In questo processo, che sta ormai volgendo al termine, abbiamo assistito all’ennesimo tentativo di dare per conclusa e di stravolgere storicamente l’esperienza delle BR; così come al tentativo di utilizzare quest’occasione per rilanciare l’attacco politico alla guerriglia attraverso proposte di pacificazione e “soluzione politica”. Riteniamo perciò necessario fare alcune precisazioni a tale riguardo.
Fin dalla loro nascita le Brigate Rosse hanno perseguito la strategia della guerra di classe di lunga durata, nella forma fondamentale della guerriglia metropolitana, per rovesciare il sistema sociale e politico vigente, per abbattere uno Stato a democrazia rappresentativa del capitalismo avanzato e per realizzare un modo di produzione e di vita liberato dalle diverse forme di oppressione. Sulla base di questo orientamento strategico, e soprattutto sulla base della prassi, è iniziato un processo rivoluzionario in Italia.
Per condizioni oggettive e soggettive, di ordine interno ed internazionale, non c’era, e non c’è, la possibilità di giungere ad un rapido rovesciamento dello stato di cose esistente. I tempi della trasformazione rivoluzionaria della società sono lunghi, ma la guerriglia è strategicamente e tatticamente indispensabile per accelerare, rafforzare ed orientare il processo di liberazione proletaria e sociale dalla barbarie di un sistema sempre più marcio e disumano.
Proprio a questo scopo le BR-PCC continuano ad operare; non hanno mai smesso di farlo, nonostante gli assassinii, le torture, gli arresti e le non facili condizioni in cui si sono trovati ad operare i combattenti comunisti di fronte alla controrivoluzione di questi anni.
Nel corso del 1988 ci sono state decine di arresti di compagne e compagni delle BR-PCC e di altri militanti rivoluzionari. Per questo motivo i vertici dell’antiguerriglia e dei servizi segreti speravano di utilizzare il processo per “insurrezione” come un grande spettacolo mass-mediato in cui dare voce a chi abiura la necessità presente e futura della guerriglia. Se questa speranza controrivoluzionaria non si è realizzata nel modo auspicato è soprattutto perché, fuori da quest’aula-bunker, le BR-PCC continuano a lottare; ma è anche perché in questo processo sono presenti diversi prigionieri che hanno rifiutato e rifiutano di vendere le proprie idee in cambio di qualche privilegio personale e che, pur in modi diversi, hanno difeso e difendono la propria identità comunista e rivoluzionaria.
In questi anni lo Stato ha fatto di tutto per cercare di distruggere l’identità dei prigionieri della guerriglia e del movimento rivoluzionario. Ha approfondito la differenziazione del trattamento, dando ampi privilegi ai prigionieri ex-rivoluzionari. Ha usato in modo complementare le torture e la legge a favore dei “pentiti”. Ha messo in piedi una legge a favore dei “dissociati”, per poi far circolare la proposta di “soluzione politica” del problema dei prigionieri della guerriglia in cambio della cessazione della lotta armata e dell’attività rivoluzionaria.
La proposta di “soluzione politica” rientra in quello che in Europa Occidentale è il tentativo di “pacificazione forzata” per eliminare il principale “nemico interno” della borghesia imperialista, per annientare la guerriglia e le forze rivoluzionarie.
Questo tentativo, concertato a livello sovranazionale nei cosiddetti “vertici antiterrorismo”, e gestito sempre più direttamente dai servizi segreti, punta a sviluppare la controguerriglia psicologica anche attraverso l’uso strumentale e controrivoluzionario di una serie di prigionieri che in passato avevano militato nelle organizzazioni rivoluzionarie combattenti; punta ad utilizzare i prigionieri che abiurano la necessità presente della guerriglia per portare un ulteriore attacco contro i rivoluzionari che tuttora combattono.
Non è un mistero per nessuno che lo Stato italiano si è posto all’avanguardia in questo tentativo, dando indicazioni precise ad altri Stati dell’Europa occidentale. Il messaggio che si vuole far passare è quello della presunta impossibilità di uno sbocco rivoluzionario dello scontro di classe, è quello della presunta impraticabilità della guerriglia nei paesi centrali del sistema capitalistico internazionale.
Si vuole la lealizzazione al sistema sociale e politico vigente come presunto terreno per la soluzione dei conflitti di classe. Questo tentativo non può però passare senza una distruzione totale della guerriglia e delle forze rivoluzionarie, senza una distruzione della strategia rivoluzionaria della guerriglia, proprio perché quest’ultima è l’unica strategia in grado di affrontare lo stadio raggiunto dal capitalismo contemporaneo.
In questo quadro, l’aver deciso di svolgere il processo di “insurrezione” aveva una certa logica dal punto di vista controrivoluzionario, con buona pace di chi lo aveva spacciato per un “antiquato prodotto dell’emergenza”.
