Il processo di costruzione del PCC attraverso la direzione strategica della guerra di classe. Firenze, Aula Bunker Santa Verdiana – Processo alla “Brigata Luca Mantini”. Documento dei militanti delle BR-PCC Maria Cappello e Fabio Ravalli allegato agli atti

Il processo alla Brigata Luca Mantini vuole essere da parte di questo tribunale un’ulteriore criminalizzazione nei confronti di tutte quelle avanguardie che hanno fatto proprio, seppure al loro livello, il terreno rivoluzionario e nel contempo servire da deterrente per l’ambito proletario, nello specifico verso quelle espressioni dell’antagonismo che vogliono dialettizzarsi con la lotta armata. All’interno di ciò l’esperienza della Brigata Luca Mantini viene presentata qui come una sommatoria di reati, nel tentativo di spoliticizzare, attraverso la loro traduzione in termini giuridici, atti politici inerenti lo scontro di classe in cui la Brigata Luca Mantini vi ha rappresentato il piano rivoluzionario.

Dal punto di vista proletario e rivoluzionario – e soprattutto come militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente – ribaltiamo questo piano di lettura per evidenziare al contrario un fatto politico incontrovertibile: la capacità della guerriglia e segnatamente della proposta politica e strategica delle BR di costituire il riferimento nel processo di aggregazione delle avanguardie di classe che vogliono misurarsi con i problemi posti dallo scontro rivoluzionario; in altri termini, i processi di aggregazione delle forze proletarie che maturano sul terreno rivoluzionario passano attraverso l’assunzione della guerriglia come solo modo di esprimere adeguatamente la politica rivoluzionaria, il solo modo per definire la risposta strategica di classe ai progetti borghesi.

La storia politica della Brigata Luca Mantini è tutta interna a questo processo generale, in questo senso ne rivendichiamo la valenza politica, poiché ha rappresentato uno dei tanti momenti d’organizzazione di classe sul terreno della lotta armata, mettendone al contempo in rilievo limiti e propositività.

La Brigata Luca Mantini si è formata nel difficile periodo della controffensiva dello Stato e la sua storia è tutta interna a quella fase politica. Una fase politica che ha attraversato in modo non uniforme la complessa realtà del Movimento Proletario di Resistenza Offensivo e le sue espressioni organizzate.

I primi anni ’80 hanno segnato una fase politica nello scontro di classe che sul piano rivoluzionario prefigurava la necessità di reimpostazione politico-organizzativa delle avanguardie e della resistenza proletaria. Questa esigenza avvertita in primo luogo dalle BR ed esposta nel documento pubblico sulla Ritirata Strategica ha attraversato nel contempo il movimento rivoluzionario e le composite formazioni dei Nuclei Comunisti e di Resistenza in termini oggettivi (cioè come causa di contraddizioni nel proprio impianto politico) prima ancora che soggettivi.

Per meglio caratterizzare il quadro politico di riferimento in cui la Brigata Luca Mantini si è costituita non bisogna dimenticare che, oltre al ricentramento politico operato dalle BR con la critica al soggettivismo, la centralità dell’attacco allo Stato, la centralità operaia, la centralità della costruzione del PCC, la controffensiva dello Stato aveva prodotto dinamiche ed indirizzi estremamente contraddittori nelle formazioni combattenti in quel tempo presenti a livello nazionale. Da indicazioni ultrasoggettiviste di progressiva capacità di volume di fuoco, a teorizzazioni “complottarde“, a dichiarazioni di resa totale.

La considerazione di merito sulla Brigata Luca Mantini sta nel fatto che essa, pur rientrando all’interno dell’esperienza dei Nuclei e di tutta la complessa realtà del Movimento Proletario di Resistenza Offensivo e dei Nuclei Comunisti Rivoluzionari, si differenziava muovendosi obiettivamente verso il superamento di quelle forme politico-organizzative. Infatti questa struttura si proponeva, e nei fatti ha praticato, un piano differente, superiore a quello dei Nuclei, e ciò perché si è relazionata ad indicazioni di carattere generale e non settoriale. In questo senso la Brigata Luca Mantini ha avuto il pregio di svolgere la funzione di battaglia politica contro quelle posizioni liquidatorie, movimentiste e settoriali radicate nel polo da Prima Linea; ma la valenza politica più significativa che ha assunto questa esperienza, sia in termini oggettivi e in parte anche soggettivi sta nel fatto che ha incarnato, in un periodo duro e confuso, la necessità di assumersi in prima persona i problemi dello scontro rivoluzionario e in questa ottica si è immediatamente attivizzata nel convogliare il proprio contributo all’interno delle tematiche più mature che si dibattevano nel movimento rivoluzionario relazionandosi in termini positivi alle direttive che il processo autocritico delle BR-PCC aveva prodotto, inserendosi a pieno titolo nel processo di unità dei comunisti. Una dinamica e una prassi politica che ha rappresentato un significativo momento di aggregazione del movimento proletario nel polo.

I limiti della brigata Luca Mantini vanno riferiti ai caratteri specifici di quel momento politico e ricercati nel carattere prevalentemente spontaneo che era a base dell’aggregazione politica e che inevitabilmente produceva spinte contraddittorie le quali, dato il momento politico generale, non potevano essere governate confacentemente e linearmente. Spinte contraddittorie tra spontaneismo e tensione organizzativa che hanno provocato l’esaurirsi della brigata Luca Mantini come struttura con un’identità politica propria. La contraddittorietà tra gli elementi di avanzamento espressi dalla Brigata Luca Mantini e i suoi limiti che risiedevano nella teorizzazione della spontaneità è un insegnamento pratico che rimanda ai problemi posti dalla Ritirata Strategica e del come riadeguare la direzione dello scontro rivoluzionario, e la relazione dialettica che deve intercorrere tra le BR e le strutture o istanze di compagni rivoluzionari, in ultima istanza come concretamente costruire l’unità dei comunisti, la costruzione del Partito Comunista Combattente.

