Approfondire la crisi politica della borghesia imperialista. Tribunale di Milano, processo di appello per le armi – Comunicato dei prigionieri BR-PCC Tiziana Cherubini, Rossella Lupo, Franco Galloni depositato agli atti

Come militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente vogliamo qui riaffermare che tra la guerriglia e lo Stato esiste solo ed esclusivamente un rapporto di guerra, un rapporto che esprime l’unica dimensione valida dello scontro di classe e che per le BR si esplicita e si dispiega attraverso la strategia della lotta armata per il cui tramite si costruiscono i termini dell’organizzazione di classe atti a sostenere lo scontro prolungato contro lo Stato, cioè una strategia che dall’inizio alla fine caratterizza il processo rivoluzionario come proposta a tutta la classe. Una strategia che si è sviluppata nel corso del processo rivoluzionario: la prassi si è incaricata di dimostrare la necessità/praticabilità del terreno della guerra di classe, nonché l’attualità della questione del potere, in quanto la strategia della lotta armata è piano di disposizione generale delle forze che consente di affrontare contemporaneamente e globalmente tutti i piani dello scontro rivoluzionario e di attrezzare adeguatamente, nelle diverse fasi, il campo proletario allo scontro con lo Stato, uno scontro necessariamente prolungato e con andamento discontinuo date le caratteristiche assunte dagli Stati a capitalismo maturo a questo stadio di sviluppo dell’imperialismo.

In questo senso la determinazione e la coerenza delle BR in questi 19 anni di prassi rivoluzionaria e soprattutto nel corso della “ritirata strategica”, nel costruire i termini politici e militari del complesso andamento della guerra di classe, risiedono in primo luogo nelle ragioni storiche e politiche che presiedono e definiscono la lotta armata: avanzamento e adeguamento della politica rivoluzionaria alle forme di dominio della borghesia imperialista.

Infatti, l’affermarsi della guerriglia, indipendentemente dal contesto di classe specifico in cui si inserisce (che ne traccia invece il percorso pratico e la stessa strategia da seguire), è dato dalle condizioni storiche e politiche, economiche e sociali, determinatesi con la seconda guerra mondiale. Sono i mutamenti che lo sviluppo dell’imperialismo ha posto in essere che hanno caratterizzato la struttura economica, sociale e politica degli Stati nel dopoguerra, dentro il quadro più generale del bipolarismo: ovvero lo sviluppo monopolistico dell’imperialismo con il piano di internazionalizzazione/interdipendenza delle economie, il conseguente processo di polarizzazione tra le classi con il formarsi di una frazione dominante di borghesia imperialista aggregata al capitale finanziario USA e del proletariato metropolitano e, a livello politico, l’affermarsi della controrivoluzione preventiva quale elemento intrinseco agli strumenti e organismi della democrazia rappresentativa, che darà una precisa caratterizzazione al rapporto politico tra le classi, allo scopo di istituzionalizzare il conflitto di classe mantenendolo entro gli “steccati” della compatibilità borghese per non farlo collimare con il piano rivoluzionario; un elemento permanente, dunque, che influenzerà il carattere dello scontro.

È stato questo il terreno oggettivo su cui si è misurata l’espressione della politica rivoluzionaria, la soggettività rivoluzionaria che matura la guerriglia quale suo unico modo di operare in queste condizioni storicamente determinatesi e, nello specifico del centro imperialista, la necessità di operare nell’unità del politico e del militare in un processo di guerra di lunga durata. In sintesi, la lotta armata quale solo modo in cui si rende praticabile il processo rivoluzionario e si materializza lo sviluppo della guerra di classe.

Nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione, il rovescio dialettico di questo dato consiste nel fatto che la borghesia imperialista adegua il governo del conflitto di classe, la mediazione politica esistente tra le classi, ai caratteri assunti dallo scontro (oltre al dato strutturale che ne è alla base, ovvero il movimento dell’economia e le necessità poste dal suo governo): nello specifico del nostro paese lo Stato, costretto a confrontarsi con il portato politico e strategico dello scontro rivoluzionario che si è affermato in Italia, su questo ha basato i termini della controrivoluzione degli anni ottanta, i cui effetti si sono dispiegati sull’intero campo proletario generando il clima e il terreno favorevoli alle forzature nei rapporti politici tra le classi; e questo perché se da un lato controrivoluzione politico-militare dello Stato e controrivoluzione preventiva si pongono su due piani diversi e distinti tra loro, dall’altro i riflessi sui rapporti di forza determinati dalla dinamica controrivoluzionaria, riversandosi sui rapporti politici generali tra le classi, hanno rideterminato il carattere della controrivoluzione preventiva, avendone quest’ultima incorporato il grado di assestamento.

