Autointervista – Seconda intervista a se stessi

  1. Come vedete le scelte politiche della vostra organizzazione dopo due anni di lavoro?

Ci sembra che lo sviluppo della situazione politica italiana abbia confermato la scelta di fondo che abbiamo fatto nei primi mesi del ’70. La crisi di regime non si è affatto risolta in senso riformista e non ci sono prospettive di soluzione in tempi relativamente brevi. Al contrario, la formazione di un governo di centro destra con l’esclusione dei socialisti, il rilancio dei fascisti come “forza parallela”, l’attacco frontale al movimento dei lavoratori e la militarizzazione sempre più arrogante dello scontro politico e sociale stanno a dimostrare che il fronte politico borghese persegue con accresciuto accanimento l’obiettivo di una restaurazione integrale della sua dittatura e quindi di una sconfitta politica senza mezzi termini della classe operaia.
 

  1. L’assassinio di Feltrinelli e l’attacco contro le Brigate rosse non dimostrano al contrario la debolezza o meglio l’immaturità di una scelta di tal genere?

La debolezza di una linea politica non deriva dai rapporti di forza che l’organizzazione che la rappresenta è in grado di stabilire in una fase iniziale. L’attacco scatenato contro di noi dalla borghesia a maggio, nasceva proprio dall’errato convincimento che si poteva neutralizzare la forza politica della proposta strategica della lotta armata per il comunismo sfruttando la debolezza organizzativa che ci caratterizzava. Proprio questo errore di valutazione politica ha fatto fallire l’operazione poliziesca e noi ci siamo rafforzati. Infatti, non accettando il terreno che ci veniva proposto di uno “scontro frontale” tra le Brigate rosse e l’apparato armato dello Stato, abbiamo avuto tutto il tempo per contrattaccare “in silenzio” su obiettivi economici e rafforzare di conseguenza il nostro impianto organizzativo dimostrando nel contempo la “debolezza politica” di questo Stato di polizia pur così “forte” nelle sue strutture militari e repressive.
 

  1. Da più parti vi è stata mossa l’accusa di “terrorismo”. Qual è il suo fondamento?

Il “terrorismo” nel nostro paese e in questa fase dello scontro è una componente della politica condotta dal fronte padronale a partire dalla strage di piazza Fontana per determinare un arretramento generale del movimento operaio e una restaurazione integrale degli antichi livelli di sfruttamento. In particolare con questa politica il padronato ha puntato a realizzare tre obiettivi:
– favorire la crescita del blocco reazionario oggi al potere e delle sue componenti interne o parallele più fasciste nella prospettiva di ristabilire il controllo della situazione nelle fabbriche e nel paese;
– smorzare le spinte rivoluzionarie e indirizzare in senso social-pacifista il movimento delle lotte maturato in questi anni, prospettando lo spauracchio del “salto nel buio”;
– screditare le organizzazioni rivoluzionarie e addebitando alla sinistra provocazioni antioperaie e fasciste, secondo gli schemi degli opposti estremismi e dell’equivalenza di ogni manifestazione di violenza. Il nostro impegno nelle fabbriche e nei quartieri è stato sin dall’inizio quello di organizzare l’autonomia proletaria per la resistenza alla controrivoluzione in atto e alla liquidazione delle spinte rivoluzionarie tentata dagli opportunisti a dai riformisti. Organizzare la resistenza e costruire il potere proletario armato sono le parole d’ordine che hanno guidato e guidano il nostro lavoro rivoluzionario. Cosa ha a che fare col terrorismo tutto questo?
 

  1. Qual è dunque il filo conduttore del vostro intervento in questa fase?

Con la costruzione delle Brigate rosse abbiamo voluto creare un polo strategico in grado di porsi almeno i più urgenti tra i problemi sollevati dal movimento di resistenza proletario. Non abbiamo costruito un nuovo gruppo, ma abbiamo lavorato all’interno di ogni manifestazione dell’autonomia operaia per unificare i suoi livelli di coscienza intorno alla proposta strategica della lotta armata per il comunismo. Oggi possiamo dire che il sasso scagliato ha mosso le acque: il problema dell’organizzazione proletaria armata è stato fatto proprio da tutto il campo rivoluzionario. Si tratta dunque di fare un passo avanti e imporre nella lotta armata la linea di costruzione del potere proletario armato contro le tendenze militaristiche o comunque errate. MILITARISTA è la deviazione di chi pensa che attraverso l’azione armata intesa come fatto esemplare sia possibile “mettere in movimento la classe operaia”. GRUPPISTA è la deviazione di chi pensa che attraverso l’azione armata intesa come fatto esemplare sia possibile “mettere in movimento la classe operaia”. Entrambe queste posizioni hanno un denominatore comune: la sfiducia nelle capacità rivoluzionarie del proletariato italiano. Noi crediamo che l’azione armata sia solo il momento culminante di un vasto lavoro politico attraverso il quale si organizza l’avanguardia proletaria, il movimento di resistenza, in modo diretto rispetto ai suoi bisogni reali e immediati. In altri termini per le Brigate rosse l’azione armata è il punto più alto di un profondo lavoro di classe: è la sua prospettiva di potere. Proprio per questo siamo convinti che per andare avanti sulla strada della lotta armata è ormai necessario svolgere un lavoro di unificazione politica di tutte le avanguardie politico-militari che si muovono nella stessa prospettiva.
 

