Rivendicazione azione contro Massimo D’Antona

Il giorno 20 maggio 1999, a Roma, le Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Combattente hanno colpito Massimo D’Antona, consigliere legislativo del Ministro del Lavoro Bassolino e rappresentante dell’Esecutivo al tavolo permanente del “Patto per l’occupazione e lo sviluppo”. Con questa offensiva le Brigate Rosse per la Costruzione del partito Comunista combattente, riprendono l’iniziativa combattente, intervenendo nei nodi centrali dello scontro per lo sviluppo della guerra di classe di lunga durata, per la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura del proletariato, portando l’attacco al progetto politico neo-corporativo del “Patto per l’occupazione e lo sviluppo”, quale aspetto centrale nella contraddizione classe/Stato, perno su cui l’equilibrio politico dominante intende procedere nell’attuazione di un processo di complessiva ristrutturazione e riforma economico-sociale, di riadeguamento delle forme del dominio statuale, base politica interna del rinnovato ruolo dell’Italia nelle politiche centrali dell’imperialismo. Un attacco che spezza la mediazione politica neo-corporativa, su cui questo Esecutivo tenta di assestare un consolidamento del dominio della borghesia imperialista, contrapponendovi gli interessi generali del proletariato, con l’obiettivo di farne il piano su cui organizzare la classe per costruire lo sbocco rivoluzionario alla crisi della borghesia imperialista e alla sua guerra, in un momento in cui gli stessi connotati dello scontro generale tra le classi vengono investiti dalla guerra aperta che lo Stato italiano, nel quadro più generale dell’Alleanza Atlantica, sta conducendo nei Balcani per assoggettare la Jugoslavia. Una guerra, quella odierna, che ha i suoi presupposti nella politica attuale fin dagli inizi degli anni ’90, dalla Nato e dall’Europa, per favorire la disgregazione della Federazione Jugoslava, con la creazione di Stati o protettorati su base etnica, e che ora è rivolta a distruggere il potenziale produttivo, e le risorse infrastrutturali della Repubblica Serba, per ridurla in miseria, piegarne la volontà e annientare l’entità statuale jugoslava per imporre i termini del dominio imperialista, in un disegno folle che mira a costruire condizioni di insediamento politico-militari dirette, funzionali ad esercitare funzioni di dominio politico con cui governare le profondissime contraddizioni sociali generate in queste aree dai riflessi della crisi dell’imperialismo e dall’inserimento dell’ex-campo socialista nel mercato capitalistico. Un quadro politico generale che impone al proletariato e alle sue avanguardie rivoluzionarie di assumersi la responsabilità politica di costruire l’alternativa di potere storicamente adeguata a questi progetti, attraverso la ripresa dell’attacco rivoluzionario, sia al cuore delle politiche che consentono a questo Stato di sostenere il suo ruolo imperialista, per logorarne il potere e in questo avanzare nella costruzione delle condizioni della guerra di classe e del Partito, che nei nodi centrali della contrapposizione tra imperialismo ed antimperialismo, per costruire le alleanze antimperialiste necessarie ad indebolire il nemico comune nell’area politica Europea-Mediterraneo-Mediorientale, attrezzandosi conseguentemente a sostenere lo scontro prolungato con lo Stato e l’imperialismo. In questa prospettiva si colloca l’offensiva a Massimo D’Antona, con la quale, le avanguardie rivoluzionarie che concretamente l’hanno costruita, per la valenza politica che essa assume nello scontro generale tra le classi, possono svolgere un ruolo d’avanguardia in continuità oggettiva con la proposta delle Br-Pcc ed assumersi perciò la responsabilità politica di prenderne la denominazione.

Massimo D’Antona, esponente di spicco dell’equilibrio politico dominante e del progetto affermatosi come centrale nel corrispondere agli interessi di governo dell’economia e del conflitto di classe della Borghesia Imperialista, ha costituito cerniera politico-operativa del rapporto tra esecutivo e sindacato confederale, un formulatore ed interprete della funzione politica del “Patto Sociale” e della sede neo-corporativa in dialettica con i caratteri storici della democrazia rappresentativa in Italia, e del ruolo antiproletario e controrivoluzionario della corresponsabilizzazione delle parti sociali e innanzitutto del sindacato, nelle decisioni sulle materie di politica economica, a maggior ragione oggi, nel quadro delle necessità implicate a livello, sia di esercizio della funzione economica dello Stato, che della governabilità delle contraddizioni sociali, dal contesto della coesione europea, e dal rinnovato interventismo bellico rivolto ad assoggettare i popoli che resistono al dominio imperialista ed a imporre l’ordine sociale del capitale. “Patto Sociale” che opera specificatamente in funzione dell’isolamento e dell’accerchiamento delle espressioni di autonomia di classe, che non accettano la subordinazione degli interessi proletari alla centralità degli interessi della B.I., oppure dell’inglobamento di quelle componenti che, per penetrare i filtri che selezionano un ruolo negoziale sul piano della contrattazione capitale/lavoro o un ruolo politico sul piano politico generale, attivano un progressivo processo trasformistico, condizioni, quelle dell’accerchiamento delle prime e dell’inglobamento delle seconde, che per l’equilibrio dominante, costituiscono termini politici complementari necessari ad assicurare la governabilità. Un progetto politico che ha consentito, già dal governo Amato e poi con quello Ciampi, di tradurre, gli indirizzi politici di controllo delle leve statuali del governo macroeconomico, in elemento attivo nelle contraddizioni di classe, grazie al sostegno del radicamento reale e diffuso, e ad un’azione soggettiva di ricomposizione forzata del conflitto sul piano neo-corporativo, in dialettica con le dinamiche politiche in sede parlamentare, del sindacato confederale, che, in questi anni, ha assunto tutti i caratteri della soggettività politica riferendo la sua progettualità non solo alla contrattazione capitale-lavoro, ma ai nodi politici complessivi con cui confronta l’azione dello Stato. L’accordo del ’93 fu infatti momento di ratifica di un processo di trasformazione dei soggetti coinvolti nel Patto, e momento di assunzione di ruoli coerenti con l’azione di governo dei fattori critici dell’economia e del conflitto sociale e di classe. Ogni soggetto, e cioè Confindustria, Governo e Sindacati confederati, si impegnava a tenere una condotta in linea sia con gli obiettivi dell’accordo (contenimento dell’inflazione), che con i contenuti dello stesso, che riguardavano la struttura contrattuale e le relazioni industriali in modo fondamentale, per cui lo snodo era la subordinazione del salario all’inflazione programmata, con la quale il paese viene agganciato al programma di Maastricht. In quelle circostanze, se il governo (tecnico-istituzionale) aveva una sua maggioranza programmatica che ne sosteneva le scelte, e la Confindustria era il soggetto che si muoveva all’offensiva e non doveva fare altro che ripetere i suoi attacchi e le sue forzature per assumere ruolo politico, il sindacato era il soggetto che doveva operare le maggiori forzature al suo interno e soprattutto nel corpo della classe, come dimostrò la forte opposizione e la dura protesta anti-confederale all’accordo del ’92 nell’autunno di quell’anno, per potersi collocare sul terreno generale della negoziazione corporativa e svolgervi il proprio ruolo politico. Un patto, quello per la politica dei redditi del ’92, che fu passaggio centrale che apriva la strada al più organico Patto del luglio del ’93, e contro cui si è attuato l’attacco alla sede nazionale della Confindustria dei Nuclei Comunisti Combattenti con cui veniva proposta la ricostruzione delle forze rivoluzionarie attorno alla ripresa dell’iniziativa rivoluzionaria. Un progetto, quello neo-corporativo, che oggi si è qualificato per l’assumere la direzione di un avanzamento-assestamento con la definizione di un assetto stabile ed articolato della politica neo-corporativa, per consolidare le forme di dominio della borghesia nel rapporto con il proletariato, per sostenere il carattere complessivo e generale dell’intervento sulle materie di ordine economico-sociale, componendo gli interessi sociali in modo corporativo; per articolare una capillare diffusione della dinamica negoziale centralizzata, come funzione della competitività generale, per poter sfruttare i differenti vantaggi competitivi locali; per l’allineamento agli indirizzi centralizzati e per una garanzia rafforzata della prevenzione e controllo del conflitto sociale; per l’inglobamento nella sede, con il suo allargamento, dei soggetti sociali non rappresentati e socialmente rappresentativi, se necessario, tramite regole e formule che spingano al riallineamento, e in tutto ciò intendendo rafforzare, la dinamica dell’intero processo di decisione politica, istituzionale e negoziale. Un progetto che oggi si completa con l’elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica e con l’incarico ad Amato al Tesoro, soggetti politici che hanno svolto un ruolo storico nell’affermazione della politica neocorporativa e che perciò rappresentano punti di unità politico-istituzionale su cui maggioranza e opposizione, pur non senza contraddizioni, possono convergere. All’interno di questo quadro si è collocato l’incarico conferito a Massimo D’Antona, dapprima come esponente dell’Esecutivo nella definizione generale del “Patto per l’occupazione e lo sviluppo”, poi come responsabile della sua sede stabile, ossia il Comitato consultivo sulla legislazione del Lavoro, il Comitato ha la funzione dare attuazione alla strutturazione delle politiche neo-corporative, approvata con il Patto nel dicembre del 1998, e cioè alla istituzione di una consultazione continua tra esecutivo e parti sociali, e di occuparsi dell’adeguamento della legislazione italiana alle direttive europee, di semplificazione e delegificazione, di rivedere le norme sul contratto di formazione e di potenziare l’apprendistato, perciò tende a svolgere una funzione di pressione sul Parlamento, per velocizzare l’attuazione del Patto, e sostiene l’esecutivo nell’esercizio delle deleghe su ammortizzatori sociali, incentivi e collocamento. Un compito nient’affatto semplice date le contraddizioni sociali che la crisi, e in particolare il ciclo recessivo, generano, perciò l’incarico sanziona, in un ruolo complessivo, la funzione politico-operativa svolta da Massimo D’Antona sulle principali contraddizioni su cui l’avanzamento e capillarizzazione dell’assetto neo-corporativo va ad impattare, e cioè regole della contrattazione, della rappresentanza e dello sciopero, tutti piani inclinati su cui può scivolare la prevenzione del conflitto che a sua volta è linea di affrontamento dello scontro ai fini di garantire la governabilità; e perciò aspetti di riferimento per condurre l’opera di revisione legislativa. E’ infatti al Ministero della Funzione Pubblica, con Bassanini, nell’Esecutivo Prodi, che Massimo D’Antona elabora la normativa sulla rappresentanza sindacale dei lavoratori per il pubblico impiego, modello di riferimento, nelle sue linee generali, anche per la legge sulla rappresentanza nel privato, e sperimentato nella sua capacità di garantire, la predominanza del sindacato confederale. Mentre è con l’Esecutivo D’Alema che lavora alla modifica della legge 146 sulla regolamentazione del diritto di sciopero in quei settori strategici che vengono definiti “servizi pubblici essenziali”, in direzione dell’inasprimento ed estensione delle misure sanzionatorie, passaggio a cui si intende pervenire avendo attestato su basi più solide, almeno nel settore pubblico, la legittimazione della linea sindacale che accetta di subordinare il diritto di sciopero agli interessi del capitale, mascherati da diritti fondamentali di cui sarebbe portatrice la “categoria degli utenti”.

Una legge con la quale si intende affiancare il processo di privatizzazione e liberalizzazione in corso, di settori, soprattutto come quello dei trasporti, e più in generale di quelli che abbiano una funzione infrastrutturale. Processo di privatizzazione e liberalizzazione che, oltre ad esercitare la funzione di abbattere i costi nel trasporto delle merci, può svolgere un ruolo importante nelle politiche U.E. di sostegno alla concorrenza del capitale monopolistico europeo, sia in generale per il ruolo del trasporto delle merci nell’attuale sistema di produzione incentrato sulla segmentazione e delocalizzazione del ciclo, e nelle attuali dimensioni dei mercati, sia, in specifico, per la funzione di traino che i settori infrastrutturali possono svolgere nell’investimento di capitali. La nuova legge dovrebbe servire a superare quei limiti dimostrati dalla 146, soprattutto nell’effettiva comminazione delle sanzioni, affinché funzioni da fattore di contenimento e prevenzione del conflitto in settori in cui, avendo i lavoratori una forza contrattuale potenziale superiore, costituiscono poli di attrazione oggettivamente rischiosi per la governabilità. Nello scontro politico generale entro cui, secondo le intenzioni della borghesia e del suo Stato si dovrà pervenire a ridimensionare, in modo drastico, lo sciopero in quanto diritto, l’aggressione Nato alla Jugoslavia ha costituito, per il sindacato confederale, Cgil in testa, l’occasione per cercare di sfruttare le contraddizioni, presenti in seno alla classe in questa fase, tramite l’invito rivolto ai settori che avevano annunciato azioni di lotta a rinunciare a realizzarle, e la promozione di attivazioni solidaridastiche e di pronunciamenti, per capitalizzare sia un atto di lealismo nei confronti dello Stato in guerra che la subordinazione degli interessi del proletariato a supposti superiori interessi “dell’umanità”, più concretamente della borghesia imperialista e concorrenziale che trae vantaggio sia dall’assoggettamento della Jugoslavia che dalla subordinazione del proletariato nazionale. Con ciò ha cercato di realizzare il duplice obiettivo di affermare la subordinabilità della lotta ad altre istanze e di incanalare la posizione dei lavoratori, ad esprimere un consenso all’intervento dello Stato. La linea seguita dalla Cgil, nell’aggressione Nato alla Jugoslavia, è stata quella di fare assumere con gesti concreti una posizione ai lavoratori italiani, nella polarizzazione del conflitto tra Jugoslavia e secessionismo kosovaro-imperialismo Nato, per sfruttare ogni minima possibilità di attiva legittimazione dell’intervento bellico, che viene qualificato dal suo segretario Cofferati, come una “necessità contingente”, in una posizione più generale che preme il governo italiano e che, rivendicando una funzione attiva dell’Europa nell’area balcanica, chiede che l’Europa stessa si attrezzi politicamente, istituzionalmente e militarmente a svolgerla congiuntamente agli Usa. Posizione che se ha dato bene il polso di quanto il sindacato si attesti in una posizione di prima linea antiproletaria anche su questo piano, non ha trovato spazio nella classe, la cui situazione difensiva non è equivocabile con una disponibilità a farsi strumento della propria oppressione.

L’adozione di una normativa che ridimensioni il diritto di sciopero, è strettamente connessa alla definizione in via di legge delle regole della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, affinché le sanzioni siano applicabili come strumento reale di prevenzione del conflitto e non finiscano per renderla debole, come sarebbe possibile se la condivisione politica di questo passaggio da parte del complesso dei lavoratori o la criminalizzazione delle azioni di lotta operate dall’interno stesso della classe e quindi come sua propria contraddizione, apparisse debole e incerta, a causa della inattendibilità degli strumenti formali di verifica dell’entità di una forza sociale quella del sindacato confederale, che non si manifesta esercitandosi in azioni di lotta, e che deve sostenere questo ruolo imprescindibile di quinta colonna dello Stato e della borghesia nei luoghi di lavoro.

La definizione del quadro delle norme sulla “rappresentanza sindacale dei lavoratori”, con le necessarie modifiche al testo in discussione in parlamento, è a sua volta anche la base su cui quest’Esecutivo intende sciogliere il nodo della struttura della contrattazione, affinché la contrattazione aziendale o locale, possa assumere il peso che gli si vuole dare in modo che il salario, e le condizioni di impiego della forza-lavoro, nel quadro delle compatibilità macroeconomiche, siano strettamente legati agli obiettivi e alle sorti del capitale (qualità, produttività, redditività). Nodo che va sciolto in modo tale che sia certa la complementarietà tra il merito della contrattazione centrale e quello della contrattazione aziendale, tra il ruolo della rappresentanza associativa (e storicamente in massima parte confederale) e quello della rappresentanza nei luoghi di lavoro, nell’intreccio e subordinazione del secondo al primo, affinché siano rese solide le basi di un sistema di relazioni industriali fondato sulla dipendenza della variabile forza-lavoro al capitale come principio, e sulla politica neo-corporativa come quadro generale del governo delle contraddizioni sociali e di classe. Nodi questi che Massimo D’Antona ha affrontato con l’organicità politica che sintetizza il legame tra la maggioranza politica e sindacato confederale, che gli ha fatto svolgere un ruolo di perno nell’equilibrio politico dominante e gli ha valso un incarico decisivo. Nella sfera delle responsabilità del soggetto, per il ruolo che il Ministero del Lavoro è approdato a svolgere e intende svolgere nella ristrutturazione e riforma economico-sociale, si collocano anche materie come la flessibilizzazione e l’incentivazione del part-time, come strumento per spalmare la precarizzazione del lavoro, per superare lo strumento del prepensionamento, e affrontare il nodo delle pensioni d’anzianità. L’attacco alle conquiste storiche della classe, come presupposto di una subordinazione strutturale della forza-lavoro al capitale, viene cinicamente giustificato, con ragioni di equità e tutela sociale, per quelle componenti di salariati arrivate di recente sul mercato del lavoro e più precarie. La spinta alla trasformazione del vecchio quadro normativo, quadro a cui queste componenti sono parzialmente sottratte attraverso l’impiego di forme contrattuali e giuridiche specifiche, è stata canalizzata e focalizzata, nell’operato di Massimo D’Antona, verso una politica neo-corporativa caratterizzata dalla costruzione di metodo e obiettivi comuni tra esecutivo e parti sociali, così che, nelle scelte e nelle decisioni concrete, l’Esecutivo sia vincolato, in modo formalmente legittimo, dalle istanze provenienti dagli interessi antagonisti, in un contesto in cui, le finalità sociali, in riferimento alle quali metodo e obiettivi si definiscono, è ovvio, sono date e immutabili, e coincidono strutturalmente con le finalità della frazione dominante della Borghesia Imperialista. In questo senso Massimo D’Antona ha rappresentato una figura organica dell’Esecutivo D’Alema, che ha assunto “la concertazione come metodo di governo” come aspetto sostanziale del suo programma. D’Alema e il gruppo della Quercia che ha incarichi nell’Esecutivo, infatti, intendono far pesare l’iniziativa politico-legislativa del governo, ben all’interno delle dinamiche parlamentari come termine di risoluzione, specificamente, delle contraddizioni interne alla maggioranza e in particolare ai Ds, e in generale delle resistenze della rappresentanza parlamentare al cambiamento, dovute alla sua impossibilità di pervenire a mediazioni politiche sufficienti e organiche, all’interno del quadro di compatibilità economico-politiche dettate dalla centralità degli interessi della B.I. e dai suoi obiettivi di fase. Questo ulteriore ruolo politico-legislativo, l’Esecutivo lo svolge adducendo la legittimità delle parti sociali a pesare, nelle trasformazioni politico-giuridiche, in virtù delle materie in oggetto sulle quali si riconoscono loro facoltà autonome. Questa “autonomia”, che per quanto riguarda il sindacato confederale è fondata sul peso politico storico del movimento operaio e derivata da questo, diventa la giustificazione dell’accentuato intervento legislativo dell’Esecutivo, su temi che non concernono semplicemente il piano capitale-lavoro, ma il modo di concepire il ruolo del “lavoro” nella società e nelle sue finalità, e che perciò necessitano di formalizzazioni giuridiche di livello legislativo, e anche costituzionale, che investono il Parlamento e perciò il ruolo della rappresentanza politica.

