Ai comunisti, alle avanguardie operaie, ai proletari che lottano, alle donne oppresse e ribelli
Con il processo ai comunisti/e arrestati/e il 12.2.07, ancora una volta, si contrappongono nei tribunali borghesi due classi: borghesia e proletariato.
L’una, la borghesia, che detiene il potere (cioè che nel tempo ha costruito in sua funzione un apparato repressivo e giuridico), accusa l’altra, il proletariato che, nella figura di alcuni/e militanti comunisti/e, cerca di costruire la propria autonomia politica di classe, cioè rivoluzionaria. L’obiettivo è sempre lo stesso: far sì che il capitalismo sopravviva alle sue crisi, alla sua barbarie e che possa, indisturbato, continuare a distribuire lussi e privilegi ad un’esigua minoranza sulle spalle e sulla pelle della maggioranza. Per questo, dove non arriva l’inganno della loro falsa democrazia, arrivano la repressione e la giustizia borghesi.
L’attacco repressivo mostra la faccia del revisionismo 1 che, per servire i padroni, si è fatto Stato e che oggi trova la sua espressione nell’asse D’Alema-Napolitano-Bertinotti, principale supporto alla politica anti-proletaria del governo Prodi e che ha in una componente della magistratura uno dei suoi principali centri di potere. La Procura di Milano ne è la migliore rappresentazione.
È un processo politico! Un processo in cui la pubblica accusa e gli imputati sono soggetti politici, il principale reato contestato – “associazione sovversiva” – è politico, e gli obiettivi di tutte le parti sono politici. L’obiettivo principale che la borghesia persegue con questo processo è di togliere legittimità alla lotta rivoluzionaria del proletariato, riducendola ad episodi criminali. Operazione necessaria per propagandare la legittimità della repressione ed incutere timore nei confronti delle aree proletarie sensibili alle istanze rivoluzionarie. Soddisfacendo così l’esigenza primaria di contenere la tendenza all’autonomia politica della classe.
Questo sul piano strategico.
Sul piano tattico, invece, l’inchiesta prima ed il processo poi, puntano a rafforzare il traballante governo di “centro sinistra”, espresso dall’attuale equilibrio di interessi interni alla borghesia imperialista italiana. Il perseguimento di questi obiettivi è oggi necessità vitale per i nostri padroni. La loro classe, infatti, si trova sempre più nella condizione di vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro negli scontri che la crisi generale del modo di produzione capitalistico determina. La strategia della “guerra infinita” promossa dagli imperialisti USA ha aperto una nuova fase di destabilizzazione globale e rilanciato la lotta per la nuova spartizione del mondo tra le potenze imperialiste. Ora principalmente ai danni delle nazioni oppresse del Tricontinente (Asia, Africa, America Latina) iniziando dai popoli i cui regimi hanno cercato uno sviluppo auto-centrato, svincolato dalla tutela e dal rapporto semicoloniale che gli imperialisti impongono.
Questa è una china che già si configura come terza guerra mondiale strisciante.
La borghesia imperialista italiana è impegnata in prima persona in questo sistema di guerre come mostrano chiaramente le sedicenti missioni “umanitarie” prima in Iraq, poi in Afghanistan e in Libano. È un cammino di distruzione e morte, gravido di contraddizioni che si acuiscono fin dentro le formazioni sociali imperialiste. Un cammino che mostra agli occhi delle grandi masse la crisi del sistema, e mette drasticamente in luce la necessità del suo radicale superamento.
Per crisi del sistema non intendiamo solo crisi economica, nel suo senso corrente del termine. Intendiamo quel fenomeno complessivo, economico-sociale-politico, originato dalle leggi di funzionamento del modo di produzione capitalistico (come “la legge del plusvalore”, cioè la legge dello sfruttamento del lavoro e che, guarda caso, “non risulta” alla “scienza economica” ufficiale, cioè all’ideologia dominante).
