- Come giudicate la fase attuale dello scontro di classe?
Ci sembra che ci sia una concordanza di vedute nella sinistra sulla situazione attuale. Non sfugge né ai riformisti né alle forze extraparlamentari il progetto di riorganizzazione della borghesia su una prospettiva reazionaria e violentemente antioperaia. E più in generale tutti riconoscono che è iniziato uno scontro decisivo nel quale si giocano da una parte, cioè dalla parte della borghesia, la possibilità di un nuovo equilibrio politico ed economico, dall’altra, cioè da parte dei lavoratori, la prospettiva di un capovolgimento dei rapporti di produzione. Ma a parte i riformisti la cui strategia si dimostra sempre più suicida di fronte all’attacco reazionario, ciò che ci interessa mettere in evidenza è lo stato di impreparazione in cui si trovano le forze rivoluzionarie di fronte alle nuove scadenze di lotta. Alla sinistra rivoluzionaria è mancata la consapevolezza che il ciclo iniziato nel ’68 non poteva che portare agli attuali livelli di scontro e non vi è stata quindi la predisposizione degli strumenti idonei a farvi fronte. La nostra esperienza politica nasce da questa esigenza.
- Quali cause stanno alla base della crisi attuale?
Oggi ci troviamo davanti ad un capovolgimento delle prospettive politiche della borghesia. Esso è dovuto al mancato congiungimento delle prospettive di sviluppo del capitalismo e dei progetti politici dei partiti riformisti. La borghesia infatti posta di fronte all’iniziativa della classe operaia che ha rifiutato il riformismo come progetto di stabilizzazione sociale ponendo all’ordine del giorno la fine dello sfruttamento, e alle oggettive contraddizioni dell’imperialismo che impediscono la programmazione pacifica dello sviluppo del capitalismo nei singoli paesi, ha dovuto riorganizzare a “destra” l’intero apparato di potere.
- In quale direzione ritenete quindi che si svilupperà nei prossimi tempi la situazione politica?
La borghesia ha ormai una strada obbligata: ristabilire il controllo della situazione mediante un’organizzazione sempre più dispotica del potere. Il dispotismo crescente del capitale sul lavoro, la militarizzazione progressiva dello stato e dello scontro di classe, l’intensificarsi della repressione come fatto strategico sono due conseguenze obiettive ed inesorabili. Nella situazione italiana assistiamo infatti alla formazione di un blocco d’ordine reazionario quale alternativa al centro-sinistra. Esso prospera sotto le bandiere della destra nazionale e tende a riassicurarsi il controllo della situazione economica e sociale e cioè alla repressione di ogni forma di lotta rivoluzionaria ed anticapitalista.
- Pensate dunque ad una riedizione del fascismo?
Il problema non va posto in questi termini. È un dato di fatto incontestabile che questo disegno repressivo per ora si estende e mira non tanto alla liquidazione istituzionale dello stato “democratico” come ha fatto il fascismo, quanto alla repressione più feroce del movimento rivoluzionario. In Francia il “colpo di stato” di De Gaulle e l’attuale “fascismo gollista” vivono sotto le apparenze della democrazia. Nei tempi brevi questo è certamente il modello meno scomodo. Sarebbe però ingenuo sperare in una stabilizzazione moderata della situazione economica e sociale in presenza di un movimento rivoluzionario combattivo.
- Quali dunque le vostre scelte?
Avevamo due strade oltre la via riformista che abbiamo rifiutato insieme alla sinistra rivoluzionaria da diversi anni: ripetere l’esperienza storica del movimento operaio secondo le versioni anarco-sindacaliste o terzinternazionaliste o viceversa congiungersi all’esperienza rivoluzionaria metropolitana dell’epoca attuale. I gruppi della sinistra extraparlamentare tutto sommato non sono usciti dalla prima prospettiva poiché non hanno saputo sottoporre ad una analisi critica le sconfitte del movimento rivoluzionario del primo dopoguerra. Essi hanno ripreso nella sua essenza la teoria delle due fasi del processo rivoluzionario (preparazione politica, agitazione, e propaganda prima, insurrezione armata poi) ed oggi stanno ripercorrendo la prima fase mentre la borghesia già dispiega la sua iniziativa armata. Ne fanno testo l’attacco padronale alle forme di lotta più incisive, i processi politici e le condanne contro i militanti più combattivi, il rinato terrorismo squadrista, le aggressioni fasciste ai picchetti operai e quelle poliziesche alle piccole fabbriche, agli sfrattati ed agli studenti, i rastrellamenti nei quartieri insubordinati, l’assunzione di provocatori sbirri e fascisti nelle fabbriche, ecc. Lo scontro armato è già iniziato e mira a liquidare la capacità di resistenza della classe operaia. L’ora X dell’insurrezione non arriverà. E quello che molti compagni tendono a raffigurarsi come lo scontro decisivo tra proletariato e borghesia altro non è che l’ultima e vittoriosa battaglia della borghesia. Come è stato nel 1922.