All’apertura della Ritirata Strategica la parola d’ordine dell’unità dei comunisti è soggetta a contraddizioni politiche che ne fanno un termine non correttamente interpretato, nella misura in cui si pensava che il bilancio politico relativo al percorso rivoluzionario fin lì svolto e gli errori prodottisi poteva essere rimesso a tutto il movimento rivoluzionario; un bilancio invece che competeva alle sole BR in quanto direzione di questo scontro. Un’errata interpretazione che ha favorito l’immissione nel dibattito di tesi estranee alla guerriglia, nel contempo ha significato svuotare di contenuto la stessa valenza della parola d’ordine dell’unità dei comunisti. L’unità dei comunisti ha valore se intesa come un processo che ruota intorno alla costruzione del Partito Comunista Combattente, in questo senso è una parola d’ordine che attualmente non può essere intesa come unità generica sulla lotta armata, salvo ricondursi alla fase di propaganda armata, ma va intesa come un processo che ha il suo riferimento concreto intorno all’indirizzo politico e programmatico delle Brigate Rosse.

Il riadeguamento di questi anni ha permesso di stagliare maggiormente il senso dell’unità dei comunisti ancorandolo fermamente agli obiettivi politici che l’approfondirsi dello scontro ha posto sul terreno della disposizione e organizzazione delle forze in campo; un terreno che riguarda in prima istanza proprio i comunisti a partire dal difficile contesto controrivoluzionario con cui deve misurarsi l’organizzazione della guerriglia. Ma a maggior ragione essa risulta lo sbocco obbligato della maturazione delle avanguardie di classe, un processo in cui deve essere fatto proprio il patrimonio teorico, politico e organizzativo che la prassi delle BR ha sedimentato sul terreno dello scontro rivoluzionario. Proprio perché la questione dell’organizzazione della guerriglia, in questa fase dello scontro rivoluzionario, è problema prioritario, ribadiamo qui di seguito gli elementi di linea politica inerenti ai termini dell’impianto politico-organizzativo, termini scaturiti dagli insegnamenti pratici di vent’anni di prassi rivoluzionaria; la loro più precisa definizione ha reso necessario un parziale aggiornamento dello Statuto delle Brigate Rosse (Risoluzione della Direzione Strategica n.2) di cui ne riportiamo una sintesi.

La definizione di alcuni aggiornamenti allo Statuto si è resa necessaria alla luce del complessivo riadeguamento operato dalle Brigate Rosse in questi anni di Ritirata Strategica, quindi degli insegnamenti conseguiti nel percorso pratico sul carattere della guerra di classe, e come questi si riflettono sull’impianto politico-organizzativo. Parliamo di aggiornamento in quanto si tratta di quegli aspetti dell’impianto politico-organizzativo che sono soggetti a mutamento con il mutare delle fasi rivoluzionarie e del conseguente indirizzo politico, ovvero della parte relativa alla disposizione e organizzazione delle forze in campo.

Mentre risultano valorizzati dalla verifica pratica i nodi centrali facenti parte dell’impianto strategico descritti nello Statuto, ovvero i criteri di clandestinità e compartimentazione che permettono il carattere offensivo della guerriglia e, per lo specifico funzionamento dell’Organizzazione, la sua strutturazione nel modulo politico-organizzativo e i principi di costruzione del Partito Comunista Combattente.

Inoltre l’esperienza fin qui accumulata permette di mettere a sintesi e precisare, rispetto alla parte generale contenuta nello Statuto, il contesto storico e politico dello sviluppo della lotta armata nei paesi a capitalismo maturo che, seppure ne sottointende e ne traccia la sostanza di fondo (lo Statuto), risente ancora di un certo ideologismo. Questo è palese nella caratterizzazione dell’autonomia di classe in cui viene dato all’antirevisionismo un peso maggiore di quello politicamente avuto nella formazione della stessa. Invece va ricordato, e il dibattito di allora lo aveva ben messo in risalto, che il carattere principale dell’autonomia di classe è dato dall’essere antistituzionale e antistatuale, solo secondariamente e di riflesso al ruolo assunto dalle sue rappresentanze istituzionali è antirevisionista.

L’affermazione quindi «…il nodo che si poneva alle avanguardie era la risoluzione del problema della violenza in ogni fase del processo rivoluzionario…» deve trovare la sua giusta collocazione nelle ragioni storiche della lotta armata e non solo nella rottura con la politica del PCI (…perché aveva alimentato false speranze…).

Già sul finire degli anni ’60 il ricco dibattito che si era sviluppato tra le avanguardie rivoluzionarie sia nel centro che nella periferia si coagulava intorno ai nuovi termini che assumeva la politica rivoluzionaria, dell’affermarsi della lotta armata, della guerriglia, quale suo modo di esprimersi adeguatamente. Le espressioni più mature di tale dibattito sintetizzarono le prime linee teoriche e politiche di quello che va considerato, sul piano dell’esperienza rivoluzionaria, uno sviluppo del marxismo. Un dibattito – sintesi dell’attività rivoluzionaria di forze come i Montoneros, i Tupamaros, la Gauche Proletarienne, le Brigate Rosse, la Rote Armee Fraktion e, per quanto particolari, i Black Power e i Weatherman.

Le ragioni storiche e politiche dell’affermarsi della lotta armata sono date dai mutamenti che lo sviluppo dell’imperialismo, con il secondo conflitto mondiale, ha posto in essere, sia sul piano storico-politico che economico-sociale.

Sul piano storico-politico tali trasformazioni già emergevano all’interno degli sconvolgimenti operati dalla guerra stessa, a partire dalla necessità per l’imperialismo di assestare a suo favore gli equilibri che configureranno il bipolarismo. Un contesto questo in cui si sviluppò una controrivoluzione imperialista alla cui testa stavano gli USA, con l’intento di pacificare l’Europa, attraversata dai risvolti rivoluzionari che si erano formati durante il conflitto, questo a partire dal punto critico costituito dalla Germania. Controrivoluzione imperialista e Piano Marshall furono il binomio con cui fu normalizzata l’Europa: aiuti economici e interventi militari, pur rispondendo ad esigenze diverse, costituirono il necessario complementarsi di un duplice piano. Da un lato preparava il terreno alla penetrazione del capitale finanziario USA, dall’altro lato doveva garantire le condizioni politiche dei paesi per la ripresa del ciclo economico, dato che il permanere di condizioni “sfavorevoli” agli investimenti si sarebbe tradotto in una grave recessione per l’economia USA. In che modo sia passata la “normalizzazione” è storia recente, nello specifico del nostro paese i proletari sanno bene cosa ha significato il disarmo politico e militare della Resistenza, date le spinte rivoluzionarie e proletarie che vi dominavano. Un disarmo che ha preparato il terreno agli anni di Scelba e alla restaurazione borghese. Quello che importa qui rilevare è come il “ripristino” dell’ordine imperialista, le condizioni dettate dalla controrivoluzione, andranno a formare l’ossatura stessa della controrivoluzione preventiva come un elemento permanente che caratterizzerà il rapporto politico tra le classi.

