategica alle lotte della classe, ha aperto un varco nella sua difensiva e ha rafforzato politicamente il campo prol. e riv., qualificando i contenuti delle av. riv. e di classe e incidendo positivamente sulle dinamiche di opposizione e aggregazione prol. nello scontro con lo Stato e la BI.

Sul piano degli equilibri internazionali la strategia di dominio e di guerra accelerata dal polo dominante USA a seguito dell’attacco al WTC e al Pentagono per recuperare sulla quota di potere deterrente preventivo rappresentata dalla storica invulnerabilità del territorio nazionale statunitense, alla prova in questa congiuntura della conquista e stabilizzazione di posizioni di dominio e strategiche in Medio Oriente per avanzare ulteriormente, ad Est, ha dimostrato tutti i suoi limiti in particolare a fronte di una resistenza nazionale irakena che, immaginata residuale rispetto alla rapida invasione anglo Usa, si è invece trasformata in tempi brevi in una guerra di popolo per la liberazione del paese dall’occupazione imp. Guerra che favorisce la crisi politica dell’imp. mettendone a nudo la vulnerabilità pol., non colmabile dall’assoluta superiorità di risorse economiche e mil e dalle tecnologie altamente distruttive che contrappone all’eroica resistenza del popolo irakeno e di quello palestinese, privi peraltro di qualunque retroterra e sostegno che non sia quello delle masse arabe. Il riflesso nostrano delle gravi difficoltà in cui versa il progetto di assoggettamento dell’Iraq per farne risorsa e base dell’avanzamento della guerra e della controriv. imp. e una condizione del riallineamento dello schieramento imp., assume talora risvolti grotteschi per le inadeguatezze pol. dell’attuale maggioranza C.d.L. e di un esecutivo schierato in prima fila a fianco dell’alleato statunitense contro il “terrorismo internazionale”, e per l’ambiguità dell’opposizione istituzionale e dei suoi addentellati sociali paraistituzionali dovuta all’obiettiva improbabilità di riuscire a rappresentare gli interessi generali della BI in crisi politica e all’irrinunciabile priorità controriv. che qualifica la candidatura del centro-sinistra a governare. Di fatto nella misura in cui la guerriglia irakena si è configurata come una vera guerra di popolo estendendo ed innalzando il livello del suo attacco, e in particolare a seguito dei moti insurrezionali di aprile in cui le truppe italiane di Nassirya si sono rese direttamente responsabili di una strage di civili, è andato in crisi il tradizionale indirizzo pol. delle missioni italiane, basate propagandisticamente sulla giustificazione umanitaria e ricostruttiva e materialmente su una disposizione strategico-tattica del contingente italiano della coalizione imp., impiegato in funzione di compiti operativi limitati sotto il profilo offensivo in zone di territorio in cui l’aspetto pol. della prevenzione della lotta armata prevale e in cui perciò può essere messa a frutto la specifica esperienza antiguerriglia maturata in 30 anni in Italia dall’arma dei carabinieri dei corpi speciali e dall’“intelligence”, e allargata a unità delle altre forze annate con l’insediamento permanente nei Balcani per il contenimento dei conflitti etnici fomentati dall’imp. per frammentare e dominare quell’area. Un contingente che, come gli altri sopraggiunto a dare manforte all’occupazione imp., nell’impossibilità pol. e militare di sostenere l’innalzamento dello scontro, è costretto ad un sostanziale arroccamento difensivo, inutile e dannoso, se l’alleato USA e le sue offensive contro le roccaforti della resistenza non raggiungono in breve tempo l’obiettivo di distruggerle per produrre un indebolimento ed un ridimensionamento strategico della guerra di liberazione e conquistare un controllo del territorio irakeno mai avuto dalla fine dell’invasione e che rappresenterebbe la vera “svolta”, tanto reclamata, nella stabilizzazione del dominio imp. sull’Iraq. Senza questa, la partecipazione dello Stato italiano e delle sue truppe alla guerra e alla controriv. imp., pur sostenuta da una relativa coesione bipartisan puntellata da una propaganda imp. democraticamente irreggimentatrice intorno al contenuto della “pace”, alla lunga rischia di compromettere la priorità controriv. che in relazione alla guerra in Iraq, sul fronte interno, si concretizza nel prevenire quelle dinamiche pol. di massa che riconoscessero nella resistenza irakena invece che il “terrorismo” cioè il nemico esterno e interno, una giusta guerra di popolo per la liberazione nazionale dall’imp. che, pur all’alto prezzo di sangue e di sacrificio che la conquista della libertà e del potere sulle proprie sorti impone, può avanzare anche contro un nemico con una potenza distruttiva infinitamente superiore e in un contesto di equilibri internazionali non favorevole ai popoli che l’imp. vuole sottomettere. Una priorità che, per il legame pol. oggettivo tra processi riv. nei paesi europei e guerre di liberazione nell’area mediterraneo-mediorientale , per il quale le BR hanno storicamente prospettato la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista quale strumento dell’attacco comune delle forze riv. di questa regione alle pol. della BI, diventa contraddittoria perché se la tenuta della guerra del popolo irakeno non induce ad un ritiro immediato delle truppe che aggraverebbe la crisi pol. della BI, e della sua strategia di dominio e di guerra già a lungo frenata nei suoi programmi di espansione dalla valorosa resistenza nazionale irakena, si riflette però negativamente nella tenuta del fronte interno della guerra imp. e controriv. e incide relativamente anche su quanto ha attestato la controriv. nello scontro generale tra le classi nel nostro paese.

