Come militante rivoluzionario e prigioniero della Guerriglia (GU), la mia presenza in quest’aula è solo tesa a ribadire la centralità della GU e in particolar modo a fare riferimento all’attività delle BR-PCC nel procedere dello scontro rivoluzionario, una centralità che rende velleitario il tentativo svolto anche in questa sede di ridurre il processo rivoluzionario ad una sommatoria di atti giuridici.
Questo processo, pur con la sua specificità, s’inquadra più in generale in un contesto che vede il caratterizzarsi di una “nuova stagione processuale” contro le BR in particolare e contro tutte le avanguardie rivoluzionarie che a vario livello si sono espresse sul terreno della Lotta Armata, con la velleità di stabilire sul piano giuridico-formale una “chiusura dei conti” e l’indebolimento della stessa prospettiva rivoluzionaria. Quanto questa sia una velleità sono i fatti a dimostrarlo!
È indicativo come l’attività della GU, delle BR, abbia segnato in questi anni un approfondimento-avanzamento del processo rivoluzionario, e questo non come dato astratto (basato sulle chiacchiere…!), ma ben leggibile nei reali passaggi effettuati dall’intervento rivoluzionario nel vivo dello scontro. Un’attività che in più di vent’anni ha scandito la capacità di una forza rivoluzionaria quale le BR di essere da un lato parte costituente e direzione dello scontro influenzando i caratteri e le dinamiche dello stesso rapporto tra le classi, e dall’altro dando gambe e prospettiva all’obiettivo della conquista del potere per parte rivoluzionaria sulla base della strategia della L.A. Una strategia questa che, pur nei difficili anni ’80, ha saputo idoneamente sviluppare, al livello di scontro raggiunto, un processo di riadeguamento a partire dalla scelta della Ritirata Strategica necessaria per ripiegare da posizioni insostenibili e non avanzate e così ricostruire i termini più idonei per nuove offensive. Da qui si è delineata la capacità tutta politica di riaffermare sia la praticabilità della strategia della L.A. come proposta a tutta la classe e su questa base costruire il terreno politico pratico della risoluzione della questione del potere, sia la capacità di mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria e quindi la stessa prospettiva del processo rivoluzionario, mediante un’attività via via più matura che, pur in presenza di una possente controffensiva della Borghesia Imperialista (B.I.), ha saputo attestare livelli di intervento e costruzione dei termini della guerra di classe confacenti alle necessità del mutato quadro di scontro: ciò attraverso la rimessa al centro dell’attacco al cuore dello Stato nelle sue politiche dominanti riferite all’asse centrale classe-Stato, e la costruzione della politica di alleanze antimperialiste sostanziatasi nella costruzione-consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista (FCA) con l’obiettivo, imprescindibile per l’avanzamento di ogni processo rivoluzionario, di indebolire e ridimensionare l’imperialismo attaccandone le sue politiche centrali. Così come, sul piano dell’organizzazione di classe, la capacità di disporre su termini adeguati il processo di costruzione-avanzamento-organizzazione delle forze rivoluzionarie attorno alla strategia della L.A., e a partire da questo riqualificare lo stesso ruolo della GU, delle BR, nello scontro di direzione rivoluzionaria agente da Partito.
Dati politici questi qui sommariamente descritti, ben leggibili nello scontro, che unitamente all’assestamento del dato controrivoluzionario per parte dello Stato grazie al clima determinatosi con la sua controffensiva, hanno segnato un approfondimento del rapporto tra rivoluzione e controrivoluzione. Tutto questo ha fortemente condizionato il procedere dello scontro tra classi.
Un procedere niente affatto lineare in quanto su di esso hanno pesato sia gli strappi operati dalla B.I. sui rapporti di forza con tutto il loro portato restauratore sia, dall’altra parte, la presenza della GU, di una soggettività rivoluzionaria che, pur dentro le rinnovate manovre dello Stato tendenti a ridimensionarne il peso fino al suo esaurimento, ha invece compiuto significativi passaggi nel riadeguamento politico-organizzativo in stretta dialettica con l’autonomia di classe, intervenendo così sugli aspetti centrali e le scadenze che congiunturalmente maturavano nello scontro: Hunt e Conti per un verso, contro le politiche di crescente impegno e riarmo nell’Alleanza imperialista, sviluppando così la stessa attività antimperialista; Giugni e Tarantelli contro le politiche di attacco alle conquiste strappate dalla classe negli anni precedenti, e in particolare contro il “patto sociale neocorporativo” nell’ambito delle relazioni industriali, vero e proprio sanzionamento ed approfondimento dei rapporti di forza a favore della B.I.; fino ad arrivare all’attacco contro il progetto demitiano di rifunzionalizzazione degli istituti e dei poteri dello Stato quale avanzamento delle forme di dominio della B.I., portato avanti con l’azione Ruffilli.
