L’attacco incessante che da quattro anni la sinistra rivoluzionaria va conducendo all’organizzazione capitalistica del lavoro e del potere, ha definitivamente affossato ogni illusione di dare uno sbocco riformista alla crisi di regime in atto nel paese.
È un fatto che la borghesia ha infilato diritta la strada della repressione violenta e sistematica delle lotte e che un generale spostamento a destra si è realizzato all’interno del quadro istituzionale. Le vicende di questi ultimi mesi lo dimostrano ampiamente e l’elezione di Leone coi voti palesi dei fascisti o le elezioni politiche anticipate preparate da un monocolore DC che raccatta ogni genere di rifiuti fino a Pella e Gonella, sono solo gli episodi più appariscenti.
Alla permanenza e all’intensificarsi della resistenza proletaria i padroni contrappongono un progetto strategico di riorganizzazione reazionaria e neofascista dello stato: il progetto di una grande destra nazionale.
Siamo ancora alle prime battute, ma al di là delle contraddizioni tattiche con cui questo progetto deve fare i conti se ne intravedono ormai le linee fondamentali.
Nelle grandi fabbriche dove il rifiuto del lavoro cresce fino a diventare rifiuto del potere le lotte vengono represse con ogni mezzo. Basta guardarsi in giro per vedere come, sempre più, aumenta l’intransigenza dei padroni pubblici e privati che, decisi a nulla concedere fanno intervenire con sempre maggior frequenza la polizia nelle vertenze operaie. E poi c’è l’organizzazione dei crumiri, dei nuovi sindacati padronali e delle squadracce fasciste, queste ultime vere e proprie forze dell’ordine civile che all’occorrenza si uniscono e danno manforte, spiando, provocando, facendo del terrorismo, alle «forze dell’ordine» dello stato. I grandi giornali padronali, la radio e la tv fanno il resto. Con il pretesto della «lotta alla criminalità» non perdono occasione per confondere le idee alla classe operaia presentando e contrabbandando la crescente militarizzazione e fascistizzazione dello stato come «esigenza dell’ordine pubblico» e cioè preparano il terreno per un «attacco finale» in tempi stretti alle avanguardie rivoluzionarie presentate come «minoranze criminali».
Proprio per questo le grandi metropoli del nord sono ormai quotidianamente sottoposte a giganteschi rastrellamenti, a continui posti di blocco, vere e proprie esercitazioni antiguerriglia, con impiego di ingenti forze di polizia e carabinieri; (nell’ultimo a Milano sono stati impiegati 5.000 uomini!).
Siamo cioè di fronte ad uno stato «militarizzato» che non riuscendo più ad organizzare per via pacifica il consenso, si prepara ad imporlo con le armi.
La borghesia utilizza per questo suo progetto tutte le forze politiche disponibili sul mercato. Nessuno gli fa schifo, né La Malfa, né Ferri, né Andreotti, né Almirante. Ma la forza trainante in questo momento è il Msi.
Sarebbe dunque un errore ricondurre la questione del neofascismo entro schemi preresistenziali. Oggi siamo di fronte ad un tentativo «nuovo» di costruire intorno alle esigenze dello stato imperialista una «base sociale» stabile.
Il neofascismo in altre parole – almeno in questa fase – non mira tanto ad una liquidazione istituzionale dello «stato democratico», quanto alla repressione ferocissima del movimento delle lotte; non si manifesta come appariscente modifica istituzionale, ma come pratica quotidiana di governo.
In questa prospettiva il disegno di una destra nazionale raccolta intorno ad un progetto d’ordine, costruito su misura delle attuali e future necessità produttive dei padroni, ha certamente un respiro più lungo di quel «centro-destra» di mediazione messo su per scopi elettorali dai leaders scudocrociati.
Non è un caso che molti personaggi democristiani, guardando lontano, siano tra i più solerti sostenitori della destra nazionale, tra i più attivi promotori della maggioranza silenziosa. Del resto c’è spazio per tutti in questa prospettiva: sia per chi vuol muoversi sul binario della «legalità»; sia per chi al contrario preferisce la via delle bombe, del terrorismo e dello squadrismo. Ed è proprio nella combinazione del terreno politico di scontro con quello armato, che va vista la forza attuale del neofascismo: maggioranza silenziosa e terrorismo non sono realtà contraddittorie, come non lo sono i corpi armati dello stato e le squadracce nere di Almirante. A breve termine il blocco neofascista insegue alcuni obiettivi. Primo è quello di organizzare, utilizzando i vari centri anticomunisti quegli strati piccolo e medio-borghesi esasperati dalla «crisi» o minacciati dallo spettro delle lotte operaie come massa di pressione politica anticomunista nel gioco elettorale.
