Autointervista, giugno 1981

Da qualche tempo si va sostenendo di aver raggiunto vittorie significative nella lotta al terrorismo e ciò è anche confortato dal susseguirsi dei “pentiti”. Come mai si è potuto arrivare a tanto, mentre la guerriglia rivoluzionaria metropolitana si estende in più direzioni?

Ciò che nel movimento rivoluzionario è stato sconfitto, e si avvia a una ingloriosa morte, non è la proposta strategica della guerriglia metropolitana, bensì le interpretazioni e le varianti soggettiviste, militariste e organizzativistiche della lotta armata per il comunismo, ultimo riflesso della crisi mortale che attanaglia la piccola borghesia. C’è stato un profondo processo di critica di tali posizioni errate e di rettifica della linea politica che si è proiettato sin nell’organizzazione. Il processo di chiarimento politico nell’organizzazione ha avuto il suo punto di arrivo nella definizione delle tesi politiche affermate nella Risoluzione della Direzione Strategica dell’ottobre 1981. È la chiarezza sulla linea strategica della costruzione del Partito Comunista Combattente e degli organi di massa rivoluzionari che ha consentito all’organizzazione di essere all’offensiva. La D.S. ’80 in questo senso, è stato il punto di arrivo della critica alle tendenze erronee, ma anche il punto di partenza per un possente sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro Paese. Nel divenire di questo processo l’organizzazione si colloca ala testa di tutto il proletariato metropolitano.

Se la D.S. ’80 assume tale importanza per l’analisi degli errori e per nuovi processi di lotta, qual è il suo reale collegamento con la campagna D’Urso?

Da un lato la campagna D’Urso ha tradotto in prassi la linea strategica della D.S. ’80; dall’altro ha indicato e sviluppato la sostanza dell’agire da partito in questa congiuntura. Si può perciò dire che essa ha rappresentato un punto di non ritorno sul piano strategico-tattico, teorico-pratico, politico-militare. E ciò per il fatto che ha posto al centro dell’iniziativa guerrigliera il procedere per campagne. È nel procedere per campagne che si può trovare un’adeguata soluzione e rapporto partito-masse e, dunque, darsi l’elaborazione, l’applicazione, la verifica e lo sviluppo di una corretta linea di massa. È soltanto nel procedere per campagne che può trovare un’adeguata soluzione il rapporto del partito con l’avanguardia di tutto il proletariato metropolitano e, dunque, concretizzarsi un profondo e capillare lavoro di massa dell’organizzazione.

Qual è, allora, il modo di disarticolare lo Stato imperialista?

Innanzitutto non vi può essere disarticolazione senza organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata per il comunismo. Non vi può essere propaganda del programma prima e organizzazione e armamento delle masse dopo; è nella dialettica linea di massa-lavoro di massa che deve trovare soluzione e sviluppo la stessa disarticolazione dello Stato imperialista.

Allora, la proposta strategica dell’organizzazione delle Br, come affermata dalla D.S. ’80, è animata da una doppia dialettica: conquistare le masse alla lotta armata per il comunismo e colpire al cuore dello Stato.

Questa doppia dialettica deve vivere organicamente in ogni campagna. Diversamente operando, a loro avviso, si cade nel bieco militarismo e stolido organizzativismo. Sancendo, da un lato, un’esternalità abissale rispetto alle masse e ai loro bisogni politici immediati; dall’altro, una sfasatura incolmabile rispetto al cuore dello Stato. Non si può, dicono, ad esempio ritenere possibile disarticolare il cuore della ristrutturazione capitalistica del mercato del lavoro, attaccando il lavoro nero; né si possono costituire e sviluppare gli organismi di massa rivoluzionari all’interno del proletariato marginale ed extra legale intorno a una linea semplicemente disarticolante, senza porsi in dialettica attiva e trasformatrice con i contenuti reali di potere espressi dalla mobilitazione di massa, per delimitare il terreno di formulazione fissazione del programma immediato in rapporto di continuità e trasformazione col programma generale di transizione al comunismo.