Il processo per “insurrezione” doveva quindi essere un momento di questo tentativo di pacificazione controrivoluzionaria; doveva servire a rilanciare il putrescente dibattito sulla “soluzione politica” per cercare di distruggere l’identità rivoluzionaria dei prigionieri della guerriglia e per attaccare qualsiasi ipotesi di sviluppo della strategia guerrigliera.
Abbiamo già espresso in altre e numerose occasioni la nostra posizione, la posizione delle BR-PCC sulla “soluzione politica”.
In questo momento intendiamo solo aggiungere che, per i prigionieri rivoluzionari della guerriglia, lottare per la liberazione significa lottare per la liberazione di tutto il proletariato dall’oppressione del sistema sociale e politico esistente.
Come comunisti non trascuriamo certo l’obiettivo rivoluzionario della liberazione dei prigionieri della guerriglia rinchiusi nelle carceri dell’imperialismo, ma riteniamo che non si può mai prescindere dai rapporti di forza generali e particolari tra rivoluzione ed imperialismo e che solo un mutamento di questi a nostro favore può rendere concreta questa parola d’ordine. I rivoluzionari sanno bene che non esistono eccezioni a questa regola, così come sanno bene che oggi ogni proposta di amnistia viene inevitabilmente utilizzata dallo Stato in funzione antiguerriglia.
Intendiamo sottolineare inoltre che, a livello internazionale, anche nei paesi a noi più vicini, si sta affermando la migliore risposta che si possa dare ai più recenti tentativi della borghesia imperialista di annientare le forze comuniste e rivoluzionarie combattenti.
Nella RFT si sta rafforzando il radicamento della RAF e del movimento di Resistenza. In Spagna è ripresa la pratica combattente dell’ETA e dei GRAPO; in Irlanda del Nord e all’estero si sta sviluppando la lotta dell’IRA; in Grecia continua la pratica combattente dell’organizzazione “17 novembre” e di altre organizzazioni rivoluzionarie ed antimperialiste; in Turchia è ripresa la guerriglia da parte del DEV/SOL (1) e continua la lotta armata dei combattenti curdi del PKK (2); in Palestina, attraverso la lotta e la rivolta quotidiana contro le forze di occupazione israeliane, si sta sviluppando l’embrione di un nuovo sistema sociale e politico che, oltre ad essere d’esempio per le masse arabe oppresse dai regimi-fantoccio diretti dagli USA, costituisce un importantissimo fattore di rafforzamento della lotta rivoluzionaria nel mondo.
In Italia, la nostra organizzazione, le BR-PCC, dopo i duri colpi portati dalla controrivoluzione all’intero movimento rivoluzionario nel 1982, ha saputo adeguarsi alla nuova, sfavorevole situazione, aprendo una fase di ritirata strategica che ha permesso di conservare le forze e di costruire i termini politici ed organizzativi che sono stati alla base dell’attività rivoluzionaria in tutti questi anni.
All’interno di questa fase è stato possibile mantenere l’iniziativa rivoluzionaria al livello imposto dall’evoluzione dello scenario politico-sociale e dei compiti richiesti, pur con i limiti determinati dalle difficoltà oggettive e soggettive.
Ed è sempre all’interno di questa fase che sono state battute le tendenze neo-revisioniste che puntavano a snaturare la linea politica dell’organizzazione, per riportarla indietro, ad impostazioni teorico-politiche già sconfitte dallo sviluppo stesso del dibattito rivoluzionario che precede la nascita delle BR.
Oggi, la fase della ritirata strategica non si è conclusa e le BR-PCC stanno lavorando per la ricostruzione dei termini politico-militari della guerra di classe in questo paese, coscienti dei limiti imposti dalla fase, ma anche di quanto sia fertile per la proposta rivoluzionaria il terreno determinato dalle contraddizioni che questi 10 anni di ristrutturazione imperialista hanno accumulato.
Proprio di fronte ai problemi posti oggi dallo scontro di classe, si afferma una volta di più la validità della strategia della lotta armata e dei principi strategici su cui si fonda la nostra organizzazione: l’attacco al cuore dello Stato e l’antimperialismo inteso come costruzione a livello internazionale delle condizioni soggettive favorevoli per la rivoluzione qui e in altri paesi.
Oggi le BR-PCC hanno dato una chiara indicazione su quale sia il progetto che la borghesia di questo paese pone al centro della sua politica generale di fronte allo stadio raggiunto dalla ristrutturazione imperialista.
La ristrutturazione dell’ultimo decennio ha modificato gli assetti dell’economia italiana e i rapporti tra le classi a favore della borghesia imperialista, mentre la fase di crisi, iniziata alla fine degli anni ’60, e le conseguenze dello sviluppo tecnologico in termini di divisione internazionale del lavoro, hanno imposto la necessità di una maggiore coesione tra i paesi dell’Europa occidentale.