Parliamo della “crisi da sovrapproduzione di capitale” che su scala mondiale è cronica: ci sono troppi capitali che cercano profitti, le occasioni di investimento non bastano, la concorrenza è sempre più feroce e degenera spesso in conflitto armato. Questa sovrapproduzione di capitale determina quel fenomeno, pazzesco e criminale, per cui “si sta male, perché si produce troppo!” La sovracapacità produttiva, invece di essere utilizzata socialmente, porta alle continue ristrutturazioni e miseria per il proletariato. E ancora, è essa la causa più vera ed implacabile delle guerre imperialiste: non solo per l’aggressività concorrenziale che scatena ma anche perché, a termine, non c’è altra soluzione (per questo demenziale modo di produzione) che la distruzione di eccedenti. Sul campo di macerie altrui… i gruppi imperialisti e gli Stati vincenti possono ripartire con l’accumulazione. È la storia degli USA in Europa e Asia dopo il ’45, ed è l’attuale storia con Iraq, Afghanistan,…
Da questo genere di crisi – generale e storica – il capitalismo non esce con mezzi economici ordinari. E, infatti, non vi riesce nonostante trent’anni di attacchi alle conquiste della classe operaia e del proletariato: aumento dello sfruttamento, arretramento delle condizioni di vita e lavoro. Nonostante i salti tecnologici, ed il crollo dei regimi revisionisti che avevano preso il sopravvento nei paesi socialisti e spianato la strada alla restaurazione capitalistica.
Nel campo delle contraddizioni di classe, infatti, gli attacchi si sono ripetuti senza soluzione di continuità soprattutto dall’abolizione della scala mobile in poi: attacco al posto di lavoro fisso, ripetute “riforme” delle pensioni e tagli ai servizi sociali, limitazioni al diritto di sciopero, flessibilità e precarizzazione, furto del TFR a profitto del capitale finanziario, così come le privatizzazioni del patrimonio pubblico (costruito con i soldi dei lavoratori). Anche se i lavoratori sono diventati la merce che costa di meno, tutto ciò non basta. Il capitalismo in crisi è una belva feroce, mai paga, e la crisi si ripresenta sempre più acuta ad ogni curva della spirale; come nel recente caso della crisi finanziaria sui mutui immobiliari negli USA. L’elemento di novità è, in questo caso, nell’incapacità dell’imperialismo dominante a scaricare la crisi sulle formazioni sociali dipendenti come è successo nel recente passato nei casi delle crisi finanziarie scaricate sulle economie di Messico, sud-est asiatico, Russia o Argentina.
Questa incapacità testimonia la gravità della crisi e dà nuovo impulso alla politica dei cannoni, non tanto per il carattere soggettivamente criminale della borghesia imperialista ma, anche perché, nell’ambito di questo sistema, la guerra è l’unico mezzo che gli imperialisti hanno per registrare i nuovi rapporti di forza, contendersi e spartirsi le sfere d’influenza ed i super-profitti derivanti dalla dominazione coloniale e semi-coloniale.
Il vero limite alla barbarie che contraddistingue quest’epoca storica di putrefazione delle formazioni sociali imperialiste è ancora la Rivoluzione Proletaria. “O la Rivoluzione impedisce la guerra, o la guerra scatena la Rivoluzione” – Mao Tse Tung. Questo dato è acquisito storicamente nell’essenza stessa degli stati imperialisti che dalla Rivoluzione d’Ottobre in poi, si sono strutturati come stati della controrivoluzione preventiva 2. Una costruzione statale che è rafforzata dalla cooptazione, a ondate successive, dei vari ceti politici revisionisti (post-socialisti, post-comunisti, post-extraparlamentari, pentiti e dissociati di vario genere). Questi bubboni opportunisti, alimentati dai padroni all’interno della classe, incarnano l’assunto ideologico per cui l’epoca imperialista sarebbe “la fine della storia” e di conseguenza non ci sarebbe alternativa all’imperialismo. Si cimentano nell’arduo compito assegnato loro di nascondere la realtà che la storia procede in base a contraddizioni e alla lotta di classe e che “finirà” solo nella società senza classi.
Ne consegue l’altro loro compito di illudere le masse sull’utilità della partecipazione alle istituzioni borghesi ed a compagini governative che non possono essere che di chiara marca capital-imperialista. Questi traditori della classe operaia ripetono come pappagalli il verbo dei loro padroni: sul dio-mercato, sulla mondializzazione del capitale che darebbe pace e progresso ai popoli. Cercano maldestramente di nascondere le feroci lotte tra i diversi gruppi imperialisti ed il loro reale contenuto, cioè la nuova spartizione del mondo; accodandosi alle peggiori ipocrisie anti-proletarie e colonialiste, come la mistificazione delle “missioni di pace” e delle “guerre umanitarie”.
Ma il procedere stesso delle contraddizioni li smaschera, come mostra la vicenda del governo Prodi. Qui i “pacifisti” siedono con i guerrafondai, votano crediti di guerra e partecipano alle manifestazioni contro la guerra. Approvano la costruzione di basi strategiche dell’imperialismo USA o investimenti prettamente capitalistici, come la TAV, e vogliono partecipare alle lotte che in conseguenza si sviluppano.