In pratica, com’è possibile organizzare la classe operaia per questi fini?

È velleitario ed errato, a loro dire, ritenere possibile organizzare la classe operaia sul terreno della lotta armata per il comunismo agitando semplicemente un programma propagandistico che rimanda indefinitivamente la soluzione del problema cruciale della definizione dei programmi immediati e dell’attivazione di tutte le determinazioni del sistema del potere proletario armato.

Il procedere per campagne contiene specificità e originalità oppure è un modello organizzativo indifferenziato?

Non è un modello organizzativo indifferenziatamente e in maniera sempre uguale applicabile a tutti gli strati di classe. La campagna non è lo stereotipo fossilizzato che mummifica la sostanza dell’agire da partito. Essa articola la linea strategica entro strati di classe diversi. Ogni volta sviluppa in maniera originale la linea strategica, saldandola alla specificità di ogni strato di classe. In questa dialettica vive la traduzione, trasformazione, concretizzazione e sviluppo del programma generale di transizione al comunismo in programmi immediati specifici di potere. Intorno e dentro questa dialettica cresce e si rafforza il partito e nascono e si sviluppano gli organismi di massa rivoluzionari. È a questi principi e da questi problemi che può porsi e fondarsi una campagna come atto di fondazione politica, quale si è sviluppato per la campagna D’Urso; e così per la campagna Cirillo.

Sembra così di comprendere che attorno alla classe operaia ruoti questo generale procedere per campagne e il processo di costruzione del partito.

Infatti lo sviluppo obbligato di linea strategica della campagna D’Urso è porre al centro della pratica sociale dell’organizzazione la fondazione politico-militare di una campagna di intervento all’interno della classe operaia. Si misura qui la capacità, la possibilità e la necessità dell’organizzazione di articolare la corretta linea di massa entro le diverse figure che compongono la classe operaia. Come centralità operaia non vuol dire unidimensionalità operaia dell’agire da partito, così l’intervento nella classe operaia non può avere il carattere dell’unicità; così una campagna specifica all’interno della classe operaia deve tenere in conto la peculiarità strutturale di questo strato di classe centrale, le differenziazioni tra i diversi comparti produttivi e le mille originali forme del processo di stratificazione-annientamento prodotto dalla ristrutturazione in fabbrica.

La D.S. ’80 indica al centro della ristrutturazione imperialista nel nostro Paese la Fiat.

Non solo le lotte della classe operaia Fiat sono al centro dello scontro di classe nel Paese. L’autunno scorso è stato l’autunno della classe operaia Fiat; un’altra e più poderosa stagione di lotte già si preannuncia. È a partire di là, dunque, che si può e si deve articolare la corretta linea di massa all’interno della classe operaia. Senza classe operaia Fiat niente costruzione del Partito comunista combattente. “Senza Patto comunista combattente niente rivoluzione”.

Quale sarebbe il significato della centralità della classe operaia nel Sud?

Dalla dialettica sviluppo/sottosviluppo che azionerebbe il modo di produzione capitalistico, “incuneato nelle aree del sottosviluppo”, risulterebbe modellata la dinamica del rapporto tra le classi, rotando anche nel Sud attorno a due poli: la classe operaia metropolitana e la borghesia imperialista. Di qui si estenderebbe il ruolo di direzione politica del processo rivoluzionario esercitato dalla classe operaia e si affermerebbe che la stessa deve dirigere tutto. Altra conseguenza: la “questione meridionale” non esiste perché al Sud sono mature, secondo loro, le condizioni del radicamento della guerriglia metropolitana e matura sarebbe la prospettiva della guerra civile antimperialista che ruota intorno alla classe operaia.

Lo slogan “sfondare la barriera del Sud” come si collega alla teoria della centralità della classe operaia al Sud?