Per questo affermiamo che gli esiti della controrivoluzione degli anni ottanta hanno reso possibile, in questa fase, un ulteriore approfondimento delle forme di dominio della borghesia imperialista: un approfondimento espresso dal progetto di rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti dello Stato, quale espressione del suo necessario adeguamento ai nuovi termini posti dall’evoluzione/crisi dell’imperialismo tendendo a conformare ad essi il governo del conflitto di classe.

L’evoluzione del quadro politico interno conferma che a tutt’oggi la contraddizione dominante che oppone classe e Stato è rappresentata da questo progetto politico, teso a modificare i termini della mediazione politica, cioè l’uso e gli strumenti stessi della democrazia rappresentativa al fine di consolidare il regime instauratosi e di creare le condizioni politiche e istituzionali tese a costruire equilibri politici in grado di esprimere esecutivi “forti e stabili”, come risposta necessaria e ineludibile alla crisi; un progetto teso a svincolare l’esecutivo dalle spinte antagoniste prodotte dallo scontro di classe, e rispondente alla duplice funzione dello Stato, in quanto rappresentante degli interessi generali della borghesia imperialista (soprattutto a livello internazionale, nel senso della funzione e del peso che l’Italia riveste all’interno della catena e nei processi di coesione politico-economica dell’Europa occidentale) e insieme mediatore del conflitto di classe. Un progetto che vede infatti nella DC la forza politica che vi è maggiormente impegnata, come momento centrale della stabilità politica, proprio in quanto essa costituisce il serbatoio storico della classe dirigente borghese, così da caratterizzarsi come asse principale delle svolte politiche nel paese, nonché reale gestore del potere sostanziale.

Un progetto che, lungi dall’essere pianificabile a tavolino, o scandito dal solo piano delle necessità, nella realtà deve misurarsi con tutta una serie di contraddizioni che scaturiscono direttamente e proporzionalmente alla complessità dei piani che investe e ai quali tende a dare soluzione; contraddizioni che non ne inficiano la sostanza, ma ne costituiscono punto di squilibrio, in quanto sono espressione e riflesso del quadro definito dai reali rapporti generali politici e di forza tra classi di cui la borghesia deve tenere conto, pur se per operare su di essi delle forzature.

Ovvero, sul piano del rapporto classe/Stato, questo progetto investe direttamente gli interessi politici e materiali della classe e per questo incontra vasta resistenza e opposizione nel campo proletario, che ha dimostrato a più riprese la propria indisponibilità a pagare i costi della crisi della borghesia imperialista e a subire gli effetti della riforma dei poteri dello Stato, proprio in quanto questa tende a realizzare la possibilità per l’esecutivo di fare forzature sulla mediazione politica, intervenendo direttamente nelle principali questioni che riguardano il governo del conflitto di classe, dal piano costituzionale (con le modifiche al diritto di sciopero e alla rappresentatività sindacale) al piano della contrattazione (accordi “pilota”, vertenze “calde”, uso della precettazione, “normalizzazione“ dei luoghi di lavoro con l’ausilio diretto dei carabinieri). Inoltre esso investe le stesse forze politiche rappresentanti gli interessi generali della frazione dominante della borghesia imperialista che devono adeguare il loro ruolo e la loro funzione in relazione alla modifica del modo di operare la mediazione politica, non solo per i passaggi già effettuati con la riforma della Presidenza del Consiglio e con la modifica del voto segreto, ma per quelli da effettuare all’interno di questa che non a caso viene definita “fase costituente” che tende ad evolvere verso una Seconda repubblica e che passa attraverso lo snodo della riforma elettorale: un processo reso contraddittorio non solo per questa sorta di transizione nel ruolo dei partiti nel mediare la modifica del quadro istituzionale, che comporta mutamenti interni ai partiti stessi e nei loro reciproci rapporti di coalizione, ma soprattutto per la resistenza che questo progetto incontra nel campo proletario, che si ripercuote sulla possibilità di costruzione di “stabili” (in senso sempre relativo alle diverse fasi dello scontro proletariato/borghesia e al rapporto rivoluzione/controrivoluzione) equilibri di forza e politici tra classe e Stato, piano a cui sono subordinati appunto gli stessi rapporti interborghesi.