- In definitiva quale è il filone ideologico e storico al quale vi collegate?
I nostri punti di riferimento sono il marxismo-leninismo, la rivoluzione culturale cinese e l’esperienza in atto dei movimenti guerriglieri metropolitani; in una parola la tradizione scientifica del movimento operaio e rivoluzionario internazionale. Questo vuol dire anche che non accettiamo in blocco gli schemi che hanno guidato i partiti comunisti europei nella fase rivoluzionaria della loro storia soprattutto per quanto riguarda la questione del rapporto tra organizzazione politica e organizzazione militare.
- Puoi specificare meglio questo punto di vista?
I compagni brasiliani sostengono che l’origine dell’involuzione socialdemocratica dei partiti comunisti è da ricercare nell’incapacità della loro organizzazione a far fronte ai livelli di scontro che la borghesia progressivamente impone al movimento di classe. Non c’è quindi all’origine di tutto il “tradimento” dei capi quanto l’inadeguatezza strutturale dell’arma che essi utilizzano e cioè della loro organizzazione. Di questo hanno tenuto conto le organizzazioni armate metropolitane le quali sin dall’inizio si sono costituite per far fronte globalmente a tutti i livelli dello scontro.
- Il problema per voi è quindi quello di iniziare la lotta armata?
La lotta armata è già iniziata. Purtroppo in modo univoco, cioè è la borghesia che colpisce. Il problema è dunque quello di creare lo strumento di classe capace di affrontare allo stesso livello lo scontro. Le Brigate Rosse sono i primi sedimenti del processo di trasformazione delle avanguardie politiche di classe in avanguardie politiche armate, i primi passi armati nella direzione di questa costruzione.
- Siete per una concezione “fochista” dell’avanguardia armata?
No. Il nostro punto di vista è che la lotta armata in Italia debba essere condotta da un’organizzazione che sia diretta espressione del movimento di classe e per questo stiamo lavorando all’organizzazione dei nuclei operai di fabbrica e di quartiere nei poli industriali e metropolitani ove maggiormente si condensano rivolta e sfruttamento.
- Siete dunque in una fase di preparazione?
Da un punto di vista generale non possiamo essere che in questa fase in quanto la strada che abbiamo scelto ha bisogno di un lungo periodo di accumulazione di esperienze e di quadri. Però non è una fase staccata dalla lotta di classe ma si realizza tutta all’interno di essa.
- Questo vuol dire quindi che le Brigate Rosse anche in questa fase sono impegnate nello scontro?
Esiste una tendenza nel movimento di classe non riconducibile ad alcuna delle organizzazioni extraparlamentari operanti che esprime l’esigenza di nuove forme di organizzazione della lotta rivoluzionaria: organizzazione dell’autodifesa, prime forme di clandestinità, azioni dirette…
Le Brigate Rosse hanno colto questa esigenza e si propongono di passare da queste prime esperienze che costituiscono una fase tattica necessaria, alla fase strategica della lotta armata.
- Quali sono le condizioni perché questo passaggio avvenga?
Nessun movimento rivoluzionario armato che lotta per il potere può affrontare lo scontro senza essere in grado di realizzare due condizioni fondamentali: 1) misurarsi con il potere a tutti i livelli (liberare i detenuti politici, eseguire condanne a morte contro i poliziotti assassini, espropriare i capitalisti, ecc.) e naturalmente dimostrare di saper sopravvivere a questi livelli di scontro; 2) far nascere un potere alternativo nelle fabbriche e nei quartieri popolari.
- Che intendete per potere proletario alternativo?
Intendiamo dire che la rivoluzione non è solo un fatto tecnico-militare, e l’avanguardia armata non è il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma il suo punto di unificazione più alto, la sua richiesta di potere.