 

L’agire da partito, che nel Sud, parte dalla classe operaia che è figura strategica su cui si fonda l’azione di sfondamento, ma non la esaurisce. Ciò è tanto più vero nel caso del polo metropolitano napoletano, dove una molteplicità e ricchezza di tensioni politiche sono costantemente in ebollizione nel rigoglioso fluire delle contraddizioni di classe. Nel polo, la doppia dialettica accumulazione-produzione/accumulazione-sovrapopolazione relativa impone al partito una linea complessiva e un agire da definire con estremo rigore per confrontarsi con la dinamica delle contraddizioni di classe nel suo divenire storico e politico. Per cui tra prospettiva strategica e congiuntura politica non esisterebbe un aspetto di unità immediato ma di relazione dialettica di unità e opposizione. Spetta al partito individuare le posizioni dominanti di strati di classe, aprendo una dialettica con le masse allo scopo di interpretare e trasformare, al più alto livello di maturazione, la massima collisione. La soluzione è nell’opera di mediazione tattica di congiuntura: nel senso che al più alto livello di collisione e nella specificità del polo metropolitano l’iniziativa guerrigliera si confronta e si riferisce ai bisogni politici immediati. Pertanto, pur riconfermando che la classe operaia è il fulcro del processo rivoluzionario, esisterebbero altre potenti leve che si possono e debbono azionare per la costruzione del sistema del potere proletario.

 

Forse siamo giunti al famoso salto di qualità della lotta armata. Quindi saremmo in presenza di nuovi contenuti e nuovi metodi di lotta?

 

Affermo che nel variare delle congiunture e a seconda della specificità di ogni polo metropolitano, l’agire da partito si arricchisce costantemente, radicandosi in estensione e profondità in sempre nuovi strati di classe. Ecco perché, in questa congiuntura, nella specificità delle contraddizioni di classe che attraversano il polo metropolitano napoletano, abbiamo messo al centro del nostro intervento i bisogni politici del proletariato marginale ed extralegale. Questi bisogni erano già centrali nella dialettica rivoluzione/controrivoluzione; intorno a essi era possibile e necessario conquistare il programma immediato di questo strato di classe e costruire gli organismi di massa rivoluzionari, in dialettica col programma generale di transizione al comunismo. In tale modo la prospettiva strategica del progetto rivoluzionario cresce e può vivere già dentro tutta la congiuntura storica e politica.

 

La campagna Cirillo ha una sua originalità e specificità?

 

L’originalità della campagna Cirillo sarebbe data dal fatto che essa si pone il compito di articolare la linea strategica dell’organizzazione e i contenuti del programma generale di transizione al comunismo nel corpo del proletariato marginale ed extralegale. La sua specificità sarebbe data dal fatto che deve trasformare, ricomporre e organizzare i bisogni immediati del proletariato marginale ed extralegale incanalandoli entro la costruzione del potere proletario armato. La campagna Cirillo intenderebbe da un lato articolare i contenuti del programma strategico in maniera originale; dall’altro recuperare le specifiche tensioni di un ben delimitato strato di classe alle ragioni sociali della dittatura proletaria per il comunismo. Il cartello Cirillo indica tutto ciò con estrema chiarezza.

A proposito di cartello, potremmo individuarne i contenuti precisi?

 

