Il “processo di insurrezione-guerra civile” ha preso origine, agli inizi degli anni ’80, con una indagine giudiziaria ad ampio raggio volta a contrastare l’espansione del movimento rivoluzionario e della iniziativa guerrigliera attraverso una serie di provvedimenti che garantivano anni e anni di carcerazione preventiva a centinaia di militanti rivoluzionari imprigionati.
Questo era lo scopo della controrivoluzione in quella fase dello scontro!
Oggi, la politica controrivoluzionaria dello stato imperialista tende, anche attraverso la celebrazione del processo, a costruire uno scenario in cui si dovrebbe recitare “l’atto finale” dell’esperienza rivoluzionaria di questi venti anni.
L’obiettivo principale che lo stato persegue è la depoliticizzazione della esperienza della guerriglia in questo paese, trasformata dichiaratamente in «una sequenza concatenata di omicidi pianificati da un gruppo di criminali che ha dichiarato guerra unilateralmente allo stato democratico».
In questo senso il processo è un momento dell’attacco controrivoluzionario che in questi ultimi anni non ha mai smesso di crescere in tutti i paesi dell’Europa Occidentale, e che ha cercato ogni volta di affermare un modello di distruzione e di riassorbimento – immediato e futuro – della politica rivoluzionaria e delle principali forze ed organizzazioni combattenti, per garantirsi sempre una capacità di depotenziamento del conflitto di classe.
Al centro di questo modello c’è la riduzione di ogni pratica di lotta, di resistenza, volta alla modifica degli assetti di potere esistenti, tanto a livello internazionale che nazionale, alla categoria di “terrorismo”.
Nessuna lotta deve riuscire ad esprimere stabilmente gli interessi generali del proletariato contrapposti agli interessi generali della borghesia!
Per questo, in tutti questi anni, la strategia controrivoluzionaria non ha dato solo risposte congiunturali volte ad affrontare questa o quella emergenza, ma si è configurata come un dato permanente, una vera e propria strategia che nell’acuirsi della crisi del capitalismo si è sviluppata con le forme e i passaggi imposti dalla crescita dei movimenti di lotta e dalle iniziative della guerriglia in ogni paese.
La depoliticizzazione dello scontro e della esperienza rivoluzionaria, che ha coinvolto migliaia di proletari e rivoluzionari, si realizza oggi soprattutto nel tentativo di “usarla” contro il presente e il futuro dello scontro di classe, contro la continuità stessa della guerriglia in questo paese.
Come hanno detto i compagni delle BR-PCC al processo di appello di aprile a Roma: «Lo stato cerca di rilanciare su basi di forza il logoro copione della soluzione politica in cui l’appello alla cessazione delle ostilità è ratificato dagli esperti dei servizi segreti. Una fattiva collaborazione volta in termini politici a ricondurre la questione della lotta armata, delle BR, a questione di prigionieri, di reduci. Una immagine questa che lo stato cerca di accreditare anche attraverso la storia delle BR e del “processo di insurrezione”, utilizzando allo scopo le diverse sfumature della collaborazione e defezione lì presenti».
Proprio per questo, dentro il processo di insurrezione, agiscono e vengono fatti agire ex rivoluzionari che svendono una intera esperienza alla ragione della “democrazia borghese”; o reinterpretano la storia dello scontro di potere per il comunismo su cui le Brigate Rosse si sono fondate e sviluppate dentro la lotta di classe in chiave di «continuità resistenziale per preservare i presunti spazi democratici alla base di questa Repubblica».
Pacificazione e annientamento sono elementi inseparabili della politica controrivoluzionaria dello stato. E questo processo viaggia parallelamente alle operazioni dei carabinieri e delle forze antiguerriglia, agli arresti dei compagni a settembre.
Si inscrive pertanto a pieno titolo nella strategia imperialista che in questi anni ha tentato in tutti i modi di spezzare la continuità della prospettiva rivoluzionaria e della guerriglia, per far arretrare l’intero movimento di lotta di classe.
La coscienza di questo obiettivo della borghesia è sempre stato chiaro ai prigionieri delle Brigate Rosse che fin dal primo processo del maggio ’76 a Torino hanno affermato nel loro primo comunicato: «Questo tribunale ha un obiettivo ben più ambizioso della semplice criminalizzazione di alcuni militanti e della loro organizzazione. Esso tende a colpire una tendenza storica, un programma strategico: la lotta armata per il comunismo».
Ma oggi come allora l’attacco controrivoluzionario che anche questo processo, improvvisamente e velocemente tirato fuori dalla soffitta, vorrebbe realizzare, si scontra con la realtà della lotta di classe in Italia e in Europa.