D’altra parte, nella sede politica, la contraddittorietà tra, i contenuti costituzionali che riflettono il peso che ha avuto in essi l’interesse politico autonomo del proletariato e il peso politico decisivo che tuttora ha la classe e, il riferirsi, della dinamica politica, agli attuali rapporti di forza generali tra proletariato e borghesia, si manifesta nella difficoltà a superare il quadro normativo che è ancora significativamente condizionato dal peso politico della classe, e che ostacola l’attuazione dei nuovi indirizzi che devono operare aggirando i vincoli costituzionali e perciò vengono frenati dalle contraddizioni generate dalla debolezza di questa pratica, in termini di disorganicità o inconcludenza dell’iniziativa legislativa parlamentare, che l’Esecutivo si incarica di forzare. La tradizionale impostazione dell’azione politica dei partiti che, in un contesto di impiego della spesa pubblica per stimolare la produzione, poteva essere tesa a una gestione delle risorse statali, in funzione del consolidamento del consenso politico-elettorale, si è dovuta riadeguare alle istanze della borghesia imperialista a fronte delle odierne contraddizioni della crisi del capitale. Ora, l’azione politica dei partiti, sostiene la funzione economica dello Stato perseguendo linee di attivo di bilancio, di contenimento dell’inflazione, di contrazione dei costi diretti e indiretti di produzione, di definizione di meccanismi che stimolino la competizione interna, come condizioni irrinunciabili affinché il capitale a base nazionale conservi quote di mercato e la formazione economico-sociale non arretri nella scala gerarchica della catena imperialista. Le scelte politiche assumono un carattere più spiccatamente antiproletario, sia perché per sostenere la funzione economica dello Stato in questo contesto, il presupposto diventa il dispiegamento di un’offensiva complessiva alle posizioni e condizioni della classe, sia perché si riduce strutturalmente la mediabilità degli interessi. Il carattere di queste scelte è stato sostenuto con l’adozione di un sistema elettorale sostanzialmente maggioritario, che corrispondesse alla oggettiva riduzione del complesso degli interessi rappresentabili e mediabili. Questi fattori nel loro insieme rendono tendenzialmente più fragile il dominio politico-economico della borghesia. Se da una parte, quindi, la risposta è quella di incrementare le misure repressive generali, rafforzare organici e strumentazioni degli apparati di polizia (vedi pacchetto anticriminalità Diliberto-Jervolino), inasprire le sanzioni anti-sciopero, estendere le campagne di criminalizzazione e la pratica dell’incriminazione delle lotte di settori che non accettano la subordinazione agli interessi della B.I. ma anche alternativamente quella di assorbire e svilire l’opposizione di settori di proletariato, dall’altra, l’istanza di una più forte legittimazione dell’azione statuale viene soddisfatta affiancando al canale di legittimazione istituzionale, politico-rappresentativo, quello negoziale con le parti sociali, che tende a controbilanciare gli effetti negativi, in termini di governabilità, dell’esecutivizzazione implicata a livello di ri-disposizione dei ruoli delle istituzioni nell’ordinamento politico-istituzionale materiale, dagli odierni indirizzi politico-economici rispondenti alle istanze della classe dominante. Una manovra che, però, ha il limite della sovraesposizione politica del sindacato confederale e di acuire la crisi di legittimazione reale che lo investe. L’assestamento in senso neo-corporativo della dinamica politica e sociale è il progetto politico che tiene coeso l’equilibrio politico dominante, equilibrio che a sua volta è la risultante del processo di trasformazione e selezione delle forze dell’arco costituzionale nel rapporto organico con il sindacato confederale, che hanno investito il capitalismo negli anni ’80 e ’90, per candidarsi a rappresentare gli interessi della borghesia imperialista nel nuovo corso, basandosi proprio sulla capacità di effettuare la trasformazione funzionale, e nel contempo, garantire la coesione e il consenso sociale necessario a governare, pur senza poter adottare i tradizionali strumenti della spesa pubblica.

Questo equilibrio si puntella sul ruolo della negoziazione neocorporativa, che a propria volta ha come principi fondanti la negazione degli interessi generali del proletariato e la composizione forzata di interessi sociali particolari e transitori intorno agli interessi generali della frazione dominante di B.I., ed è indirizzata a completare il processo di riforma e ristrutturazione economica e sociale per sostenere il ruolo del capitale monopolistico nella competizione e nel quadro dell’integrazione europea, e a strutturarsi come modalità di governo delle contraddizioni di classe, sostanziando lo Stato imperialista neo corporativo, che vuole ingabbiare le contraddizioni sociali in modo funzionale anche alla sua assunzione di ruolo nelle politiche centrali dell’imperialismo. Così la composizione neo-corporativa delle contraddizioni sociali, mentre è modalità di affrontamento delle contraddizioni sviluppate dalla crisi del capitale nell’ambito nazionale, è anche condizione politica interna per affrontare il manifestarsi delle stesse sul piano internazionale, condizione del sostegno alla borghesia imperialista che lo Stato può espletare nelle sue funzioni di dominio non solo all’interno, ma anche rivolto all’esterno, a spezzare le resistenze opposte alla penetrazione imperialista e alla sua oppressione.

Dentro questo quadro generale si colloca l’intervento dell’Esecutivo e delle parti sociali rivolto, come linea di fondo, alla ulteriore flessibilizzazione e abbassamento del costo del lavoro, nel sostenere il rapporto concorrenziale con altre aree economiche, incrementato dall’Uern e dalla crisi capitalistica. Una linea che cerca di coniugare corrispondenza alle istanze di competizione del capitale e risposta alla crisi occupazionale, ma nel concreto prevede una condizione di lavoro privata di garanzie fondamentali, selettiva su basi meritocratiche o produttivistiche e di controllo sociale, e mediamente impoverita come condizione salariale e di sussistenza in genere. La delega ottenuta dal Parlamento, per la riforma degli ammortizzatori sociali e il riordino degli incentivi, assieme alla delega sul collocamento, e a quella sulla sanità, e alla più complessiva politica fiscale, (ben 7 sono le deleghe, nel collegato ordinamentale all’ultima finanziaria su investimenti e occupazione), sono gli strumenti per un’opera organica di redistribuzione del reddito a favore del capitale e di riorganizzazione della società in funzione della competizione capitalistica e del profitto. Le “politiche attive del lavoro” sono un aggiornamento degli aiuti statali alle imprese, nel quadro dell’integrazione europea e della liberalizzazione dei mercati e del movimento dei capitali, che impongono allo Stato di svolgere la sua funzione di sostegno economico al capitale, stimolando non più i consumi, ma sostenendo e stimolando l’accumulazione capitalistica, in modo selettivo. La finalità ideologica è quella dell’occupazione, drasticamente contrattasi a partire dal programma di Maastricht, su cui può essere convogliato il consenso sociale. La concessione di tagli a oneri sociali e altri costi del capitale, viene compensata con tagli e rifunzionalizzazione della spesa sociale, in modo tale che le erogazioni siano, in parte circoscritte ad assistere situazioni socialmente marginali e particolarmente svantaggiate, quindi più universali, ma selettive, e in generale fungano soprattutto da stimolo alla flessibilità interna ed esterna della forza-lavoro incrementando la competizione tra proletari. La riforma amministrativa e quella fiscale, nel quadro più generale di una riforma in senso federale a livello costituzionale, sono tasselli di un mosaico di condizioni che è in corso di costruzione e di completamento, nel quale gli obiettivi di fondo di questo progetto possano trovare realizzazione, e di questo fa parte anche la riallocazione a livello locale e regionale della gran parte del sistema degli incentivi. Il complesso di questi passaggi dovrebbe costituire un processo di frammentazione degli interessi particolari e immediati della classe per poterli convogliare a una composizione subordinata, in primo luogo e in generale, agli interessi della B.I., e anche a quelli delle componenti di capitale concorrenziale e di borghesia locali, situazione per situazione. Dopo la riforma pensionistica di Dini che, rovesciando il criterio delle pensioni da retributivo a contributivo, introducendo il sistema a capitalizzazione e aprendo la strada alla previdenza integrativa privata, prospetta un futuro di povertà ai pensionati dei prossimi decenni, il processo di riforma e ristrutturazione economica e sociale, dovrebbe, oltre che velocizzare le scadenze della riforma pensionistica stessa, cancellare istituti come la Cigs e i prepensionamenti che, assieme alle pensioni di invalidità, criminalizzate ad arte negli ultimi anni, costituivano le misure di un welfare state povero che aveva essenzialmente consentito di governare gli effetti delle crisi e delle ristrutturazioni degli anni ’80. In un contesto in cui la disoccupazione non è solo un effetto di crisi cicliche, ma è un dato strutturale non governabile con questi strumenti tradizionali, nelle contraddizioni sociali che genera e, dal momento che rapporti di forza favorevoli alla borghesia fanno reputare di poter eliminare questi costi sociali, la linea che nasce dal progetto centrale della B.I. prevede la loro sostituzione con un istituto come quello del “reddito minimo di inserimento” che consenta di perseguire l’obiettivo specifico di ridurre la spesa sociale, pur a fronte di incrementate esigenze sociali, e quello generale di favorire la competizione tra proletari. La natura e i caratteri di questo istituto in via di definizione, per la limitatezza, transitorietà e proporzionalità dell’erogazione, sono tali da farne una leva per la svendita della forza-lavoro che, affiancata alle misure per la “flessibilità in uscita” cioè per la liberalizzazione dei licenziamenti, svilupperà competizione tra occupati e disoccupati. L’ “incentivo” a competere è dato dal rischio di perdita di questo reddito minimale e dello status stesso di disoccupazione che, con la riforma in atto del collocamento, si cerca di collegare alla ricerca attiva di lavoro, alla partecipazione a corsi di formazione, all’accettazione del lavoro che c’è, alle condizioni imposte. L’affermazione, attraverso una riforma organica degli ammortizzatori sociali, della logica “premiale” dell’erogazione di un reddito minimo, come corrispettivo dell’attribuzione all’iniziativa e responsabilità del disoccupato, della ricerca del lavoro e dell’ottenimento di un reddito, che consente di svincolare lo Stato da qualsiasi altro dovere sociale, è passaggio necessario da affiancare all’affrontamento del nodo della “flessibilità in uscita” ossia della libertà dei padroni di licenziare. Lo scardinamento dei vincoli alla discrezionalità del capitale nella disponibilità della forza lavoro (vincoli che ora ruotano sul principio dell’ammissibilità del licenziamento per giusta causa, da cui nascono significativi diritti di risarcimento e reintegrazione) e che erano stati formalmente addirittura estesi nel 1990, con la legge 108, alle piccole imprese, diventa urgente ora che i contratti di formazione-lavoro sono stati sanzionati dall’Ue come una forma di sostegno mascherato alle imprese e quindi di concorrenza sleale, e perciò vengono a diminuire i margini per aggirare questi vincoli con i contratti a tempo determinato. Altre misure, quali la formazione obbligatoria fino ai 18 anni (che assieme alla ridefinizione dello status di disoccupazione, otterrà il risultato, sul piano statistico, non certo sostanziale, di diminuirne il tasso percentuale), la generalizzazione della figura dell’apprendistato al di fuori dell’ambito artigianale nel quale aveva una qualche motivazione funzionale, con lo scopo di istituire, senza chiamarlo con il suo nome, il salario d’ingresso (che viene a sancire, come istituto di valenza generale, la pratica diffusissima negli ultimi anni di prevedere a livello di contratti aziendali questa forma di salario), sono tutti tasselli che raccolgono-sistematizzano-rilanciano trasformazioni avvenute a macchia di leopardo o tendenzialmente, nei rapporti capitale-lavoro e sfruttano il vantaggio di forza ottenuto dallo Stato, e dalla borghesia in generale, nei confronti della classe, in un quadro organico di riforma e ristrutturazione economico-sociale che ha inciso in modo acuto nel corpo della classe in termini di condizioni di vita e contraddizioni e in cui gioca un ruolo centrale la forma entro cui questo processo si è sviluppata, cioè la negoziazione neo-corporativa, e in essa il ruolo dei sindacati confederali. Questo governo non rinuncia nemmeno a tentare di gestire in modo offensivo queste contraddizioni, coniando uno slogan “meno ai padri, più ai figli” che, nel tentativo di sintetizzare una supposta contraddizione sociale centrale, cerca di intercettare e mobilitare un altrettanto supposto consenso di fasce giovanili, per contrapporlo alle resistenze della massa dei lavoratori ad accettare il ridimensionamento e la rifunzionalizzazione in senso antiproletario di quel poco di sicurezza sociale che c’è stata in Italia. Lo scambio che la “concertazione” e la maggioranza politico-sindacale offrono al proletariato è quello tra sicurezza sociale e “sicurezza pubblica” cioè in realtà, la difesa della proprietà privata. Un passaggio come quello del “pacchetto anticriminalità”, ha seguito infatti, in modo puntuale la firma natalizia del Patto, preceduto dalla campagna di “allarme criminalità” con cui il governo ha iniziato il nuovo anno e, assieme alla criminalizzazione e incriminazione delle lotte che non accettano la subordinazione ai nuovi rapporti di forza favorevoli alla borghesia in generale e alla sua frazione imperialista in particolare, sono l’arco più vasto di risposte, di indirizzo riformatore, che questo equilibrio politico, intende dare al proletariato e alle contraddizioni che la crisi del capitale rovescia sulle sue condizioni di vita. Risposte, sostanzialmente inscritte in una strategia difensiva nei confronti della crisi del capitale, e di attacco al proletariato, che questo equilibrio politico intende dare alle contraddizioni generate dall’approfondimento della crisi-sviluppo dell’imperialismo e dalle politiche con cui sono state affrontate, in funzione degli interessi della frazione dominante di B.I. Un approfondimento che è il portato dell’internazionalizzazione dell’economia reale e finanziaria, tendenza a sua volta accentuatasi con la modificazione degli equilibri internazionali prodottisi con il crollo degli Stati aderenti al patto di Varsavia alla fine degli anni ’80, e che ha costituito la risposta complessiva di “sviluppo” alla crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale e alla tendenziale caduta del saggio di profitto, che ha indotto l’incremento della concorrenza, della lotta per contendersi margini di profitto e spazi di mercato, e ha spinto alla concentrazione e centralizzazione che si è combinato con l’allocazione su scala internazionale di segmenti del ciclo produttivo, laddove questo richiedesse elevato impiego di manodopera e fosse possibile ottenere forza-lavoro a costi ridotti. I processi di concentrazione e centralizzazione di capitale hanno accentuato la finanziarizzazione dei capitali, tipica dello stadio imperialistico del capitalismo, così che questa ha assunto una dimensione e mobilità tali da costituire un fattore costante di potenziale destabilizzazione, aggravato dall’approfondimento del legame di interdipendenza che caratterizza il rapporto tra capitali e quello tra formazioni economico-sociali. Questa dinamica di crisi/sviluppo dell’imperialismo, è alla base dell’aumentato peso della borghesia imperialista che porta a far assumere agli Stati, e alla soggettività politica della borghesia, il ruolo dominante della centralità dei suoi interessi. L’interesse comune delle varie componenti nazionali di borghesia imperialista si coagula e trova realizzazione nell’affermazione di politiche di liberalizzazione, nella ristrutturazione delle diverse formazioni economico-sociali, funzionali a sostenere questo livello di concorrenza monopolistica e il mantenimento dei necessari livelli di governabilità delle conseguenti contraddizioni di classe, e nella definizione di politiche e organismi politico-militari atti a sostenere la penetrazione economica, l’aggressione e l’oppressione politico-militare nei confronti di paesi politicamente autonomi dagli Stati dominanti della catena imperialista, in relazione all’attuale ridefinizione degli equilibri internazionali.

Il carattere non espansivo del capitalismo, in questa fase storica, rende immediatamente tangibile che, se l’affermazione di queste controtendenze consente di contenere gli effetti della crisi, in realtà ciò si traduce in un approfondimento delle contraddizioni. Nei paesi del centro, la borghesia imperialista ha premuto o preme sui rispettivi Stati nazionali per la rifunzionalizzazione di tutti i fattori competitivi a partire dalla gestione della forza-lavoro e, complessivamente, del ruolo dello Stato nell’economia, con i conseguenti riflessi sul piano dei caratteri dell’assetto politico-istituzionale delle democrazie rappresentative per corrispondere ai nuovi termini di governo dell’economia e del conflitto di classe, e al ruolo che può essere svolto negli attuali equilibri internazionali. Su questi aspetti, la borghesia imperialista, tramite la soggettività politico-istituzionale, media con le altre componenti della borghesia. La pressione della borghesia imperialista sugli Stati si riflette nell’assunzione di ruolo, degli Stati stessi, nelle politiche centrali dell’imperialismo. Attraverso questo ruolo, corrispondente sia al peso assunto dalla competizione a livello internazionale che alla funzione politico-militare e diplomatica degli Stati, le varie componenti di B.I. ricercano condizioni politiche di vantaggio competitivo sul piano economico. Un ruolo che colloca l’autonomia e l’interventismo degli Stati, dentro il quadro integrato e interdipendente delle aree economiche (ruotanti intorno ai poli statunitense, europeo e giapponese), e nei rapporti di forza storici tra i paesi della catena imperialista, in dialettica con la funzione e l’azione di organismi interstatali (Ue, Nato, Fmi…). Queste condizioni costituiscono fattori di acutizzazione dello scontro di classe, ulteriormente accentuato dal carattere non espansivo dello sviluppo capitalistico, che produce conseguenze macroscopiche visibili negli elevatissimi livelli di disoccupazione e nell’incapacità del reddito da lavoro salariato di garantire la stabilità dei livelli di sussistenza, con una tendenza di fondo all’impoverimento. Per altro verso, le politiche centrali dell’imperialismo, per assestare le condizioni politiche ed economico-sociali rivolte ad approfondire la qualità della penetrazione economica degli interessi della borghesia imperialista nei paesi dipendenti, e in particolare nei paesi ex-socialisti, hanno costituito e costituiscono fattore di destabilizzazione di queste aree, e definiscono il quadro politico in cui si colloca l’avanzamento della tendenza alla guerra come portato delle contraddizioni intrinseche dell’imperialismo. Contraddizioni che vengono affrontate collocandone progressivamente la soluzione sul piano dell’accentuato intervento politico-militare, rivolto alla stabilizzazione del dominio imperialista. Nell’area regionale europea, la borghesia imperialista ha perseguito linee di integrazione e coesione economica, politica e militare, al fine di rafforzare la capacità di dare risposte comuni alle contraddizioni generate dalla crisi. L’ostacolo alla liberalizzazione dei mercati e alla dimensione internazionale della concorrenza tra monopoli costituito dalla frammentazione politica di una regione del centro imperialista, quale quella europea che è storicamente investita da tutti gli assi di contraddizione, quello proletariato/borghesia, nord/sud ed est/ovest, è stato affrontato dalla frazione dominante della borghesia imperialista con passaggi politici e indirizzi che rispondessero sia all’istanza di unificazione e integrazione dell’Europa in quanto mercato delle merci, dei capitali e della forza lavoro, sia a quella di una superiore attivizzazione sul piano delle politiche economiche, e sul piano politico e militare, degli Stati europei stessi che, isolatamente presi, sono privi della dimensione e capacità per svolgere un ruolo che affianchi gli Usa (e il Giappone) nell’affrontare le misure sempre più critiche richieste per il mantenimento del dominio imperialista. Un progetto che si è definito intorno al connotato di relazioni intestatari e non sovrastatali, e che esprime, nei rispettivi ambiti nazionali, lo strumento di pressione politica rappresentativa degli interessi comuni della frazione dominante della borghesia imperialista, e in particolare, del ruolo del capitale finanziario che, nell’imperialismo, tende a sussumere il capitale industriale. D’altra parte, tale progetto, ha risposto anche alle specifiche esigenze del capitale monopolistico a base europea, in quanto condizione per poter esercitare il proprio ruolo nella concorrenza internazionale, come richiedevano le nuove dimensioni dell’accumulazione capitalistica raggiunte nella crisi subentrata all’espansione della ricostruzione post-bellica e alle politiche liberiste avviate dal polo dominante statunitense. Nell’affermazione del processo di coesione europea una funzione centrale di spinta è stata svolta dalla Germania, nel suo ruolo di principale potenza economica europea, che si è ulteriormente accentuato con la fine degli equilibri di Yalta, con l’inglobamento dell’ex-Ddr e con l’esportazione di capitali nei paesi dell’est europeo e con l’influenza politica che vi esercita. Un approfondimento di ruolo economico a cui si è affiancato un intensificato riadeguamento della capacità di intervento militare e della legislazione che lo limitava, nel quadro dell’integrazione Nato e con l’assunzione di iniziative di creazione di strutture militari interforze a livello bilaterale nel quadro europeo (ad es. Francia). I differenti gradi di sviluppo delle singole formazioni economico-sociali appartenenti all’Ue e quelli all’interno delle stesse, con l’adozione di politiche economiche comuni, e con linee di riforma economico-sociale omologhe, costituiscono un fattore favorevole ai capitali monopolistici europei nella concorrenza sul piano internazionale, perché si avvantaggiano della competizione interna alla Ue stessa e ai singoli paesi, che viene imposta dalle politiche macroeconomiche, e incentivata dalle politiche specifiche. Al contrario questa dinamica condanna all’inesorabile declino quelle aree che non presentano sufficienti vantaggi competitivi e consente al capitale operante in Europa, nel suo complesso, di esercitare una forza superiore nella contrattazione salariale e nel mercato del lavoro. Un progetto, quello della coesione europea, che sta operando il passaggio cruciale dell’adozione di una moneta unica e si sta attrezzando politicamente e istituzionalmente per l’inglobamento organico dei paesi dell’est-europeo che riescono a stabilizzare quelle condizioni macroeconomiche che vengono valutate funzionali all’investimento di capitali (l’allargamento dell’Ue). Essa costituisce un nuovo ambito di relazione del quadro politico nazionale che si aggiunge a quello Atlantico di cui ne supporta il ruolo di dominio nell’area mediterraneo-mediorientale e nell’est-europeo, entro cui, e in riferimento al quale, costruire le condizioni politiche istituzionali e materiali che consentano ai suoi Stati di svolgere sia una funzione economica più adeguata alle attuali dimensioni dell’accumulazione capitalistica che un ruolo politico-militare più attivo e incisivo nelle aree in cui il dominio imperialista deve essere stabilizzato, affinché la Nato nel suo complesso sia capace di affrontare anche un conflitto in più teatri o generalizzato. Un ruolo che non è né antagonista al polo dominante statunitense né asservito ad esso, ma è unitario, a causa dei processi di internazionalizzazione e dei legami di interdipendenza che si sono storicamente affermati tra gli Stati dominanti della catena imperialista con la capillare presenza di capitali Usa in Europa e viceversa. Infatti le politiche controrivoluzionarie e militari, contemplate dal progetto di Unione Europea, e le politiche di allargamento ad est, trovano motivo di definizione in specifici interessi degli Stati europei, in modo complementare al progetto di ridefinizione del ruolo della Nato, in funzione sia del dominio imperialista verso i paesi dell’Europa orientale, balcanica e dell’area del mediterraneo-mediorientale, che del rafforzamento del dominio interno. E ciò perché la dimensione del capitale finanziario, la sua concentrazione e centralizzazione si è, fin dal dopoguerra, sviluppata trasversalmente nei paesi dominanti della catena, e in un ambito separato da quello del campo socialista, facendo prevalere sulle intrinseche, ma relative, istanze concorrenziali, quelle dell’interdipendenza tra i capitali monopolistici, e conseguentemente anche tra le formazioni economico-sociali, e si è progressivamente accentuata man mano che, nelle crisi, le tendenze e le politiche, approfondivano il grado di concentrazione e centralizzazione capitalistica. L’ambito integrato europeo pesa nel favorire queste tendenze del capitale e perciò anche la sua crisi di sovrapproduzione. Crisi che non può mutarsi in una fase espansiva se non per un passaggio di ingente distruzione di capitali e forze produttive che solo una guerra di estese proporzioni può produrre, come gli esiti non-espansivi dei processi di penetrazione nei paesi dell’est e delle aggressioni imperialiste, hanno ampiamente dimostrato in questi anni.