Infatti anche le diverse “ricette” tese a dare soluzione al problema della “stabilità” e “governabilità” nel quadro del più generale riadeguamento dello Stato verso la cosiddetta “democrazia compiuta”, cioè in un processo di riavvicinamento ai modelli delle democrazie mature europee, non sono semplicemente il prodotto di approcci “particolaristi” (cioè di partito) alle principali questioni sul tappeto e all’ordine di priorità secondo cui affrontarle, ovvero non sono il riflesso di “giochi di potere” fini a se stessi, ma sono principalmente e sostanzialmente il prodotto di contraddizioni che scaturiscono dallo scontro di classe che fa sì che si determini uno spostamento in avanti delle stesse contraddizioni interborghesi, e, di conseguenza, del loro punto di sutura. Questo va configurandosi, pur dentro un duro scontro politico, verso un ulteriore rafforzamento dell’esecutivo, in particolare un rafforzamento della figura del Presidente del Consiglio, che lo fa tendere verso una forma di “governo presidenziale” dentro un quadro di “alternanza” solo apparente, nella misura in cui essa si gioca tutta all’interno dello schieramento interborghese, intesa cioè come avvicendamento degli stessi partiti di maggioranza alla guida dell’esecutivo, così da caratterizzarsi nella realtà come una serie di “staffette” che hanno la funzione di gestire la non certo indolore transizione nel processo di modifica del quadro istituzionale. E questo perché in Italia, date le specificità della democrazia rappresentativa, così come è venuta maturando storicamente e politicamente, i “modelli” di governo che si formano sono il prodotto degli equilibri generali politici e di forza tra classe e Stato, e solo secondariamente e di riflesso a ciò riferiti all’ambito interborghese. Così anche l’attuale crisi, che per il tipo di gestione si configura come una notevole forzatura a tutti i livelli, evidenzia lo stallo del modello di “governo di coalizione” così come finora era stato inteso e su cui si erano costruiti gli equilibri politici tra i partiti di maggioranza, nella misura in cui tale modello non è più adeguato a confrontarsi con le contraddizioni e le spinte antagoniste scaturite dallo scontro di classe che si è prodotto nel paese; è da questo punto focale che muovono i progetti di modifica del modo di operare la mediazione politica partendo dalla situazione data e non da ipotetici quanto irreali quadri di pace sociale.

Un movimento che materialmente coinvolge anche il PCI, forza che è uscita essa stessa ridimensionata nel suo peso politico dalla fase della controrivoluzione che, riflettendosi sul carattere della mediazione politica, le ha sottratto gli strumenti attraverso i quali, nella fase precedente, era deputata a svolgere la sua funzione di rappresentanza istituzionale della classe. La profonda crisi che ne è derivata rende il PCI incapace di trovare un proprio ruolo se non muovendosi entro gli spazi predeterminati dai reali rapporti di forza, che nella realtà lo riducono al ruolo di “pura garanzia democratica” ai progetti democristiani, e ponendolo in posizione subalterna, caratterizza il suo coinvolgimento come puramente strumentale in quanto escluso in partenza come polo dell’“alternanza”.

Per la sua centralità e profondità di intervento, in quanto assume caratteristiche di “rifondazione” dello Stato ai nuovi termini di sviluppo e di crisi dell’imperialismo, è un progetto che, avvalendosi degli attuali rapporti di forza a favore della borghesia, tende alla loro ratifica/assestamento in campo istituzionale e ad un ulteriore rafforzamento dello Stato nei confronti del campo proletario: per questo è un progetto antiproletario e controrivoluzionario, e in quanto tale è stato individuato e attaccato dalla nostra organizzazione. Un attacco che ha contribuito alla sua attuale impasse politica, dimostrando contemporaneamente la necessità/possibilità di impattare ed inceppare la tendenza antiproletaria e controrivoluzionaria intrinseca al progetto stesso.