  1. Intendete un lavoro di unità tra i gruppi?

I gruppi sono realtà del passato, sopravvivenze inadeguate allo sviluppo ulteriore del processo rivoluzionario. L’unità che noi intendiamo costruire è quella di tutte le forze che si muovono nella prospettiva della lotta armata per il comunismo.
 

  1. Potete essere più precisi?

Nella sinistra non riformista operano in questo momento tre tendenze fondamentali:
– La prima è quella liquidazionista che dà per scontata la sconfitta politica della classe operaia e si prepara ad un lavoro “di partito” per gestire il “riflusso” nel lungo periodo di crisi. Coloro che portano questa tendenza pensano ad uno sviluppo organizzativo per linee interne ed identificano, operando con grossolana semplificazione, la crescita del processo rivoluzionario con quella del proprio gruppo. Mentre il fronte padronale ha scelto la via della “guerra civile strisciante”, essi, assestano la loro attività sul terreno dell’agitazione e della propaganda. Da questo errore prende il via la riproposta di un modello terzointernazionalista che noi consideriamo una piatta ripetizione di una esperienza storica del movimento operaio già battuta in passato e senza fiato per l’avvenire.
– La seconda è quella centrista che pur non dando per certa la sconfitta politica della classe operaia imposta la sua iniziativa nel senso di una serie successiva di battaglie mai ricomposte in un disegno unitario di guerra. Questa tendenza è rappresentata dagli organismi autonomi di fabbrica e di quartiere che esauriscono la loro esistenza nella tattica e si illudono di poter costruire nella politica del “giorno per giorno” una consistente alternativa strategica. In concreto il problema che questi compagni devono ancora risolvere sta tutto in questa domanda : “organismi autonomi” oppure “organismi dello stato proletario”?
– La terza è quella della resistenza che non dà affatto per avvenuta la sconfitta politica della classe operaia. È questa la tendenza che sa cogliere le forme nuove entro cui si muove l’iniziativa proletaria e lavora a proiettarle sul binario strategico della lotta armata per il comunismo: sul terreno della guerra di classe rivoluzionaria. È su questa ultima tendenza che si appoggia prevalentemente la linea di costruzione del potere proletario armato. L’unità che intendiamo costruire è dunque in primo luogo quella di tutte le forze che compongono il campo della resistenza: forze che dal ’45 pur ai margini delle linee ufficiali del movimento operaio hanno però sempre espresso la continuità delle spinte rivoluzionarie della classe operaia e forze di più recente tradizione che arricchiscono coi contenuti del ’68 e del ’69 il patrimonio dell’autonomia.
 

  1. Sin qui non abbiamo sentito parlare del Partito Comunista Italiano. Perché?

Il Partito Comunista Italiano è una grande forza democratica che persegue con coerenza una strategia esattamente opposta alla nostra. Non sembra né utile né importante continuare ad attaccarlo con raffiche di parole. Sul terreno rivoluzionario anche la lotta ideologica si appoggia alla capacità di far vivere nella storia le proprie convinzioni politiche. Così siamo convinti, che a misura in cui la linea della resistenza, del potere proletario e della lotta armata si consoliderà politicamente e organizzativamente nel movimento operaio, gli elementi comunisti che ancora militano o credono in quel partito sapranno certamente fare le proprie scelte.
 

  1. Quando parlate di resistenza in che modo considerate lo sviluppo delle forze rivoluzionarie al sud?

Un progetto rivoluzionario in Italia è impensabile senza la partecipazione attiva dei proletari del Sud. Purtroppo le esigenze rivoluzionarie delle masse meridionali sono attualmente distorte a causa del fallimento delle strategie riformiste. Temporaneamente la borghesia fascista è riuscita ad egemonizzare strati popolari di alcune zone del Sud e ad organizzare la “rabbia” intorno ad obiettivi niente affatto rivoluzionari. Sta ora alle forze operaie d’avanguardia del nord riaprire il discorso di unità politica col meridione. È compito urgente al quale dobbiamo dedicare la massima attenzione per evitare che l’azione della borghesia nel meridione si riversi contro la classe operaia del nord.
 

  1. Ma come è possibile lavorare in questo senso di fronte alla fragilità delle strutture politiche della sinistra nel Sud?