Sul piano delle relazioni politiche tra le classi, nella loro determinazione storica di fase, l’aspetto principale è lo spostamento dei rapporti di forza nella contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, uno spostamento dovuto all’attestamento di un processo controrivoluzionario. Un processo controrivoluzionario che, nei paesi del centro imperialista, e in particolare in Europa, si è dispiegato a partire dall’attacco militare e politico al ruolo che, la Strategia della Lotta Armata per il Comunismo, ha svolto come ridefinizione di una proposta politico-organizzativa adeguata a sviluppare il processo rivoluzionario nelle attuali forme di dominio dell’imperialismo. Una dinamica controrivoluzionaria che, con la crisi e la caduta degli Stati a transizione socialista, ha modificato le condizioni di forza che, a partire dalla Rivoluzione Sovietica, si erano prodotte nella contraddizione borghesia imperialista/proletariato internazionale. Sebbene questa condizione di vantaggio non sia assestata e sia impossibilitata ad eliminare il dato storico-politico prospettico che, la rivoluzione del ’17, ha fissato nella storia del proletariato e dell’umanità, gli assetti internazionali ne sono stati mutati profondamente, e alla situazione di sostanziale equilibrio strategico tra gli Stati dell’Alleanza Atlantica e quelli del campo socialista, che aveva favorito i processi di autodeterminazione dei popoli dei paesi dominanti, è subentrata una situazione di squilibrio politico-militare a vantaggio della Nato, che ha visto sia l’intensificarsi dell’impiego della sua forza militare che dell’iniziativa politica per la legittimazione degli interventi, con la formulazione di principi di diritto che sanzionassero il nuovo quadro dei rapporti di forza internazionali, come quello dell'”ingerenza umanitaria” su cui l’Alleanza imperialista cerca di basare la giustificazione di un ruolo di gendarme e stabilizzare il retroterra politico sulla base del quale poter aggredire qualsiasi popolo, o come quello che riconosce la facoltà, ai tribunali degli Stati della catena, di processare qualunque combattente antimperialista a cui gli Stati imperialisti abbiano attribuito l’etichetta di criminale di guerra; fattori con cui si vuole ratificare lo stato dei rapporti di forza internazionali in un ruolo di dominio legittimato. Un quadro che, gli eventi bellici che si sono succeduti in questo decennio, si incaricano sia di dimostrare quanto esso sia la base sulla quale la tendenza alla guerra indotta dalla crisi di sovrapproduzione di capitale, si possa trasformare in processo reale, sia che la direttrice di questo processo, non è altro che la storica direttrice est-ovest, stante il grado di interdipendenza maturato tra gli Stati della catena imperialista, cementato dal comune attuale interesse di imporre il proprio dominio ovunque questo non si sia assestato o non sia realizzabile né per via economica, né con limitate offensive militari.

In Italia, il processo controrivoluzionario, avviato dai primi anni ’80, ha inciso in profondità, assumendo prioritariamente il piano dell’attacco alle forze rivoluzionarie e in particolare al ruolo delle Brigate Rosse e della loro proposta strategica, in quanto elemento caratterizzante lo sviluppo dell’autonomia di classe in Italia. Un processo che ha operato collegando il rapporto di scontro militare ad una strategia politica complessiva rispetto allo scontro di classe, tesa a separare il piano della lotta di classe dal piano rivoluzionario, e a sfruttare le contraddizioni interne al Movimento Rivoluzionario e alle stesse B.R., espressione delle tendenze critiche da sempre presenti nel movimento operaio e proletario ed espressione soggettiva del carattere contraddittorio del ruolo della classe nei rapporti socialisti capitalistici. Tendenze al soggettivismo, all’economicismo, all’idealismo che si sono espresse oppositivamente al passaggio politico-organizzativo allora in corso, cioè il passaggio di costruzione del Partito Comunista Combattente. Contraddizioni aggravate dalle difficoltà di distinguere i caratteri della proposta politica delle B.R., influenzati dall’essere nata in un ciclo di lotte fortemente offensivo, dagli elementi strategici che qualificavano tale proposta politica come avanzamento della strategia della rivoluzione proletaria nell’adeguamento alle forme di dominio e ai caratteri economico-sociali dell’imperialismo, in questa fase storica.

Il ricentramento dei termini dell’impianto politico-strategico, operato dalle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente, nel rapporto con lo scontro, secondo la dinamica prassi/teoria/prassi, pur costituendo, per parte rivoluzionaria, termine di approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, si è confrontato con le contraddizioni storiche che presiedono alle condizioni della Fase della Ricostruzione delle Forze in quella più generale di Ritirata Strategica, e si è prodotta una condizione di discontinuità nel percorso rivoluzionario. Il rafforzamento delle posizioni della borghesia realizzato con l’affermazione di questo duplice processo controrivoluzionario, sul finire degli anni ’80 comincia a riversarsi sul piano complessivo delle relazioni politiche tra le classi. L’articolazione della dinamica controrivoluzionaria è stata infatti, il piano su cui le forze politico-istituzionali hanno avviato un processo di riposizionamento intorno agli interessi della frazione dominante della B.I., modificando il riflesso sulle stesse, del ruolo che lo sviluppo del movimento di classe aveva prodotto sui caratteri generali dello scontro politico; un riposizionamento, che ha riguardato principalmente le rappresentanze istituzionali della classe. La necessità di evitare la congiunzione tra piano rivoluzionario e piano della lotta di classe, aveva, infatti, contenuto l’attacco alle condizioni complessive della classe; il consolidamento del processo controrivoluzionario, determina le condizioni per riversare l’offensiva su tutta la classe, in quanto i passaggi per sostenere il governo dell’economia, nei caratteri storici attuali dell’accumulazione capitalistica, potevano avvenire in un quadro ipotetico di governabilità del conflitto di classe.

In quegli anni le linee di politica economica, che avevano accompagnato la risposta dello Stato all’offensiva di classe e rivoluzionaria, dovendo sostenere l’accumulazione capitalistica e sufficienti margini di governo del conflitto, raggiungono un punto critico di fronte alla ridefinizione degli interessi della frazione dominante della B.I., in relazione ai nuovi termini di concorrenza intermonopolistica e in relazione alle contraddizioni aperte dall’approfondirsi della crisi, aggravate dalle condizioni di debolezza dell’Italia collegate al posto da essa occupato nella divisione internazionale del lavoro. La leva del debito pubblico, come sostegno alla domanda interna e alla produzione, e come fattore su cui costruire equilibri sociali intorno agli interessi della B.I., ha teso a saturarsi per i livelli raggiunti e per gli effetti dell’investimento di capitali, tali da incrementare il deflusso di risorse in favore dell’accumulazione finanziaria ed estera, anziché sostenere la produzione e il mercato interno.

La differenziazione valutaria come fattore di compensazione competitiva, rispetto alle economie di paesi dominanti, venne ridimensionata per l’aumento della spesa per interessi comportata dalla svalutazione, per i riflessi delle politiche di unificazione monetaria, e per l’interesse della frazione dominante della B.I., a favorire processi di concentrazione e centralizzazione di capitale e, della borghesia nel suo complesso, a ricercare la competitività del sistema economico. Tutto ciò, non ha peraltro impedito di ricorrere a svalutazioni che hanno portato la lira fuori dallo Sistema Monetario Europeo fino a quattro anni orsono. Anche il ruolo dello Stato come capitalista reale, è stato ridimensionato, a fronte delle politiche di liberalizzazione corrispondenti alle spinte alla concorrenza, alla concentrazione monopolistica multinazionale e al recupero di settori sottratti alla competizione internazionale.

La frazione dominante della B.I., espressa dal capitale monopolistico italiano, ha premuto sul quadro politico affinché si facesse carico di sostenere i nuovi termini di concorrenza connessi all’avanzamento del progetto di Unione Economico-Monetaria-Unione Europea, e più complessivamente, di collocarsi nelle politiche centrali dell’imperialismo, che si rapportavano alla modificazione degli equilibri internazionali, in quanto il ruolo dello Stato sul piano internazionale per sostenere gli attuali termini di concorrenza intermonopolistica, assumeva, in questo contesto, un peso ancor più significativo.

Questi elementi, tra cui l’approfondirsi di un ciclo recessivo, connessi all’avvenuta modifica dei rapporti di forza tra rivoluzione e controrivoluzione, fanno assumere, all’azione della soggettività politica della borghesia, e in particolare dei diversi esecutivi che si sono succeduti, un connotato offensivo e complessivo, rispetto ai rapporti con la classe, e i caratteri di un sempre maggiore attivismo politico-militare nel quadro dell’Alleanza Atlantica e della Nato. La crisi delle leve consolidate e strutturate attraverso cui le forze di governo avevano costruito equilibri sociali e politici intorno agli interessi della frazione dominante della B.I., spingendo a un riadeguamento dell’azione politica degli esecutivi, si riversava anche sugli assetti istituzionali, sul ruolo del potere esecutivo, legislativo, giudiziario, delle forze politiche, e sulle forme di rappresentanza. Ciò, connesso agli esiti dell’offensiva controrivoluzionaria, assumeva il carattere di una crisi e ridefinizione della mediazione politica; cioè della sintesi del rapporto di forza e politico tra borghesia e proletariato riferita sia al piano del rapporto sociale di produzione, che al piano del rapporto classe/Stato, che a quello dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione, in una determinata fase storica. Sintesi dei caratteri storici, quindi, che informa gli aspetti di fondo di una fase, e cioè i connotati delle strutture politiche, e delle forme della soggettività politica istituzionale, e a cui, le politiche stesse devono riferirsi per essere efficaci. Il sistema politico-istituzionale del dopoguerra aveva esercitato il suo ruolo antirivoluzionario e antiproletario, attraverso l’istituzionalizzazione e la massima rappresentatività in sede parlamentare degli interessi conflittuali, per ricercare, in essa, equilibri politico-istituzionali rappresentativi di equilibri politici generali, che consentissero il governo dell’economia e del conflitto di classe, avvalendosi del ruolo dello Stato nell’economia, per sostenere forze politiche e maggioranze di governo, funzionali alla tutela degli interessi della frazione dominante della B.I.. I nuovi termini del governo dell’economia, collegati all’approfondirsi della crisi, che aveva già eroso la capacità di essere rappresentative delle forze politiche storicamente al governo, inducevano la necessità di ridurre la misura di rappresentatività con cui si dovevano andare a comporre maggioranze di governo, e quella di accentuare il ruolo dell’esecutivo rispetto al legislativo. Inoltre la modificazione degli interessi espressi dalla frazione dominante della B.I., premendo per un’azione offensiva antiproletaria degli esecutivi, comportava una necessità di selezione degli interessi rappresentabili in sede politica decisionale. La ridefinizione della mediazione politica, non ha assunto la tendenza di un superamento della democrazia rappresentativa, ma quella della ridefinizione dei caratteri particolari che essa aveva in Italia in relazione ai caratteri dello scontro di classe e rivoluzionario. Rispetto a questi elementi, si è verificata l’impossibilità, per le forze politiche, di operare una ridefinizione organica del sistema politico-istituzionale e dei poteri dello Stato, come progetto che consentisse di traghettare il sistema politico-istituzionale, espressione della fase storica precedente, nelle condizioni della fase attuale, creando quegli equilibri che permettessero di governare linearmente una ristrutturazione complessiva del sistema economico-sociale, ed in particolare del contenuto e del ruolo dello Stato sociale. La saturazione critica delle politiche economiche che avevano consentito di sostenere l’accumulazione capitalistica e il governo del conflitto di classe, come politica di gestione dell’offensiva controrivoluzionaria, si verifica sul finire degli anni ’80 quando, l’approfondimento della crisi, accentua la pressione del capitale monopolistico nazionale per l’adozione delle politiche controtendenziali che, a livello internazionale, si affermavano già come termine di sviluppo della crisi. Una pressione indotta anche dalla necessità di sostenere i nuovi termini di concorrenza intermonopolistica che si andavano definendo. Per cui, la frazione dominante della borghesia europea, ha premuto sugli Stati per l’adozione di politiche economiche aperte ai processi di concentrazione e centralizzazione del capitale monopolistico (è nell’87 che i responsabili della politica economica dei governi europei, sanciscono l’asimmetria degli accordi di cambio nello S.M.E., quindi l’impegno alla stabilità valutaria, solo per le monete sottoposte a svalutazione e non per quelle che si rivalutano, e assumono gli accordi di Basel-Nyborg, sulla liberalizzazione del movimento dei capitali, e sull’uso della politica dei tassi di interesse come strumento per la stabilizzazione dei cambi). Nel contempo si era avviata, con le aperture gorbacioviane, la prospettiva della ri-definizione degli equilibri internazionali che si presentava come possibilità di estensione della penetrazione capitalistica nei paesi del blocco socialista. In questo quadro, De Mita, sia come segretario della Dc, che come Presidente del Consiglio, nell’assunzione della necessità di ridefinizione complessiva della mediazione politica, richiesta dal dover corrispondere ai termini del governo dell’economia che si prospettavano per dare risposta alle spinte della borghesia imperialista e garantire la governabilità del conflitto di classe, tentò di attestare un progetto, e i relativi equilibri politici, che partisse dalla ridefinizione della rappresentanza politica e dell’assetto istituzionale. Questo per condurre il sistema politico in una condizione adeguata a sostenere lo scontro di classe, implicato dalla ridefinizione dei termini di governo dell’economia, che avrebbe investito complessivamente la regolamentazione dei rapporti sociali e politici tra le classi assestati nella fase precedente, processo che avrebbe inciso sulla rappresentanza politico-istituzionale. La concezione che sosteneva questo progetto ruotava intorno alla tesi che il processo controrivoluzionario avesse prodotto una condizione di modificazione dei rapporti di forza tra le classi e una ridefinizione delle forze politiche intorno agli interessi della B.I. L’attacco delle Br-Pcc al progetto di riforma dello Stato, attuato con l’azione contro Ruffilli in dialettica con l’opposizione della classe, e le contraddizioni interne al quadro politico-istituzionale legato anche ad altre frazioni della borghesia, impediscono l’affermazione del progetto. Dato il rapporto di guerra in cui le forze rivoluzionarie sono inserite, il vantaggio politico ottenuto con la realizzazione della disarticolazione degli equilibri che sottostavano al progetto di riforma dello Stato, non ha potuto trasformarsi in un lineare avanzamento del processo di ricostruzione delle forze, a causa delle operazioni di controguerriglia dell’88-89 a cui segue una condizione di discontinuità nell’iniziativa di attacco al cuore dello Stato e nella costruzione del complesso delle condizioni per l’avanzamento della guerra di classe. Così pure, la rottura degli equilibri internazionali, aveva indotto una condizione per la modificazione della divisione internazionale del lavoro e dei mercati, e una spinta della catena imperialista a riassestare gli equilibri a suo favore, e al suo interno, tra interessi comuni e contraddizioni. Il processo controrivoluzionario raggiungeva l’obiettivo del crollo degli Stati socialisti frutto della Rivoluzione sovietica e della resistenza all’offensiva imperialista, ma anche dell’operato revisionista delle dirigenze politiche della transizione. Questa evoluzione del quadro politico internazionale produceva una condizione economica e politica di accelerazione delle controtendenze di sviluppo della crisi, sulla direzione dell’internazionalizzazione, della concorrenza e della concentrazione monopolistica, in un quadro di permanenza in una condizione di non espansione. La frazione dominante della borghesia imperialista, perciò ha premuto sugli Stati per definire una progettualità politica che corrispondesse a queste condizioni, una progettualità che assumesse i caratteri dello specifico sviluppo che la politica centrale dell’imperialismo dell’Ue, nelle caratteristiche di Uem espresse con il trattato di Maastricht, determinava il progetto di Uem, i in particolare il trattato di Maastricht, definiva una prospettiva e un quadro di integrazione e concorrenza tra capitali monopolistici multinazionali, che accelerava le tendenze già in atto, scadenzandole e inquadrandole in politiche economiche restrittive e di liberalizzazione. La frazione dominante della B.I. ha premuto sul quadro politico-istituzionale per affermare i suoi interessi di concorrenza nel contesto europeo, una pressione che, se da un lato si è espressa contraddittoriamente rispetto ad altre componenti della borghesia, dall’altro ha espresso il loro interesse comune per scaricare sulla classe operaia e sul proletariato i costi della crisi; e che, date le modifiche dei rapporti di forza tra le classi prodottesi nella fase precedente, e le contraddizioni indotte dal governo dell’economia, ha sviluppato un’azione offensiva a tutto campo da parte della soggettività politica della borghesia. Il quadro politico-istituzionale italiano, ha visto, le forze qualificatesi nel processo politico come rappresentanze istituzionali della classe, ridefinire, già nella fase precedente, la loro collocazione intorno agli interessi della borghesia, sul piano controrivoluzionario e nella priorità della difesa dell’accumulazione capitalistica. Un processo graduale in cui la classe dirigente di tali forze politiche e sindacali, ha cercato di conservare il radicamento sociale assunto come rappresentanza istituzionale della classe, nella ricerca di formule politiche che mantenessero questa base sociale, ricollocandola intorno all’interesse della borghesia imperialista. Un processo scandito dall’assunzione delle ferme priorità: dell’adesione al progetto dell’Ue, dell’adesione alle politiche imperialiste di intervento nell’area mediorientale e balcanica, dell’adesione al superamento dell’ordinamento costituzionale, del riconoscimento della riforma dello Stato sociale etc. Una ricollocazione peraltro niente affatto priva di contraddizioni per il contrasto tra gli interessi da comporre. Le formule politico-sociali che erano state adottate dalle forze politiche che nel dopoguerra si erano collocate intorno alla priorità della rappresentanza degli interessi della B.I, per sostenere la capacità di governo del conflitto di classe, nel quadro dello sviluppo del processo rivoluzionario e della lotta di classe espressasi in Italia, informate come erano dal tipo di ruolo dello Stato nell’economia che aveva caratterizzato la fase precedente, avevano prodotto il costituirsi di vere e proprie componenti sociali della borghesia sorrette da questo sistema, la cui presenza all’interno dei partiti che avevano governato il paese, rendeva difficilmente governabile il processo di trasformazione e riadeguamento politico che doveva essere operato. Il processo di trasformazione che doveva svilupparsi ed è ancora in atto, a fronte dei nuovi termini di crisi-sviluppo dell’imperialismo, e nel contesto di una sostanziale modificazione dei rapporti di forza tra le classi in favore della borghesia, si definisce come una ristrutturazione e riforma complessiva del sistema economico-sociale per riadeguarlo agli attuali termini di concorrenza intermonopolistica e per ricollocarlo nel nuovo quadro di concorrenza internazionale, attraverso il ruolo esercitato dallo Stato nelle politiche centrali dell’imperialismo che, con la ridefinizione degli equilibri e delle relazioni internazionali, modificano le posizioni dei diversi sistemi economici nella divisione internazionale del lavoro e dei mercati. Processo che mette in crisi il contenuto della mediazione politica su cui si era strutturato il sistema politico-istituzionale, entro cui la soggettività politica della borghesia aveva stabilizzato relativi termini di governo dell’economia e del conflitto di classe. Ciò che si è evidenziato negli anni ’90, è stato che l’aspetto principale sul piano della contraddizione Classe/Stato, quello che si presentava prioritariamente ed emergenzialmente, non è stato il riadeguamento dell’assetto dei poteri dello Stato, ma la costruzione di equilibri politici e sociali che potessero realizzare, nello scontro di classe, quella ristrutturazione e riforma complessiva del sistema economico-sociale e della relativa politica economica dello Stato, che sostenesse i nuovi termini di concorrenza intermonopolistica, e in essi, gli interessi della frazione dominante della borghesia imperialista. Ciò nelle condizioni che si andavano definendo in relazione alle modificazioni nel quadro europeo e internazionale. E’ quindi sui nodi politici dello scontro di classe legato alle priorità dell’attuazione di questo processo di ristrutturazione, che si sarebbe costruito quel processo di rifunzionalizzazione dello Stato e del sistema politico tendente a definirsi, sui contenuti e dagli equilibri politici che emergono in questo scontro, in un complessivo riassetto degli istituti e dei poteri da codificare in un nuovo ordinamento costituzionale. Le formule politiche ed economiche su cui si erano assestati gli equilibri politici e sociali che avevano consentito il governo dell’economia e del conflitto di classe, per i quaranta anni precedenti, erano minate dall’interno, e per sostenere l’interesse della frazione dominante della B.I., dovevano essere stravolte. La contraddizione era data anche dal fatto che, la modificazione dei rapporti di forza tra le classi collegata al processo controrivoluzionario, in realtà non si era affatto riversata, in termini generali, e di rottura storica, sulla legislazione che regolava i rapporti sociali tra le classi, nella riproduzione materiale, espressione dei rapporti politici attestatisi nella fase precedente.