Sul piano economico-sociale, il processo di sviluppo monopolistico dell’imperialismo, il piano di internazionalizzazione e interdipendenza economica che lo caratterizzano, ha dato luogo al formarsi di una frazione dominante di borghesia imperialista aggregata al capitale finanziario USA (quest’ultimo si è innervato nella composizione dei gruppi monopolistici dominanti) e nel contempo al formarsi del proletariato metropolitano. Questo movimento economico ha prodotto una tendenza alla polarizzazione fra le classi che ha scompaginato le figure di piccola e media borghesia rurale e cittadina spingendole all’interno di un processo di proletarizzazione. Questo non ha significato la scomparsa degli strati intermedi, ma la modifica di quegli strati che nel periodo fra le due guerre avevano la loro base materiale nella fase del capitale monopolistico a base nazionale. I mutamenti delle condizioni economico-sociali determinate dallo sviluppo dell’imperialismo sono le ragioni di fondo dell’inadeguatezza della strategia terzinternazionalista dell’insurrezione, il fallimento delle tattiche dei partiti comunisti di allora (i “due tempi“), prima che essere dati dal tradimento e dallo sciovinismo dei capi, era determinato da questa situazione di fondo.

In sintesi le nuove condizioni storiche possono essere così riassunte:

  1. a) il quadro del bipolarismo che, stante le ragioni per cui si è formato e le caratteristiche assunte, rende improbabile il riprodursi delle condizioni per un conflitto interimperialistico come la seconda guerra mondiale, questo per il conseguente grado d’integrazione politico-militare fra gli Stati della catena: un quadro storico che muta il dato del “momento eccezionale“ che nel passato era riferito alle condizioni create in termini di contraddizioni dalla guerra interimperialista, ciò riferito alle caratteristiche assunte allora da queste contraddizioni, le quali non sono affatto scomparse né diminuite, ma il loro manifestarsi sul piano politico è condizionato nelle forme e nei modi dalle relazioni che l’imperialismo ha determinato col suo sviluppo fra gli Stati della catena;
  2. b) la diversa caratterizzazione delle forme di dominio e quindi del rapporto classe/Stato con l’affermarsi della controrivoluzione preventiva. Un dato generale questo che rende impraticabile, sul piano rivoluzionario, i “due tempi“, ovvero accumulare forza politica da riversare in un secondo tempo (quando maturano le condizioni eccezionali) sul terreno militare.

Questi i dati storici che, unitariamente a quelli economico-sociali, hanno costituito il terreno oggettivo su cui si è misurata la soggettività rivoluzionaria sino ad affermare la lotta armata come il solo modo di operare in queste condizioni e, specificatamente per il centro imperialista, nella necessità di operare nell’unità del politico e del militare (superamento del “doppio livello” e dei “due tempi”), presupposto che si confermerà come indispensabile per la guerriglia nelle metropoli unitamente al carattere di lunga durata della guerra di classe.

Questo quadro complessivo è quindi il riferimento generale su cui si afferma la lotta armata, la guerriglia, nei centri imperialisti; lo specifico contesto dello scontro di classe in cui si inserisce, ne determina il tipo di strategia da seguire e le particolarità di sviluppo. Per questo affermiamo che le ragioni dello sviluppo della lotta armata in Italia non risiedono nel ciclo di lotte sviluppato dall’autonomia di classe a cavallo degli anni ’70; la qualità maturata dalle avanguardie operaie in quel periodo, che ponevano all’ordine del giorno la questione del potere, ha costituito invece il terreno della specificità dello sviluppo del processo rivoluzionario in Italia, caratterizzando la proposta strategica della lotta armata alla classe da parte dell’avanguardia rivoluzionaria.

Operare un tale riduzionismo, oltre a declassare la funzione dell’avanguardia rivoluzionaria (in questo caso la guerriglia) a mero prolungamento della lotta di massa e la stessa natura dello scontro a un succedersi lineare di flussi e riflussi, si è poi rivelato il terreno di gestione dell’opportunismo di gran parte del movimento rivoluzionario, nonché il medesimo utilizzato dagli “esperti” dell’antiguerriglia e dagli ex militanti che con loro collaborano.

L’acquisizione della complessità dello sviluppo del processo rivoluzionario è un dato che per molti versi solo la verifica pratica poteva mettere in luce, non solo per quanto riguarda gli aspetti generali, ma anche per quanto riguarda l’originalità in parte assunta dallo specifico percorso del nostro paese. In questo senso l’approssimazione e gli errori che la prassi ha poi evidenziato sono anche il naturale portato di un processo che non ha ancora precedenti compiuti da cui trarre esempio, forza e insegnamenti generali. Quello che possiamo affermare, indipendentemente dalla nostra relativa originalità, è che i caratteri generali e fondamentali della guerriglia validi in ogni Stato a capitalismo maturo determinano un processo di maturazione nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione che obbligatoriamente si generalizza in ogni contesto, in ogni Stato.

Cosicché lo sviluppo di nuove Forze Rivoluzionarie che possono formarsi anche in paesi che non hanno avuto precedenti, deve misurarsi per forza di cose con il livello dato nel contesto generale del rapporto rivoluzione/controrivoluzione. In altri termini, le “nuove” Forze Rivoluzionarie devono prendere atto di cosa è stato già determinato, sul piano generale, dall’attività di altre Forze Rivoluzionarie. Relazionarsi a ciò non significa travalicare il necessario calibramento politico che ogni Forza Rivoluzionaria è tenuta a misurare nel radicare la sua proposta politica e strategica, né tantomeno non tener conto del tipo di mediazione politica tra le classi entro cui si racchiudono le specifiche forzature, ma significa relazionarsi anche al livello che si è stabilito sul piano generale tra rivoluzione e controrivoluzione.