Nel sud non mancano certo le spinte rivoluzionarie, anzi da un certo punto di vista esse esprimono livelli altissimi. E la borghesia sa bene che saltassero i meccanismi di controllo sociale l’ondata rivoluzionaria avanzerebbe con molta decisione. Per questo lo Stato, il governo ed i padroni danno fiato al “meridionalismo” delle clientele fasciste e si assumono la responsabilità di una “tendenza eversiva” che di fatto è eversiva solo in rapporto alle lotte operaie. Ad aumentare la confusione contribuiscono poi le forze riformiste che, difendendo questo “stato democratico” che per il Sud è solo repressione e sfruttamento, di fatto aiutano la destra a stabilire egemonia sulle forze proletarie che tendono a muoversi contro il sistema.
 

  1. Stando così le cose, chi può dare l’avvio ad un’inversione di tendenza?

Meglio esser chiari: non certo quei gruppi di intellettuali della sinistra meridionale che passano il loro tempo a studiare le “fasi dello sviluppo capitalistico nel meridione” o il “divario storico tra sud e nord” che nel frattempo continua a crescere. Anche quei gruppi che hanno puntato tutto sull’agitazione e sulla propaganda politica hanno scarse possibilità di dare alle spinte rivoluzionarie ricorrenti uno sbocco strategico. Per sbloccare la situazione occorre che si consolidi una avanguardia armata che sappia unire nella lotta contro i fascisti, le borghesie locali e gli organi repressivi dello Stato, la nuova classe operaia, i braccianti i disoccupati ed il sottoproletariato nel suo insieme.
 

  1. Su quali terreni intendete sviluppare la vostra attività nel prossimo futuro?

Ci sono due tipi di attività che stiamo portando avanti di pari passo con continuità e decisione: il lavoro di organizzazione clandestino e il lavoro di organizzazione delle masse. Per il lavoro clandestino intendiamo il consolidamento di una base materiale. Economica, militare logistica, che garantisca una piena autonomia alla nostra organizzazione e costituisca un retroterra strategico al “lavoro tra le masse”. Per il lavoro di organizzazione delle masse intendiamo la costruzione nelle fabbriche e nei quartieri popolari delle articolazioni dello stato proletario: uno stato armato che si prepara alla guerra.
 

  1. Potete chiarire quest’ultimo punto?

Il problema che dobbiamo risolvere è quello di far assumere alle spinte rivoluzionarie che vengono dal movimento di resistenza una dimensione di potere. Si richiede per questo uno viluppo organizzativo a livello di classe che sappia rispettare i livelli di coscienza che lì operano, ma sappia nello stesso tempo unificarli a farli evolvere nella prospettiva strategica della lotta armata per il comunismo. Le Brigate rosse sono i primi nuclei di guerriglia che operano in questa direzione. Per questo intorno ad essi vanno organizzandosi i militanti comunisti che pensano alla costruzione del Partito armato del proletariato.
 

  1. Quali criteri guidano il vostro intervento nello scontro di classe in questa fase?

Ci muoviamo su tempi lunghi. Sappiamo che questa non è la fase della guerra e proprio per questo lavoriamo per crearne le premesse di coscienza e di organizzazione: ecco il criterio. Tutte le nostri azioni tendono a questo risultato. Un po’ ovunque si verifica che il movimento di resistenza popolare si caratterizza per una generale volontà di scontro con la borghesia e per una altrettanto generale incapacità di praticarlo con efficacia sui terreni imposti. Il nostro intervento va nel senso di risolvere questa contraddizione. Non ricerchiamo il clamore delle azioni esemplari, ma insieme alle avanguardie proletarie impostiamo i problemi:
– della GUERRA AL FASCISMO che non è solo quello delle camicie nere di Almirante, ma anche quello delle camicie bianche di Andreotti e della Democrazia Cristiana
– della RESISTENZA NELLE FABBRICHE per colpire i nemici, i sabotatori e i liquidatori dell’unità e della lotta operaia, per contendere palmo a palmo l’iniziativa padronale che sulla sconfitta politica del movimento operaio vuol far passare qualche decennio di sfruttamento e di oppressione.
– della RESISTENZA ALLA MILITARIZZAZIONE DEL REGIME che non vuol dire lottare per la difesa degli spazi democratici, ma per la distruzione delle strutture armate dello Stato e delle sue milizie parallele.
 

  1. Un’ultima domanda: pensate ad uno sviluppo del processo rivoluzionario a livello nazionale e continentale?

Il conseguimento di una dimensione europea e mediterranea dell’iniziativa rivoluzionaria è un obiettivo importantissimo. Esso ci è imposto dalle strutture sopranazionali del capitale e del potere. Lavorare per la sua maturazione vuol soprattutto sviluppare la guerra di classe nel proprio paese, ma anche essere pronti a scatenare quelle iniziative concrete di appoggio o di lotta richieste dal movimento rivoluzionario e comunista internazionale.

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gennaio 1973
Brigate rosse

Fonte: Vincenzo Tessandori, BR. Imputazione: banda armata. Cronache e documenti delle Brigate Rosse, Garzanti, Milano 1977 e succ. ed.

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