È possibile fare una rilettura dei tre famosi punti richiamati nei documenti finora pervenuti delle Br.
“Lavorare tutti, lavorare meno” – significherebbe fissare l’orizzonte strategico in cui si muove il programma di potere: abolizione del lavoro salariato. Ciò crea una dialettica organica e permanente, sul lungo periodo quanto sul breve, col programma generale di transizione al comunismo; organizza e concentra, fin da subito, la mobilitazione di massa contro i rapporti sociali dominanti. Far vivere già oggi il rovesciamento di tali rapporti nelle forme necessarie e possibili è una esigenza imprescindibile. In questa congiuntura la forma di tale rovesciamento è data dall’emancipazione politica del sistema di dominio imperialista, intorno ai contenuti del programma generale di transizione al comunismo. Le conquiste del proletariato marginale ed extralegale debbono essere parte integrante di tale emancipazione. Soltanto così esse possono configurarsi come occupazione stabile e allargata di spazi di potere. Fuori di questo orizzonte non restano che pii desideri e pratiche errate.
“Contro la ristrutturazione del mercato del lavoro sostenere le lotte del proletariato marginale ed extralegale e costruire gli organismi di massa rivoluzionari” – significherebbe articolare il contenuto del programma strategico nella specificità del proletariato marginale ed extralegale. Tale articolazione stabilisce un punto di sutura politica tra la disarticolazione dello stato imperialista e l’organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata per il comunismo. E, di fatto, contro il controllo e la gestione capitalistica del mercato del lavoro, le lotte offensive del proletariato marginale ed extralegale hanno affermato nel polo metropolitano napoletano i massimi livelli di antagonismo e di esercizio del potere proletario. In un inesauribile e poderoso ciclo di lotte, il proletariato marginale ed extralegale ha fecondato e fatto crescere nel polo livelli di organizzazione autonoma intorno a un programma di potere inconciliabile e irriducibile al dominio dello stato Elotte che l’organizzazione nel polo ha memorizzato per svilupparlo. Innestandosi sulla ricchezza di questo patrimonio, il salto agli organismi di massa rivoluzionari non è un salto nel vuoto.
“Contro la deportazione requisire le case sfitte dei padroni” – significherebbe individuare quale, nella congiuntura attuale, è il bisogno politico immediato fondamentale, affermato dalla mobilitazione di massa, e saldare la soddisfazione di tale bisogno con il programma di potere. Significherebbe pure individuare le forme specifiche attraverso cui si articola il progetto di stratificazione e annientamento del proletariato marginale ed extralegale nel polo metropolitano napoletano. Il progetto imperialista rovescia contro tale strato di classe la strategia differenziata dell’annientamento, trasferendo il carcere sul territorio. In una parola, contro il proletariato marginale ed extralegale viene applicata la strategia della deportazione di massa. Impedire, bloccare, far saltare in aria tale strategia criminale diventa un obiettivo irrinunciabile del movimento rivoluzionario. La requisizione delle case sfitte articola tatticamente tale obiettivo di potere. Essa non è semplicemente un obiettivo assolutamente irrinunciabile, ma anche assolutamente perseguibile dato il rapporto di forza pendente a favore della rivoluzione. Non solo; essa impedendo di fatto la deportazione salda i bisogni immediati con la costruzione del sistema del potere proletario armato, facendo ulteriormente progredire il processo rivoluzionario nel nostro Paese.

È possibile dal materiale pubblicato dedurre qualche riferimento alla questione dei pentiti?

 

Purtroppo sì! Il radicarsi e crescere della prospettiva di guerra civile antimperialista ha scosso tutto l’edificio del sistema di potere dominante. Tutte le strategie e le tattiche del cosiddetto progetto controrivoluzionario sarebbero state costrette a perfezionarsi; così le strutture di potere a rinnovarsi; così le manipolazione ideologiche a raffinarsi. Ciò sarebbe risultato vano perché lo stato imperialista non è riuscito a spegnere le guerriglia metropolitana. Di qui prenderebbe corpo la più grande utopia che il capitale potesse partorire: sconfiggere la guerriglia metropolitana dal suo interno. Secondo loro, la desolidarizzazione non bastava più, occorreva far dissociare attivamente. Occorreva dimostrare scientificamente che la lotta armata per il comunismo era scientificamente immotivata, strategicamente perdente, tatticamente una follia.

Cosa chiederebbe lo stato imperialista? Che la guerriglia metropolitana disarmasse le masse e dichiarasse pubblicamente la propria sconfitta?