L’esempio delle Cellule belghe (CCC) dimostra come una nuova Forza Rivoluzionaria si sia dovuta misurare con un piano di controrivoluzione dello Stato belga in cui vi hanno influito, seppure in termini relativi, le esperienze maturatesi negli altri Stati europei.

L’accerchiamento strategico. È una condizione generale e immanente che sovrasta lo sviluppo del processo rivoluzionario data dal fatto che, essendo il potere nelle mani del nemico fino al suo abbattimento, questo determina una situazione di perenne accerchiamento, per cui i rapporti di forza, intesi in termini generali, sono sempre favorevoli al nemico di classe. La rottura nei rapporti di forza a favore del campo proletario operata dall’avanguardia rivoluzionaria è quindi sempre relativa. Nel contempo vige il principio che la guerra di classe è strategicamente vincente poiché, se il nemico di classe non può distruggere il proletariato, la sua avanguardia rivoluzionaria può distruggere il nemico di classe. Va messo in evidenza che l’accerchiamento strategico, nel contesto dello scontro che si sviluppa negli Stati a capitalismo maturo, si carica di significati politici riconducibili in ultima istanza all’aumentato peso della soggettività nello scontro di classe generale, più specificatamente vi influiscono i termini del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che si è prodotto storicamente.

Sul piano del funzionamento della guerriglia, l’esperienza delle BR permette di precisare le importantissime implicazioni che vivono operando nell’unità del politico e del militare, implicazioni che condizionano tutto il modo in cui si sviluppa la guerra di classe. In questo senso possiamo dire che l’unità del politico e del militare agisce come una matrice nel processo rivoluzionario, dai meccanismi che consentono ad una Forza Rivoluzionaria di essere tale, al suo modo di sviluppare prassi rivoluzionaria, al processo nel suo complesso. La guerriglia nelle metropoli non è semplice e sola guerra surrogata, essa agisce e può sviluppare la sua efficacia muovendosi ben dentro i nodi centrali dello scontro politico fra le classi. L’attacco al nemico perciò, per essere disarticolante, per incidere e aprire spazio deve riferirsi strettamente a questo piano politico generale. La guerriglia esplicita dunque nella sua attività la natura di guerra che pure vive nello scontro di classe, una natura di guerra fortemente dominata dalla politica; una natura che influenza tutte le dinamiche dello scontro, dal piano generale della lotta di classe al piano rivoluzionario. La guerriglia, essendo direzione dello scontro rivoluzionario, muovendosi dentro ai criteri obbligati dell’unità del politico e del militare, deve affrontare contemporaneamente e globalmente tutti i piani del processo rivoluzionario, quindi la sua direzione è volta a organizzare e disporre le forze in maniera adeguata ai livelli dello scontro e agli obiettivi di fase.

Il processo rivoluzionario è processo di attacco militare al nemico (cuore dello Stato, politiche dell’imperialismo) dentro ai nodi politici centrali che oppongono le classi e nel contempo è costruzione e organizzazione delle forze sulla lotta armata al grado definito dallo scontro e dai diversi livelli delle forze che vi concorrono (compagni rivoluzionari, spezzoni d’avanguardie di classe, ecc.). Questo complesso andamento (la guerra di classe) si muove all’interno dei caratteri che ha assunto lo scontro di classe negli Stati a capitalismo maturo; caratteri che ne influenzano fortemente la dinamica di movimento e ne definiscono le peculiarità.

I caratteri del processo rivoluzionario sopra descritti comportano il fatto che l’avanguardia armata del proletariato si configuri come una Forza Rivoluzionaria che assume i principi di funzionamento di un esercito rivoluzionario, in altre parole le BR sono una Forza Rivoluzionaria che, pur essendo il nucleo fondante il Partito, non sono il Partito Comunista Combattente, questo perché il nodo della direzione rivoluzionaria determinata dal Partito nella guerra di classe non si scioglie con un atto di fondazione, ma essa è un vero e proprio processo di fabbricazione/costruzione del Partito che si configura come tale all’interno del percorso di costruzione delle condizioni stesse della guerra di classe. Nella loro più precisa definizione e progettualità le BR si costruiscono come Partito. In sintesi, la direzione rivoluzionaria dello scontro di classe si realizza agendo da Partito per costruire il Partito.

Questa concezione fondamentale, unitamente al modulo politico-organizzativo secono cui sono strutturate le BR, i criteri di clandestinità e compartimentazione, costituiscono gli elementi sempre validi, quindi strategici, affinché la guerriglia possa agire con il suo portato rivoluzionario in queste condizioni storiche dello scontro fra le classi. Nello Statuto vengono giustamente definiti i criteri di clandestinità e compartimentazione che permettono il carattere offensivo della guerriglia, così come si mette l’accento sul pericolo della deformazione di questi criteri a logica carbonara o peggio a spirito di setta, ovvero a una visione capovolta della loro funzione, al limite misurata al piano organizzativo. L’esperienza permette di affermare che tale pericolo può aumentare a causa degli arretramenti, laddove le particolari condizioni dello scontro che subentrano ad un arretramento possono indurre ad una logica difensivistica. Contro questa malattia va posta costante vigilanza politica, sia perché sono oggettive le condizioni per cui si produce, ma soprattutto perché si traduce in errori di comportamento nell’affrontare il lavoro politico.

Tutto il complesso arco di criteri, principi, modo di esprimere prassi rivoluzionaria, caratterizza lo stile di lavoro delle BR. Uno stile di lavoro che in questi anni di esperienza rivoluzionaria si è ben stagliato negli atti politici e materiali delle BR. Esso contraddistingue lo spirito della militanza d’Organizzazione e trae la sua caratterizzazione dalla natura proletaria delle BR e dagli insegnamenti generalizzabili su questo terreno del movimento comunista internazionale.