In un contesto interno e internazionale tutt’altro che “pacificato” nel quale le istanze di liberazione della classe e dei popoli si contrappongono allo sfruttamento, l’attacco politico mosso in quest’anno alle BR-PCC e alle proposte che avanzano al prol., teso a contrastarne la dialettica con le dinamiche pol. e aggregative dell’opposizione di classe e riv. alle pol. antiprol., guerrafondaie e controriv. della BI, si è legato ad un indirizzo più generale dell’esecutivo di rafforzamento del fronte interno della guerra imp. che ha introdotto ulteriori misure preventive e repressive ed è stato supportato da una vasta e martellante propaganda allarmistica e dall’appoggio dell’opposizione. In specifico l’attacco pol. all’O. è stato condotto secondo i criteri della “guerra psicologica” e ha integrato l’azione antiguerriglia facendo anche uso dell’argomento della debolezza mil. delle BR per incidere sulla fiducia dei militanti in attività e prigionieri e delle avanguardie riv. e di classe nelle potenzialità riv. della strategia della LA per il Comunismo, come se questo argomento non evidenziasse maggiormente la vulnerabilità e la difensiva politica in cui lo Stato e la BI sono costretti dall’attacco dell’O.. Nondimeno del resto le aveva evidenziate fin dall’inizio, il tentativo di mostrificare le figure dei militanti BR e rivoluzionari o, a seconda dei casi, ad oscurarle come è accaduto con il compagno Galesi con la strumentalizzazione della sua morte e del suo funerale per inscenarne l’isolamento dalla classe e per contro con l’esaltazione del militante catturato nel conflitto a fuoco del 2 marzo, anche per favorire la cancellazione della memoria del compagno caduto. Una gestione meschina che ha affiancato la consueta e sistematica azione tesa a stravolgere i contenuti delle dichiarazioni dei militanti prigionieri ai fini della propaganda controriv., le costruzioni criminogene di digos e magistratura o i tentativi di impedire la tradizionale espressione di identità pol. dei prigionieri in occasione di scadenze processuali. Se questo attacco pol. che ha raggiunto spesso toni incongrui alla storia o riv. del nostro paese voleva incidere sulla tenuta morale e pol. dei militanti in attività e prig. e come prospettiva minacciosa verso la base sociale della LA, ha nello stesso tempo spinto al consolidamento della contrapposizione dell’impegno riv. e alla sua qualificazione, e alla solidarietà di classe con i prig. BR e riv., ed in generale ha funzionato come relativa esorcizzazione delle paure della borghesia. E ciò perché, in ultima istanza, le ragioni della riv. non sono della soggettività riv., ma derivano dalla necessità storica del superamento dei rapporti sociali capitalistici e del dominio della BI, per cui gli avanzamenti attestati dalle BR-PCC sul piano del processo riv. nel nostro paese con il rilancio della strategia della LA per il Comunismo sono processi pol. reali che per la loro rispondenza alle problematiche radicali della fase riv. in atto, pur nella rideterminazione del suo andamento concreto causata dai vantaggi mil. acquisiti dallo Stato contro le BR-PCC e, come comprovato dalla verifica storica della valenza strategica dei riadeguamenti dell’agire dell’av. riv. a ciò che è imposto dal rapporto riv/controriv., in continuità-critica-sviluppo con quanto praticato, conquistato e proposto dall’O., segnano un nuovo punto di non ritorno del processo riv. e trovano sempre il modo di farsi strada nello scontro di potere tra le classi. Uno scontro di potere di cui questo rito processuale che pretende di mettere alla sbarra la riv, non è che uno dei tanti momenti e dei meno rilevanti nel quale in quanto militante delle BR-PCC non posso che ribadire di rivendicare tutta l’attività riv. dell’O. e di rispondere dei miei atti pol. al proletariato e alle BR che ne sono l’avanguardia e lo rappresentano.

ONORE AL COMPAGNO MARIO GALESI E A TUTTI I MILITANTI ANTIMPERIALISTI CADUTI!

VIVA LA STRATEGIA DELLA LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!

VIVA L’INTIFADA PALESTINESE E LA GUERRA DI LIBERAZIONE NAZIONALE IRAKENA!

PROLETARI DI TUTTI I PAESI UNIAMOCI

5/5/2004

La militante delle BR per la costruzione del Partito Comunista Combattente Nadia Lioce