 

A loro giudizio lo stato imperialista simulerebbe la più grande delle forze proprio nel dichiarare la sua impotenza, e nell’avvertire l’impossibilità di bloccare la crescita del processo rivoluzionario cercherebbe di dissimulare il proprio destino storico e la carenza di legittimazione sociale.

Come verrebbero considerati i pentiti e che sarebbero?

 

Rappresenterebbero la proiezioni di ossessioni e di impotenze della borghesia imperialista che, loro tramite, tenterebbe di esorcizzare la lotta armata del comunismo. Sarebbe quella faccia dello stato imperialista, più repellente e bavosa secondo loro, perché costretta a vomitare impotenza. Sicché i Fioroni, i Peci, i Sandalo, i Barbone, i Viscardi non sarebbero altro che la duplicazione più deteriore dello stato imperialista e i pentiti in genere rappresenterebbero lo specchio fedele ed evidente dell’impotenza dello stato imperialista che li divora tutti, quanto più si sposta avanti l’asse della guerra di classe.

Indicano un rapporto tra i pentiti e la guerriglia metropolitana? E di Peci, in particolare, qual è il loro giudizio ultimo?

 

Loro indicano, ad esempio, che Peci non sarebbe figlio delle Br per quanto è andato dichiarando nei processi, ma bensì la riproduzione in miniatura dei Caselli e Dalla Chiesa e delle loro nevrosi per il rigoglioso attecchire della guerriglia metropolitana. Mentre i veri e autentici “pentiti” sarebbero i migliori figli della borghesia come Sossi, Moro, D’Urso, Cirillo, Taliercio, e Sandrucci. In definitiva, tra movimento rivoluzionario e “pentiti” sembrerebbe stabilirsi una contraddizione antagonista, cioè tra rivoluzione e controrivoluzione e non all’interno del movimento rivoluzionario.

Come giudicherebbe le affermazioni delle Br secondo cui non esisterebbe il pentimento ma la delazione?

 

Non è un giudizio che posso esprimere, ma nel riferimento agli atti le Br affermano che i delatori sono nemici di classe e come tali vanno trattati; anzi, affermano che la lotta armata per il comunismo nonostante i pentiti stia conoscendo un grandioso slancio in tutto il paese: dopo che a Torino i compagni non hanno consentito che con la guerriglia si processassero dieci anni di lotta armata per il potere processando loro lo stato imperialista e delle multinazionali e schiacciando politicamente il Peci; dopo che Roberto Peci, da loro definito il più squallido dei rappresentanti della schiera degli infami, si trova nelle mani delle forze rivoluzionarie, che cosa resta della borghesia imperialista e della controguerriglia psicologica?

Si possono individuare basi oggettive che favoriscono la penetrazione degli infiltrati nel Partito comunista combattente in costruzione?

 