Critica alla formulazione della Riserva. La prassi ha reso evidente l’inadeguatezza del criterio politico-organizzativo della Riserva così com’è intesa nello Statuto, perché inattuabile, di fatto mai attuata se non nel suo modo più negativo, con la riserva dei dirigenti. Essendo la guerriglia nelle metropoli una guerra senza fronti per eccellenza e operando essa nel cuore del nemico di classe, niente e nessuno è esente dall’essere colpito dal nemico, né strutture fisiche né militanti possono essere immuni da questo dato. Nella pratica di un processo rivoluzionario nei paesi a capitalismo maturo che si svolge in perenne condizione di accerchiamento strategico, nell’impossibilità di mantenere zone liberate, ciò che invece necessita è attivizzare tutte le forze disponibili, da quelle militanti a quelle rivoluzionarie e proletarie, nella concreta attività. Un’attività che, all’interno del principio dell’unità del politico e del militare, si esplica globalmente poiché investe tutti i termini dello scontro. Con ciò si intende dire che non è politicamente pagante mantenere delle forze in riserva, in quanto si logorano e si dequalificano per effetto delle condizioni dello scontro. Il loro reinserimento diventa assai problematico poiché la mancata attivizzazione impedisce alle stesse di essere formate adeguatamente. Per cui la riserva per la guerriglia va intesa politicamente come capacità di formare quadri militanti complessivi, in grado di riprodurre il patrimonio politico-organizzativo su cui si basa la guerra di classe in ogni condizione dello scontro. Materialmente essa trova applicazione nel principio della salvaguardia dei militanti responsabili dei servizi essenziali (basi, ecc.), i quali sono tenuti fuori dal lavoro politico attivo.

Critica all’impostazione dei Fronti. Lo sviluppo delle BR per poli a partire da quelli strategicamente centrali costituiti dalle zone industriali a grande concentrazione operaia, risponde alla giusta esigenza politica di innervarsi nell’ambito di classe; questo perché il proletariato metropolitano a dominanza operaia è la base sociale della lotta armata. Le Colonne si sviluppano nei poli di appartenenza sul principio della duplicazione dell’Organizzazione. Le BR colgono la contraddizione che sul piano politico tale sviluppo può potenzialmente favorire, vale a dire l’influenza delle tematiche particolari di polo sulla linea politica. Al fine di superare questa contraddizione presente materialmente, e mantenere l’omogeneità e unitarietà dell’intervento complessivo, si sviluppano i Fronti di Combattimento. I Fronti hanno lo scopo di attraversare orizzontalmente l’attività dell’Organizzazione con i loro campi d’intervento (Fronte delle fabbriche, Fronte della controrivoluzione, Fronte delle carceri). Nella realtà questa soluzione ha approfondito la contraddizione. Infatti i Fronti, lontano dal costituire veicolo d’unitarietà della linea politica nelle Colonne, si sono trasformati per paradosso in settori specializzati d’intervento, favorendo le tendenze particolari dei poli. La giusta concezione dello sviluppo per poli e per Colonne, se da un lato ha favorito l’espansione dell’Organizzazione nel territorio, dall’altro ha potenzialmente posto la contraddizione del frazionamento dell’intervento complessivo. Ciò però è potuto avvenire anche per il persistere della visione linearista e manualistica dello scontro rivoluzionario, il quale pareva preludere ad una rapida conclusione.

Nel momento in cui si rese necessario, in relazione all’approfondirsi dello scontro, esprimere il salto alla direzione centralizzata dell’attività, al fine di consolidare le posizioni ottenute, l’indirizzo politico dei Fronti e la conseguente disposizione delle forze in campo non permise questo salto, poiché forti si erano fatte le spinte al frazionismo, espresse poi dalle deviazioni operaista della “Walter Alasia“ e soggettivista della Colonna napoletana.

Il muoversi della guerriglia si è misurato con la necessità di riadeguare l’impianto politico-organizzativo che risentiva di linearità e schematicità. Una visione (in parte favorita dallo sviluppo di massa sulla lotta armata) che si discostava anche dalla giusta intuizione che lo scontro rivoluzionario nelle metropoli non poteva che essere di lunga durata, e dalla necessità di assestare le forze dinanzi al profilarsi dell’approfondimento nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione. In sintesi, la visione linearista dello sviluppo del processo rivoluzionario, se in parte era anche il naturale prodotto dell’inesperienza e giovinezza politica, in parte risentiva dell’applicazione un po’ manualistica dell’impianto. In tal modo si spiega come la disposizione delle forze e le direttive politiche erano rispondenti al fine di attaccare lo Stato in tutte le sue componenti e nello stesso momento (a tenaglia) allo scopo di paralizzare la macchina statale. Uno schema che non coglieva la complessità del funzionamento dello Stato, e che ha la sua validità nella parte finale dello scontro, appunto in una fase di guerra dispiegata. Questa visione di fatto ha influenzato l’impianto in quelle direttive politico-organizzative che daranno poi vita ai “Fronti di Combattimento“, quale riflesso della visione lineare sia dello scontro che dello Stato.

La realtà dello scontro e l’esperienza stessa del processo rivoluzionario diretto dalle BR ha dimostrato che il rapporto classe/Stato si è modificato negli strumenti e nella sostanza via via che l’attività della guerriglia si inseriva nel contesto politico dello scontro di classe. Di fatto, la proposta strategica della lotta armata alla classe si è imposta come uno spartiacque tra posizioni arretrate (i gruppi, il doppio livello) e la giusta risoluzione della questione del potere. Queste posizioni solo apparentemente sembravano cavalcare le nuove condizioni della lotta, assumendone solo l’estremismo sterile, di fatto rapportandosi al nuovo con occhi vecchi. La guerriglia fa assumere la dimensione rivoluzionaria imposta dall’attualità del rapporto di scontro, realizzando la dialettica con le istanze dell’autonomia di classe, influenzandone di conseguenza le caratteristiche di sviluppo.