In primo luogo con l’iniziativa politico-militare delle BR-PCC che hanno fatto vivere la continuità della guerriglia in questo paese e il riaffermarsi di un movimento antagonista e rivoluzionario che comincia ad esprimere una significativa ripresa della lotta contro le politiche dello stato imperialista e i suoi progetti centrali. Le BR-PCC sono riuscite a riporre al centro dello scontro di classe l’attacco ai progetti di rifondazione e di rifunzionalizzazione dello stato agli interessi del sistema imperialista globale. Contemporaneamente rilanciando, assieme ai compagni della RAF, la prospettiva unitaria del Fronte rivoluzionario combattente, per «portare lo scontro con l’imperialismo all’acutezza adeguata», esse hanno fatto vivere la più ampia dialettica con le iniziative di lotta del movimento antagonista e rivoluzionario in Europa Occidentale.
In secondo luogo la resistenza dei prigionieri rivoluzionari, la cui militanza ed impegno collettivo nel sostegno attivo alla pratica e alla prospettiva della lotta armata per il comunismo, ha contribuito alla sua continuità e sviluppo nelle nuove condizioni dello scontro.
I combattenti prigionieri sono ormai una contraddizione stabile per l’imperialismo in Europa come in ogni parte del mondo, e una parte inscindibile del movimento rivoluzionario.
Di più, l’insieme di queste soggettività rivoluzionarie si colloca in una congiuntura in cui il dato più significativo che emerge è la percezione sempre più diffusa che il capitalismo, in Italia come nel resto del mondo, ha tutt’altro che superato la crisi; e anzi l’evolversi di questa porta continuamente a nuove forme di oppressione, di alienazione e sfruttamento devastanti per milioni di donne e di uomini.
È questa realtà che toglie la parola agli apologeti del capitalismo e della “eterna riproduzione della democrazia borghese”, e rende sempre più sfiatati i cori dei sostenitori della soluzione politica. Cori, d’altra parte, che nella ricerca di una sempre maggiore legittimazione da parte dello stato lavorano per delegittimare le spinte rivoluzionarie ed antagoniste che vivono nel proletariato; e, contemporaneamente, diventano sempre più funzionali alle politiche di differenziazione e isolamento dei prigionieri rivoluzionari in carcere.
Come dicono i compagni prigionieri della RAF e della Resistenza in lotta contro l’isolamento in RFT: «Il progetto di “pacificazione esemplare-abiura-soluzione politica-dialogo-amnistia”, che è esportato da precise frazioni della borghesia imperialista e dalla sinistra riformista dall’Italia verso l’intera Europa Occidentale, è strettamente legato all’aggravarsi dell’isolamento, della differenziazione, degli attacchi fisici, del divieto di comunicazione e della volontà di annientamento contro tutti gli antagonismi rivoluzionari e proletari – contro il movimento rivoluzionario globale in Europa Occidentale».
È questo il terreno reale su cui oggi è inserita e si sviluppa la lotta dei combattenti prigionieri e su cui migliaia di proletari e rivoluzionari, e decine di collettivi di compagni, si stanno mobilitando in tutta Europa.
Di fronte alla politica imperialista di tutti gli stati europei che tende ad isolare i prigionieri rivoluzionari e antagonisti che non accettano la lealizzazione “imposta” dalla borghesia, è cresciuta la mobilitazione e la solidarietà militante internazionalista a fianco dei compagni in lotta, come momento e parte dello scontro più generale tra rivoluzione e imperialismo.
Un prigioniero della RAF in sciopero della fame ha così spiegato le ragioni del trattamento cui sono sottoposti: «Non veniamo perseguitati perché ci troviamo in isolamento, come se nel trattamento normale cessasse la persecuzione, ma ci troviamo in isolamento perché facciamo della società capitalistica l’obiettivo di attacco e perché vogliamo trasformarla».
Le manifestazioni di massa che in ogni città tedesca, e in altre parti d’Europa, stanno rilanciando continuamente la lotta dei 50 prigionieri in sciopero della fame “contro lo stato dei torturatori” e le decine di iniziative di solidarietà militante sono in continuità con la mobilitazione del movimento rivoluzionario che si è espresso nella scadenza contro il Fondo Monetario Internazionale, e portano alla luce lo scontro reale tra rivoluzione e controrivoluzione sull’annientamento politico dei prigionieri antimperialisti in Europa Occidentale.
Noi siamo a fianco dei compagni prigionieri della RAF, della Resistenza, di Action Directe, in lotta contro l’isolamento e contro i progetti di pacificazione che a livello europeo vogliono distruggere la soggettività rivoluzionaria.
L’identità rivoluzionaria dei prigionieri si misura e si ridefinisce a partire dallo scontro complessivo tra proletariato internazionale e borghesia imperialista. E lo scontro specifico che noi viviamo in carcere è parte di quello generale.
In questo senso i comunisti hanno sempre come riferimento gli interessi generali della classe e la prospettiva rivoluzionaria che la guerriglia fa avanzare nella lotta contro l’imperialismo per il comunismo.
Alcuni compagni del Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta – Vittorio Bolognese, Salvatore Colonna, Natalia Ligas, Giovanni Senzani
Roma, 1 maggio 1989