Per la borghesia si determina quindi la necessità di adottare le misure politico-istituzionali idonee a rafforzare il quadro nazionale e sovranazionale in cui si vorrebbe trovare la soluzione all’attuale crisi e a rideterminare le condizioni di sviluppo del sistema.
Mettere al centro dell’attacco dell’organizzazione il progetto di riforme istituzionali ha appunto significato questo: individuare ed attaccare il progetto centrale che dovrà contenere, codificate ed istituzionalizzate, le politiche antiproletarie che la borghesia sta portando avanti in questi anni e quelle che dovranno allineare l’Italia alle democrazie imperialiste euro-occidentali più sviluppate.
L’essenza del progetto è una generale riformulazione dei poteri dello Stato, a partire dall’esaltazione di quelli dell’esecutivo, che dovrà rendere più rapide le decisioni e più ristretto l’ambito preposto a prenderle, con un’ulteriore emarginazione della funzione del parlamento. Queste decisioni riguardano la politica militarista dell’Italia nel suo ruolo di pilastro fondamentale del fianco Sud della NATO, così come le politiche antiproletarie quali quelle tese ad estendere la logica capitalistica del profitto a settori come i servizi sociali (sanità, trasporti, ecc.), o quelle destinate a riformulare i rapporti tra classe e Stato e a corporativizzare i sindacati.
L’individuazione e l’attacco a quello che abbiamo definito come il “cuore dello Stato” non può essere separato dall’attacco all’imperialismo e alle sue strutture centrali.
L’antimperialismo per la nostra organizzazione non è vuota solidarietà, ma semmai è parte essenziale della nostra linea politica, tesa a costruire tutte le condizioni soggettive per la rivoluzione, attraverso la destabilizzazione del nemico imperialista nell’area e a livello mondiale.
Con questa logica e con questi scopi le BR-PCC hanno perseguito in tutti questi anni l’obiettivo della costruzione del Fronte Combattente Antimperialista nell’area (Europa occidentale, Mediterraneo, Medio Oriente), fino ad arrivare ad un primo momento di concretizzazione con l’alleanza tra RAF e BR-PCC, espressa dalla dichiarazione comune di settembre.
Altre organizzazioni rivoluzionarie di quest’area hanno combattuto in questi anni contro l’imperialismo, e la nostra organizzazione persegue l’ampliamento e il consolidamento del Fronte come strumento importante, in mano ai rivoluzionari, per raggiungere il massimo di efficacia possibile nella lotta comune.
Basandosi su queste linee centrali e sulla dialettica che intercorre tra loro, le BR-PCC continuano ad operare per l’abbattimento di questa democrazia imperialista, per la conquista del potere politico da parte del proletariato, per affermare un nuovo sistema economico-sociale che metta al centro l’uomo e le sue esigenze materiali ed intellettuali.
Questo significa lottare contro lo sfruttamento e la politica guerrafondaia dell’imperialismo, ma anche contro tutte le determinazioni sovrastrutturali che compongono una vera e propria cultura imperialista, dal razzismo alla perpetuazione ed approfondimento del ruolo subordinato della donna; dall’imposizione dei “valori” occidentali e capitalistici alla distruzione programmata e scientifica di ogni forma culturale che rifiuta l’integrazione con essi.
Significa lottare contro un sistema di sterminio che, perseguendo l’assolutizzazione capitalistica del profitto, nega le condizioni stesse di vita dell’uomo, sia attraverso la distruzione diretta per fame, guerre e malattie, sia con la distruzione delle condizioni ambientali che rendono possibile la vita.
Significa lottare a fianco dei Palestinesi che combattono contro il sionismo e a fianco di tutti i rivoluzionari e i popoli che lottano contro l’imperialismo, nei paesi della periferia così come nel cuore del sistema e negli stessi USA.
Significa costruire l’unità contro il nemico comune a partire dal consolidamento e l’ampliamento del Fronte Combattente Antimperialista in quest’area.
Significa lottare per la rivoluzione socialista, per il comunismo.
Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di “riforma” dello Stato.
Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.
Attaccare le linee centrali della coesione politica dell’Europa occidentale e i progetti imperialisti di normalizzazione dell’area mediorientale che passano sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.
Lavorare alle alleanze necessarie per la costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista per indebolire e ridimensionare l’imperialismo nell’area geopolitica.
Onore a tutti i rivoluzionari caduti combattendo per il comunismo.
I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente – Sandro Padula, Franco Sincich
Roma, 18 maggio 1989
Note:
(1) Devrimci Sol (Sinistra Rivoluzionaria). Organizzazione comunista; ha ripreso quest’anno l’attività combattente ad Ankara ed Istanbul, dopo i durissimi colpi subiti nell’80 a seguito del colpo di Stato della NATO.
(2) Partito dei Lavoratori del Kurdistan. È la più forte delle organizzazioni curde in Turchia. E’ una organizzazione marxista.