Sosterrebbero che la crisi irreversibile del modo di produzione capitalistico procede in uno con l’affermazione dispotica del dominio reale e totale del capitalismo; non solo su scala planetaria, ma in tutte le regioni della formazione economico-sociale. Da un lato sempre più larghe fasce della borghesia vengono sfracellate dalla crisi; dall’altro, sempre più si interiorizza la penetrazione della ideologia borghese e piccolo-borghese in tutte le pieghe dei rapporti di classe e delle relazioni sociali. Il tutto sarebbe il riflesso dell’oggettivo innalzarsi dello scontro di classe nella prospettiva della guerra civile antimperialista. Uno scontro mortale, senza esclusioni di colpi, comincia a contrapporre due sistemi di potere antagonisti: per l’insieme di queste ragioni, una organizzazione rivoluzionaria risulta più esposta alla penetrazione della ideologia borghese e piccolo-borghese. Saldi e compatti allora devono essere la base teorico-pratica, l’orientamento generale e la linea politica dell’organizzazione.
Debolezza, indecisione e sottovalutazione intorno ai termini reali del problema, favorendo la infiltrazione di ideologie controrivoluzionarie, facilitano infiltrazioni politiche nel Partito comunista combattente in costruzione. Esiste una unità dialettica tra ideologia controrivoluzionaria e pratica controrivoluzionaria; in ognuna si cela, nascosta, l’altra. La penetrazione delle ideologie controrivoluzionarie in seno all’organizzazione costituisce la base oggettiva su cui le pratiche di potere controrivoluzionarie, le tecniche della manipolazione ideologica, le dissociazioni del legame teoria-prassi, i procedimenti della simulazione fanno attecchire la produzione e la riproduzione della mistificata figura del pentito. Smontare alla base l’utopia tardo-imperialista di attaccare dall’interno la guerriglia metropolitana significa preservare tutta l’organizzazione dalla contaminazione della ideologia borghese e piccolo-borghese, attraverso una lotta incessante e inflessibile contro le deviazioni e le oscillazioni. Si eviterà così che l’organizzazione e il movimento rivoluzionario in generale paghino sull’altare della rivoluzione un tributo più alto di quello necessario.

Cosa si potrebbe aggiungere sul progetto di costruzione del partito?

 

La battaglia politica sarebbe uno status fisiologico della vita del partito che ne fa lievitare la crescita. È questo un patrimonio incancellabile della lotta di classe e della storia delle organizzazioni rivoluzionarie. Viene affermato che lo sviluppo della lotta di classe ha storicamente affinato e perfezionato la teoria-prassi e la metodologia politico-organizzativa di costruzione del partito. Questa teoria-prassi e questa metodologia si sono conquistate, con quella che definiscono la grande rivoluzione culturale proletaria, un caposaldo da cui secondo loro non è possibile prescindere. Si riferiscono ai principi strategici unità-crisi-unità e lotta-critica-trasformazione. La battaglia politica chiarirebbe in termini di unità-crisi-unità e di lotta-critica-trasformazione la linea corretta e quella sbagliata. Isola la linea errata e la sconfigge e dunque recupera, riunifica e assesta tutta l’organizzazione sulla linea corretta. La battaglia politica serve a determinare nuove unità a un livello superiore, dentro sintesi generali che rideterminano, congiuntura dopo congiuntura, il programma strategico dell’Organizzazione.

Supposto, secondo la logica delle Br, il valore del processo di unità-crisi-unità e di lotta-critica- trasformazione, sarebbe questo il dato di fondo del corretto divenire, l’unità del partito?

 

Mi sembrerebbe coerente con il discorso di prima quanto da loro affermato circa il recupero alla linea corretta di tutte le contraddizioni non antagonistiche presenti nel partito. E ciò per loro sarebbe possibile col metodo della discussione politica e del confronto; in caso contrario, per effetto di contraddizioni secondarie trasformate in antagonismo, deriverebbero gravi conseguenze al partito. A questo punto la filosofia delle Br come si evince, ricordiamo, dal loro proclama “unità nella chiarezza”, vuol dire costruire il partito intorno alla linea della D.S. ’80 e ai contenuti strategici della campagna D’Urso e della campagna Cirillo.

Avviandoci alla conclusione, condivide il fatto che si è aperta una nuova fase storica, quella della cosiddetta guerra civile antimperialista dopo il compimento della precedente campagna armata?