L’attività della GU si è quindi sviluppata e maturata pur all’interno di un contesto di rapporti di forza radicalmente mutato a seguito della possente controffensiva prodotta dalla B.I. in questo decennio. Una controffensiva che prese il via negli anni ’80 per dare risposte all’incalzare delle scadenze poste dal governo dell’economia e all’evoluzione-crisi dell’imperialismo, anche in riferimento specifico ai poderosi processi di ristrutturazione, recuperando i margini di produttività-competitività confacenti, che hanno toccato tutto il complesso industriale italiano nei primi anni ’80. Una controffensiva che per altro verso ha assunto veri e propri caratteri di controrivoluzione dovendo operare in un contesto di scontro segnato dalle peculiarità del nostro paese, cioè dalla presenza della GU e dalla stretta dialettica che questa ha stabilito con l’autonomia di classe condizionandone dinamiche e maturità. La borghesia è andata così operando una serie di forzature nei rapporti politici tra le classi e sulla base degli strappi prodotti ha via via modificato i caratteri stessi della mediazione politica (dai patti neocorporativi ai processi di esecutivizzazione che hanno segnato i primi passaggi alla più complessiva Riforma dello Stato), per così meglio governare, complessivamente, le contraddizioni generate dal conflitto di classe, cercando di ricondurle su un piano di compatibilità e soprattutto di impedirne lo sviluppo rivoluzionario.
Il divenire di questo processo nel suo approfondirsi, se da un lato ha prodotto un arretramento del campo proletario, del suo peso e delle sue conquiste, rendendo così possibile portare avanti il tentativo di allineamento agli altri paesi imperialisti, viste le peculiari deficienze strutturali presenti sui vari piani in questo paese, è anche vero che d’altra parte ha visto uno spostarsi in avanti delle principali contraddizioni e quindi delle esigenze atte a farvi fronte, questo sia sul piano economico (nel quadro di crisi generale capitalista) con l’ulteriore avanzamento dei processi di concentrazione-centralizzazione capitalista con i relativi e nuovi livelli di concorrenza intermonopolistica, sia su un altro piano, nel rispondere alle necessità poste dai mutamenti intervenuti lungo la contraddizione dominante Est-Ovest e dal maturare dei concreti passaggi della tendenza alla guerra imperialista. Così come, sul piano delle contraddizioni di classe, la capacità rivelata dal campo proletario di esprimersi su un vasto ed articolato terreno di resistenza con lotte tese a rompere le gabbie del neocorporativismo, e la presenza della GU che a partire dalla sua attività rivoluzionaria ha saputo riproporre le condizioni, i terreni d’intervento, per un effettivo ribaltamento dei rapporti di forza.
In questo contesto si è andato così a determinare un approfondimento del quadro di necessità e contraddizioni borghesi, e di conseguenza uno spostarsi in avanti del loro punto di sutura, imponendo un nuovo livello della qualità della risposta da mettere in atto, e determinando allo stesso tempo un quadro politico precario e l’impellente necessità di ricercare nuovi equilibri politici tra le classi. È anche rispetto a questa condizione di fondo che gli stessi passaggi di “Riforma dello Stato” hanno assunto un andamento fortemente contraddittorio, dovendosi giocoforza misurare con il contesto delle contraddizioni e dei reali rapporti di forza da un lato, e dall’altro con la molteplicità dei piani su cui la borghesia deve necessariamente dar risposta, tutto ciò nel quadro di un restringimento dei margini della “mediazione possibile” rispetto agli interessi generali della B.I. In altri termini, è in questo complesso quadro di fattori che vanno a caratterizzarsi una serie di atti politici da parte della B.I., che debbono fare i conti con un contesto di classe tutt’altro che pacificato, ed una instabilità politica a cui ha significativamente contribuito la stessa iniziativa delle BR con l’azione Ruffilli.