Secondo obiettivo è quello di concretizzare attraverso la Cisnal e gli altri sindacati gialli padronali, una spaccatura all’interno della classe operaia, puntando sui suoi strati ideologicamente e politicamente più deboli, in modo da arrivare alle vicine scadenze contrattuali con la classe operaia divisa ed una «destra» organizzata nelle fabbriche.
Il neosquadrismo è al servizio di questa prospettiva. Gli attacchi squadristici servono infatti, facendo leva sulla paura, a immobilizzare la grande massa operaia e a «staccarla» dagli «estremisti», cioè dai militanti più combattivi e dalle avanguardie rivoluzionarie che non intendono farsi calpestare. Terzo obiettivo è quello di creare nei rioni popolari punti di riferimento organizzati per svolgere un intervento «politico» demagogico e qualunquista di disturbo in vista delle elezioni. Infine, ultimo obiettivo è la costruzione – a lato dello stato – di una forza militare clandestina in grado di sviluppare, secondo le necessità politiche generali, sia una attività terroristica vera e propria (bombe di piazza Fontana), sia una attività di provocazione – in combutta con la polizia – contro le forze che si battono per affermare nel movimento di resistenza popolare la necessità del passaggio alla lotta armata (assassinio del compagno Feltrinelli).
Tutti questi obiettivi hanno un elemento comune: la volontà di annientamento della sinistra rivoluzionaria e di neutralizzazione della sinistra istituzionale.
Opporsi a questo progetto non basta.
Ciò che noi sosteniamo è che questa opposizione deve avere un respiro strategico, deve cioè essere una opposizione armata. La guerra contro il neofascismo è un momento della guerra rivoluzionaria di classe, è un passaggio obbligato del movimento di resistenza popolare nella sua lunga marcia per edificare un potere proletario e comunista.
Come tutte le guerre essa va combattuta oltre che sul piano politico e ideologico anche e soprattutto sul piano militare. Essa è cioè un fronte della lotta armata.
Detto questo si capisce perché, nostro obiettivo in questa lotta non è quello del Pci o di altre forze democratiche «sinceramente antifasciste», di denunciare le violenze degli squadristi facendo inchieste e dossier per chiedere allo stato di intervenire a difesa della legalità repubblicana.
I proletari non hanno stato: lo subiscono!
Lo stato per chi lavora non è altro che l’organizzazione della violenza quotidiana. Per questo i proletari non intendono più chiedere autorizzazioni a nessuno per esercitare in modo diretto la loro infinita potenza; per amministrare questa potenza secondo i criteri della giustizia che nasce in mezzo al popolo.
La guerra al neofascismo e allo stato imperialista è una conseguenza inevitabile della militarizzazione del regime che caratterizza questa fase dello scontro di classe nel nostro paese.
Essa non avrà tregua né potrà cessare fino a che i fascisti non saranno annientati ed il vecchio apparato statale distrutto. C’è chi dice che con le elezioni si possono cambiare le cose, che la «rivoluzione» si può fare anche con la scheda elettorale.
Noi non ci crediamo. L’esperienza già fatta dopo la guerra di liberazione partigiana non può essere nascosta. La conosciamo tutti: abbiamo consegnato il fucile e da quel momento ci hanno sparato addosso! Quanti morti nelle piazze dal ‘45? Quale il nostro potere oggi?
L’esperienza della lotta di classe nell’epoca dell’imperialismo ci insegna che la classe operaia e le masse lavoratrici non possono sconfiggere la borghesia armata senza la potenza dei fucili.
Questa è una legge marxista, non una opinione. Non siamo astensionisti. Non siamo per la scheda bianca. Ma diciamo a tutti i compagni, con chiarezza, che il voto oggi divide inutilmente la sinistra rivoluzionaria; che il voto non paga la nostra richiesta di potere; che non è col voto che si combatte la controrivoluzione che striscia in tutto il paese.
Unire la sinistra rivoluzionaria nella lotta armata contro il neofascismo e contro lo stato che lo produce, è il compito attuale dei militanti comunisti.
Liberare le grandi fabbriche ed i rioni popolari dalle carogne fasciste; strappargli di dosso con rapide azioni partigiane le pelli di agnello di cui si ammantano in questi tempi di elezioni; mettere a nudo con fulminee azioni guerrigliere le complicità nascoste, i legami sotterranei, le trame reazionarie che uniscono i padroni, lo stato e l’esercito nero di Almirante sono esigenze già mature nell’animo delle grandi masse popolari.
Ma le forze rivoluzionarie devono, adesso, osare. Osare combattere. Combattere armati. Perché nessun nemico è mai stato abbattuto con la carta, con la penna o con la voce; e a nessun padrone è mai stato tolto il suo potere con il voto!
Brigate Rosse
Aprile 1972
Fonte: Vincenzo Tessandori, BR. Imputazione: banda armata. Cronache e documenti delle Brigate Rosse, Garzanti, Milano 1977 e succ. ed.
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