Le modificazioni indotte da questo processo avrebbero avuto un portato critico sull’assetto politico-istituzionale. Tale assetto, per garantire l’accumulazione capitalistica di fronte al forte conflitto di classe, si era fondata su un sistema parlamentarista che, grazie alla massima rappresentatività della sede parlamentare, istituzionalizzava il conflitto. Gli equilibri di governo dovevano rappresentare la maggioranza reale nel corpo elettorale, il ruolo economico dello Stato era il contenuto materiale per garantire maggioranze parlamentari, espressione di diversi interessi di classe, da rendere compatibili con la priorità dell’interesse della frazione dominante della B.I. Il processo di ristrutturazione e riforma del sistema economico-sociale, attraverso la modifica della legislazione che lo regolava e delle relazioni politiche tra le classi formalizzate in essa, per corrispondere agli effetti dell’approfondimento delle contraddizioni di classe, spingevano e spingono a ridimensionare la rappresentanza reale e la mediabilità degli interessi, nelle sedi politiche decisionali. Il rafforzamento del potere esecutivo e la modificazione della rappresentanza degli interessi sociali in sede istituzionale, in modo da garantire il mantenimento della rappresentanza formale, svincolando la sede politica decisionale, sarebbe stato il piano su cui stabilizzare il governo del conflitto di classe nei nuovi termini di governo dell’economia. La modificazione dell’assetto istituzionale e costituzionale non si colloca a seguito del crollo di uno Stato per una rivoluzione di classe o a seguito di un conflitto tra Stati. C’è stato sì uno scontro rivoluzionario e un processo controrivoluzionario che ha modificato le relazioni politiche tra le classi e ha modificato i fattori che hanno caratterizzato la mediazione politica, ma non tale da qualificare il passaggio attuale come crisi di Stato. I motivi del riordino dell’assetto istituzionale originano dalla ridefinizione degli istituti e della materia legislativa attraverso cui lo Stato regola i rapporti sociali in funzione del sostegno ai caratteri storici dell’accumulazione capitalistica, una modificazione di portata complessiva, distinta dai normali interventi di politica economica, in questo incidono, come quadro di scontro in cui si svolge tale modificazione, i rapporti di forza e politici tra le classi, e la collocazione della formazione economico-sociale nella divisione internazionale del lavoro come condizione e margini economici di compatibilizzazione delle contraddizioni. Il tentativo demitiano quindi, mirava a costruire un equilibrio politico-istituzionale che, a partire dalla rifunzionalizzazione dei poteri dello Stato e del sistema politico-istituzionale, ponesse le condizioni per trasformare linearmente il sistema politico, come passaggio prioritario per affrontare e governare la ristrutturazione del sistema economico-sociale. Le contraddizioni indotte dallo scontro di classe e rivoluzionario, evidenziano come, la realizzazione di questo passaggio non si presentava come la codificazione degli equilibri politici tra le classi prodottisi nella fase precedente, ma la risultante, in sede politico-istituzionale, dello scontro di classe collegato alle nuove contraddizioni. La ristrutturazione e riforma del sistema economico e sociale, la sua priorità di fronte all’accelerazione delle politiche di integrazione europea, trova nel supporto tra esecutivo e sede neocorporativa, e nella assunzione di questa a sede di valenza istituzionale, la formula politica per costruire equilibri politici e sociali in grado di dare risposta alla contraddizione dominante nella fase, sul piano Classe/Stato, cioè affrontare tale priorità ridefinendo in essa i termini di governo del conflitto di classe. Una ridefinizione data dall’introduzione del contenuto neocorporativo nella legislazione riguardante la regolazione del sistema economico-sociale, e dalla trasposizione a tutti i livelli dello scontro di classe di strumenti repressivi e preventivi sia di carattere politico-giuridico che di ordine pubblico. Tale legislazione non risponde solo all’esigenza di finalizzare tutti i fattori economici e sociali al sostegno dell’accumulazione capitalistica nel quadro dei nuovi termini di concorrenza che pure è una precisa necessità, ma incanala le contraddizioni di classe al fine di collocarle sul terreno di una mediazione corporativa degli interessi. Con ciò la mediazione corporativa degli interessi sociali si coniuga con l’approccio riformistico e le istanze di ristrutturazione economico-sociale, per dare una base materiale alla governabilità, cercando di legare agli interessi della borghesia imperialista, quelli di settori di aristocrazia proletaria e di piccola borghesia, che storicamente costituiscono il referente sociale del riformismo. Un tentativo che, in particolare in un paese come l’Italia, impatta con l’erosione reale di vantaggi e tutele che, anche questi settori, hanno dovuto subire per gli effetti della crisi e delle politiche adottate, e perciò è intrinsecamente debole. Nel contempo il rapporto esecutivo-parti sociali, consente sia di sottrarre la funzione decisionale dell’esecutivo ad un potere interdittivo, in quanto le parti sociali, a differenza della rappresentanza parlamentare non hanno titolo ad intervenire nella decisione politico-legislativa, che di costruire equilibri politici nel paese atti a dare governabilità alle forzature e di definirne la sostenibilità reale, nel rapportarsi ad apparati radicati nel tessuto sociale perché vi svolgono un ruolo di soggetti della contrattazione tra capitale e lavoro. Un ruolo ridefinitosi in chiave neocorporativa sulla base di una rappresentazione dell’interesse della classe operaia esclusivamente come merce forza-lavoro, componente del ciclo di accumulazione capitalistica, alla quale viene riconosciuta solo una legittimità di contrattazione del proprio prezzo e condizioni d’uso, nel quadro di una subordinazione alla priorità del processo di accumulazione di cui essa è considerata solo funzione. Un ruolo di contrattazione riconosciuto come fattore economico funzionale in quanto garante della lineare gestione dei rapporti sociali di produzione capitalistici. Ruolo economico-sociale che può mettere in grado di sostenere la governabilità nell’attuazione delle politiche che vengono definite, mentre nella sede neocorporativa, l’esecutivo, espressione di una maggioranza parlamentare, come espressione dell’interesse generale del paese, dovrebbe garantire la corrispondenza tra accordo in sede di trattativa neocorporativa e produzione legislativa. La ristrutturazione e la riforma del sistema economico e sociale, nel quadro del progetto di Ue-Uem, e la relativa ridefinizione delle forme statuali e istituzionali, è la contraddizione dominante sul piano Classe/Stato, la negoziazione neocorporativa Stato/parti sociali, è stato il perno del progetto che ha costruito gli equilibri politici e sociali che hanno consentito di garantire il governo del conflitto di classe, la mediazione neo-corporativa è il contenuto generale della composizione di interessi che viene operata e il piano di trasformazione della mediazione politica che lo Stato vuole assestare, come base di un processo più complessivo di ridefinizione che si sviluppa sia sul piano dell’assetto dei poteri dello Stato che del rinnovato ruolo dell’Italia nelle politiche centrali dell’imperialismo e dei suoi piani di guerra nell’area Europa Mediterranea Mediorientale. Nel breve-medio periodo i caratteri della contraddizione dominante sul piano Classe/Stato sono riferibili nel complesso al passaggio che realizza l’integrazione monetaria europea, informato dai criteri e dai vincoli concreti del patto di stabilità, alle tendenze recessive, all’intensificazione dell’intervento politico militare e diplomatico rivolto ad estendere e stabilizzare il dominio imperialista. Per cui si rinnova e approfondisce sia la necessità di un controllo centralizzato di tutti i fattori del mercato delle merci e della I.I., che segue al passaggio ruotato intorno al risanamento del bilancio statale e al controllo dell’inflazione finalizzato a garantire l’ingresso dell’Italia nella moneta unica, che di equilibri politici solidi che sostengano l’interventismo politico-militare. Il triennio che si è aperto dal primo gennaio del 1999, si concluderà con la sostituzione delle monete nazionali con la moneta unica europea, che sancisce l’avvenuta integrazione economica. Un triennio durante il quale i rapporti economici e monetari tra i paesi dell’area euro vengono regolati dai patti di stabilità che costituiscono un approfondimento dei vincoli macroeconomici fissati da Maastricht e dovrebbero garantire la possibilità di attribuire all’euro, il valore di scambio voluto per sostenere il capitale finanziario europeo nell’ambito della competizione globale. Dato il nesso tra deficit di bilancio, indebitamento, Pil e valore di mercato dell’Euro, il controllo sulla spesa statale continua ad essere un asse della politica economica in funzione dell’osservanza dei vincolo posti dal patto di stabilità. Questa condizione e l’approfondimento dell’integrazione, omologa le politiche economiche dei diversi paesi europei, sul piano delle politiche di bilancio e per la liberalizzazione, per l’apertura alla concorrenza. Il tendenziale risanamento del bilancio statale italiano e il taglio dei tassi di interesse bancario, secondo i parametri di Maastricht, il controllo dell’inflazione assunto nel corso degli ultimi anni, attraverso la politica dei redditi, sono i presupposti su cui l’equilibrio politico dominante ha inteso procedere a un completo riassetto, che andasse dai livelli della contrattazione, a quello degli incentivi, dalla decurtazione del costo del lavoro alla riforma degli ammortizzatori sociali, dal riordino delle forme contrattuali, alla prosecuzione graduale della riforma del sistema pensionistico, dal riordino dell’organizzazione dell’impiego della forza-lavoro (orario di lavoro) alla revisione progressiva delle norme sulla licenziabilità, dalla riforma della rappresentanza, alle politiche per la programmazione industriale e il relativo impiego di risorse pubbliche interne o UE. Riassetto complessivo tanto più necessario e urgente per l’accumulazione capitalistica, a fronte dei riflessi negativi che la crisi asiatica ha prodotto sulla competitività delle merci italiane e sui profitti, e all’impatto economico negativo che ha la guerra alla Jugoslavia. L’esigenza di governabilità, per essere assicurata, ha visto affiancare al disegno teso a comprimere il costo diretto e indiretto della forza-lavoro, a flessibilizzarne prezzo e condizioni di impiego, a cancellare o comprimere certe garanzie e sicurezze sociali, un tentativo di promozione di uno sviluppo competitivo che stimolasse e attirasse nuovi investimenti e profitti anche attraverso un limitato e selettivo impiego della spesa pubblica, in una formazione economico-sociale come quella italiana che è tra le più fragili tra i paesi del centro imperialista, e questo ha cercato di costituire il terreno di un consenso sociale che bilanciasse le contraddizioni generate dalle misure adottate e che l’approfondimento della crisi accentuerà. Il problema dell’accrescimento del Pil o quantomeno della sua tenuta nell’attuale contesto di crisi, e la contraddizione della disoccupazione, condizione comune a tutti i paesi europei (ma che in Italia assume un particolare connotato di stabilità), e spinta ad acuirsi dalle politiche economiche adottate nel quadro europeo, pongono urgentemente il problema dello sviluppo, mentre la caduta delle residue barriere all’integrazione dei mercati con l’adozione di politiche per la liberalizzazione che acuiscono la concorrenza, pone il problema dell’assunzione di un indirizzo teso alla competitività in generale dei fattori produttivi, come condizione strategica per sostenere i vincoli dei patti e nel contempo contrastare le tendenze recessive per conservare la collocazione occupata dal paese nell’Uem e nella catena imperialista. Un indirizzo di competitività, e per uno sviluppo ad essa congruo, che rinnova e approfondisce l’adozione di una linea e di un controllo centralizzato di politica economica e su tutti i fattori di mercato, che pone al centro le istanze di flessibilizzazione della forza-lavoro e di compressione del costo del lavoro nelle sue diverse variabili. Questa linea che pone al centro queste istanze e che viene propagandata come funzionale allo sviluppo economico e sociale, denuncia le sue motivazioni strettamente difensive, attraverso le previsioni di crescita per l’anno in corso, che sono ben lontane, essendo inferiori della metà, da quelle solo molto relativamente rosee del 2,5%, rispetto alle quali veniva proposto lo scambio tra conquiste del movimento operaio sul piano del diritto del lavoro, e sviluppo, cioè occupazione. Una prospettiva su cui oltretutto, a breve termine, incide negativamente l’impegno bellico per il rastrellamento di risorse che dovrà essere effettuato per sostenere le spese, e nella quale, in generale, le spese di riarmo che dovranno essere effettuate per svolgere il ruolo politico-militare corrispondente agli interessi della borghesia imperialista, previsto dai nuovi indirizzi strategici della Nato, ipotecano gli indirizzi di gestione del bilancio e le linee della programmazione economica. Per l’attuazione di queste politiche è perciò fondamentale il rapporto tra Esecutivo e sindacato confederale per la funzione economica che questi svolge nella contrattazione tra capitale e lavoro e, sulla base di questa, per la sua corresponsabilizzazione politica in un cambiamento che necessita tanto dell’estensione capillare del suo ruolo, che di una certezza della rappresentatività e capacità di rappresentazione dei soggetti della contrattazione, secondo regole che selezionino a priori la compatibilità delle istanze sociali con le politiche economiche che informano il quadro generale dei contratti di lavoro, e la disponibilità a contenere l’azione conflittuale. Da queste istanze nascono le linee rivolte sia all’inglobamento, attraverso queste regole, di nuovi soggetti sindacali, che all’allargamento della negoziazione centralizzata a un arco più ampio di forze sociali; di qui nasce, anche un sistema sanzionatorio più rigido, e conciliatorio più diffuso e stringente. Se è solo nell’ambito della sede neo-corporativa e delle relative politiche che l’affrontamento di questi passaggi può trovare avanzamento, la contrazione della base produttiva e la crisi occupazionale – accentuata dalle politiche economiche adottate in questi anni, e aggravata dalle prospettive di approfondimento del ciclo recessivo internazionale- , costituiscono un forte fattore di contraddizione nel ruolo di questa sede, in particolare nella capacità del sindacato confederale di garantire la tenuta delle politiche che vengono adottate. Intorno all’asse del neo-corporativismo, e intorno a questi equilibri, si sono definiti e dovranno definirsi anche passaggi di rifunzionalizzazione dello Stato: dall’accentramento di ministeri economici, alla riorganizzazione della pubblica amministrazione, dalla riforma fiscale nel senso del sostegno diretto della fiscalità generale al profitto e all’accumulazione capitalistica e del federalismo fiscale, alla rifunzionalizzazione del ruolo delle amministrazioni locali nel senso del rafforzarne il ruolo di esecutivo locale attraverso il decentramento, alle privatizzazioni e alla ridefinizione in senso privatistico dell’intervento economico dello Stato. La necessità che si presenta per un equilibrio politico in cui i Ds hanno ruolo centrale, in un passaggio come quello attuale, è quella di dare soluzione alla contraddittorietà intrinseca di questo modello politico che vede due canali di legittimazione, attraverso il rafforzamento del ruolo politico dell’Esecutivo, con un maggior intervento di proposta legislativa, nell’opera di mediazione tra l’ambito della negoziazione neo-corporativa e quello parlamentare. La rinnovata funzione dell’Esecutivo e della componente Ds-Cgil, nel mediare le funzioni di questi ambiti, nella ricerca dell’equilibrio sufficiente a sostenere il complesso delle politiche che vanno adottate per governare la crisi e il conflitto, ha stagliato il ruolo centrale che vanno ad assumere quei soggetti che rappresentano l’Esecutivo nella sede negoziale, anche nel costruire le condizioni dell’unità di questa stessa componente politica. L’affermazione del progetto di ridefinizione del sistema economico-sociale e del ruolo dello Stato nell’economia, con le politiche neocorporative, se ha dato risposta alla contraddizione prioritaria ed emergenziale, è avvenuta in un contesto di permanente instabilità del quadro politico-istituzionale. Un’instabilità che, però, non ha affatto impedito allo Stato di effettuare quei passaggi politici che costituivano interessi vitali per la frazione dominante della B.I. Le ragioni di questa instabilità si presentano relativamente al ruolo dell’esecutivo, un ruolo che è stato rafforzato con la riforma della Presidenza del Consiglio, e progressivamente incrementato con forzature rispetto al rapporto con la dialettica parlamentare, con gli strumenti della decretazione, del ricorso alla fiducia, dell’introduzione del voto palese, dei vincoli di copertura finanziaria per gli emendamenti, delle deleghe legislative etc. Un ruolo che, di fronte alla crisi della rappresentanza politica, si è ulteriormente rafforzato. Non essendo però sancito formalmente, il suo rapporto con le forze politiche di maggioranza è attraversato da instabilità. Permane infatti la difficoltà a formare maggioranze di governo omogenee e stabili e, nonostante l’introduzione di un sistema elettorale maggioritario, non c’è stata una semplificazione del quadro politico. Gli schieramenti politici odierni non sono equivalenti rispetto al riconoscimento della sede neocorporativa, nè nel rapporto con il sindacato confederale, disparità che sottopone l’impianto neocorporativo, non nel suo contenuto, ma per il sistema di relazioni e l’equilibrio che lo deve sostenere, al rischio di rimessa in discussione in relazione al prevalere o meno di un determinato equilibrio parlamentare, oppure lo eleva a criterio selettivo dell’equilibrio capace di dominare, in contrasto con il sistema formale. Questo, in un quadro in cui la sede neocorporativa ha assunto un particolare ruolo istituzionale, e ha valenza nel far avanzare gli interessi della B.I., nella governabilità, costituisce elemento di contraddizione. La ridefinizione dei poteri locali, avvenuta con la riforma elettorale per i Comuni e per le Regioni, e con i provvedimenti tesi a rafforzare il decentramento amministrativo e il federalismo fiscale, non ha una collocazione istituzionale definitiva, e impedisce a questi poteri di esercitare un ruolo stabile e funzionale alla possibilità di utilizzare le significative diversità economico-sociali, come fattore di frammentazione del conflitto di classe e di ricomposizione corporativa degli interessi sociali su una base di mediazioni locali sul criterio della unicità di interessi alla competitività delle realtà territoriali. In questi anni si è evidenziata la difficoltà da parte del quadro politico di effettuare dei passaggi di avanzamento sul piano della riforma istituzionale. Le realizzazioni su questo piano hanno riguardato l’aspetto della riforma elettorale e sono state introdotte tramite forzature maturate all’esterno delle sedi parlamentari. Il fallimento della Bicamerale D’Alema, ha dimostrato l’impossibilità di separare, il piano delle riforme istituzionali, dallo scontro di classe e dai riflessi sul quadro politico-parlamentare. La frammentazione del quadro politico è da riferire alla difficoltà, nonostante l’introduzione del sistema maggioritario, di coniugare il posizionamento delle principali forze politiche intorno agli interessi della B.I. con la rappresentanza di interessi sociali di altre classi, in modo da raggiungere un consenso ampio tale da eliminare la pressione di interessi non omologabili. Il Prc e la Lega esprimono questa contraddizione, ma anche la necessità e la funzione di garantire, attraverso la rappresentanza in sede parlamentare, l’istituzionalizzazione di istanze di classe o di interessi particolaristici della borghesia concorrenziale. Per il Prc, significativo è stato il ruolo svolto di compattare settori del movimento di classe intorno agli indirizzi politici antiproletari del governo Prodi. Altro aspetto critico è l’affermazione di soggetti politici, quali F.I., A.N. e Lega, estranei all’arco delle forze costituzionali, espressione di un personale politico che, non essendosi selezionato nella fase storica precedente, evidenzia un’inidoneità a rapportarsi ai caratteri della mediazione politica storicamente definitasi, e quindi ad esprimere una capacità di governo in grado di intervenirci calibratamente, che, nel passaggio del governo del Polo e nelle posizioni assunte rispetto alla Bicamerale per le riforme, ha dimostrato la inadeguatezza di questo schieramento a garantire governo dell’economia e del conflitto di classe, ma anche a saper collocare il proprio interesse particolare nel far affermare l’interesse della frazione dominante della B.I. come interesse generale, tra cui le ambigue posizioni rispetto ai passaggi dell’Uem. Una contraddittorietà acuita dall’anomalia della figura di Berlusconi e del suo gruppo di potere, ma soprattutto legata all’estraneità alla sede neocorporativa e a componenti sociali che organizzino e rappresentino significativamente interessi di settori proletari intorno agli interessi della borghesia. Infine, altro aspetto, è l’impossibilità di azzerare la soggettività politica sulla base del criterio della opportunità di introdurre formule di ingegneria istituzionale. E’ il caso ad esempio, del P.p.i. erede di quella componente della D.C. che più di tutte ha rappresentato gli interessi della frazione dominante della B.I., in equilibrio tra interessi atlantici ed europei, inquadrando intorno ad essi, componenti sociali quali Cisl, primo tra i sindacati a proporsi in un ruolo neo-corporativo e a rinnovarlo con il coinvolgimento dell’associazionismo e della finanza cattolica, componente politica che ha espresso il suo ruolo anche attraverso le massime figure istituzionali. Le modificazioni dell’assetto politico-istituzionale sono quindi derivanti dal processo politico collegato agli sviluppi dello scontro di classe e alle contraddizioni prodotte dal governo dell’economia e del conflitto sociale. Un processo politico che ovviamente con ha un rapporto meccanico con lo scontro di classe, ma contempla un ruolo attivo, e offensivo, della soggettività politica, un rapporto che si esprime come riflesso dialettico sulla sede politico-istituzionale che ha una autonomia relativa rispetto ai rapporti di forza tra le classi. Un processo che, in una irriducibilità del quadro politico-istituzionale a semplificazioni bipartitiche, si snoda intorno alla difficoltà di costruire due coalizioni idonee a sostenere una dinamica di alternanza tra equilibri politici di governo, in grado di rappresentare una continuità dell’azione del governo intorno agli interessi della frazione dominante della B.I., adeguata ai rapporti di forza reali tra le classi, e quindi all’equivalenza rispetto alla sede neocorporativa. Un processo che avviene nel posizionamento delle forze politiche intorno ai nodi congiunturali dello scontro politico, che ha visto un assestamento della posizione dell’Italia intorno ai passaggi che ne riguardavano il ruolo nelle politiche centrali dell’imperialismo, ma che ha caratteri maggiormente critici sul piano interno e della politica economica. Un ruolo particolare in questi anni è stato svolto dal Pds che ha sostenuto organicamente le politiche di riforma e ristrutturazione economico-sociale e di forzatura degli assetti politici. All’interno del Pds è D’Alema che ha operato alla costruzione degli equilibri politici che hanno sostituito il governo Berlusconi e ricondotto, l’opposizione di classe ad esso, in un ambito funzionale all’esercizio di un ruolo di governo. Un ruolo politico che ha incontrato, con la paralisi della Bicamerale da lui presieduta, una caduta significativa, per la presunzione di pervenire ad un riordino complessivo dell’assetto costituzionale e istituzionale, in una piena autonomia della sede parlamentare dalle contraddizioni derivanti dallo scontro di classe e dagli effetti dell’operato dell’Esecutivo. Un ruolo quello di D’Alema, e dei Ds in generale, che viene rilanciato dalla responsabilità assunta, dal suo governo, con il pieno impegno dell’Italia nell’attacco alla Jugoslavia, responsabilità che gestisce le continue forzature con un’articolata tattica di progressive ratifiche parlamentari al coinvolgimento delle forze armate italiane nella infame e folle aggressione al popolo Jugoslavo, ed è sorretta da una volontà politica ad andare fino in fondo, consapevole sia del rischio costituito dal manifestarsi di segnali di debolezza per un equilibrio politico strutturalmente fragile, che del processo di selezione che è in corso all’interno della Nato. Seppure il Ppi, per il ruolo del suo personale politico, abbia spesso formulato le basi per la definizione di passaggi corrispondenti ai reali equilibri parlamentari e quindi adeguati ad affermarsi, la coalizione di centro-sinistra come maggioranza politica e come coalizione dell’Ulivo, non costituisce una formula politica stabile, né si potrà istituzionalizzare la prassi della unificazione della coalizione intorno alla designazione della figura che viene proposta come presidente del consiglio come sintesi dell’equilibrio politico raggiunto all’interno della coalizione stessa. Già la caduta del governo Prodi e l’uscita di Rifondazione dalla maggioranza, dimostrarono come permanesse un processo di trasformazione delle forze e delle formule politiche, processo riconfermato dal successivo definirsi del progetto Prodi-Di Pietro, teso non solo ad una semplificazione del quadro politico, ma anche ad assumere ruolo in essa, definendo un soggetto di centro-sinistra che superasse gli attuali partiti che compongono la coalizione dell’Ulivo, progetto che l’incarico di Prodi alla Presidenza della Commissione Europea ha ridimensionato in modo sostanziale. Un processo di trasformazione critico, a causa della difficoltà della coalizione di centro-sinistra a tradurre le scelte politiche di chiaro connotato antiproletario adottate dal suo Esecutivo, in formazione di un consenso elettorale sufficiente ad ottenere una maggioranza parlamentare. Un processo in cui dapprima, la ricerca di semplificazione, attraverso l’accentuazione del meccanismo elettorale maggioritario, ha impattato sull’esito referendario, decretando il concludersi di una stagione di forzature extraparlamentari legittimate con il voto referendario; poi, avendo la compattezza della coalizione, subìto una frattura con l’elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica ed essendosi determinata una ridefinizione dei rapporti politici interni a vantaggio dei Ds, si è riaperto alla prospettiva di riforme istituzionali. Sul piano internazionale dominano, il quadro della crisi economica e finanziaria con le sue prospettive di recessione mondiale, in particolare con il tracollo dell’economia giapponese, e la crisi economica sociale e politica che investe in specifico la Russia. All’interno di questo contesto si colloca l’offensiva Nato contro la Jugoslavia, con il pretesto di una “crisi umanitaria” nel Kosovo, passaggio odierno, e salto di qualità di quel processo di destabilizzazione e successiva normalizzazione imperialista dell’area balcanica e dei paesi dell’est europeo, su cui si è andato ridefinendo il ruolo della Nato e dell’Ue e dei loro Stati membri. Un ruolo che si colloca nel mutare dei termini della contraddizione est-ovest, non più imperniati sulla contrapposizione di sistemi economico-sociali e sulla deterrenza nucleare, ma sulla penetrazione economica e del modo di produzione capitalistico, operata in funzione della ricerca di nuovi ambiti di investimento di capitali, di forza-lavoro a basso costo e di nuove quote di mercato, con cui contrastare la crisi del capitale. Penetrazione economica e del modo di produzione capitalistico, che impossibilitata, non solo a prospettare uno sviluppo economico per queste aree, ma anche solo a mantenere, seppure nel medio-lungo periodo, gli storici livelli di sviluppo delle forze produttive e di risorse sociali, e che perciò non può essere sostenuta solo con i tradizionali strumenti usati negli ultimi decenni. Perciò il ruolo di Nato, Ue e Stati imperialisti, si è qualificato nel costruire le condizioni che la consentissero, attraverso la destabilizzazione politica, l’intervento bellico diretto, oppure attraverso l’integrazione dell’Alleanza Atlantica di alcuni Stati ex-socialisti, e , per governare le contraddizioni economico-sociali che genera questa penetrazione e il loro sviluppo politico, è stata attuata una strategia di annientamento di quegli Stati che rappresentavano punti di autonomia politico-militare, per l’assoggettamento politico e per l’insediamento militare, e per allontanare il fronte dai paesi del centro imperialista, e stringerlo intorno alla Russia e agli altri paesi non assoggettabili né semplicemente con la dipendenza economica, né con limitate offensive politico-militari. Processo in cui possono costruirsi le condizioni e le forzature politiche interne al rapporto Classe/Stato nei vari Stati europei, che mettano in grado di sostenere, nella Nato, questo complesso ruolo politico-militare nei confronti dell’Est europeo e dell’area mediterraneo-mediorientale. Un processo che, con i passaggi interni alla costruzione dell’Unione europea, e in particolare sul piano delle politiche repressive e controrivoluzionarie (Schengen), con la rifunzionalizzazione e il rafforzamento delle forze armate e di polizia, con la partecipazione attiva degli Stati europei alle iniziative militari Nato, con il rafforzamento della complementarietà tra Nato e Ue, nella funzione di quest’ultima di allargamento verso i paesi dell’est europeo, costituisce una dimensione idonea per mettere in grado i singoli Stati europei, di sostenere una proiezione offensiva su un piano politico-militare degli Stati Uniti. Processo che trova proprio nell’attestamento della mediazione politica in senso neo-corporativo, la principale base di attuazione e sviluppo, per un paese come l’Italia che svolge un ruolo cardine nella Nato, per la sua storica funzione di portaerei nel Mediterraneo, e che vede nella penetrazione in quest’area e in quella dell’Est europeo, uno sbocco non solo per il capitale monopolistico, ma anche, per quel capitale a più bassa concentrazione e centralizzazione investito in settori maturi, che può trovare quote di mercato e occasioni di investimento laddove vada costruito o ricostruito un intero tessuto economico (vedi la funzione svolta dall’Albania), interessi comuni a frazioni di borghesia per i quali, l’intervento politico-militare dello Stato in queste aree, costituisce una mediazione politica. Il carattere dell’aggressione alla Jugoslavia, costituisce un ulteriore significativo approfondimento nel costruirsi delle condizioni per cui, la tendenza alla guerra accelerata dall’approfondimento della crisi di sovrapproduzione assoluta di capitali, può trasformarsi in effettivo sbocco bellico generalizzato per la sua maturazione, rivolta a forzare ulteriormente il rapporto con la Russia attraverso la completa esautorazione del ruolo dell’Onu; per il suo contenuto politico, attraverso il salto di qualità dell’intervento militare diretto e aperto della Nato che sulla base del principio dell’ingerenza umanitaria ha fondato la legittimazione formale dell’aggressione, e ha attestato il consolidamento della riformulazione della propria concezione strategica, riadeguata agli attuali caratteri economico-politici dell’imperialismo che vedono nell’accentuazione dei processi di internazionalizzazione del capitale i motivi della ridefinizione degli strumenti di dominio, nella direzione della tutela della penetrazione economica laddove le condizioni politiche degli Stati la consentano, e nella direzione dell’insediamento politico-militare e della costruzione delle condizioni politiche istituzionali e militari necessarie a stabilire l’ordine dei rapporti sociali capitalistici, laddove esistano sistemi politico-statuali che esprimano termini di autonomia rispetto all’ordine imperialista o formazioni economico-sociali che non riescano a strutturare un ordinamento politico-istituzionale funzionale ad un’economia di mercato. Un’aggressione che vuole affermare il principio dell’ineluttabilità dell’intervento militare nel caso della non accettazione dei dettami politici della Nato e che è espressione dell’organicità dei rapporti Usa-Ue; che è apice pratico di quel processo di rifunzionalizzazione del ruolo imperialista e controrivoluzionario da sempre svolto dalla Nato, nel quadro degli attuali equilibri internazionali, e in cui infine, lo Stato italiano non ha affatto assunto una posizione servile nei confronti del polo dominante Usa; ma si è collocato in prima linea per rappresentare gli interessi della propria borghesia e coniugarli con quelli delle altre borghesie dei paesi dominanti della catena. Un processo di rifunzionalizzazione della Nato e del ruolo dei singoli Stati imperialisti in essa, che non è affatto privo di contraddizioni, che si deve imporre sulle resistenze che trova all’interno dei paesi e deve contrastare le tendenze al coagularsi dell’opposizione alla guerra in opzioni offensive e rivoluzionarie; processo contro il quale, in Italia, già nel 1994 i Nuclei Comunisti Combattenti collocarono la propria iniziativa offensiva contro il Nato Defence College, in occasione del Vertice Nato di Bruxelles con cui si sanzionavano le linee del Nuovo Ordine Mondiale, in un quadro più complessivo di iniziative politico-militari del Movimento Rivoluzionario attuale in questi anni, contro la Nato e, che recentemente si sono affiancate ad attacchi al ruolo dei Ds nella guerra imperialista alla Jugoslavia, in dialettica con la tendenza dell’autonomia di classe a dare un contenuto offensivo alla opposizione all’imperialismo. Sul piano politico europeo le velleità di un riformismo sociale non liberista a cui in particolare in Italia aveva guardato il Prc, decadono con l’uscita di scena di Lafontaine dapprima, e poi con l’inizio dell’aggressione alla Jugoslavia, e il procedere di un processo di convergenza delle maggioranze politiche dei paesi europei verso equilibri politici di governo analoghi e politiche economiche omologhe, si è venuto a misurare con l’impegno comune nella guerra, nuovo piano su cui si dovranno assestare sia questi equilibri che le politiche economiche che dovranno essere adottate per reperire le risorse per sostenere la guerra e la spesa per il riarmo e il riassetto militare necessario, che i progetti per garantire i necessari termini di governabilità interni. In questo quadro si colloca il recente Vertice Nato di Washington che avrebbe dovuto sanzionare la nuova strategia Nato, l’adesione ad essa di ex-membri del Patto di Varsavia, e anche l’esito dell’offensiva contro la Jugoslavia. A causa della guerra in corso, ha dovuto avere funzione di costruire alcune condizioni per proseguirla e per concluderla raggiungendo l’obiettivo politico di scardinare l’assetto politico Jugoslavo. E’ ora infatti questa guerra la cartina di tornasole della validità della nuova dottrina, e della sostenibilità del ruolo che la Nato si è data. Un vertice a cui manca la Russia, formalmente invitata a svolgere un ruolo di mediazione tra la Nato e la Jugoslavia, per evitarne una palese umiliazione che la destabilizzi ulteriormente, in realtà delegata ai margini del quadro internazionale, in attesa del suo turno. Un vertice che lo stesso recente plebiscitario voto del Parlamento Usa al finanziamento dello scudo satellitare anti-missili balistici, progetto rimasto per anni fermo, indica quanto sia indirizzato a strutturare le linee del nuovo ordine mondiale, ossia di un dominio imperialista che deve essere imposto con la forza. Nel quadro generale di processi e tendenze presenti a livello europeo e internazionale, in Italia, il governo, i sindacati confederali, la Confindustria e altre sigle del mondo della piccola e media impresa e sindacali, firmano, nel dicembre del 1998, il “Patto per l’occupazione e lo sviluppo”. Il Patto rinnova le linee di politica dei redditi già presenti nel ’93, e ne rilancia i contenuti di fondo, a partire dal principio che sono le imprese il motore primo dell’occupazione, e perciò, il destinatario del sostegno dello Stato, e in funzione dell’emergenza occupazione, approfondisce il ruolo della politica dei redditi nella direzione di un intervento che si articola a tutti i livelli di governo, dal nazionale al regionale al locale, e continua e riferirsi ai criteri macroeconomici di controllo dell’inflazione e del deficit pubblico, stabilendo un rapporto più organico tra negoziazione e processi decisionali interni e U.E. A sostegno di questi obiettivi e delle politiche “per lo sviluppo e l’occupazione” e della “programmazione dei fondi strutturali 2000-2006″, che il patto delinea, viene disegnata la struttura della negoziazione corporativa come un articolato che attraversa tutti i livelli di governo e capillarmente, come un vero e proprio assetto di carattere istituzionale che palesa in modo esplicito, tutta la sua funzione non solo economica, ma anche politica, di natura antiproletaria e controrivoluzionaria, quando viene previsto che la concertazione si rafforzi nel campo dei servizi di pubblica utilità, anche attraverso l’attivazione di sedi di confronto, regole, e istituzioni specifiche, “in particolare laddove si registrano un tasso di conflittualità elevato e forti esternalità verso il sistema economico e sociale”!! Il carattere corporativo, antiproletario e controrivoluzionario di questa impalcatura economico-politica è inequivoco e profondo, perciò in questo progetto politico la nostra O. ha individuato il ruolo politico-operativo svolto da Massimo D’Antona, ne ha identificata la centralità e, in riferimento al legame tra nodi centrali dello scontro e rapporti di forza e politici generali tra le classi, ha rilanciato l’offensiva combattente, secondo i criteri dell’attacco al cuore dello Stato, cardine della Strategia della Lotta Armata per la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura del proletariato. Con questa offensiva, mirata a ostacolare lo sviluppo programmatico del progetto centrale, che è teso ad ottenere sia avanzamenti nel merito della ristrutturazione e riforma economica e sociale, sia nel consolidamento del dominio della borghesia, con l’assestamento di una mediazione politica di carattere neocorporativo, le BR-PCC si prefiggono, in generale, il rilancio della prospettiva della conquista del potere per l’instaurazione della dittatura del proletariato, come prima tappa della costruzione di una società comunista, e, in specifico, di ottenere un relativo vantaggio politico per il campo proletario, da impiegare ai fini della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e degli strumenti politici e organizzativi atti ad attrezzare la classe allo scontro prolungato con lo Stato. La linea politica che indirizza l’offensiva combattente è orientata a colpire le responsabilità centrali nell’opera di istituzionalizzazione della sede neo-corporativa, nell’approfondimento del ruolo politico dell’Esecutivo, e nella sua azione programmatica tesa a tradurre in iniziativa legislativa quelle linee di riforma e ristrutturazione economico-sociale, tutti aspetti, intorno ai quali oggi si gioca lo scontro tra le classi, e rispetto a cui il consolidamento del progetto neo-corporativo costituisce condizione generale attraverso cui l’Esecutivo intende gestire le contraddizioni antagonistiche, trasformandole in passaggio di arretramento politico per il proletariato. Un’iniziativa politico-militare che per questo opera, nel contempo, sul piano immediato, aprendo un varco offensivo nella situazione difensiva della classe, e su un piano di prospettiva politica, facendo vivere offensivamente il nodo del potere: opera sul piano progettuale e programmatico imponendo nello scontro, sul terreno della guerra, gli interessi generali del proletariato, qui ed ora, portando l’offensiva, al livello in cui si definiscono i rapporti di forza e politici tra le classi, al livello cioè dell’iniziativa politica, e nel merito dei nodi centrali dello scontro, nella congiuntura. In ciò pone i concreti termini politico-programmatici su cui fare avanzare la guerra di classe di lunga durata, nella dialettica con le istanze di potere che sorgono dalla lotta del proletariato. Un attacco al “cuore dello Stato” che è il portato della dialettica politica tra una linea di continuità-critica-sviluppo del patrimonio comunista in specifico dell’esperienza prodotta dalle Br nel nostro paese e peculiarmente del ricentramento operato dalle B.R.-P.C.C. nella Ritirata Strategica, e il concetto percorso di riaggregazione delle avanguardie rivoluzionarie, in funzione della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e in particolare di un’Organizzazione Comunista Combattente che agisca da partito per costruire il Partito. Un processo di aggregazione che costituisce uno stadio peculiare della Fase di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie, processo che ha visto come passaggio centrale il rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria operato dai Nuclei Comunisti Combattenti, con l’attacco all’accordo sulla politica dei redditi tra governo Confindustria e sindacati confederati, nel ’92 con l’attacco contro la sede della Confindustria, e nel ’94 in occasione del Vertice N.A.T.O. di Bruxelles, con l’iniziativa contro il N.A.T.O. Defence College con cui veniva attaccato il disegno di nuovo ordine mondiale e la strategia di “presenza avanzata” e la complessiva rifunzionalizzazione della Nato e dell’architettura con cui il dominio imperialista si attrezzava a sostenere il ruolo politico-militare aderente ai caratteri odierni del modo di produzione capitalistico e della sua crisi e a sfruttare i rapporti di forza favorevoli determinatisi negli equilibri internazionali. Con queste iniziative, i N.C.C. sintetizzano il rilancio dell’offensiva rivoluzionaria, con l’avvio di un processo di aggregazione delle avanguardie rivoluzionarie, operando nel vivo dello scontro e intervenendo nei nodi politici su cui ruota la contraddizione classe/Stato e quella imperialismo/antimperialismo. Un processo con cui inevitabilmente si misurano tutte le avanguardie che vogliano rilanciare la prospettiva comunista e i suoi obiettivi storici, e avviare un processo di superamento della attuale situazione di difensiva della classe. Un’esperienza, quella dei N.C.C. che si sviluppa nel tradurre in prassi rivoluzionaria, il contenuto offensivo dell’autonomia politica di classe, rapportandosi con i termini più avanzati di autonomia politica espressi dal proletariato nel paese, ovvero il patrimonio politico-strategico sviluppato dalle BR-PCC, collocandolo nelle condizioni di difensiva della classe, prodottesi nel duplice processo controrivoluzionario, che ha determinato una condizione di discontinuità del percorso rivoluzionario, delle condizioni interne sul piano Classe/Stato, e negli equilibri internazionali. Un rapporto con le condizioni e con le contraddizioni della situazione di difensiva della classe, che attraverso la soggettività rivoluzionaria, in quanto parte dello scontro generale, che ha imposto di definire strumenti politico-organizzativi e condizioni, che costituissero soluzioni politico-concrete per rapportarsi in termini offensivi nello scontro di classe. Solo organizzando le forze rivoluzionarie e proletarie, fin da subito sul terreno strategico adeguato a sostenere una prospettiva di potere a partire dall’attacco, e costruendo le condizioni politico-organizzative e materiali, per assumere iniziativa d’avanguardia rispetto ai nodi generali relativi alla contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, è possibile avviare un percorso che, relazionandosi allo scontro di classe, nei suoi caratteri generali, affronti le condizioni storiche di fase in termini di avanzamento. Su questo piano, le avanguardie rivoluzionarie si rapportano con i caratteri storici presenti della Fase di Ricostruzione, cioè con la necessità di operare un processo di aggregazione dal quale si possano selezionare i termini complessivi necessari alla ricostruzione di un’Occ che agisca da Partito per costruire il Partito e che, in quanto tale, possa costituire il Nucleo Fondante il Partito. La costruzione di un soggetto organizzato che affronti il nodo della ricostruzione delle condizioni per lo sviluppo della guerra di classe di lunga durata, si può avviare solo a partire dall’esercizio di un ruolo d’avanguardia rispetto allo scontro di classe in generale. Per questo, l’avvio di tale percorso, deve essere impostato dalla costruzione delle condizioni politiche, militari, tecniche e organizzative, per mettere in campo e sostenere il rilancio dell’offensiva rivoluzionaria nei nodi politici centrali dello scontro di classe, al fine di collocare in questo scontro il dato politico assente, ovvero l’espressione dell’autonomia politica di classe che, rispetto alle contraddizioni generali dello scontro, definisce e colloca l’interesse autonomo della classe e le sue prospettive di potere. In sostanza, il carattere principale dell’avvio di questo processo, si definisce intorno al nodo di costruzione delle forze per l’offensiva, della tenuta e della stabilità dell’organizzazione delle forze sul terreno strategico. Dover superare questo stadio, nella tensione all’avanzamento, come soggetto organizzato, verso l’obiettivo della ricostruzione di un’Occ che agisce da partito per costruire il Partito, nel vivo dello scontro rivoluzionario, consente di evidenziare le contraddizioni concrete, collegate al rilancio della prospettiva rivoluzionaria, nelle condizioni politico-organizzative danneggiate e disperse dal processo controrivoluzionario. Una definizione di problemi che può dare concretezza ai caratteri della fase, altrimenti assumibili solo ideologicamente, quali ad esempio la contraddizione costruzione/formazione. Una concretezza relativa alla specificità delle condizioni di discontinuità che, nella definizione dei caratteri dei nodi, ne delinea anche le possibili soluzioni politico-organizzative, nella costruzione di un patrimonio politico collettivo. Il dato di fondo è che, la ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie, nel quadro del passaggio della ricostruzione di un’Occ che abbia funzione di nucleo fondante il Partito, riguarda tutti gli aspetti che consentono di concepire il conflitto e di combatterlo: dagli elementi di materialismo storico-dialettico, alle competenze operative per agire nell’unità del politico e del militare, ai criteri che consentono ad un soggetto organizzato di essere tale. Dati costanti sono che, ciò è impossibile, se non si affronta operando immediatamente sul terreno della prassi rivoluzionaria in una dimensione organizzata, riferita ai nodi generali della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, e che le avanguardie rivoluzionarie, l’insieme delle forze militanti, devono tener conto della complessità e complessità su cui operare per avanzare in termini di ricostruzione d’una forza rivoluzionaria. Le condizioni attuali della Fase di Ricostruzione, sono state connotate da questi elementi: – da un lato l’acutezza delle contraddizioni di classe e l’operare offensivo della borghesia e del suo Stato, in un rapporto di scontro immediatamente politico, in quanto inerente alla ridefinizione della mediazione politica e al portato in essa dello scontro rivoluzionario. – dall’altro, la mancanza nei nodi politici generali, che costituiscono l’oggetto immediato dello scontro, di una posizione che definisse fattivamente gli interessi generali della classe, sia in termini di critica di classe, che di prassi offensiva, che di prospettiva di potere; che si definisse nello scontro di classe attuale. Il portato del processo controrivoluzionario e gli sviluppi dell’offensiva della borghesia e del suo Stato, hanno indotto l’affermazione nel campo proletario e rivoluzionario di tendenze difensive, prodotte proprio dal rapporto di forza sfavorevole che rilancia tali tendenze approfondendo le condizioni di arretramento, mentre nel contempo, la mediazione neocorporativa è il piano proposto e imposto dallo Stato. Il contenuto prevalente nell’opposizione proletaria ha avuto, in questi anni, un carattere di critica sociale, aclassista o interclassista e, dentro questo contenuto, si sono collocate componenti politiche e sociali che mettono in atto una prassi che vagheggia ipotesi di riformismo sociale. In questo quadro si sono collocate anche forze politico-istituzionali che fanno riferimento al proletariato, la cui progettualità ha egualmente un carattere di riformismo sociale e che, su questo punto di congiunzione, hanno incorporato e istituzionalizzato istanze della autonomia di classe che scaturiscono dallo scontro, ingabbiandole in pratiche di lealismo istituzionale. Una tendenza questa, disarmante per gli interessi generali della classe, che in alcuni passaggi politici, ha visto queste componenti farsi carico del sostegno ai progetti dello Stato e alle politiche centrali dell’imperialismo. Su un altro piano si è collocata una tendenza all’economicismo che, svuotando le istanze di autonomia di classe del loro contenuto politico generale, le ha indirizzate verso uno sbocco di subordinazione in quanto riferite ad istanze rivendicative, parziali, storicamente prive di prospettiva, proprio per le delimitazioni del piano di lotta assunto, che a maggior ragione in una fase che vede la classe in posizione di difensiva, non sono in grado di costruire rapporti di forza con prospettive di avanzamento nemmeno in contesti particolari, tranne in settori strategici per il funzionamento del sistema economico, rispetto ai quali lo Stato combina misure repressive e un terreno di trattativa corporativa remunerativo per frammentare e procedere gradualmente nel compatibilizzare tali settori. Per componenti politiche che si riferiscono alla classe come classe in sé e per sé, l’assunzione in termini difensivi di questo contenuto, ha portato alla loro collocazione su un piano ideologico, se non ideale. Cioè si è stabilito un rapporto immediatistico con la lotta di classe, dove la politica rivoluzionaria costituisce esclusivamente un riferimento ideale o tutt’al più interpretativo, senza nessuna ricerca di direzione consapevole organizzata, dialettica ma finalizzata, della politica rivoluzionaria sul piano della lotta di classe. Rapporto immediatistico che vede il piano rivoluzionario come sbocco più o meno meccanico della lotta di classe, della sua estensione come prodotto dell’approfondimento della crisi capitalistica. Il portato del processo controrivoluzionario, e il suo risvolto sul campo proletario, in chiave di assunzione di tendenze difensivistiche, si è manifestato anche in opzioni politiche che, nell’oggettiva difficoltà di rapportarsi all’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, (connotato dall’avanzamento dei termini strategici della guerra di classe di lunga durata nei paesi del centro imperialista, conquistati nel mantenimento dell’offensiva nelle condizioni di Ritirata Strategica, ma anche dalla discontinuità delle forze e dell’iniziativa rivoluzionaria, e che implica l’aumento del peso assunto dalla soggettività nello scontro, essendo necessario che sia operato l’idoneo riadeguamento ai nuovi termini del rapporto rivoluzione/controrivoluzione) hanno assunto le condizioni di agibilità consentite dallo Stato, come principio in base a cui ridefinire la strategia rivoluzionaria. Partendo da queste basi, azzerando il rapporto tra forme di dominio dell’imperialismo e strategia rivoluzionaria, come unico terreno su cui si può sviluppare la costruzione del Partito e l’organizzazione rivoluzionaria della classe, hanno rinchiuso lo sviluppo della strategia della Lotta Armata per il Comunismo, in un incidente di percorso del movimento operaio, ricollocandosi nel riferimento ideologico alla strategia terzinternazionalista dell’insurrezione. Azzerando il dato politico che ha visto la ripresa del processo rivoluzionario in Europa, nascere dalla critica a tale concetto strategico e alla prospettiva revisionistica e riformistica in cui portava ad impantanare lo scontro rivoluzionario, di fronte ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative. Nonostante questa condizione di arretramento, è proprio dall’opposizione di classe alle compatibilità politiche ed economiche, imposte attraverso i passaggi di ridefinizione della mediazione politica in chiave neocorporativa che, nello scontro, ha continuato ad esprimersi l’istanza di autonomia del proletariato. La valutazione dello scontro di classe nella fase, evidenzia come, nonostante l’acutezza delle contraddizioni prodotte, e la crisi del sistema politico-istituzionale, si sia affermato un dato politico di arretramento, un dato politico per cui, nel generale e nel particolare dello scontro, gli interessi generali del proletariato, e la sua contrapposizione complessiva alla borghesia e al suo Stato, non costituiscono il contenuto, se non episodicamente, su cui la classe o settori di essa, costruiscono il rapporto di scontro. Tale contenuto si esprime implicitamente, nei contesti di lotta che si contrappongono offensivamente alle compatibilità e alla subordinazione della mediazione neocorporativa, ma tale latenza, oltre che la condizione dei rapporti di forza, costituisce vincolo alla capacità di catalizzare l’opposizione di classe. Questa condizione, la sua durevolezza, di fronte all’offensiva della borghesia, si manifesta nella difficoltà ad esprimere una critica di classe all’esistente, e a tradurre questa critica in processi di mobilitazione e organizzazione che, dalla situazione concreta presente, valutata storicamente e dialetticamente, costituiscono termine di avanzamento possibile nel senso del contributo allo sviluppo di un processo rivoluzionario. Una difficoltà che è nata dal venir meno della prospettiva di potere come contenuto orientante, impostativo, punto di vista necessario per una critica di classe e opposizione ai rapporti sociali capitalistici, e degli strumenti teorico-politici e organizzativi definiti dalla Rivoluzione Sovietica, dalla Rivoluzione Cinese etc. e sviluppati dalla Strategia della Lotta Armata per il Comunismo. Un venir meno, non tanto come contenuto ideologico, seppure anch’esso abbia un peso, ma come contenuto politico, cioè come patrimonio politico che scaturisce dalla collocazione di tale prospettiva di potere, coscientemente perseguita, nelle condizioni di scontro presenti nella loro determinazione storica. Una condizione indotta dal portato del duplice processo controrivoluzionario, che conferma come l’autonomia politica di classe (ovvero l’istanza di autonomia di classe oggettiva, generata dalla contraddizione antagonistica tra borghesia e proletariato, tradotta in proposta politico-organizzativa di sviluppo del processo rivoluzionario), sia un prodotto essenzialmente politico, e non il meccanico e spontaneo sviluppo della lotta di classe, anche quando l’acutezza delle contraddizioni di classe è estrema. Una cognizione che lo Stato borghese ha ben compreso, assumendo come principale fine della sua azione di controrivoluzione preventiva, la neutralizzazione attraverso l’istituzionalizzazione, il riformismo o l’annientamento, degli aspetti che, nelle varie congiunture, politicizzano l’opposizione di classe e ne costituiscono prospettiva di potere. Il carattere politico dell’avanzamento verso la ricostruzione dell’Occ che agisce da partito per costruire il Partito, si definisce intorno alla costruzione della capacità di assestare stabilmente nello scontro di classe i due aspetti mancanti, di una posizione nello scontro che definisca gli interessi generali della classe, e di una prospettiva di potere, nei vincoli delle condizioni di fase. Si tratta quindi di continuare ad operare, in termini di iniziativa politico-programmatica e costruzione organizzativa, sul livello più avanzato di definizione di strategia rivoluzionaria, ricostruendo nello scontro di classe, tutti i piani di definizione di una progettualità e di una prassi rivoluzionaria, considerando il soggetto organizzato, come ciò che, nello sviluppare questo scontro, su tutti i piani, deve costruirsi e formarsi. Rispetto allo scontro di classe in generale, si tratta di definire e collocare l’interesse generale e autonomo del proletariato come classe, in riferimento alle contraddizioni generali, politiche e materiali, prodotte dalla crisi della borghesia e dalla sua azione offensiva espressa dallo Stato, per scaricare sul proletariato il costo di questa crisi. Si tratta di affermare nello scontro, di costruire il dato politico, per cui, colo a partire dall’assunzione dell’interesse generale e autonomo del proletariato, come punto di vista, contenuto e prassi conseguente, su cui impostare un rapporto di scontro, anche particolare, è possibile sottrarsi all’offensiva e alla crisi della borghesia, e alla subordinazione derivante dall’assunzione dell’interesse particolare come piano di rapporto con le contraddizioni di classe.