I caratteri degli interventi della B.I. emergono chiari nei fatti con tutto il loro portato controrivoluzionario e restauratore teso a creare, con forzature su forzature nel quadro istituzionale e sui rapporti politici tra classi, condizioni e clima politico favorevoli al fine di rispondere alle necessità e contraddizioni economiche, politiche e sociali presenti, così come a far fronte ai sempre più marcati scenari di guerra che si agitano nell’area mediterraneo-mediorientale e ai nuovi livelli di integrazione-compattamento-attivismo imperialista che questi richiedono. Un piano, quest’ultimo, che anch’esso si riflette sui processi di Riforma dello Stato in generale, e di esecutivizzazione in particolare (dalla riforma della Farnesina in funzione di supervisione e condizionamento di tutta la politica estera italiana, fino al conferimento diretto alla Presidenza del Consiglio di nuovi ed accresciuti poteri in materia di intervento militare).
In questo contesto di necessità e forzature borghesi, si può anche inquadrare, sul piano particolare capitale-lavoro, sia l’intervento dell’esecutivo volto a regolamentare il diritto di sciopero, che le ulteriori forzature nell’ambito delle relazioni industriali, che oltre ad intaccare ulteriormente le condizioni normative e salariali della classe operaia, tendono sempre più a segnare i limiti della conflittualità operaia e dei suoi livelli di organizzazione, in un ulteriore approfondimento del modello neocorporativo, quale risvolto dialettico ai processi in atto di Riforma dello Stato.
È nel segno controrivoluzionario e restauratore che caratterizza le odierne politiche della borghesia, in riferimento alle contraddizioni che genera lo scontro di classe, che trovano anche collocazione quell’escalation di campagne politiche (non ultima quella sulla “Resistenza”) che strumentalmente investono il patrimonio di lotta proletaria e rivoluzionaria che, in più di 40 anni nelle diverse fasi di scontro, si è sedimentato all’interno del proletariato italiano e delle sue avanguardie rivoluzionarie. Campagne che rappresentano un dato sintomatico di un processo più generale teso ad intaccare-ridefinire gli assetti dei rapporti politici e di forza tra le classi scaturiti dal secondo dopoguerra, e di conseguenza a preparare la strada a nuovi assetti ed equilibri politico-istituzionali confacenti a questa fase dell’imperialismo e al governo stabile delle sue contraddizioni, procedendo così concretamente verso la Seconda Repubblica.
Ma questo è un processo tutt’altro che lineare e scontato. L’odierna iniziativa della B.I., delle sue politiche controrivoluzionarie e restauratrici con la velleità di normalizzare e pacificare il conflitto di classe, deve infatti fare i conti oltre che con un proletariato tutt’altro che “sterilizzato”, anche e soprattutto con un contesto di scontro in cui non solo non vengono meno le ragioni di fondo della strategia della L.A., ma anzi le stesse vengono esaltate in relazione ai fattori di ordine politico (quale il livello di attività praticata) che le BR hanno saputo sedimentare in questi anni di Ritirata Strategica, stagliando ancor meglio peso, ruolo e funzione di una forza rivoluzionaria guerrigliera nello scontro. Dire questo significa, soprattutto, prendere a riferimento la direttrice d’intervento dell’“attacco al cuore dello Stato” sulla contraddizione politica dominante che oppone le classi nelle diverse congiunture, un dato che costituisce il solo riferimento politico adeguato ad incidere sulle stesse dinamiche di scontro. La pratica delle BR attorno a quest’asse programmatico ha dimostrato come, nell’unità del politico e del militare, l’agire dell’avanguardia rivoluzionaria, a questo livello, può concretamente intervenire nei rapporti di forza tra le classi e costituire la base sui cui lavorare per ribaltarli a favore del campo proletario e rivoluzionario.
Questo perché l’iniziativa rivoluzionaria attaccando lo Stato nel suo “cuore congiunturale” non permette solo la relativa disarticolazione dei progetti borghesi ma anche l’apertura di spazi politici a favore del proletariato, riversandosi direttamente sulle dinamiche di sviluppo dell’autonomia di classe nei diversi piani dello scontro: da quello politico-generale a quello capitale-lavoro.
