Ketty Bertuccelli
30 marzo 2015
Elena Angeloni, Fronte patriottico antidittatoriale
Margherita Cagol, Mara nelle Brigate rosse
Annamaria Mantini, Luisa nei Nuclei Armati Proletari
Barbara Azzaroni, Carla in Prima Linea
Maria Antonietta Berna, Collettivi Politici Veneti per il Potere Operaio
Annamaria Ludmann, Cecilia nelle Brigate Rosse
Laura Bartolini, militante rivoluzionaria
Wilma Monaco, Roberta nell’Unione dei Comunisti Combattenti
Maria Soledad Rosas, Detta Sole, militante anarchica
Diana Blefari Melazzi, Maria nelle Brigate Rosse per la costruzione del Partito comunista combattente.
Dieci donne, dieci nomi, dieci storie: l’altra metà del cielo e della lotta armata.
Dieci militanti politiche a cui Paola Staccioli nel suo “Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie” (Deriveapprodi, 2015, pp 256) ha deciso di dar voce. Dieci donne che hanno in comune la decisione della lotta politica e la morte: uccise nel corso di un’azione, per un errore nella sua preparazione, suicide.
“Sebben che siamo donne paura non abbiamo…” è un canto di protesta, sorto inizialmente nella valle Padana, tra il 1890 e il 1914, entrato ben presto nel repertorio delle mondine. Un canto di lotta che narra di giustizia, libertà e uguaglianza, gli stessi temi che, grazie alla narrazione di storie di donne cadute in combattimento durante la loro lotta contro una società ingiusta, attraversano le pagine di questo libro.
Un libro, corredato da schede storiche relative alle organizzazioni o aree di appartenenza delle protagoniste, che parlando di quelle storie, parla della storia del nostro Paese.
Gli anni ’70, quelli che furono noti come “gli anni di piombo”, rappresentano ancora oggi un momento storico ancora molto controverso: errori, lacerazioni, rabbia, fallimenti e speranza.
Ma anche gli anni a seguire sono caratterizzati per lotte, percorsi. Sono gli anni di chi aveva scelto la lotta per cambiare il mondo: c’è “tutto”.
Ma prima di quella complessità, di quel “tutto”, ci furono soprattutto le persone: gli uomini e soprattutto le donne di cui la Staccioli narra, le storie di quelle dieci figure femminili che hanno dedicato le loro vite a sostegno della lotta di liberazione.
Le donne, le vite, i corpi, il sangue, l’amore, le personalità, i pensieri, la radicalità, la forza, le loro scelte, per narrare il mondo, la fase storica e politica che hanno vissuto e in cui erano totalmente immerse, la coerenza estrema di queste combattenti.
Donne e il filo conduttore del mondo che le circonda, protagoniste delle loro vite e della vicenda collettiva che le ha riguardate. Donne che, attraverso questo libro, trasmettono non la storia singola di ognuna: pur leggendo delle loro vicende esistenziali queste non appaiono come esistenze slegate, ma raccontano di una coralità di una pluralità variegatissima di esistenze, tutte mosse dall’ardente desiderio di giustizia e di libertà, da rabbia e speranza.
Condividere o meno le vite di queste dieci donne? Raccontare cosa rappresenta questo libro oggi?
Ogni lettore, sfogliando le pagine di questo libro, volando con la mente fra quegli anni difficili, avrà un suo pensiero, ne trarrà le sue conclusioni. Indipendentemente dai giudizi personali il merito di “Sebben che siamo donne” è di raccontare una parte della storia, una visione, un percorso di lotta che, indipendentemente dal nostro giudizio, appartiene a chiunque, in ogni parte del mondo, si batte per una società senza classi.
E proprio per uno sguardo che vada oltre l’Italia nel libro è presente una undicesima storia, “una storia americana” una storia di classe ed internazionalista: è la testimonianza di Silvia Baraldini (attivista italiana che dagli anni ’60 agli anni ’80 ha fatto parte nel movimento rivoluzionario Black Panther Party, in difesa dei diritti civili dei neri negli Usa). Condannata negli Stati Uniti per associazione sovversiva ripercorre, nelle pagine di questo libro, la sua esperienza personale, le ragioni della sua militanza clandestina, la storia di una donna che ha liberamente scelto, come molte altre donne e uomini, di opporsi allo strapotere degli Stati Uniti.
La scelta libera e consapevole di una donna è il grande filo che lega la storia di lotta di queste donne, “Nel commando c’era anche una donna. Una delle tante azioni armate di organizzazioni clandestine della sinistra. Anche. Un mondo intero racchiuso in una parola” – scrive la Staccioli – “A sottolineare l’eccezionalità ed escludere la dignità di una scelta. Sia pure in negativo. Nel sentire comune una donna prende le armi per amore di un uomo, per cattive conoscenze. Mai per decisione autonoma. Al genere femminile spetta un ruolo rassicurante. Madre, moglie, figlia. Amante, al più”. Una citazione conosciuta afferma “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” ci racconta di un vecchio un luogo comune che, farà anche ridere qualcuno, ma che ha sicuramente stufato.
Le figure femminili presenti in questo libro hanno compiuto una scelta autonoma di chi con passione e sentimento imbocca la sua strada e la percorre con convinzione: non dietro nessuno ma al pari dei loro compagni di lotta (ed in alcuni casi di vita).
Moltissimi libri hanno trattato il fenomeno della lotta armata, “Sebben che siamo donne” è un omaggio alle donne che hanno lottato, un commovente ed intenso racconto sulla storia della lotta di classe e delle donne delle organizzazioni armate, perché per cambiare realmente il domani, per agire profondamente sull’oggi, bisogna conoscere e capire ciò che è accaduto ieri.