 

È il loro tanto proclamato salto al partito, nel senso della recente teorizzazione sullo sviluppo della guerriglia. Una fase storica, quella della propaganda armata, si avvia al compimento.
Una fase nuova, quella della guerra antimperialista, sempre più prepotentemente si afferma, fa valere i suoi diritti e presenta i suoi conti. Lo sviluppo della guerriglia metropolitana svilupperebbe le basi della condotta della guerra per una nuova sintesi tra guerra di lunga durata e politica rivoluzionaria e sarebbe compito di tutta l’organizzazione affrontarlo e risolverlo. La guerriglia metropolitana intenderebbe affermare in maniera compiuta questo principio strategico: il corso della guerra si svolge nello stesso tempo e nello stesso spazio nel corso dell’azione politica: la dialettica è unica.
Da un lato la strategia nel senso più propriamente politico e militare imporrebbe alla nazione politica i suoi criteri e le sue forme; dall’altro, è la politica rivoluzionaria che determina il campo delle decisioni strategiche. Non solo la guerra è la continuazione della politica con mezzi violenti; ma la politica è la continuazione della guerra con mezzi rivoluzionari. In questo senso acquista una nuova dimensione il principio maoista secondo cui “la guerra è il centro di gravitazione del lavoro del partito”. Nel particolare della congiuntura di transizione la guerriglia trasforma le leggi di condotta della guerra e diventa il vettore del salto al partito.
Conseguentemente il salto al partito, salto al sistema di potere proletario armato, significano salto alla guerra.

 

Affermano quindi un triplice salto nella guerriglia metropolitana?

 

Sembra di sì. Dichiarano tre livelli di lotta: per la produzione diventa abbattimento dell’orizzonte angusto dei rapporti capitalistici di produzione; di classe diventa guerra di classe per il comunismo; per il rinnovamento scientifico e culturale diventa rivoluzione culturale nelle metropoli. Inoltre queste tre forme farebbero maturare il salto in seno alle masse attraverso la ricomposizione del sapere col potere, del lavoro intellettuale col lavoro manuale, del politico col militare e percorrerebbe ora, a partire dal partito, tutto il corpo scomposto del proletariato metropolitano. Le pratiche di potere che ora la guerriglia metropolitana si prefiggerebbe si pongono come emancipazione complessiva della classe a tutti i livelli: politico, militare, ideologico, culturale, scientifico, ecc. il sapere secondo loro è la coscienza di classe e la consapevolezza degli scopi e pertanto si coniuga immediatamente col potere. Il potere, finalizzato e animato dalla definizione consapevole degli scopi, riunifica e ridetermina tutte le pratiche sociali. E tutto questo ora avviene nel cuore del proletariato metropolitano.

 

Cosa altro farebbero intendere di questo salto in seno alle masse?

Salto in seno alle masse per la guerriglia metropolitana vorrebbe dire estensione quantitativa del modello e della pratica della lotta armata per il comunismo, perché consentirebbe di affondare la progettualità del programma e delle pratiche del potere proletario armato nel cuore pulsante della classe. L’arma della critica e la critica dell’arma non sono solo i termini essenziali di una pratica sociale unitaria ma sono, dal partito, riunificate in tutte le determinazioni del sistema del potere proletario armato. Il partito irradia la consapevolezza, la conformità degli scopi, la progettualità del programma lungo tutto l’arco delle contraddizioni di classe all’interno di tutte le figure della composizione di classe e in tutte le determinazioni del potere proletario.
Il tutto in maniera pedagogica, ma dirigendo sempre più estese e profonde pratiche di potere e trasformazione sociale che la classe si renderebbe sempre più consapevole della sua missione storica e della immane opera di rivoluzione globale cui deve attendere.
Infine, salto in seno alle masse significherebbe dar corso, attuazione e sviluppo a questa immane opera di rivoluzione globale nel divenire delle contraddizioni di classe; col dischiudersi di così luminosi orizzonti, il soggettivismo, il militarismo e l’organizzativismo sarebbero definitivamente spiazzati.
Concludendo, è possibile aggiungere che le cosiddette organizzazioni combattenti comuniste hanno anche la preoccupazione di far richiamo alla vigilanza e alla lotta contro quelle che definiscono le penetrazioni dell’ideologia borghese e piccolo-borghese in seno al partito in costruzione.

 

Fonte: Luigi Manconi, Vittoio Dini, Il discorso delle armi, Roma, Savelli 1981

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