Se quindi la capacità delle BR è stata quella di far vivere la strategia rivoluzionaria attorno ad assi programmatici ben definiti, è all’interno di questa dimensione e del livello di approfondimento dello scontro che esse hanno anche meglio definito i termini di costruzione-organizzazione delle forze rivoluzionarie e proletarie, e più complessivamente i termini di conduzione e avanzamento della guerra di classe di lunga durata nella nostra realtà. Ciò ha significato superare le secche di una generica riproposizione della “necessità della L.A.”, ponendo invece le direttrici di un percorso cosciente organizzato e centralizzato che, in riferimento agli assi programmatici fondamentali, dia la giusta dimensione alle problematiche poste dal conflitto di classe, e a partire da queste basi attrezzi il campo proletario allo scontro prolungato contro lo Stato, sia per sostenerlo al livello adeguato di organizzazione, che al fine di riprodurre gli stessi termini della politica rivoluzionaria.
L’attività rivoluzionaria della GU, quindi, ha sedimentato una base di qualità che permane e si riproduce nello scontro tra campo proletario e borghesia, e su cui vanno oggettivamente e soggettivamente a misurarsi tutte le avanguardie rivoluzionarie. È in questo contesto, nella consapevolezza politica delle necessità dello scontro e del livello e qualità di attività e direzione che tali necessità impongono, che le BR hanno anche riqualificato l’indicazione politica dell’“Unità dei comunisti”. Una unità non certo formale, ma di sostanza sul terreno della L.A. per il comunismo, centrata attorno al patrimonio teorico, politico e programmatico delle BR ed ai suoi terreni di intervento e pratica combattente, e che, rispetto ai compiti da assolvere in questa fase, ha giocoforza stabilito una nuova e più matura qualità di lavoro, organizzazione e confronto tra comunisti, andando a costituire il riferimento obbligato per chiunque si ponga sul terreno della politica rivoluzionaria, e allo stesso tempo la base di qualità su cui marcia il processo di costruzione del Partito Comunista Combattente.
Così come, su un altro piano, l’avanzamento del processo rivoluzionario, il riferimento politico alla GU, non può prescindere dal terreno di iniziativa antimperialista e dai criteri politici che lo guidano per come si è maturato nel vivo dello scontro imperialismo/antimperialismo portato avanti dalle organizzazioni guerrigliere in Europa Occidentale e concretizzatosi nella proposta del Fronte Combattente Antimperialista. In altri termini l’esperienza della GU, su questo terreno, nella sua attività pratica, ha saputo portare a sintesi intorno alla proposta del Fronte il solo ed adeguato livello di organizzazione e attacco delle forze rivoluzionarie per contrastare e ridimensionare l’imperialismo.
Cioè si è trattato di attualizzare il concetto marxista-leninista di internazionalismo proletario, fuori da una logica meramente solidaristica, ma che piuttosto facesse i conti con la nuova realtà che l’imperialismo ha determinato, i nuovi livelli di integrazione economica, politica e militare, e quindi col riflesso e l’influenza che questo ha sullo sviluppo del processo rivoluzionario in ogni singolo paese. Ovvero ci si è resi conto che “fare la rivoluzione nel proprio paese” doveva avere come condizione imprescindibile l’indebolimento dell’imperialismo, realizzabile solo attraverso il concorso-contributo di tutte quelle forze rivoluzionarie e progressiste che vanno a disporsi sul terreno della lotta antimperialista. In questo senso l’esperienza di Fronte AD-RAF prima, e BR-RAF poi, nel suo maturarsi, ha saputo gettare le basi per costruire i termini politici di unità soggettiva delle diverse forze presenti nell’area, dando “carne e sangue” a quella condizione di unità oggettivamente presente nella realtà, determinata dallo stesso sviluppo dell’imperialismo e, per altro verso, dalle sue politiche concrete che hanno costretto tutte le forze rivoluzionarie conseguenti a doversi misurare con questo dato di fatto. La pratica combattente del Fronte, nei suoi diversi passaggi e gradi di maturazione, è riuscita a definire