L’interesse particolare è infatti il piano che la borghesia, a partire dalle condizioni ad essa favorevoli sul piano dei rapporti di forza, impone come piano di rapporto alla classe, questo è, la trasformazione della mediazione politica storica, nella mediazione politica neocorporativa. L’assunzione offensiva dell’interesse generale e autonomo del proletariato, non come somma di interessi particolari, ma come contenuto di ogni rapporto di scontro particolare, è la condizione per sottrarsi a un rapporto di forza sfavorevole e muoversi anche nella condizione di difensiva della classe. Rispetto allo scontro rivoluzionario, si tratta di collocare nello scontro di classe, in termini di attacco e di costruzione, come costruzione/formazione, tutti quegli elementi di patrimonio comunista, di proposta politico-strategica, e di linea, come sviluppo di tale patrimonio in questa fase, che consentono di sviluppare una prospettiva di potere, definendoli in relazione alle condizioni di fase, cioè di difensiva della classe, di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie e di Ritirata Strategica. – Dal carattere dell’autonomia politica della classe, non come dato che si produce e riproduce spontaneamente nella lotta di classe, ma come prodotto dell’inserimento nello scontro, di una prassi finalizzata all’affermazione degli interessi generali e storici del proletariato. – Al ruolo della strategia rivoluzionaria e al suo definirsi in riferimento alle attuali forme di dominio dell’imperialismo, e cioè principalmente ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative, che costituiscono l’affinamento e l’assestamento del carattere controrivoluzionario del ruolo dello Stato, che convoglia e struttura, attraverso un complesso reticolo di filtri e passaggi, l’azione che opera su un piano prettamente politico, alla legittimazione e al rafforzamento dello Stato stesso, svuotandola dei suoi caratteri antagonisti e rivoluzionari. Stato, che soprattutto assume, come qualificazione permanente della propria azione politica, la mediazione degli interessi sociali particolari, storicamente e congiunturalmente selezionabili, intorno agli interessi generali della frazione di borghesia dominante, in funzione controrivoluzionaria preventiva al coagularsi e all’organizzarsi del proletariato per l’affermazione dei propri interessi generali di classe. A ciò si intreccia una vera e propria politica controrivoluzionaria preventiva, intenzionalmente e specificamente perseguita, che non consiste in un’azione semplicemente repressiva, ma questa si connette strutturalmente a un’azione politica nei confronti delle contraddizioni di classe, rivolta a prevenirne lo sviluppo in direzione della loro politicizzazione e traduzione in organizzazione del proletariato sul terreno rivoluzionario. Oltre che in riferimento ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative la strategia rivoluzionaria si definisce in rapporto alle forme di dominio storiche entro le quali gli Stati espletano le loro funzioni di dominio sul piano internazionale e che, nella nostra area geo-politica, fanno perno sull’Alleanza Atlantica e sull’integrazione politico-militare nella Nato e sui processi di coesione europea. Tali riferimenti alle attuali forme di dominio dell’imperialismo, impostano fin da subito i caratteri della costruzione del Partito, in qualità di Partito Comunista Combattente, dell’organizzazione della classe sul terreno rivoluzionario nell’unità del politico e del militare, definiscono la centralità del Fronte Antimperialista Combattente per la costruzione di alleanze politiche che operino all’indebolimento dell’imperialismo nella nostra area, e gli assi e i caratteri dell’iniziativa politico-programmatica, in quanto contenuto strategico che consente di sviluppare un processo, che costruisca, seppur nella sua linearità, una prospettiva di potere. – Al ruolo dei principi teorici che consentono di sviluppare un agire politico che si costruisce in un processo, che si dà nella dinamica prassi/teoria/prassi, rapportandosi a condizioni storiche di fase, prodotto degli esiti delle fasi precedenti, a partire da cui definire i passaggi di avanzamento. – Al ruolo dell’avanguardia rispetto alla classe, e all’inscindibilità di questo ruolo da quello concretamente esercitato dall’avanguardia sul piano politico della contraddizione classe/Stato. – Agli elementi politico-organizzativi che consentono al soggetto organizzato di muovere come un corpo unico. Il saldo riferimento al patrimonio comunista in generale, e in particolare a quello prodotto dalle BR-PCC nella direzione dello scontro rivoluzionario nel paese, e alle sue discriminanti teorico-strategiche, è ciò che guida le avanguardie rivoluzionarie nell’assunzione di ruolo politico nello scontro, sia nell’avviare un processo di ripresa dell’iniziativa rivoluzionaria che di aggregazione e di selezione in essa dei termini della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie. Tra queste discriminanti teorico-strategiche, Innanzitutto la valenza politica della Strategia della Lotta Armata, come modo in cui si rende praticabile un processo rivoluzionario in riferimento alle attuali forme di dominio dell’imperialismo, e si materializza lo sviluppo della Guerra di Classe di Lunga durata contro lo Stato, processo in cui l’avanguardia politico-militare si pone come direzione e organizza fin da subito i settori rivoluzionari di classe che si dialettizzano e si dispongono sul terreno della lotta armata. Da ciò ne deriva l’assumere il principio dell’unità del politico e del militare che agisce come una matrice nel processo rivoluzionario, dai meccanismi che permettono ad una forza rivoluzionaria di essere tale, al suo modo di sviluppare prassi rivoluzionaria, al processo rivoluzionario nel suo complesso. Adottare il principio dell’unità del politico e del militare nei paesi del centro imperialista, fa assumere alla lotta armata la forma della Guerriglia che svolge la funzione di direzione dello scontro di classe, affrontando contemporaneamente e globalmente i principali piani del processo rivoluzionario, ed è volta a disporre e strutturate le forze per sostenere il livello di scontro dato, e ai fini della fase rivoluzionaria, sul terreno strategico della lotta armata.