Accondiscendono al proseguimento dell’attacco alle condizioni di lavoro, alla precarizzazione (ratifica legge Biagi), e poi cercano di cavalcare la protesta che questa politica padronale suscita. Questa vera e propria schizofrenia ha come unica spiegazione la debolezza della prospettiva imperialista e, quindi, la necessità di svolgere un lavoro di recupero, demoralizzazione, sfiancamento dall’interno dei movimenti di massa. Per compensare questa debolezza di prospettiva, serve la semina di disillusione e sfiducia, servono i “sinistri radicali” ed il loro bagaglio di imbecillità ideologiche, quali il “pacifismo”.
In stretta dialettica con queste attività demolitoria delle dinamiche di massa c’è l’attacco repressivo all’opzione rivoluzionaria, perché la mistificazione ha qualche possibilità di reggere fintanto che nessuno dica, con teoria e pratica rivoluzionaria, che “il Re è nudo!”. Cioè che il capitalismo è prigioniero delle proprie leggi e contraddizioni, sprofondando la società nel baratro di miserie, violenze, guerre. Ma è anche gravido della Rivoluzione Proletaria e, solo queste, possono affrontarlo e vincerlo.
La stessa debolezza li spinge a portare a fondo quest’attacco mobilitando tutte le loro risorse ideologiche, politiche, militari, giudiziarie. Tutto ciò per impedire la costituzione del proletariato in forza ideologico-politico-militare indipendente.
L’azione di controrivoluzione, che ha espresso questo processo, risponde essenzialmente a questa esigenza. Come il processo mediatico, orchestrato dopo il blitz del 12 febbraio risponde all’esigenza di denigrare la possibilità della Rivoluzione Proletaria e di qualificare come provocatori infiltrati le avanguardie reali della classe operaia che lotta.
Non siamo qui per dichiararci colpevoli o innocenti. Queste sono categorie vostre. Noi non possiamo che dichiarare che la nostra giustizia non è la vostra giustizia. La vostra è quella che assicura l’impunità ai padroni massacratori di operai, come alla Eternit (3.000 operai uccisi, solo quelli accertati!), nei petrolchimici, nei cantieri edili e navali o tra le fiamme delle acciaierie; l’impunità agli stragisti di Stato, alle violenze poliziesche e repressive; nonché, e soprattutto, base legale alla sistematica rapina capitalistica sul lavoro operaio e sociale.
La nostra giustizia considera: la fine dello sfruttamento e l’eguaglianza sociale ed economica; l’eliminazione definitiva della logica del profitto e delle sue conseguenze come le guerre di rapina e le distruzioni ambientali; la fine dell’oppressione imperialista e la solidarietà fra i popoli; la dittatura del proletariato come unica forma istituzionale con cui sia possibile imporre tutto ciò alla classe degli sfruttatori, e costruire una società socialista.
L’unica soluzione giuridica che lo Stato pone è la rinnegazione dell’antagonismo di classe. È il punto più alto dell’ipocrisia della giustizia borghese dal momento che questo processo e la sua sentenza sono chiaramente atti della guerra di classe.
La Rivoluzione Proletaria non si processa!
Essa stessa è un processo storico, l’unica via possibile per l’emancipazione dell’umanità dallo sfruttamento feroce e dalle guerre devastanti a cui la putrefazione dell’epoca imperialista del capitalismo la sta costringendo. La via democratica per la trasformazione sociale non è mai esistita, le classi che hanno il potere non lo cedono mai democraticamente, ma sempre in seguito a lotte rivoluzionarie. A noi comunisti resta il compito di indicare e tracciare oggi questa via, la via della Rivoluzione Proletaria.
Possiamo farlo solo costruendo il Partito Comunista della classe operaia che diriga, sviluppando la sua politica rivoluzionaria, la lotta per il potere.
Noi ai proletari non facciamo promesse, non diciamo “vi daremo …”, ma “questa è la via, combatti! Libertà e felicità si conquistano solo con la lotta e nella lotta, dentro un lungo processo rivoluzionario.” I limiti e gli errori del passato, dei precedenti tentativi rivoluzionari non sono un motivo per buttarli via (come la canea borghese urla in continuazione, invocando la morte del comunismo). Limiti, errori, contraddizioni sono la linea di frontiera da cui partire; sono da risolvere nei nuovi tentativi e facendo forza sulle grandi acquisizioni compiute.