sempre più compiutamente tanto i criteri di iniziativa e le direttrici di attacco, che i criteri di relazione tra le diverse forze rivoluzionarie presenti nel Fronte. I criteri di iniziativa e di attacco contro gli assi centrali delle politiche imperialiste sul piano economico, politico e militare, nonché su quello controrivoluzionario, e in particolar modo contro i processi di integrazione-coesione del blocco imperialista, al cui interno trovano sviluppo queste stesse politiche. Ed è attorno ai nodi dell’attività pratica del Fronte che si è andato quindi a realizzare il piano delle relazioni tra le diverse forze rivoluzionarie. Ovvero si è dimostrato che è possibile concretizzare i primi livelli di unità funzionali all’organizzazione dell’attacco al nemico comune ed al consolidamento-sviluppo del Fronte, senza che le diversità di impostazione politica o di finalità strategiche ne siano da freno. Questo ha significato, proprio in relazione alla necessità di costruire i termini di un’iniziativa comune contro le politiche imperialiste, l’esigenza di attuare una politica di alleanze con le diverse forze rivoluzionarie che su questo terreno di scontro vanno a collocarsi. Con questa consapevolezza si tratta quindi di sapersi rapportare alle altre forze rivoluzionarie sul terreno dell’attacco pratico, e costruire così i livelli di unità possibile senza che questo voglia dire per una forza comunista “mercificare” gli elementi di fondo che guidano la sua politica, ma al contrario saper sviluppare proprio a partire dalla sua specificità e attività combattente un’iniziativa che risulti essere di contributo e consolidamento al Fronte stesso.
La stessa iniziativa dei compagni della RAF contro il boia Neusel ha riproposto il nodo dell’attività di Fronte lungo una delle direttrici fondamentali dell’attacco alla linea di coesione dell’Europa Occidentale, nello specifico il piano delle politiche controrivoluzionarie. Neusel infatti rappresenta l’elemento di spicco e propulsore di quelle politiche controrivoluzionarie tese all’omogeneizzazione in Europa Occidentale delle iniziative contro la GU e il movimento rivoluzionario, al cui interno si collocano anche le manovre contro i prigionieri della GU.
Le politiche controrivoluzionarie rappresentano un punto qualificante dell’iniziativa della B.I., in quanto ne caratterizzano l’esperienza acquisita, soprattutto in relazione all’importanza politico-strategica assunta dalla GU, tanto nel centro imperialista, che nello specifico dell’area mediterraneo-mediorientale. Allo stesso tempo il piano della controrivoluzione è tutto interno ai processi di coesione politica della catena imperialista, che rispetto alle iniziative di controguerriglia ha visto nello specifico europeo una progressiva centralizzazione-coordinamento degli strumenti operativi e legislativi in funzione controrivoluzionaria, anche perché da parte dei diversi Stati su questo terreno si esprime al meglio la difesa degli interessi generali della catena imperialista. Inoltre, l’iniziativa controrivoluzionaria si avvale anche di interventi selettivi e articolati sugli stessi prigionieri della GU, cercando di utilizzare la loro condizione di ostaggi per ottenere dei risultati da poter ribaltare sulla GU in attività e sullo stesso processo rivoluzionario.
Quello che va colto, nel complesso del quadro di iniziative controrivoluzionarie, è il dato di come questa dinamica sia tutta interna a quella più generale dell’imperialismo, tendente ad una gestione offensiva delle contraddizioni politiche e sociali che si producono nei diversi paesi tanto del centro imperialista che in riferimento alle lotte di liberazione e autodeterminazione dei popoli della periferia. Una gestione offensiva quella imperialista, che sia quando si muove sul piano militare che quando si mantiene sul piano politico (aspetti tra loro interagenti) influenza in ultima istanza la connotazione del rapporto più generale tra rivoluzione e controrivoluzione, imperialismo e antimperialismo, disegnando l’ambito di fondo entro cui va a muoversi lo stesso processo rivoluzionario e in esso i termini di attività della GU.