Nel contempo lo Stato, misurandosi con la qualità dello scontro di classe, dopo un primo ed inevitabile smarrimento, ha maturato al suo interno la risposta controrivoluzionaria che, come si è verificato, nella sua essenza ha influenzato la mediazione politica fra classe e Stato. Questo perché lo Stato non è una sommatoria di apparati; lo Stato esplica una funzione prevalentemente politica che, nella sua tendenza di sviluppo, centralizza nell’esecutivo un dato che, da un lato, si riferisce alla necessità di dare risposte adeguate all’economia, dall’altro lato al governo del conflitto di classe.

La dinamica tesa all’accentramento dei poteri è solo un aspetto, anche se principale, dello Stato; più sostanzialmente, gli organi esecutivi e politici devono misurarsi con la capacità di esprimere la mediazione politica adeguata al governo dei conflitti di classe. Ciò si esprime con l’affinamento degli strumenti che tendono non solo al contenimento delle spinte della lotta di classe, ma al loro convogliamento nei meccanismi e negli istituti della democrazia rappresentativa.

In sintesi, per quanto il dato di fondo della complessità della macchina statale fosse già presente, si è poi maggiormente sviluppato con l’evolvere dei processi economici e dello scontro di classe, all’interno del quale la dinamica rivoluzione/controrivoluzione ha influito sul carattere del rapporto classe/Stato.

La centralità dell’attacco allo Stato costituisce oggi più che mai per le BR uno dei principali assi programmatici, attorno a cui costruiscono organizzazione di classe sulla lotta armata. L’esperienza su questo terreno ha posto concretamente i criteri su cui si dà attacco al cuore dello Stato, definiti proprio dalla maggiore conoscenza sia delle dinamiche dello scontro che dei caratteri dello Stato. Si dà efficacemente disarticolazione e se ne ha il massimo del profitto politico, incentrando l’attacco sui criteri di centralità, selezione, calibramento.

Centralità, nell’attacco, del progetto politico dominante della borghesia imperialista che si forma all’interno della contraddizione tra classe e Stato.

Selezione del personale che di questo progetto costituisce l’elemento di equilibrio per farlo marciare.

Calibramento ai rapporti di forza interni al paese e tra imperialismo e antimperialismo, e al grado di assestamento delle forze rivoluzionarie e proletarie.

La prassi di questi anni ha reso evidente la discontinuità del processo rivoluzionario; esso cioè non si svolge in modo lineare ma è fatto di avanzate e ritirate, successi e sconfitte. Il superamento di una visione lineare ha perciò comportato una ripuntualizzazione più concreta delle fasi del processo rivoluzionario; questo veniva compreso, in ultima istanza, in due sole fasi: quella dell’accumulo di capitale rivoluzionario e il suo dispiegamento nella guerra civile. La realtà ha dimostrato, soprattutto a fronte della controrivoluzione degli anni ’80, come sia più complesso questo procedere e come il succedersi delle fasi rivoluzionarie non sia definibile a priori dall’inizio alla fine, fatto salvo l’indirizzo strategico entro cui si collocano. La connotazione della fase rivoluzionaria dipende quindi anche dall’esito della fase precedente e dagli obiettivi definibili nel più generale contesto dello scontro.

Il giusto affermarsi della Ritirata Strategica, oltre a dimostrare ciò, dimostra come all’interno del processo prassi-teoria-prassi sia possibile imparare dagli errori. Questa acquisizione ha comportato l’adeguamento nella disposizione e organizzazione delle forze in campo e quindi dell’impianto politico-organizzativo a ciò relativo. In altri termini, fermo restando la disposizione generale strategica delle forze sulla lotta armata, muta la disposizione e l’organizzazione delle forze in campo in relazione al mutare dello scontro e alle finalità della fase rivoluzionaria. All’interno di ciò vanno distinti due livelli, uno riguardante le forze militanti nelle BR, l’altro le forze che si dispongono attorno alla loro attività.

Sulla Ritirata Strategica. Le condizioni politico-generali in cui fu aperta la Ritirata Strategica rimarcavano una sostanziale inadeguatezza dell’impianto e della linea politica dell’Organizzazione ai termini dello scontro. Da una parte l’incapacità di cogliere i mutamenti che a livello dell’imperialismo andavano a modificare il quadro degli equilibri generali, stante l’affacciarsi della profonda crisi economica; dall’altra, per quanto riguardava l’analisi dello Stato e della situazione interna, si riteneva che l’attacco all’Unità Nazionale aveva lasciato la borghesia e lo Stato incapaci di ricompattare le proprie fila e di riformulare nuove intese politiche.

Questo era anche il prodotto di una visione dello Stato schematica che, se da un lato assolutizzava il piano soggettivo, dall’altro ne schematizzava le funzioni ad articolazione locale del “sistema imperialista multinazionale”. Non si coglieva il movimento partito all’interno della borghesia e dello Stato teso a sferrare una controffensiva politica e militare alla classe a partire dalle sue avanguardie di lotta e rivoluzionarie, col fine di operare una rottura a favore della borghesia nei rapporti di forza fra le classi esistenti nel paese, ridimensionando così il peso politico acquisito dalla classe operaia e dal proletariato. Una controffensiva senza precedenti, la quale non poteva che partire infliggendo un duro colpo alla guerriglia in modo che si riversasse sull’intero corpo di classe attraversandolo orizzontalmente: dai settori più maturi dell’autonomia di classe che si sono dialettizzati con la guerriglia, al movimento rivoluzionario, fino a pesare sulle condizioni politiche e materiali di tutto il proletariato.

Una controffensiva che, per proporzioni e modi di dispiegamento, ha assunto carattere di vera e propria controrivoluzione. Le posizioni inadeguate prodotte principalmente dalla giovinezza politica sono state battute nelle battaglie politiche contro il soggettivismo idealista e l’operaismo. Il ricentramento operato dall’Organizzazione (esplicitato con l’azione Dozier per quanto riguarda l’antimperialismo e l’azione Taliercio per quanto riguarda il piano classe/Stato), non impedì l’accumularsi critico delle contraddizioni e dei ritardi; ma il ripristino del corretto metodo dell’analisi materialista permise l’apertura della Ritirata Strategica nonostante i limiti di comprensione che l’Organizzazione aveva della stessa, ma che le permise di ritirarsi e proseguire nel riadeguamento pur all’interno della pressione esercitata dalla controffensiva dello Stato.