Come la pratica e la teoria della Guerra Popolare Prolungata che tanti successi ha consentito nel secolo scorso.
Una politica rivoluzionaria si può fare solo con l’unità del politico-militare in un partito che raccoglie le migliori forze della classe operaia e del proletariato, che unisce le rivendicazioni particolari, economiche e sociali alla necessità dell’abbattimento dell’ordinamento capitalistico in una giusta dialettica partito/masse.
Per questo bisogna affrontare i diversi piani dello scontro, nel senso dello sviluppo dell’autonomia politica della classe: promuovere la crescita di organismi di massa dentro alle lotte, e costruire il Partito Comunista Politico-Militare per dirigere la lotta per il potere.
Il che vuol dire, naturalmente, rompere il cordone ombelicale opportunista con il gioco politico istituzionale sviluppando le lotte nel senso dell’accumulazione di forze entro una precisa strategia di lotta rivoluzionaria: la strategia della Guerra Popolare Prolungata, universalmente valida per le classi ed i popoli oppressi nell’epoca imperialista.
L’UNICA GIUSTIZIA È QUELLA PROLETARIA COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA DELLA CLASSE OPERAIA
NELL’UNITÀ DEL POLITICO-MILITARE UTILIZZARE LA DIFESA PER ORGANIZZARE L’ATTACCO
COSTRUIRE IL FRONTE POPOLARE CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA
MORTE ALL’IMPERIALISMO – LIBERTÀ AI POPOLI
Marzo 2008
I MILITANTI PER LA COSTITUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA POLITICO-MILITARE PC P-M
Note
- Revisionismo: indichiamo con questo termine la revisione in senso negativo del patrimonio teorico e pratico del movimento comunista internazionale. Esso consiste nella revisione dei principi marxisti fondamentali: alla Rivoluzione armata, come passaggio obbligato per la trasformazione sociale, sostituisce la “via pacifica e parlamentare al socialismo”; alla teoria dello Stato, macchina di classe per l’oppressione di classe, sostituisce l’impostura dello “Stato di tutti i cittadini, al servizio dei cittadini”. A queste falsità e tradimenti nel campo politico corrisponde l’abbandono degli obiettivi finali del Comunismo: abolizione di capitale e lavoro salariato, estinzione delle classi, delle leggi mercantili, della proprietà privata, infine pure dello
A questi obiettivi programmatici, il revisionismo sostituisce il compromesso con il sistema capitalistico. Sempre più al ribasso (come la recente, squallida storia degli ex-PCI insegna), fino a diventare tutt’uno con il sistema.
Questa deviazione si affermò agli inizi del 1900, e portò la Socialdemocrazia europea a giustificare e schierarsi con la Grande Guerra imperialista, distruggendo così la Seconda Internazionale. Si affermò ancora con Krusciov ed il 20° Congresso del PCUS (’56), aprendo la strada alla restaurazione del capitalismo, e facendo degenerare gran parte del M.C.I (come il PCI, appunto). Furono principalmente Mao e la Rivoluzione Culturale in Cina a guidare il rilancio del MCI.
A questa deviazione, ed all’incapacità dei comunisti a farvi fronte, è da imputare principalmente la sconfitta del socialismo. E ai ritardi del proletariato dei paesi imperialisti nell’esprimere una propria rappresentanza politica autonoma dagli interessi della borghesia.
La lotta al revisionismo ed al riformismo (come sua appendice pratica) è dunque una condizione essenziale per la ripresa del movimento rivoluzionario.
- Controrivoluzione preventiva: indichiamo con questa categoria l’essenza cui è giunto lo Stato nell’epoca dell’imperialismo. Sin dalla sua nascita, il capitalismo ha usato lo Stato come sovrastruttura finalizzata a mantenere la sottomissione della classe lavoratrice e proletaria, a sancire la proprietà privata dei mezzi di produzione. Con l’avvento dell’imperialismo ma anche delle vittoriose Rivoluzioni Proletarie in molti paesi, lo Stato si è sviluppato essenzialmente in funzione controrivoluzionaria. Utilizzando riformismo e fascismo come due facce di una stessa medaglia, per ingannare e reprimere il proletariato nella sua strada verso l’emancipazione, per scongiurare preventivamente l’insorgenza rivoluzionaria.
Un pensiero su “Rivoluzione o controrivoluzione. Processo “Partito Comunista Politico-Militare PC(p-m)”. Dichiarazione dei militanti per la costituzione del Partito Comunista politico-militare PC(p-m)”