Ma è rispetto al quadro di fondo dell’approfondirsi della crisi economica, e nel contesto più generale di sviluppo dei passaggi nella tendenza alla guerra, che vanno lette e trovano riferimento quel complesso di scelte politiche imperialiste attuate sui vari piani, economico, politico e militare e su cui si vanno a rideterminare quei fattori di integrazione-coesione e responsabilizzazione dei diversi paesi della catena imperialista, in particolare quelli europei. Una dinamica questa che, rispetto all’obiettivo più complessivo di rafforzamento della catena in riferimento alle modifiche intervenute lungo la contraddizione Est-Ovest, tende a muoversi per una ridefinizione degli equilibri post-bellici, funzionali ad acquisire nuove posizioni di forza verso i paesi dell’Est, URSS in particolare, per creare in ultima istanza le migliori condizioni atte a stabilire una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati confacente a questo stadio di sviluppo dell’imperialismo, un dato che comunque può trovare piena risoluzione solo all’interno di un conflitto bellico. Il processo in atto di ridefinizione delle zone d’influenza, che si dà a partire dal cuore dell’Europa e su cui vanno a modellarsi i nuovi assetti dei rapporti di forza e i nuovi termini di relazione tra imperialismo e URSS in particolare, investe anche le aree regionali periferiche, specialmente quella mediterraneo-mediorientale. Un’area questa che, per i molteplici fattori di contraddizione presenti, si caratterizza come area di massima crisi: sia perché zona strategica dai confini non definiti con gli accordi di Yalta, sia per il suo portato vitale rispetto alla presenza di materie prime fondamentali e luogo di transito delle principali rotte commerciali e sia, infine, per l’instabilità politica e le forti tensioni che l’attraversano, tensioni alimentate dalle lotte rivoluzionarie di liberazione e autodeterminazione tese a contrastare l’imperialismo e a liberarsi dal suo dominio. Un’area quindi che si presenta come possibile detonatore di un conflitto bellico in quanto luogo dove, oltre ad esprimersi il piano dello scontro e dei mutamenti lungo la contraddizione “Est-Ovest”, si accentrano anche le contraddizioni tra “sviluppo e sottosviluppo”, con tutta la loro connotazione rivoluzionaria e antimperialista.
Quanto quest’area sia al centro dell’iniziativa imperialista risulta particolarmente chiaro dal complesso di manovre che hanno accompagnato questi ultimi dieci anni: dagli interventi militari contro i paesi progressisti ed i popoli in lotta per la loro autodeterminazione, ai conseguenti e funzionali progetti di pacificazione-normalizzazione, fino ad arrivare all’attuale quadro rappresentato dall’intervento imperialista nel Golfo. Tutti interventi che vanno ben al di là dello specifico fattore di crisi, ma piuttosto investono tutto l’arco dei rapporti di forza e degli assetti nella regione, con i suoi riflessi lungo il piano degli equilibri “Est-Ovest” che per parte imperialista significa acquisire posizioni di forza più favorevoli.
Ciò è tanto più vero nell’attuale intervento imperialista, intervento che assume un carattere tutt’altro che circoscritto alla “crisi kuwaitiana”, ma piuttosto, sfruttando anche la debolezza politica dell’URSS, investe tutto l’ambito degli assetti dell’area, nel tentativo di ridisegnare gli equilibri strategici e politico-militari funzionali a quella stabilizzazione imperialista via via perseguita in quest’ultimo decennio, e all’interno di quest’ambito risolvere specifici fattori di crisi regionali (questione palestino-libanese, fattore islamico, paesi progressisti) che, per parte imperialista, a tutt’oggi possono trovare soluzione solo nel quadro più generale di riassetto dell’area. Tutto questo si evidenzia sia nei caratteri che nella dimensione assunta dall’intervento imperialista. Un intervento da vera e propria forza di occupazione della terra araba, che come conseguenza è andato ad accelerare tutti i fattori di crisi della regione, andando a forzare sugli equilibri preesistenti e polarizzando quindi gli schieramenti in campo, sia spingendo su un piano di maggiore attivismo politico-militare quei paesi “arabi moderati” già precedentemente schierati in senso filo-occidentale (prefigurando per altro la possibilità di una “struttura di sicurezza regionale” sostanzialmente integrata alla NATO), sia operando continue minacce e pressioni politiche ed economiche nei confronti di quei paesi restii a conformarsi alla logica imperialista, rendendo infine sempre più contraddittoria ed instabile la stessa politica di “unità araba” perseguita a vario livello dai paesi della regione.