- Su quali direttrici intendete muovervi in questa fase?
Nei mesi passati la nostra preoccupazione fondamentale è stata quella di radicare nel movimento di classe un discorso strategico. Oggi riteniamo che sia decisivo lavorare alla sua organizzazione. Si tratta cioè di radicare le prime forme di organizzazione armata nella lotta quotidiana che nelle fabbriche, nei rioni, nelle scuole mira a spezzare l’offensiva tattica della borghesia. E ciò combattendo il terrorismo padronale nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi senza separare la lotta alla organizzazione capitalistica del lavoro e della vita sociale dalla lotta all’organizzazione capitalistica del potere; affrontando lo squadrismo fascista e colpendo con durezza adeguata nelle persone e nelle cose i suoi organizzatori politici e militari; non concedendo impunità agli sbirri, alle spie e ai magistrati che attaccano il movimento di classe nei suoi interessi e nei suoi militanti. Da un punto di vista immediato questa azione deve consentirci di mantenere alti livelli di mobilitazione popolare impedendo l’affermarsi di correnti pessimistiche e liquidatorie. E piú in generale questo scontro non si concluderà con un ritorno alla situazione precedente ma costituirà la premessa per lo scontro strategico: per la lotta armata per il potere.
- Ma allora le Brigate Rosse sono organismi di transizione?
No, perché la lotta armata non può essere affrontata con organismi intermedi come potrebbero essere i comitati di base, i circoli operai-studenti o le stesse organizzazioni politiche extraparlamentari. Essa necessita sin dall’inizio dell’organizzazione strategica del proletariato.
- Intendete dire il Partito?
Esatto. Le BR sono i primi punti di aggregazione per la formazione del Partito Armato del Proletariato. In questo sta il nostro collegamento profondo con la tradizione rivoluzionaria e comunista del movimento operaio.
- Che posizione avete nei confronti dei gruppi extraparlamentari?
Non ci interessa sviluppare una sterile polemica ideologica. Il nostro atteggiamento nei loro confronti è innanzitutto determinato dalla posizione sulla lotta armata. In realtà nonostante le definizioni rivoluzionarie che questi gruppi si attribuiscono al loro interno prospera una forte corrente neo-pacifista con la quale non abbiamo niente a che spartire e che riteniamo si costituirà al momento opportuno in una forte opposizione all’organizzazione armata del proletariato. Mentre invece, sicuramente un’altra parte dei militanti accetterà questa prospettiva. Con essi il discorso è aperto. Certo questa non è l’unica discriminante, rimangono questioni fondamentali relative ai tempi e alla tattica da seguire oltre che la questione fondamentale della proletarizzazione dell’organizzazione. Noi non accettiamo la mistificazione che tende ad identificare le attuali avanguardie per avanguardie di classe. Il problema della costruzione della avanguardia politica ed armata del proletariato è tuttora aperto e non può essere risolto battendo la strada dei facili trionfalismi di gruppo, né con progetti di aggregazione di forze non significative dal punto di vista di classe.
- Come considerate le accuse che alcuni gruppi della sinistra extraparlamentare hanno mosso nei vostri confronti?
Dobbiamo qui distinguere due tipi di accuse: l’una è in sostanza una critica al nostro “avventurismo” e a proposito della quale abbiamo solo da dire che avventurismo è affrontare lo scontro con la borghesia armata senza adeguato strumento. E a questa verifica non potrà sfuggire neppure chi ci muove questa critica con spirito militante. L’altra che è una calunnia con la quale si tende a presentarci come provocatori o fascisti non ammette una risposta politica ma costituirà al momento opportuno un fatto di cui dovranno rendere conto coloro che l’hanno formulata. Più in generale al di là di queste accuse, noi crediamo che la sinistra subirà col progredire dello scontro di classe un processo di polarizzazione in cui la discriminante sarà inevitabilmente la posizione sulla lotta armata. In questo processo verrà coinvolto anche il PCI. Per questo rifiutiamo ogni settarismo ideologico, proprio degli intellettuali pseudorivoluzionari e riaffermiamo la nostra posizione fortemente unitaria con tutti i compagni che sceglieranno la via della lotta armata.
Brigate Rosse
Settembre 1971
Pubblicato in PROGETTO MEMORIA, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996.
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