La giustezza della scelta della Ritirata Strategica ha dimostrato nel tempo tutta la sua validità, poiché interpretando opportunamente le leggi della guerra rivoluzionaria ha permesso alle BR di ripiegare da posizioni non avanzate collocando correttamente la sconfitta tattica dell’82 nell’andamento discontinuo dello scontro all’interno del percorso di lunga durata.

Una scelta che ha permesso di aprire una fase rivoluzionaria in cui le BR, ritirandosi, hanno sottratto per quanto possibile le forze al dissanguamento causato dalla controffensiva dello Stato, senza cadere così nell’avventurismo: in tal modo hanno iniziato un lungo e difficile processo di riadeguamento complessivo, a fronte delle modifiche avvenute nel contesto dello scontro, con la conseguente durezza delle condizioni politiche e materiali venutesi a determinare nel tessuto proletario e dell’autonomia di classe.

Un processo di riadeguamento che, dovendosi misurare con la materialità degli effetti prodotti dalla controrivoluzione nel campo proletario, è avvenuto e avviene in maniera non lineare per le contraddizioni che la dinamica controrivoluzionaria ha immesso, in maniera differente, sia nel movimento di classe che nelle stesse Forze Rivoluzionarie.

La Ritirata Strategica, per adempiere sostanzialmente alla sua funzione, deve aderire concretamente alle caratteristiche dello sviluppo della guerra di classe, così come si sono formate nello scontro rivoluzionario del nostro paese. Per questo motivo essa non si risolve con la sola chiarezza teorica e politica dell’impianto, in questo caso le risultanze del processo autocritico, ma il suo procedere è legato strettamente alla ricostruzione delle condizioni politiche e militari della guerra di classe, alla capacità delle BR di articolare un processo di attivizzazione e organizzazione delle forze proletarie a partire dalle condizioni create dall’arretramento, tenendo conto che per la guerriglia anche il riadeguamento si realizza nell’unità del politico e del militare, implica quindi che l’avanguardia combattente stabilisca una “condotta della guerra rivoluzionaria” i cui termini sono interni ai presupposti della Ritirata Strategica, sino a che l’evolvere successivo dei livelli di ricostruzione, compattamento e direzione delle forze proletarie sul terreno rivoluzionario non abbiano maturato l’assestamento necessario per superare le posizioni di relativa debolezza nel complesso dei rapporti di forza tra le classi.

Per questo la Ritirata Strategica è una fase rivoluzionaria di lungo termine il cui superamento implica un salto e una rottura delle attuali condizioni di scontro. La Ritirata Strategica, poiché va a contrassegnare un lungo periodo del processo rivoluzionario, procede attraverso la risoluzione dialettica di diversi passaggi sostanziali; all’interno di ciò le BR già lavorano alla ricostruzione delle condizioni per attrezzare la classe, in questa fase, allo scontro contro lo Stato.

Per sostanza, modi e tempi politici a cui deve essere finalizzata l’attività complessiva della ricostruzione, si deve parlare di essa come fase rivoluzionaria e non di semplice momento congiunturale, tenendo conto che prende forma e consistenza all’interno della Ritirata Strategica, ma essa costituisce al tempo stesso il primo passaggio, la prima base su cui modificare i rapporti attuali tra campo proletario e Stato.

Le BR hanno lavorato e lavorano per porre le basi alla fase di ricostruzione. Queste poggiano sui passaggi effettivamente compiuti dall’avanguardia rivoluzionaria in termini di ricentramento teorico, politico e organizzativo attraverso la prassi concretamente messa in campo per portare l’iniziativa rivoluzionaria al punto più alto dello scontro fra le classi. Se queste basi consentono di definire l’indirizzo politico su cui s’incentra il lavoro rivoluzionario, è però vero che la fase di ricostruzione è un passaggio problematico e difficile per i molti fattori di contraddizione a cui l’avanguardia combattente deve dare soluzione.

A fronte della qualità richiesta all’intervento rivoluzionario, quindi delle condizioni complessive per espletarlo, vi è la continua necessità di operare ricostruzione dei mezzi e delle forze che devono essere disposte; questo comporta un andamento avanzate-ritirate per via dell’equilibrio da mantenere fra i due fattori, il quale deve confrontarsi con l’intensa attività antiguerriglia e controrivoluzionaria dello Stato, e per altro verso per il necessario processo di formazione delle stesse Forze Rivoluzionarie.

Ecco perché questa fase è soggetta ad un andamento fortemente discontinuo che comporta il procedere tra continue avanzate-ritirate, condizionando in tal modo l’atteggiamento tattico del momento.

In sintesi, da ciò nasce la necessità per le BR di una complessa “manovra politica” tesa a bilanciare da un lato il ricucimento delle condizioni fondamentali all’azione rivoluzionaria, dall’altro il suo elevamento al grado richiesto dallo scontro.

Le mutate condizioni dello scontro tra le classi scaturite dall’offensiva controrivoluzionaria degli anni ’80 sono alla base del difficile e problematico procedere della fase di ricostruzione, poiché essa si misura con il dato politico su cui sono andati a stabilirsi gli attuali rapporti fra classe e Stato, un dato politico che evidenzia i processi di rinfunzionalizzazione dei poteri dello Stato e il loro riflettersi concreto nel rapporto col proletariato, processi che per la loro natura e per il contesto contraddittorio entro cui si svolgono producono effettivi passaggi verso una Seconda Repubblica.

Sullo sfondo l’aggravamento della crisi economica, resa maggiormente acuta dai processi di approfondimento dell’imperialismo, la quale scarica i pesanti costi economici e sociali sul proletariato; d’altro lato l’acutizzarsi delle contraddizioni interborghesi quale riflesso dell’aspra concorrenza prodotta dalla formazione dei nuovi termini monopolistici, ancor più perché essa avviene all’interno di mercati capitalistici saturi nell’ambito dell’attuale divisione internazionale del lavoro e dei mercati.