La conduzione della guerra rivoluzionaria, adotta termini che sono interni alla fase in corso, che oggi è quella della Ritirata Strategica, e che sono indirizzati verso l’evolversi di successivi livelli di ricostruzione, compattamento e direzione delle forze proletarie sul terreno rivoluzionario, fintanto che non abbiano maturato l’assestamento necessario per superare le posizioni di relativa debolezza nel complesso dei rapporti di forza tra le classi. Per quanto riguarda il Partito, questo si qualifica come Partito Comunista Combattente; il riferimento centrale è all’unità del politico e del militare che evidenzia come il problema del Partito sia la costruzione-fabbricazione delle condizioni stesse della guerra di classe, cioè problema di una direzione politica e di strutture organizzate, adeguate a sostenere lo scontro e a rilanciarlo ed approfondirlo, assolvendo alle necessità e ai compiti dettati dalla congiuntura politica che scaturiscono dalla contraddizione dominante che oppone la classe allo Stato, disponendo e organizzando le forze attivabili intorno ai compiti imposti dalla fase rivoluzionaria, compiti che in generale sono sempre riferibili allo stato dei rapporti di forza tra le classi, agli equilibri dei rapporti tra imperialismo e antimperialismo, allo stato delle forze proletarie e in ultima istanza ad un determinato passaggio del rapporto di scontro tra rivoluzione e controrivoluzione. In questo riferimento più generale la costruzione del Partito è un processo risultante dall’agire dell’O.C.C., da partito per costruire il Partito, e dal prodursi delle condizioni necessarie e sufficienti a qualificare e configurare il Partito Comunista Combattente come tale. Per quanto riguarda il rapporto Partito/masse, esso non viene concepito in altro modo che come termine di costruzione/organizzazione di quelle componenti proletarie che esprimono termini di autonomia di classe, sul terreno della lotta armata, calibrato, nelle forme e nei modi, alle fasi rivoluzionarie che si attraversano, ma sempre fin da subito nell’unità del politico e del militare. Ma innanzitutto l’operare della Guerriglia, nella dinamica Attacco-Costruzione-Attacco, momenti tra i quali vi è interdipendenza e interrelazione, è teso a lacerare il piano degli equilibri politici tra Classe e Stato e a costruire le condizioni materiali per un equilibrio politico e di forza favorevole al campo proletario che può partire solo intervenendo con l’attacco al punto più alto dello scontro. E ciò perché, un processo rivoluzionario, non è la risposta agli attacchi della borghesia alle condizioni politiche e materiali della classe (cioè un atto difensivo), anche se nel suo sviluppo conosce fasi di resistenza più o meno prolungate, ma è nella sua sostanza un processo di attacco per affermare gli interessi generali del proletariato. Per quanto riguarda il programma politico, il piano di contraddizione Classe/Stato è il principale terreno programmatico su cui si costruiscono i termini dell’organizzazione di classe sul terreno della lotta armata: con l’attacco al cuore dello Stato, alla sua centralità politica congiunturale e non semplicisticamente al suo apparato centrale, le Br-pcc hanno riproposto la centralità che ha, per i comunisti, la questione dello Stato. L’attacco al cuore dello Stato poi, si ripercuote come effetto su tutto l’arco dei rapporti fra le classi fino al piano capitale/lavoro, una dinamica di intervento che apre uno spazio politico che può e deve essere sfruttato con la costruzione di organizzazione di classe sul terreno della lotta armata, calibrata nelle forme e nei modi alla fase di scontro e ai rapporti di forza generali. Vantaggi momentanei derivanti dall’attacco operato che vanno tradotti in organizzazione, perché lo scontro rivoluzionario diretto dalla Guerriglia nelle metropoli imperialiste non può costruire “basi rosse” stabili, non può avere retroterra logistico, perché lo scontro rivoluzionario nei centri imperialisti, è una guerra senza fronti, dove l’attività controrivoluzionaria dello Stato si dispiega contro l’intero campo proletario (Guerriglia, movimento rivoluzionario, classe); dove il processo rivoluzionario avanza in una condizione di accerchiamento strategico, almeno fino alla fase finale del processo rivoluzionario. Per questo la Guerriglia nella metropoli è impostata sui principi di clandestinità e compartimentazione, cioè conseguentemente li adotta come criteri di organizzazione e mobilitazione. La centralità della questione dello Stato, per i comunisti, deriva dall’essere, il piano politico, il rapporto fondamentale su cui si determinano i rapporti di forza generali tra le classi. Le avanguardie rivoluzionarie, possono concepire ed articolare la Strategia della Lotta Armata, riferendola alle forme di dominio dell’imperialismo, e il suo programma in qualsiasi fase si trovi lo scontro di classe, solo rimettendo al centro un criterio-guida del marxismo-leninismo, che vede nella funzione di mediatore dello scontro inconciliabile tra le classi e nel contempo di rappresentante dell’interesse generale della classe dominante, gli elementi che connaturano lo Stato, e perciò il fondamento del ruolo sia di organo politico-istituzionale del dominio della borghesia, sua sede e soggettività politica, che di ordinamento dei rapporti politici e sociali. Lo Stato, infatti, non viene concepito solo come una sommatoria di apparati, solo sotto il suo profilo, meccanico-oggettivo, ma essenzialmente sotto un duplice profili: quello politico, di organo di dominio della borghesia, e contemporaneamente, quello giuridico-formale, di ordinamento politico-giuridico; cioè secondo la sua sostanza soggettiva e oggettiva. E perciò, l’analisi dello scontro e l’intervento rivoluzionario, sono tesi a individuare gli equilibri politici generali che permettono l’attuazione dei programmi congiunturali allo scopo di scardinarli e renderne ingovernabili le contraddizioni, secondo il criterio di centralità di identificazione, all’interno della contraddizione dominante, del progetto politico centrale della B.I., per lacerarli, adottando il criterio di selezione che individua il personale politico che assume una funzione di equilibrio delle forze che sostengono tale progetto, e per calibrare l’attacco allo stato delle forze proletarie e rivoluzionarie, nel paese e negli equilibri internazionali.