Questo dato e insieme il salto di qualità operato con il contributo al rafforzamento/consolidamento della politica del Fronte Combattente Antimperialista con la costruzione di un primo momento di unità con la RAF sono gli elementi che inequivocabilmente chiariscono la sostanza del rilancio dei termini complessivi dell’attività rivoluzionaria operato dalle BR per la costruzione del PCC in questi anni di ritirata strategica e le prospettive politiche che esso ha aperto, determinando uno spostamento in avanti del piano di scontro rivoluzionario. Questo il dato politico centrale nella dialettica rivoluzione/controrivoluzione che ha posto lo Stato a ridefinire contromisure per contrastare il portato politico e strategico della proposta rivoluzionaria sul campo proletario, concretizzatesi in un piano di deterrenza teso ad operare sul duplice livello: la guerriglia e il suo referente di classe, ovvero un piano teso a far pesare la cattura di alcuni militanti sull’intero proletariato, sulle condizioni politiche generali dello scontro, tentando di spacciarla per l’esaurimento delle stesse condizioni del processo rivoluzionario. Un piano controrivoluzionario che si avvale anche del rilancio, da parte dello Stato, per bocca di ex militanti elevati al rango di collaborazionisti, del logoro copione della “soluzione politica” nelle sue più diverse accezioni, con il quale lo Stato, per l’impossibilità di mettere in discussione la praticabilità e la validità della proposta delle BR, tenta di contrastarla agendo “a valle” del problema, riferendosi cioè ad una lettura falsata delle ragioni che presiedono l’affermarsi e lo svilupparsi della lotta armata, e in ciò tentando di operare un’identificazione tra guerriglia e prigionieri, come questione di “reduci”. Considerato nel suo complesso, un piano controrivoluzionario che, lungi dall’essere “risolutivo” – una velleità tutta borghese – influisce però sul rapporto rivoluzione/controrivoluzione poiché segna l’approfondimento delle condizioni in cui si svolge il processo rivoluzionario.

D’altro canto, e alla base di tutto ciò, restano però i fatti: nello svolgersi della lotta armata nell’arco di questi 19 anni di attività rivoluzionaria delle BR, il dato politico che si è sviluppato e sedimentato storicamente nel rapporto tra le classi ha definito un patrimonio di esperienze, un radicamento nel tessuto proletario, una dialettica in termini di direzione/organizzazione/formazione con le istanze più mature dell’autonomia di classe su cui si riproduce la sostanza e il grado odierno dello scontro, in relazione cioè con il suo approfondimento. Questi anni di controrivoluzione che hanno necessariamente imposto alla nostra organizzazione di misurarsi con le leggi dello scontro e di maturare una rinnovata capacità di direzione/organizzazione delle forze rivoluzionarie e proletarie, non sono riusciti a spezzare quel filo organico che lega le BR alle componenti proletarie e rivoluzionarie vive del paese, insomma al tessuto proletario, perché da questo sono originate, in questo si riproducono, di questo sono l’avanguardia armata.

Fatti che riaffermano l’efficacia dei termini politico-programmatici delle BR e la valenza della strategia della lotta armata quale alternativa proletaria alla crisi della borghesia imperialista.

Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di riforma dei poteri dello Stato.

Approfondire la crisi politica della borghesia imperialista.

Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.

Attaccare le linee centrali della coesione politica dell’Europa occidentale, nello specifico i progetti imperialisti di “normalizzazione” dell’area mediorientale che passano sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.

Lavorare alle alleanze necessarie per la costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista per indebolire e ridimensionare l’imperialismo nell’area geopolitica (Europa occidentale-Mediterraneo-Medioriente).

Onore a tutti i compagni e rivoluzionari antimperialisti caduti.

 

I militanti delle BR per la costruzione del PCC – Tiziana Cherubini, Rossella Lupo, Franco Galloni

 

Milano, 19 giugno 1989

Lascia una risposta