Sulle concrete iniziative e forzature operate dall’imperialismo, si sono andate altresì a misurare ruolo, funzioni e responsabilità dei paesi della catena imperialista, ciò si è verificato sia nei termini di un attivismo direttamente militare, che nell’internità alle decisioni degli organismi sovranazionali lungo le linee guida dettate dall’imperialismo, USA in testa. In particolar modo la qualità dell’unità dei paesi imperialisti espressa attorno alle direttive fondamentali dell’intervento imperialista, ha evidenziato come si siano ulteriormente rinsaldati quei processi di coesione politica e militare che rispondono direttamente agli interessi generali della catena imperialista e attorno a cui ruotano gli interessi ed i ruoli dei singoli paesi.
Una qualità questa su cui da un lato si è riflesso il quadro di approfondimento delle contraddizioni apertesi con la “crisi del Golfo”, e dall’altro ha visto un ulteriore ricolmamento e maturazione dell’attivismo dei diversi paesi imperialisti, soprattutto europei, grazie anche alle esperienze d’intervento svolte, nell’ambito NATO, sui maggiori fattori di crisi: libanese prima e nel Golfo dopo, durante la guerra Iran-Iraq. In questo senso è soprattutto l’ambito NATO che ha costituito il punto di riferimento e coagulo delle decisioni politiche e operative dei paesi della catena, andando ad accelerare, soprattutto nell’attuale quadro di intervento, una serie di tendenze già in atto relative sia ad una ridefinizione della NATO adeguata a questa fase del rapporto Est-Ovest, sia rispetto al riadeguamento delle sue sfere d’influenza e d’intervento (“a tutto campo”) accrescendo in particolare il peso del “fianco Sud”, che infine come fattore propulsivo nell’allineamento-adeguamento dei diversi paesi imperialisti ai compiti che questa fase impone. L’attivizzazione di Germania e Giappone sul terreno dell’intervento imperialista, pur nei limiti delle loro specificità, risulta essere un esempio significativo della qualità delle tendenze in corso.
Infine, per quanto riguarda i paesi europei, le stesse decisioni prese in sede UEO sono pienamente integrate alle direttrici della politica imperialista, e sfruttando la specifica posizione e collocazione politica di questi paesi nell’area mediterraneo-mediorientale, conferiscono un carattere altamente dinamico ed articolato all’intervento europeo sui principali fattori di crisi nella regione.
L’aggressione imperialista nell’area mediorientale cagiona una escalation di azioni di guerra e di terrorismo imperialista, che è insieme il portato oggettivo della grande crisi che ha scosso il modo di produzione capitalista ed il concretizzarsi di una politica militarista e guerrafondaia pianificata con forte impegno soggettivo dagli USA e alla quale ha saputo presto allinearsi alacremente tutto l’insieme del blocco occidentale. Questo contesto approfondisce l’affermarsi già da tempo di un processo qualitativamente nuovo e non più reversibile, ponendo nuove condizioni al rapporto di scontro tra imperialismo e antimperialismo, in particolare nell’area mediterraneo-mediorientale (in questo senso, e soprattutto dopo l’attuale intervento imperialista, “nulla sarà più come prima”).
La crisi dell’imperialismo e la tendenza verso la guerra favoriscono come mai, tanto più nello specifico di quest’area così gravida di contraddizioni, la convergenza d’interessi e l’alleanza del proletariato internazionale con i popoli e le forze rivoluzionarie e progressiste che sempre più sono portate a lottare e combattere contro il nemico principale rappresentato dal blocco imperialista. Una convergenza che si muove oggettivamente ancor prima che soggettivamente sulla linea, rafforzata dall’attuale quadro di aggressione imperialista, di attaccare e contrastare l’imperialismo, e su questa base andare quindi a collocare gli stessi termini di sviluppo dei processi rivoluzionari, tanto del centro imperialista che della periferia.
È all’interno di questo quadro che va anche a collocarsi il nostro processo rivoluzionario che, pur nella sua specificità e a partire da questa, può dare sulle basi dell’internazionalismo proletario un contributo significativo nell’attaccare l’imperialismo, nella prospettiva di renderne ingovernabili le contraddizioni e favorire così l’avanzamento dei processi rivoluzionari nell’area.
Il militante rivoluzionario, Carlo Garavaglia
Roma, 5 novembre 1990