Essendo i rapporti sociali e politici regolati in modo storico nel corpo legislativo-istituzionale, carattere giuridico-formale della natura dello Stato, attraverso l’azione soggettiva dello Stato che traduce, sanziona e rilancia in norme e istituti imposti sulla società in generale, gli esiti dello scontro sociale che volta per volta si determina, riferendosi alla mediazione politica mediamente assestata storicamente, e attraverso la capacità cogente e sanzionatoria data dal monopolio della forza, l’intervento volto a scardinare gli equilibri politici colpendo l’azione soggettiva dello Stato, sui nodi centrali della contraddizione Classe/Stato, va a incidere sulle concrete possibilità di governo delle contraddizioni, in quanto inserisce, attraverso l’esercizio di forza, il dato politico degli interessi generali della classe nel quadro generale dei rapporti di forza e politici tra le classi, impedendone quindi la lineare sanzione in senso antiproletario, facendone termine a cui deve riferirsi lo scontro successivo, e le posizioni delle classi antagoniste in esso. E questo è il modo attuale e prospettico di “spezzare la macchina statale”, innescando una concreta dialettica politica tra proposta comunista e autonomia di classe. Questi elementi di concezione a cui si riferisce la Strategia della Lotta Armata, consentono anche di comprendere la funzione che può svolgere dall’interno stesso di una fase difensiva per il campo proletario, in quanto, riferendosi alla funzione dello Stato nella sua duplice natura di organo politico della dittatura della borghesia, e ordinamento politico-giuridico di una società divisa in classi antagoniste che incorpora i dati storici sia dello scontro di classe che delle trasformazioni strutturali, l’intervento combattente può concretamente incidere, con l’offensiva, laddove si definisce l’iniziativa che costruisce l’equilibrio politico che consente di sanzionare i vantaggi e gli avanzamenti ottenuti dalla borghesia e dallo Stato nello scontro, ottenendone vantaggio politico. Vantaggi e svantaggi, avanzamenti e arretramenti che non costituiscono solo elementi della storia dello scontro di classe, ma vengono incorporati nell’ordinamento politico-giuridico a costituire fattori della nuova base di partenza, parte di un nuovo quadro a cui deve riferirsi lo scontro, in cui la forza e il peso politico delle classi e delle loro frazioni, si struttura, riferendosi alla mediazione politica storica, in dato dal carattere generale incidente su tutta la società, e così pure vi si riflette il dato dell’intervento rivoluzionario. Perciò, anche in una condizione di difensiva della classe, come quella attuale, l’attacco al cuore dello Stato, consente di contrapporsi ai vincoli politico-concreti che spingono il proletariato in una posizione di svantaggio politico, e che oggi sono costituiti dalla costruzione dei termini complessivi di una mediazione politica neo-corporativa, e di condizionare i processi di scontro. Potendo svolgere questa funzione, la Strategia della L.A., nelle moderne democrazie rappresentative dei paesi del centro imperialista, essendo l’unica base da cui può essere rilanciata la progettualità comunista anche in condizioni di rapporto di forza sfavorevole per il proletariato, e perseguite le finalità di estinzione della società divisa in classi, attraverso la tappa della conquista del potere politico per la dittatura del proletariato, è anche irrinunciabile ai fini di sottrarsi all’offensiva complessiva che la borghesia ha lanciato contro il proletariato e costruire rapporti di forza più favorevoli. La tappa della conquista del potere politico e della dittature del proletariato è storicamente necessaria, avendo tuttora e sempre, il dominio della borghesia un carattere politico, ben e irrinunciabilmente radicato, nel ruolo che svolge la proprietà privata nell’ordinamento politico-giuridico; avendo, i rapporti tra proletariato e borghesia, tuttora e sempre, carattere antagonista, in quanto questo carattere è afferente al ruolo sociale (di forza-lavoro e di capitale) che viene sostenuto nella produzione e nella società, e non alla funzione sociale, né tantomeno alla forma giuridica in cui questa viene svolta, né alle condizioni materiali di vita; ed essendo, un ordinamento politico-giuridico, caratterizzato dal potere impositivo e sanzionatorio che nasce dall’esercizio del monopolio della forza da parte dello Stato. Perciò la dittatura del proletariato non è equivocabile, com’è usuale e strumentale fare, con una forma, più o meno democratica, del processo di decisione politica, ma deve essere concepita nel suo senso reale, cioè come la sostanza dei rapporti di potere tra le classi, e quindi delle corrispondenti centralità di interessi nei rapporti sociali, e perciò la conquista del potere politico è obiettivo di un processo rivoluzionario, e condizione di fondo imprescindibile per la costruzione della società comunista, in quanto solo attraverso l’esercizio del potere statuale gli interessi generali di una classe, possono essere garantiti e tutelati, a maggior ragione se questa classe è il proletariato che non è portatore, nella storia dell’umanità, di una forma di proprietà privata su cui si erige un modo di produzione che compete con quello che lo ha preceduto storicamente. In sintesi la Strategia della Lotta Armata è unica base di rilancio della progettualità comunista, in quanto possibilità concreta di far pesare, qui e ora, nello scontro, gli interessi generali della classe, ed esercitare forza, che incide ad aprire e far avanzare la prospettiva rivoluzionaria, e termine imprescindibile della ricostruzione di condizioni politiche e di forza favorevoli al campo proletario. Se l’attività della Guerriglia, può avere un riflesso positivo sulle condizioni di vita immediate della classe, come ha avuto negli anni precedenti, non è questo il criterio che guida la sua iniziativa politico-militare, in quanto lo scopo che si prefigge è quello di incidere sui rapporti di forza generali tra le classi, per lavorare alla costruzione del Partito Comunista Combattente e affermare la prospettiva di potere, espressione degli interessi generali del proletariato, favorendo con ciò lo sviluppo dell’autonomia di classe, condizioni queste, che sono termini concreti per il rafforzamento delle posizioni del proletariato nel rapporto di scontro con la borghesia e che conseguentemente incidono positivamente anche nelle condizioni immediate della classe, in quanto è solo sul piano politico che la classe può stabilire un rapporto di forza generale.