Il grado di approfondimento dello scontro e le sue caratteristiche sono il metro principale su cui si misura la portata dell’intervento rivoluzionario, relativamente ai rapporti di forza esistenti. Ciò mette in luce una questione ineludibile per le Forze Rivoluzionarie, ossia per quanto un arretramento ponga problemi d’assestamento dello stato stesso delle Forze Rivoluzionarie, questo assestamento solo in termini relativi può influire sulla portata dell’intervento rivoluzionario, al contrario è questo Stato che deve ricostituirsi e attrezzarsi per essere adeguato al grado raggiunto dallo scontro, al livello delle contraddizioni politiche dominanti che maturano fra classe e Stato da un lato e fra antimperialismo e imperialismo dall’altro.

Per questa ragione la fase di ricostruzione è tanto difficile e complessa, poiché le BR devono esprimere la capacità di operare la funzione di avanguardia nel rapporto di scontro compreso a partire dalle modifiche che le medesime Forze Rivoluzionarie apportano con il loro intervento nella dinamica rivoluzione/controrivoluzione. Va precisato che il livello dell’intervento rivoluzionario va inteso nel suo complesso: l’attacco messo in campo dall’avanguardia combattente costituisce il punto di partenza e di arrivo su cui ruota la linea di condotta generale che è politico-militare, volta alla direzione delle forze e delle modalità specifiche alla fase per concretizzare le parole d’ordine.

In sintesi, sono queste le caratteristiche dello scontro su cui devono misurarsi le avanguardie di classe che vogliono contribuire al processo rivoluzionario in atto nel nostro paese, su cui deve relazionarsi ogni processo di aggregazione delle componenti proletarie più mature; le apparenti stasi e le condizioni provocate dall’arretramento non significano ritorno indietro del processo di scontro, poiché ciò presupporrebbe la riproposizione di condizioni politico-generali che sono state proprie di periodi precedenti (i quali tra l’altro hanno dato luogo alla nuova situazione), questo perché l’andamento dello scontro procede sempre verso il suo approfondimento, un movimento discontinuo che nel suo complesso è un processo ininterrotto per tappe.

Da qui l’impraticabilità di forme d’intervento politiche che hanno avuto una loro validità in fasi di scontro precedenti, oppure interventi che mettono in campo livelli deboli di organizzazione rivoluzionaria o di semplice supporto a situazioni di lotta.

La disposizione tattica relativa alla fase di ricostruzione ruota intorno al salto di qualità operato dalla centralizzazione.

L’adeguamento nella capacità di esprimere la direzione idonea alle mutate condizioni dello scontro è dato dal salto alla centralizzazione delle forze in campo nell’attività generale delle BR. Ovvero emerge la necessità politica che l’attività delle BR si muova in termini di forte centralizzazione politica, che nell’accezione leninista significa centralizzazione delle direttive politiche sull’intero movimento delle forze e decentralizzazione delle responsabilità politiche alle diverse sedi e istanze organizzate. Più precisamente la centralizzazione deve rispondere alla capacità di far muovere le forze dentro un piano organico di lavoro come un corpo unico; vale a dire la capacità di responsabilizzare il movimento delle forze dentro un piano di lavoro le cui direttive siano un patrimonio di tutti, ma non interpretabili spontaneamente dai diversi livelli organizzati. La centralizzazione, nell’attività, del movimento delle forze è perciò una necessità politica imposta dall’approfondimento dello scontro, una condizione che richiede il massimo dell’utilizzo politico delle medesime, all’interno di una disposizione volta a farle muovere come un cuneo intorno all’iniziativa delle BR, il che può avvenire solo dentro un piano di lavoro definito, all’interno del quale tutte le forze concorrono, non per spontaneo apporto ma disposte e organizzate in modo da contribuire confacentemente. Una dinamica politico-organizzativa che può avvenire appunto nel duplice movimento centralizzazione politica-decentralizzazione delle responsabilità. Questo perché non è più sufficiente disporsi spontaneamente sulla lotta armata pensando di ritagliarsi in piccolo i problemi posti dallo scontro; in altri termini, una riproposizione dell’esperienza dei Nuclei che al proprio livello riprendevano le indicazioni delle BR in questo contesto non è politicamente praticabile. Ecco perché necessariamente le istanze di compagni rivoluzionari e di proletari coscienti che si rapportano alla linea politica delle BR, vengono disposti fin da subito all’interno del piano di lavoro generale; così pure la stessa costruzione delle reti proletarie non ha una funzione solamente locale. Una disposizione che comporta al contempo il calibramento delle diverse responsabilità politiche ai differenti livelli di coscienza, ma tutti egualmente funzionalizzati al piano di lavoro generale.

Non si tratta di far fare al proprio livello esperienza alle forze che si relazionano, ma si tratta fin da subito di formarle all’interno di una disposizione che permetta di acquisire la dimensione politico-organizzativa che lo scontro richiede, la dimensione del senso organizzato del lavoro rivoluzionario per rispondere alle necessità che assume questo livello di sviluppo della guerra di classe all’interno dell’esigenza di operare politicamente e militarmente alla ricostruzione degli strumenti politico-organizzativi per attrezzare il campo proletario, in questa fase, allo scontro prolungato contro lo Stato.

Il problema delle istanze di compagni rivoluzionari non significa inglobamento di esse nell’Organizzazione, ma la dialettica, il rapporto che si forma, deve rispondere all’obiettivo politico di contribuire all’avanzamento del processo rivoluzionario a partire dalle necessità poste dallo scontro. Al di fuori di questo dato politico c’è solo un’interpretazione fumosa dell’unità dei comunisti, poiché muovendosi in ordine sparso non si può che trascendere dalle condizioni che lo scontro stesso impone, al limite ritagliandosi un proprio spazio d’intervento ininfluente ad incidere su di esso, di fatto favorendo la dispersione delle forze e delle iniziative in quanto su di esse grava, indipendentemente dalla coscienza con cui si sono poste verso lo scontro, tutto il peso delle sue condizioni politiche.

Questo adeguamento allo scontro implica la capacità di esprimere un livello di direzione politico-organizzativa adeguata alla centralizzazione nella disposizione delle forze sull’attività dell’Organizzazione, un livello di direzione che nel suo complesso muove verso un avanzamento del processo di costruzione del Partito Comunista Combattente.

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: Maria Cappello, Fabio Ravalli

 

Firenze, 6 dicembre 1989

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