Perciò la proposta politica delle Br-Pcc si concretizza su due aspetti: da un lato organizzando le avanguardie più coscienti intorno alla strategia politica dell’Organizzazione; dall’altro rappresentando l’elemento di riferimento di spinta e di coagulo per le istanze più mature della lotta di classe rapportandosi ad esse con il programma politico. Infine, l’altro asse su cui le Br-Pcc intendono sviluppare il proprio programma politico, è sul piano della contraddizione imperialismo/antimperialismo al fine di indebolire e ridimensionare il dominio imperialista, costruendo offensive comuni contro le sue politiche centrali, con le forze rivoluzionarie e antimperialiste che operano nell’area Europea-Mediterraneo-Mediorientale. Perciò le Br-Pcc pongono al centro del proprio progetto politico la promozione e costruzione del Fronte Combattente Antimperialista, in cui la ricerca di unità politico-militare tra forze antimperialiste dell’area, sia funzionale a costruire le alleanze politiche necessarie a indebolire il dominio imperialista, a partire dalle differenze storico-strutturali della lotta di classe delle singole formazioni economico-sociali, dentro cui si collocano e maturano le esperienze e le forze rivoluzionarie e antimperialiste, ma anche dal ruolo unico e unitario che svolgono gli Stati dominanti della catena imperialista. Concepire la necessità politica di costruire un Fronte Combattente Antimperialista non significa escludere la ricostruzione di un’Internazionale Comunista, ma significa non trascurare di attivare tutte le forze disponibili contro il nemico imperialista al di là delle differenze tra tappe rivoluzionarie e concezioni che supportano le forze antimperialiste, e costruire una condizione favorevole al perseguimento anche dell’obiettivo dell’Internazionale Comunista che presuppone un’unità superiore nei caratteri di classe, nei fini e nelle concezioni delle forze appartenentevi. Promuovere la costruzione del F.C.A. implica porre al centro dell’offensiva combattente il rapporto organico tra il ruolo della Nato, come alleanza politico-militare degli Stati dominanti della catena imperialista, guidata dal polo Usa, e quello della Ue, quale progetto politico centrale dell’imperialismo nella nostra area geo-politica che affianca la Nato nell’azione di penetrazione e assoggettamento dei paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Est europeo e nella costruzione delle condizioni dell’approfondimento della tendenza alla guerra. Asse di combattimento che deve avanzare sempre complementariamente allo sviluppo dell’iniziativa combattente nei nodi centrali che oppongono la classe al proprio Stato, perché è sul piano Classe/Stato che si scioglie il nodo del potere che qualifica la tappa rivoluzionaria. Lo stadio aggregativo che investe la Ricostruzione delle Forze, in relazione alle peculiarità legate alla contraddizione costruzione/formazione, rappresenta il nodo con cui si confronta lo sviluppo del processo di costruzione di un’Organizzazione Comunista Combattente. In questo quadro il rilancio dell’iniziativa politica offensiva nei nodi centrali che opponevano Classe e Stato e Imperialismo e Antimperialismo, operato dai Ncc ha costituito un’espressione di progetto, di linea politica e di linea politico-organizzativa definiti in base alla comprensione politica dei nodi centrali che poneva lo scontro e la Fase strategica. L’avanzamento da un fisiologico stadio aggregativo iniziale, verso la costruzione di una forza rivoluzionaria che punta a qualificarsi come O.C.C. che agisce da Partito per costruire il Partito, necessariamente si confronta con il problema della riproduzione di forze militanti complessive che esercitino un’azione politico-operativa e organizzativa d’avanguardia; e quindi la dinamica che dall’Attacco costruisce aggregazione e forza per esprimere un livello più avanzato di capacità offensiva, politicamente e militarmente intesa, è strettamente connessa ad un processo di costruzione/formazione di ruoli militanti complessivi che operino materialmente ulteriore costruzione. Lo snodo della riproduzione di tali ruoli è a sua volta strettamente connesso con l’espressione di forza complessiva dell’organizzazione, che è data dalla costruzione delle condizioni e cognizioni per un movimento unitario e unico, pur nella diversità, delle forze organizzate, sul terreno dell’attività politico-programmatica ed in particolare nella costruzione dell’offensiva. Un movimento riferito alla costruzione delle condizioni e degli strumenti per l’operare di una dinamica di centralizzazione-decentralizzazione. I termini progettuali in cui viene inquadrato lo sviluppo del processo rivoluzionario, qualificano il ruolo dell’avanguardia nella direzione e organizzazione della classe sul terreno rivoluzionario, in un processo di scontro finalizzato all’instaurazione della dittatura del proletariato come prima tappa del processo rivoluzionario. Un processo di scontro che, nei termini strategici di riferimento, si dà fin da subito nell’unità del politico e del militare. Costruire una forza rivoluzionaria significa, quindi, costruire una forza che, nel complesso, ma anche in generale, cioè in ogni militante, possa riprodurre il ruolo di organizzazione e direzione della classe sul terreno rivoluzionario. Si tratta quindi di costruire-formare delle avanguardie nella loro caratterizzazione complessiva politico-militare e il loro movimento centralizzato e decentralizzato. Un processo che trova nel rapporto tra responsabilizzazione complessiva e impiego operativo, la leva della costruzione/formazione delle forze e dello sviluppo dell’autonomia politico-operativa, che si può produrre nel concreto esercizio della responsabilità politica nel lavoro rivoluzionario, in termini di “conduzione”, ossia di esecuzione dell’attività con impostazione complessiva, e collocandola nella dimensione organizzata. Un processo di costruzione, che si confronta con la centralità di fase cioè quella della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie, andando a definire linee di costruzione e mobilitazione delle forze sul piano politico-programmatico, a partire dal dato che le forze non sono già formate né organizzate e che la soggettività di classe, in questa fase, anche quando si dialettizza in termini di militanza organizzata, con il piano rivoluzionario, mediamente riproduce una tendenza allo spontaneismo intendendo con ciò tutto quello che si produce al di fuori di una prassi finalizzata e funzionale allo sviluppo della progettualità rivoluzionaria. Nella tendenza spontaneista va inscritta la tendenza all’approccio ideologico, che può qualificare, il rapporto con la militanza rivoluzionaria, in termini di adesione, un rapporto che si riconosce in un patrimonio e che si schiera, prendendo posizione nello scontro e rendendosi disponibile ad essere attivato, ma che non stabilisce un rapporto politico con tale patrimonio, intendendo con ciò, il rapporto con cui si pone il problema di come operare soggettivamente per collocare e riarticolare questo patrimonio, quindi svilupparlo, in riferimento al problema di definire come agire, in modo che, a partire dalle contraddizioni oggettive e materiali presenti, che hanno sempre un inquadramento sul piano storico-politico ed economico-sociale, si possa operare per far avanzare verso le finalità rivoluzionarie, utilizzando in questo, il patrimonio complessivo, stabilendo con esso un rapporto di continuità/critica/sviluppo. L’approccio ideologico, vede l’ideologia come ciò che fa avanzare queste motivazioni verso gli obiettivi politico-generali; non si vede il ruolo dell'”ideologia”, come concezione, nell’indirizzare la prassi nell’immediato e nel concreto, e non si vede il ruolo della prassi nell’approfondire il rapporto politico con la concezione e nello svilupparla. L’ideologismo porta a non vedere come, l’avanzamento nella prassi e nella comprensione della concezione si produce solo se, a mettere in rapporto questi due piani, c’è il soggetto che opera nello scontro, e che, dal dare soluzione al problema dell’operare funzionalmente all’avanzamento del processo rivoluzionario, approfondisce la comprensione e lo sviluppo della concezione stessa. Da questo se ne ricava che è antimaterialistico pensare che, la risoluzione del problema, si dia sul piano della formazione ideologica, per operare, poi, successivamente, nello scontro, perché, non sviluppando un ruolo soggettivo nella realtà dello scontro, la comprensione del piano ideologico è fittizia, cioè sfocia sul piano idealistico e in posizioni opportunistiche o massimaliste, mancando di risolvere il problema politico di dare sviluppo al processo rivoluzionario. Limiti connessi all’ideologismo sono anche quelli dell’esecutivismo che, non essendo espressione di una disposizione complessiva d’avanguardia, ma di una dipendenza politico-operativa, caratterizza un contributo alla prassi rivoluzionaria sganciandolo dall’inquadramento politico-operativo più generale dei problemi che vengono affrontati e delle finalità perseguite, e del genericismo, causa ed effetto di una posizione di adesione che non si misura con il dettaglio dei problemi concreti assunti soggettivamente, ma con i problemi di discriminazione di una posizione di schieramento o interpretativa. Altro limite può vedersi nell’immediatismo, cioè l’attenzione rivolta esclusivamente all’aspetto specifico del problema o dell’attività a cui si vuole dare soluzione, ad una necessità particolare che si vede in funzione dell’avanzamento della prassi rivoluzionaria, limite questo che, nonostante il volontarismo e l’abnegazione rivoluzionaria, può portare all’inefficacia nell’attività, perché essa è inquadrata in una progettualità e in uno scontro politico-militare, ma può portare anche alla difficoltà di fare di questa prassi un’occasione di avanzamento nella costruzione soggettiva, dell’impianto teorico atto ad impostare una prassi più avanzata: oppure alla difficoltà a confrontarsi con problemi nuovi e complessi che, se mai affrontati e in assenza di un’impostazione che sappia riarticolare scelte funzionali alla progettualità rivoluzionaria, di fronte a novità e complessità particolari, possono mettere in crisi. Un ulteriore aspetto in cui si manifesta lo spontaneismo può essere anche la difficoltà ad operare in una dimensione organizzata, una dimensione organizzata che si differenzia dall’organizzazione di classe sul piano rivendicativo (anche quando questa rivendicazione assume un carattere offensivo), la quale non determina il proprio agire in relazione al problema di produrre un movimento unitario e unico nella diversità, di avanzamento rispetto ad obiettivi strategici, congiunturali, e secondo una linea che costituisce sintesi tra fine e mezzo. Una dimensione organizzativa che risponde quindi a leggi e problematiche proprie dell’operare collettivo, su questo piano, e influenzate dai termini di strategia politica, di collocazione di classe, di condizioni storiche, fattori questi, che trovano sempre il modo di affermarsi come aspetti concreti e materiali. Dallo spontaneismo, infine, può dipendere anche la difficoltà di riadeguarsi ai caratteri particolari dell’operare sul terreno della Guerra di Classe di Lunga Durata, che è piano assunto soggettivamente e offensivamente come unica prospettiva per dare sbocco rivoluzionario alle contraddizioni di classe, i cui caratteri, in questa fase, non sono il prodotto spontanei dello scontro sociale o della vita civile. Anche quei caratteri di offensività proletaria che possono prodursi spontaneamente sul piano dello scontro di classe, sono inadeguati rispetto ad una prassi che colloca l’agire offensivo sul piano degli interessi generali e storici del proletariato in una dimensione storicamente continua, scientifica e organizzata. Il rapporto con le necessità imposte dall’operare offensivamente nello scontro, e l’essere inseriti in una relazione organizzata, che rapporta istanze superiori e inferiori, mette immediatamente in evidenza gli aspetti inadeguati della disposizione spontanea sul terreno rivoluzionario. Il confronto tra, gli obietti generali che si perseguono, rappresentati concretamente dalle realizzazioni programmatiche da attuare, i problemi della prassi, la dimensione organizzata, nel momento in cui si opera un riadeguamento rispetto alle modalità spontanee con cui si è operato, e si analizza teoricamente il limite legato all’inefficacia, produce necessariamente un passaggio di approfondimento nella responsabilizzazione complessiva, e negli strumenti cognitivi per sostanziare l’autonomia politico-operativa.

Queste tematiche e contraddizioni, trovano in generale spazio significativo nel dibattito delle forze organizzate impegnate in processi rivoluzionari, finalizzate all’instaurazione della dittatura rivoluzionaria del proletariato, in particolar modo nella fase di costruzione del Partito. Ciò è dato dal carattere sociale e politico della Rivoluzione Proletaria, dai termini che informano il ruolo dell’avanguardia comunista nello scontro, dalla concezione comunista di tale ruolo e del rapporto avanguardia/masse, concezione connessa alla tesi che, la coscienza rivoluzionaria, viene portata alla classe dall’esterno, un esterno che però politicamente non va inteso come riferito né al ruolo degli intellettuali, né ad un ruolo didattico del Partito, ma va riferito al collocarsi dell’operato rivoluzionario sul piano politico dello scontro generale tra le classi, o in esso, all’approfondimento della contraddizione antagonistica tra proletariato e borghesia attraverso la contrapposizione, nella lotta per il potere, degli interessi generali e storici delle due classi antagonistiche. L’avanguardia rivoluzionaria svolge un ruolo imprescindibile rispetto allo sviluppo dello scontro rivoluzionario, se e perché, opera in funzione dell’affermazione dell’interesse generale e storico della classe, un’operare che si sviluppa per linee interne alle masse, ma che è un piano esterno rispetto alle contraddizioni sociali capitalistiche particolari e congiunturali, è appunto il piano generale e storico. Questa concezione, riportata sul piano dell’organizzazione comunista da costruire, concepisce il Partito come Partito di quadri. Da questo se ne ricava come, il problema del superamento dei caratteri spontaneistici presenti nella soggettività di classe, sia problema generale, da affrontare programmaticamente nella costruzione del Partito e dell’O.C.C. che agisce da Partito per costruire il Partito. Si capisce quindi, come le tendenze all’esecutivismo, all’immediatismo, al genericismo, all’ideologismo, siano espressioni di spontaneismo che si contrappongono alla costruzione di una forza rivoluzionaria e siano contraddittorie, quindi, con la progettualità e con la finalità in cui ci si riconosce, anche se questo riconoscimento è dato con tutta l’onestà rivoluzionaria possibile e come la lotta contro tali tendenze, operata non ideologicamente ma per l’affermazione di soluzioni concrete funzionali all’avanzamento della prassi rivoluzionaria, sia un fattore del processo di selezione che distingue il ruolo dell’avanguardia comunista e della ricostruzione degli strumenti per attrezzarne l’esercizio, dal complesso dei ruoli e delle condizioni che vanno ricostruiti nella Fase Rivoluzionaria della Ricostruzione delle Forze. Se queste tematiche hanno spazio in genere nel dibattito dei comunisti, in questa fase assumono problematicità e caratteri particolari. La fase attuale, infatti, è caratterizzata dal nodo della Ricostruzione delle Forze, connotato dalla contraddizione costruzione/formazione e dal permanere di una tendenza di depoliticizzazione legata al processo controrivoluzionario e al conseguente agire offensivo dello Stato rispetto al governo delle contraddizioni sociali, alla ridefinizione della mediazione politica e della funzionalizzazione della politica neo-corporativa a sostenere una condizione di governabilità interna che pur in un contesto critico, consenta la assunzione di ruolo politico-militare dello Stato sul piano internazionale. La discontinuità dell’intervento rivoluzionario capace di incidere al livello più alto dello scontro, è un fattore concreto di queste contraddizioni. Rispetto a questi nodi, i militari rivoluzionari che hanno operato nei N.C.C. hanno affrontato la Ricostruzione esercitando un ruolo d’avanguardia rispetto al non politico generale dello scontro rivoluzionario, dando una prima soluzione al problema della discontinuità attraverso il rilancio dell’iniziativa politico-offensiva nei nodi politici centrali dello scontro di classe, e misurandosi con il problema di estendere e approfondire il processo di costruzione presente nell’iniziativa rivoluzionaria all’aggregazione di forza ottenuta. Avanzare, necessariamente significa trasformare l’attacco in costruzione per operare ad un nuovo attacco nel quadro di gestione del complesso di aspetti prodottisi con il proprio operato. La costruzione di un O.C.C. attraverso l’esercizio di un ruolo complessivo d’avanguardia nello scontro è in rapporto con il problema di costruire-formare delle avanguardie politico-militari, a partire dallo sviluppo dell’autonomia politico-operativa e della responsabilizzazione complessiva come termini per l’avanzamento verso l’agire da partito per costruire il Partito. Un processo in cui l’assegnazione, l’assunzione e la gestione dell’attività in termini di direzione-conduzione è collocare lo sviluppo dell’autonomia politico-operativa e la responsabilizzazione complessiva nel quadro della dimensione organizzativa del lavoro rivoluzionario, e il metodo politico-organizzativo è il mezzo per l’assunzione di iniziativa nella proposta e nell’attività, rispetto ai problemi generali e particolari della prassi rivoluzionaria. Metodo di conduzione politica dell’attività a tutti i livelli (cioè di esecuzione di ogni attività progettata) che costituisce uno strumento politico-organizzativo che, a prescindere dal livello di competenza espresso, può consentire un affrontamento della prassi idoneo all’efficacia politica e che consiste in quell’impostazione e quelle pratiche che consentono di connettere i compiti parziali ad una responsabilità progettuale, intendendo con ciò il progetto politico dell’o., come fattore che media le finalità rivoluzionarie nel rapporto tra soggettività e realtà sociale storica. Un metodo che parte dalla definizione del nodo politico-organizzativo a cui dare soluzione – procede con l’individuazione di un’attività idonea allo scopo – per definire preventivamente gli elementi costitutivi di ogni attività -politici, tecnici, operativi- per l’individuazione delle caratteristiche problematiche di un lavoro in riferimento alle finalità complessive- per la gestione dei tempi funzionalizzata alle esigenze di centralizzazione – fino alla conduzione dell’esecuzione – e al bilancio tecnico e politico dei risultati ottenuti, concludentesi con la centralizzazione del patrimonio d’esperienza realizzato. E che quando non può valersi di un patrimonio teorico pratico sviluppato si affida all’attivazione pratica con carattere sperimentale, cioè a una prassi svolta mantenendo un approccio di ricerca rispetto ai nodi problematici da sciogliere, rispetto a cui si cercano elementi oggettivi funzionali a darne definizione teorica, che possa sviluppare un’esecuzione idonea al massimo dell’efficacia. Esso costituisce uno strumento fondamentale affinché la ricostruzione delle forze che viene perseguita, operi al contempo alla formazione di avanguardie complessive, in quanto costituisce l’alternativa concreta e funzionale all’efficacia della prassi, agli aspetti di spontaneismo, ideologismo, immediatismo, inesperienza a lavorare in modo organizzato e sul terreno politico-militare, che connotano mediamente la soggettività rivoluzionaria oggi. Se il metodo politico-organizzativo è lo strumento per esprimere e costruire autonomia politico-operativa ed esercitare responsabilità politica, l’autonomia politica è rapportarsi autonomamente, nelle scelte che si devono compiere per condurre la prassi rivoluzionaria, al patrimonio collettivo, espressione storica e politica dei termini generali della progettualità rivoluzionaria, patrimonio in continuo avanzamento rispetto al rapporto che la prassi innesca con la realtà, e alla teorizzazione generale che si opera di essa e che si collega ai termini teorici storici. Patrimonio che si concorre a definire in relazione alla propria specifica collocazione e percorso, e che vede la necessità di partecipazione e dialettica, proprio al fine di sviluppare un patrimonio massimamente efficace nel rapporto di trasformazione rivoluzionaria della realtà. Il piano aggiornato con cui il patrimonio d’organizzazione stabilisce una relazione storica con i termini di progettualità politico-strategica, la collocazione in questo quadro degli elementi di contraddizione e di avanzamento emersi nella prassi svolta, concorrono ad impostare la definizione di una “linea politica generale” che, riferendosi alle problematiche di fase, deve vivere funzionalmente in tutte le definizioni e realizzazioni programmatiche, per consentire quel movimento centralizzato in cui tutte le attività possono essere funzionali all’avanzamento complessivo. Linea che ha poi diversi momenti di specificazione, nascenti dalle difficoltà che scaturiscono dal collocarla materialmente nei momenti attuativi. Metodo politico-organizzativo e riferimento alla linea politica generale come orientamento relativo agli aspetti generali del quadro politico entro cui si colloca lo specifico nodo politico-organizzativo da affrontare, costituiscono gli assi principali intorno a cui può operarsi un processo di formazione delle forze rivoluzionarie. L’aspetto della costruzione delle forze rivoluzionarie vede nella disposizione delle forze sul programma, il piano centralizzato su cui si definiscono le attività che le forze devono condurre e la suddivisione delle responsabilità necessaria. Anche la disposizione delle forze sul programma può essere operata progettualmente sintetizzando, nel calibramento dei compiti, gli elementi che consentono l’efficacia nelle realizzazioni programmatiche con l’avanzamento del complesso dei termini necessari per andare a sciogliere il nodo di fase, cioè la Ricostruzione di un’Organizzazione Comunista Combattente che agisca da partito per costruire il Partito, tra cui lo sviluppo dell’autonomia politico-operativa, quale obiettivo legato a questo nodo e ai caratteri della tappa attuale. Progettazione della disposizione delle forze sul programma che si dimostra efficace, sul piano tanto delle realizzazioni programmatiche, specifiche, che della costruzione politico-organizzativa, in relazione alla capacità derivante dalla prassi concreta, e dalla sua analisi scientifica, di analizzare i compiti e le responsabilità, capendone il livello di complessità e di complementarità con altri compiti e ruoli. In sintesi: ideologismo e spontaneismo, ed esecutivismo e genericismo, come portato dei primi, costituiscono i limiti di formazione dell’autonomia di classe che si dispone sul piano rivoluzionario, che solo le fratture soggettive necessarie per l’assunzione di una responsabilità di avanguardia, l’adozione del metodo politico-organizzativo e il riferimento conseguente alla linea generale che viene definita possono governare-superare, mettendo in grado di assumere il metodo prassi-teoria-prassi come riferimento reale e non formale dell’agire rivoluzionario, consentendo di costruire un patrimonio politico-operativo collettivo e di accedervi, consentendo di qualificare l’identità comunista e di stabilizzarla a livello di concezione della realtà e del proprio ruolo di avanguardia in essa. Al contempo, la costruzione di una O.C.C. si misura con la costruzione di quegli strumenti e passaggi politico-organizzativi che ne consentono la mobilitazione e l’azione programmata (progettazione-programmazione-pianificazione-esecuzione-verifica), i termini dei quali si definiscono nel processo prassi-teoria-prassi e nel maturarsi di quelle condizioni politiche e materiali che consentono di sperimentarli e ricentrarli, e che, a loro volta, costituiscono la concretizzazione di un metodo politico-organizzativo del lavoro collettivo, nel quale ogni compito, seppur parziale costituisce momento di esercizio di un ruolo di avanguardia che collega, nella definizione degli obiettivi dell’agire e del modo di operare per conseguirli, l’aspetto della progettazione politica, cioè dell’articolazione funzionale della linea politico-generale e della progettualità, alla programmazione e pianificazione sviluppata con metodo scientifico, alla conduzione dell’esecuzione, al bilancio e riadeguamento della prassi, alla centralizzazione dei risultati, problemi e patrimonio. La prassi evidenzia come i piani di fondo su cui avanza la ricostruzione di una forza rivoluzionaria siano: la qualificazione dei caratteri d’avanguardia, esprimibili nell’esercizio di conduzione dell’attività a tutti i livelli, come espressione di autonomia politico-operativa e di responsabilizzazione complessiva, la regolarizzazione degli apporti, e la militanza regolare. Su questi poggia la possibilità di trasformare lo stadio aggregativo delle forze rivoluzionarie, in Organizzazione Comunista Combattente, e questo è un processo che, per quanto abbia conseguito il significativo passaggio del rilancio dell’iniziativa combattente e dell’esercizio di un ruolo di direzione politica nello scontro, è solo avviato, e ha come propria tappa la costruzione di un’O.C.C. che agisca da partito per costruire il Partito e, che, in quanto tale, possa costituire il Nucleo Fondante il Partito.

E’ perciò questo l’obiettivo che le Br-Pcc propongono alle avanguardie rivoluzionarie congiuntamente all’obiettivo della ricostruzione del complesso di strumenti politico-militari-teorici e organizzativi necessari al campo proletario per sostenere lo scontro prolungato con lo Stato per l’affermazione degli interessi generali della classe. Parallelamente, alle forze e istanze rivoluzionarie e antimperialiste della nostra area geopolitica, le Br-Pcc propongono la costruzione del Fronte Antimperialista Combattente per la realizzazione di attacchi convergenti e comuni contro le politiche centrali dell’imperialismo al fine di indebolirne il dominio, quadro entro cui sviluppare i processi rivoluzionari nei singoli paesi.

Attaccare e disarticolare il progetto neo-corporativo, cuore politico della rifunzionalizzazione dello Stato imperialista e della ristrutturazione economico-sociale in Italia

Costruire le condizioni della guerra di classe di lunga durata per la conquista del potere politico e la dittatura del proletariato

Rilanciare la prospettiva della presa del potere politico come sbocco alla crisi della borghesia o alla sua guerra, e unico piano di avanzamento della lotta di classe

Agire da partito per costruire il Partito Comunista Combattente

Attaccare la coesione europea che rafforza la B.I. nei confronti del proletariato del centro imperialista e dei paesi dominanti

Attaccare la Nato e lo sviluppo della guerra imperialista

Promuovere la costruzione del Fronte Antimperialista Combattente

Trasformare la guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe e rivoluzionaria

Guerra alla guerra

Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti

Maggio 1999

BRIGATE ROSSE per la costruzione del PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE