La sintesi

(documento interno – 1983)

 

Il dibattito autocritico scaturito dal documento: “Elementi del bilancio politico della sconfitta del soggettivismo”, dibattito non privo di contraddizioni, ha avuto dall’inizio due presupposti fondamentali:

1) non si mette in discussione un caposaldo fondamentale sviluppatosi negli ultimi dodici anni, la Lotta Armata come strategia per la transizione al comunismo, come unica politica proletaria e rivoluzionaria; la guerriglia come: “….soluzione al bisogno strategico di mantenere l’offensiva”, come acquisizione più avanzata dello sconto di classe.

2) non si apre la porta allo scioglimento dell’avanguardia comunista combattente all’interno del movimento rivoluzionario, non ci proponiamo come “area di dibattito”, ma come OCC BR che con il suo patrimonio teorico pratico, nel bene o nel male, ha rappresentato il punto giù alto di direzione del processo rivoluzionario.

In questo senso, pur in una situazione che abbiamo definito di emergenza (peraltro niente affatto conclusa), abbiamo mantenuto istanze di dibattito, di lavoro, di direzione. Così come nel confronto con le avanguardie comuniste presenti nel movimento rivoluzionario, pur affrontando questioni di ordine teorico e strategico per la ridefinizione di un impianto generale, non abbiamo mai abbandonato i principi di: organizzazione che differenziano i membri effettivi, i membri candidati, dai contatti. Tuttavia era in inevitabile che questa riflessione, proprio per il suo carattere di messa in discussione dell’impianto strategico, producesse, insieme a posizioni positive, altre negative, contraddizioni, riserve, perplessità e sfiducia. Va quindi fatta una precisazione preliminare: dobbiamo imparare a correggere le impostazioni sbagliate che tendono ad emergere costantemente, come L’IPERCRITICISMO e LA CATTIVA STORICIZZAZIONE.

L’ipercriticismo mette sullo stesso piano in modo indifferenziato momenti principali ed aspetti secondari della contraddizione, concepisce l’autocritica approfondita come analisi di parte … isolare singoli problemi particolari (lavoro questo da cui potrebbe derivare tutt’al più un elenco di cose da fare) piuttosto che spingerla ad individuare la matrice politica di errori diversi che hanno attraversato tutto il corpo militante e tutta 1’O., e coinvolgerli nel lavoro teorico pratico di rifondazione di una strategia e di un impianto organizzativo adeguato. Riaffermiamo quindi che non è possibile ridurre od assolutizzare l’autocritica ad alcuni aspetti particolari dell’impianto e del lavoro d’O. Non si può, ad esempio, identificare nel burocratismo o nel militarismo la radice comune di problemi diversi.

Allo stesso modo, storicizzare schematicamente porta a considerare il manifestarsi delle contraddizioni legandole alla presenza o all’assenza di questo o quel compagno, porta a dividere la storia dell’Organizzazione in un periodo positivo e in uno negativo; in ultima analisi, concepire successi ed errori come intuizioni individuali piuttosto che come processi collettivi. Le contraddizioni in un’O. rivoluzionaria sono il riflesso dello scontro tra concezione borghese e concezione proletaria del mondo, tra idealismo e materialismo storico dialettico. Infiltrazioni ideologiche borghesi tendono a ripresentarsi in forme e con pesi diversi nel corso del processo rivoluzionario. Ciò che dobbiamo affermare è che nella fase della transizione, nella guerra di classe, nella fase dell’organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata per il comunismo, della costruzione del Sistema del Potere Proletario Armato, le infiltrazioni di soggettivismo, la loro derivazione economicista militarista risultano antagoniste all’affermazione della linea proletaria rivoluzionaria.

 

PERCHé NELLA DIALETTICA CONTINUITÀ/ROTTURA ABBIAMO PRIVILEGIATO LA ROTTURA.

 

Ogni processo autocritico passa per una sconfitta (almeno finora) e la portata dell’autocritica dipende dall’entità della sconfitta. Ravvisare questo […] è sicuramente indice di maturità, soprattutto è condizione […] per individuare la natura dei problemi senza soffermarsi superficialmente al loro aspetto esterno, al modo in cui si presenta e ripresenta.

Sarebbe stato molto semplice, ad esempio, spiegare l’epilogo disastroso dell’operazione Dozier con la presenza degli infami, o dicendo di non aver mobilitato a sufficienza i Nuclei Comunisti Rivoluzionari, o teorizzando sbrigativamente di aver fatto un passo troppo lungo rispetto alle potenzialità del movimento antagonista, ancora con una preparazione militare inadeguata.

Molto meno semplice, anzi impossibile, sarebbe ricostruirci (attraverso questo tipo di bilancio) sia l’identità politica che la presenza ed il lavoro all’interno delle masse. Dunque bisognava guardare più a fondo il tipo di dialettica che aveva presieduto fino ad allora alla costruzione delle campagne, dei programmi, al rapporto con le masse, così come alla battaglia politica, alla costruzione del Partito e del Sistema del Potere Proletario Armato. Esattamente la rilettura critica di questi compiti che eravamo andati materializzando, in particolare dopo la DS 80, significava PRIVILEGIARE LA ROTTURA. Insomma, a poco sarebbe servito soffermarci più di tanto sui presupposti teorico pratici su cui le BR si sono costruite e la guerriglia si è sviluppata, avrebbe significato dare al dibattito un taglio di “conservazione”, riaffermandoci come patrimonio storico piuttosto che adeguarsi ai nudi compiti; non spiegare perché, dalla chiusura della fase della Propaganda Armata ad oggi, non si è ridefinito compiutamente un impianto adeguato nella direzione delle masse verso la guerra di classe dispiegata per il comunismo. D’altra parte è vero che una simile riflessione è complesso dirigerla, ed uscirne in positivo significa imparare a capire le contraddizioni e governarle (non certo mediando quelle antagoniste) individuandone la natura, il modo in cui entrano in dialettica, il modo in cui possono ripresentarsi su piani più avanzati; significa imparare a produrre teoria e pratica rivoluzionarie senza delegare a nessuno questi compiti. In questo lavoro si mettono a nudo, insieme al potenziale politico che vive nell’O, le sue debolezze, non solo, ma la situazione in cui si svolge questo lavoro è inizialmente di debolezza (debolezza di linea politica), all’interno di condizioni generali difficili da interpretare (e da vivere): rapporti di forza pesantemente sfavorevoli al Proletariato Metropolitano, vivace ripresa del movimento antagonista, presenza di grosso dibattito nel movimento rivoluzionario intorno alle teorie che da più parti vengono formate.

Ciò spinge alcuni compagni verso posizioni estremizzate: dal non vedere più punti fermi e confondersi nel marasma, al non voler criticare nulla, aggrappandosi all’unica certezza: ciò che si conosce, tutto ciò che è stato fatto.

Così, l’aver privilegiato la rottura ha fatto credere ad alcuni compagni che l’autocritica porta a considerare la Lotta Armata per il comunismo come una “forma di lotta”, e che 1’O. tendesse a negarsi aprendo la strada al movimentismo. Altri compagni, l’unità distinzione tra tattica e strategia, tra particolare e generale, ed inoltre tra il generale che vive in determinate fasi (e quindi all’interno di ogni sua specifica congiuntura) ed il generale processo rivoluzionario per il comunismo, hanno pesato che la sconfitta del Sistema del Potere Proletario Armato in costruzione dovesse essere definita tattica perché non costituiva sconfitta generale del processo rivoluzionario per il comunismo.

L’O. parlando di sconfitta generale non l’ha riferita al generale processo rivoluzionario di lunga durata per il comunismo; ciò che pure andava e va sottolineato, conferma l’influenza di questa sconfitta sugli attuali rapporti di forza complessivi, non perché questi derivino unicamente dalla guerriglia. La guerriglia tuttavia è un elemento non indifferente nella loro determinazione, come non indifferente è stata la sconfitta di una campagna del peso che aveva quella Dozier e il corollario di tradimenti, dissociazioni e carcerazioni. Inoltre la sconfitta non riguarda solo le BR e la concezione della campagna come “operazione politica” di O; seguiva, ad esempio, la sconfitta preventiva della campagna del Partito Guerriglia ed investiva fasce consistenti del SPPA [Sistema di potere proletario armato] in costruzione. Parlare di sconfitta tattica era ed è sbagliato, in quanto si esalta l’oggettività delle allusioni al comunismo e si sminuisce la necessità dell’autocritica delle Avanguardie Comuniste Combattenti rispetto agli errori generali, strategici commessi nel vivo dello scontro di classe.

Altri compagni ancora, per controbilanciare il portato dell’autocritica, pur riconoscendo nell’impianto generale il vizio di soggettivismo (che ha impedito di adeguarsi ai nudi compiti), salvano “alcuni aspetti” come le azioni di Roma del 79-80, la costruzione dei Nuclei Clandestini di Resistenza, la costruzione dei quadri dirigenti. Qui necessitano alcune precisazioni, altrimenti si appiattisce tutto in un unico calderone. Non intendiamo “buttare il bambino con l’acqua sporca”; cioè non diciamo che oggi inizia la battaglia contro il soggettivismo dopo un periodo di cupo torpore. Proprio la DS 80 ha rappresentato la prima sedimentazione di una battaglia che era vissuta nell’O. già negli anni precedenti, ripercuotendosi A FASI ALTERNE sulle iniziative di combattimento, così come nella linea di massa il dibattito interno (cellule o nuclei), ad esempio, rappresentava ancora l’incomprensione del salto nel modo di operare nel rapporto con la classe verso l’organizzazione delle masse e non più solo dei comunisti.

La contraddizione intorno alla frase famosa “….Organismi di Massa Rivoluzionari sono sorti e sorgono…”, se da una parte testimonia una critica alla concezione dell’organizzazione rivoluzionaria delle masse come portato spontaneo dell’acutizzarsi della contraddizione BI/PM, dall’altra non si proietta verso i nuovi compiti, ma tendeva a conservare la funzione dell’O per quella che aveva nella fase precedente.

Le stesse direttive di combattimento rappresentano questa contraddittorietà: la separazione tra disarticolazione dello Stato e organizzazione delle masse, pur rispecchiando il massimo luogo di odio proletario, oscillando tra il tentativo di aprire una dialettica sui bisogni (come nella campagna sulle forze militari) e l’apparente ignoranza di una campagna in corso (come nelle azioni Bachelet e Minervini rispetto al movimento dei Proletari Prigionieri).

La DS 80, pur avendo rappresentato il primo punto fermo nella comprensione dei nuovi compiti, non ha tuttavia sconfitto definitivamente il soggettivismo, né immunizzato il suo ripresentarsi. In che senso ?

La comprensione dei nuovi compiti era prevalentemente assunzione della elaborazione teorica contenuta nell’“Ape..”, calata su un impianto ancora pesantemente influenzato dai compiti precedenti, che ruotava attorno alla centralità dell’O e stentava a rapportarsi con i differenti livelli di espressione delle lotte di massa. Non a caso l’esperienza maggiormente positiva è stata la campagna per la chiusura dell’Asinara, una campagna che già viveva in uno strato di classe che aveva maturato livelli di organizzazione e di antagonismo irripetibili meccanicamente in altre situazioni. Il dibattito intorno a “Nuclei o OMR” pur essendo tutto interno ai nuovi compiti (e rappresentando quindi un livello diverso di battaglia politica contro il soggettivismo, da quello che si esprimeva intorno a “cellule o nuclei”), rispecchiava un approccio ridotto alla problematica dell’organizzazione della masse, il cui referente di fatto erano quelli d’accordo con la linea politica e con le campagne dell’O, mentre scomparivano o venivano sottovalutati i movimenti di massa pur con contenuti e livelli di maturità differenti. Il SPPA risultava essere un modello stereotipato a cui adattare una realtà ricca di molteplici espressioni e forme di organizzazione. Il combattimento non era sintesi di una attività molto più complessa e vasta di direzione rivoluzionaria, non rilanciava in avanti la mobilitazione di massa, ma in parte la esaminava, inconsciamente cercava di compensare la debolezza della linea di massa. Aver introdotto nel dibattito la “questione del lavoro legale” non significa ripiegare dopo una sconfitta perché non siamo certo in presenza di riflusso del movimento rivoluzionario, quanto spingere la nostra attenzione ed il nostro referente non solo alle esperienze più mature ed organizzate clandestinamente, ma anche a quelle che si mobilitano a livelli di semilegalità.

Insomma si tratta di capire che i movimenti non sono un tutto piatto da cui emerge l’avanguardia rivoluzionaria, si tratta di imparare a rapportarsi ai livelli differenziati a cui si esprime la lotta di classe, senza per questo dire che ogni lotta ha lo stesso peso e lo stesso contenuto antistatuale ed anticapitalistico.

Un’ultima considerazione a proposito della costruzione dei quadri di partito. Anche qui non possiamo sopravvalutare ciò che si è trasformato da necessità in virtù. Un quadro politico formatosi sui documenti d’O, un quadro di propaganda armata, capace di “riportare la linea politica”, ma disabituato ad elaborare, certo proveniente dal vivo della lotta di classe e non dalle cattedre universitarie, ma ciò testimonia il radicamento dell’O e non di essersi dotata di strumenti adeguati a trasformare avanguardie di massa in quadri di partito. Alla luce di come il dibattito si sta sviluppando, dei contributi che tutti i compagni sono impegnati ad elaborare, dalla positività del confronto con le avanguardie comuniste non militanti dell’O e con realtà di massa interne al movimento proletario antagonista, oltre che dalle contraddizioni che da questo dibattito si sprigionano dando il polso della qualità del corpo militante, esprimendo gli elementi avanzati e quelli arretrati, possiamo riaffermare la giustezza e la necessità dell’impostazione che, nella dialettica continuità/rottura, ha privilegiato la rottura.

 

PERCHé ABBIAMO PARLATO DI DIFENSIVA STRATEGICA

 

La guerriglia nasce all’inizio degli anni ’70 dentro condizioni di controffensiva padronale e statuale, non tanto per rispondere ad una crisi che ancora non si manifestava concretamente come crisi generale del Modo di Produzione Capitalistico (MPC) (il cui primo segno premonitore è l’inconvertibilità del dollaro con l’oro, nell’agosto 1971), ma essenzialmente per mantenere l’offensiva dell’operaio massa sviluppatasi, se pur non linearmente e sempre per cicli di lotta, negli anni ’60 e culminata nel biennio ’68 69. La guerriglia, quindi, non aspetta il concretarsi del nesso crisi ristrutturazione per interpretare l’allusione al comunismo presente nelle lotte operaie. Se comunque, nel primo periodo della fase della propaganda armata (’71 ’74) l’offensiva guerrigliera si scagliava contro le gerarchie di fabbrica, con l’acuirsi di processi di crisi ristrutturazione e con l’evidenziarsi del dominio “politico” all’interno della Formazione Economico Sociale (FES), l’offensiva guerrigliera (in dialettica con 1’esigenza operaia di rompere lo accerchiamento della fabbrica) si pone sull’asse strategico dell’attacco al Cuore dello Stato (’74 ’78). La fase della Propaganda Armata si conclude grazie alla “Campagna di Primavera” del ’78, che non solo individua con più precisione rispetto al passato qual’é il “cuore dello Stato” da disarticolare, ma riesce a radicare ulteriormente la Lotta Armata per il comunismo tra le avanguardie del Proletariato Metropolitano (PM). Entrati nella fase di transizione dalla Propaganda Armata alla Guerra Civile dispiegata, l’offensiva guerrigliera non solo deve disarticolare il cuore dello Stato e propagandare la necessità della strategia della Lotta Armata per il Comunismo (LAxC), ma deve farsi carico di dirigere i1 processo di costruzione del Sistema del Potere Proletario Armato (SPPA) (PCC, Organismi di Massa Rivoluzionari OMR , Movimento di Massa Rivoluzionario MMR ).

Quindi l’offensiva guerrigliera è oggi reale ed offensiva soltanto se è adeguata ai compiti di fase. Di fronte ad una sconfitta del SPPA in costruzione, diventa vitale difendere strategicamente il processo di costruzione del SPPA. Questa difesa strategica è in primo luogo politica, cioè significa preparare nuove controffensive partendo da rettifiche e salti politici in dialettica con la classe. Ritirarsi nelle masse, cioè rifondare il processo di costruzione del SPPA in dialettica e all’interno stesso del movimento antagonista, significava e significa sviluppare una battaglia politica dentro il movimento rivoluzionario contro il soggettivismo, contro le sue varianti economiciste militariste che trasformano l’avanguardia rivoluzionaria non solo in apparato separato, ma soprattutto in retroguardia del PM!! Ritirarsi nelle masse e, colpendo le posizioni conquistate dal nemico all’interno del SPPA in costruzione, vuol dire individuare terreni unitari di lotta del movimento rivoluzionario al cui interno sviluppare questa battaglia politica.

Per tutto ciò abbiamo parlato di difensiva strategica. Dato che questi concetti si sono storicamente definiti come concetti militari, delle leggi della guerra sviluppate da Mao, probabilmente sono stati troppo “stretti” per esprimere compiutamente i contenuti politici ed i principi politici che intendiamo difendere strategicamente!

Quando abbiamo parlato di quadro strategico generale caratterizzato dalla difensiva, intendevamo ricordare ai soggettivisti che il rapporto di forza generale tra BI e PM è favorevole alla BI, che non è sufficiente ad esempio – un’azione contro i CC per affermare che già esiste un SPPA. che processa il “sistema di potere imperialista”. Intendevamo sostenere che il rapporto di forza generale tra il nesso crisi ristrutturazione per 1a guerra imperialista e il nesso crisi rivoluzione antimperialista per il comunismo, vede come aspetto dominante il primo nesso ed il secondo. come tendenza principale.

Volevamo rompere con l’ideologismo soggettivista, recuperando il metodo del materialismo storico e dialettico. Volevamo ricordare che – come su tutte le contraddizioni – la tendenza principale (in questo caso 1a rivoluzione) diventa aspetto dominante se distrugge l’aspetto dominante (in questo caso la ristrutturazione per la guerra imperialista).

Fatte queste considerazioni, entriamo nel merito di alcuni concetti e valutazioni espressi sopra che rappresentano inoltre un primo punto sul dibattito in corso, questo documento vuole essere però anche un primo contributo sui nodi teorici e strategici che si agitano nel movimento rivoluzionario, spesso plasmate da concezioni ultrasoggettiviste e metafisiche come nel caso del Partito guerriglia. L’obiettivo politico è lavorare all’arricchimento della teoria e della pratica della rivoluzione comunista nella metropoli imperialista; rimettere il materialismo storico e dialettico con i piedi per terra, riaffermare il metodo scientifico di analisi della crisi, la centralità della fabbrica e della produzione di merci, il rapporto dialettico fra Forze Produttive (FP) e Rapporti di Produzione (RP), tra guerra e politica.

 

LA DOMINANZA DEL POLITICO NELLA FES. FUNZIONE E CUORE DELLO STATO

 

Con la crisi le diverse regioni della FES hanno movimenti caotici e differenziati e si […] definitivamente, il POLITICO domina sulle altre regioni, crescentemente all’interno delle altre regioni stesse (nell’economico, nel giuridico, nel culturale, nel religioso, ecc..). In ultima istanza il dominio del politico è dettato […] regione economica del Modo di Produzione Capitalistico (MPC) proprio per favorire la riproduzione del rapporto di produzione capitalistico. Mentre ai tempi di Marx e Lenin era soprattutto “gendarme” “banda amata” per difendere i rapporti di produzione capitalistici, nella fase dominata dal capitale monopolistico multinazionale lo Stato diventa Stato Imperialista delle Multinazionali (SIM) che favorisce la riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici in qualità di Stato “capitalista collettivo” di Stato, “banca” di Stato, “capitalista reale”. Col dispiegarsi della crisi generale del MPC lo Stato accentua i processi di controrivoluzione preventiva e di statalizzazione della “società civile”, per questo lo stato si caratterizza come “Stato sociale” (che è il contrario dello Stato “riformista”). La militarizzazione della società civile, 1a statalizzazione dei sindacati, dei partiti politici, dei mass media, ecc. sono il riflesso del caratterizzarsi delle Stato come “Stato sociale”, sono il riflesso della dominanza del politico. Infatti il movimento Stato fabbrica è dominante rispetto al movimento fabbrica-Stato, così come è dominante il movimento più generale Stato società civile rispetto al movimento società civile Stato. Con la crisi il capitale non mantiene il suo dominio in maniera forzosa (come puro capitale…. come diceva PL), ma per poter superare la crisi stessa e poter nuovamente estendere il suo dominio riprendendo il ciclo economico, necessita di ristrutturazione per la guerra imperialista. La legge del valore lavoro non si estingue con la crisi è imposta, “forzosamente” dà l’intervento della violenza statale, ma al contrario dimostra la sua impietosa validità suscitando processi di ristrutturazione per la guerra imperialista IN BASE ALLA LEGGE DEL VALORE LAVORO, legge inesorabile del capitalismo la crescita del capitale che determina l’estensione del dominio capitalistico con l’estensione multinazionale della massa del lavoro salariato. Perciò l’estensione del dominio non è la semplice moltiplicazione dei centri di controllo e di comando, ma è in primo luogo estensione di un rapporto sociale che si dà a partire da quello principale, la produzione di plusvalore. È la stessa legge del valore lavoro in dialettica con la legge di caduta tendenziale del saggio di profitto (che ne è parte integrante) a rendere possibile e necessaria, cosi come è la stessa legge del valore lavoro, l’uscita dalla crisi attraverso i processi di ristrutturazione per la guerra imperialista. È la stessa legge del valore lavoro, è la regione economica, il MPC a promuovere la dominazione del politico mediante la rifunzionalizzazione dello Stato.

Lo Stato in qualità di macchina del dominio capitalistico, quando il capitale necessita e sviluppa processi di ristrutturazione per la guerra imperialista (per favorire la ripresa del ciclo economico), è reale organizzazione del rapporto sociale esistente fra le classi: nel favorire la riproduzione del Rapporto di Produzione Capitalistico (RPC) si funzionalizza in termini di Stato della ristrutturazione per la guerra imperialista, La funzionalizzazione concreta dello Stato in questo senso è qui data dal “partito della guerra imperialista”, insieme di consorterie presenti nei partiti (in particolare nella DC e nel PSI), nei ministeri (in particolare quelli più importanti dal punto di vista della politica economica oltre che in quelli squisitamente militari), oltre che dalle associazioni padronali (Confindustria, Intersind), nei mass-media la […] si é ormai impossessata dello Stato, cioè dall’insieme degli apparati di dominio. E questo partito è espressione organica di questa frazione dominante della borghesia e delle sue determinazioni sovrannazionali.

Per questo possiamo affermare che il “partito della guerra imperialista” in questa fase è il CUORE DELLO STATO che guida e tenta di egemonizzare i molteplici fronti della ristrutturazione secondo i ritmi e le priorità di questa tendenza in atto, la guerra imperialista in atto, non a caso questo “partito” si contrappone frontalmente al PM in quanto non essendo possibile un allargamento della base produttiva, garantisce peggiori condizioni di riproduzione della forza lavoro (fl) complessiva comprimendo i costi di tale produzione (ad esempio il taglio della spesa sociale, l’aumento delle spese militari e dei fondi per le multinazionali), fornendo una nuova organizzazione del lavoro con cui intensificare lo sfruttamento ed espelle fl eccedente; favorendo la ristrutturazione del mdl per spezzare la rigidità della forza lavoro e per sviluppare mobilità.

Lo Stato come “Stato sociale” il cui cuore è il “partito della guerra imperialista” favorisce l’accelerazione-sviluppo dei processi di ristrutturazione per la guerra imperialista all’interno della società civile e, quindi, prepotentemente contro il PM. Per questo far vivere il “generale”, cioè le direttrici del “partito della guerra imperialista” sempre di più in ogni particolare […] di diversi settori del PM (anche se non tutti i particolari “hanno lo stesso peso specifico” e diverso è il loro rapportarsi con il “generale”).

In questa fase, infatti, dominanza del politico significa anche massima polarizzazione politica tra BI e PM in quanto anche i Bisogni Immediati (favorendo “pesi specifici diversi”) si scontrano con il Modo di Produzione Capitalistico (MPC) e lo Stato; pertanto lo SIM si caratterizza come Stato della ristrutturazione per la guerra imperialista, nella misura in cui è Stato della controrivoluzione preventiva scatenata.

In questo quadro la contraddizione principale; 1a contraddizione BI PM arriva ad una maturità superiore diventando contraddizione antagonista; il rapporto SIM PM, la lotta di classe, si materializzerà sempre di più in termini di scontro di potere in guerra di classe. Venutesi a creare nuove condizioni favorevoli alla rivoluzione proletaria ria stante i processi internazionali di crisi ristrutturazione per la guerra imperialista che partono dalle metropoli e stante la controrivoluzione preventiva scatenata, è possibile e necessario trasformare lo scontro di potere in scontro per il potere, la guerra di classe. in. guerra. rivoluzionaria antimperialista per il comunismo.

 

SULLA GUERRA E SULLA POLITICA

 

Ogni società divisa in classi ha sostanzialmente alla sua base la guerra, pertanto è sbagliato dire che oggi “la guerra informa la politica” perché ciò potrebbe essere inteso come dominanza del militare sul politico; in eguale misura é scorretto separare il politico dal militare. Separando il politico dal militare lo stesso processo rivoluzionario verrebbe ricondotto ad una interpretazione terzointernazionalista, dividendo ciò che è tendenzialmente unito nel PM e che da ora è unito dall’avanguardia comunista. combattente e dai livelli più significativi dell’antagonismo proletario. Inoltre si metterebbe in secondo piano la politica rivoluzionaria necessaria per trasformare la guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo, per trasformare l’attuale antagonismo del PM in “inimicizia assoluta” del PM nei confronti della BI.

Se affermiamo che già esiste “l’inimicizia assoluta” (che per Lenin è la guerra dispiegata della classe) a cosa servirebbe la politica rivoluzionaria?

Nella guerra di classe metropolitana la guerriglia è la forma di guerra rivoluzionaria che riunendo il politico ed il militare sulla base della “politica che guida il fucile” fa unire la strategia della LAxC per trasformare 1’autonomia proletaria in “inimicizia assoluta” con la borghesia e lo Stato. Cioè la guerra civile dispiegata di lunga durata per il comunismo.

Per questo la politica rivoluzionaria non é una semplice appendice di una “inimicizia assoluta” di una “guerra sociale totale”: la politica rivoluzionaria serve proprio per poter realizzare la trasformazione verso la “inimicizia assoluta” (comunque) per favorire la costruzione del SPPA deve canalizzare scientificamente le lotte proletarie ed il combattimento proletario contro lo Stato. Non si tratta di colpire i “mille cuori” del potere sociale, ma di dirigere e organizzare la lotta ed il combattimento proletario contro il potere politico, contro lo Stato ed in primo luogo contro il suo cuore [….] “partito della guerra imperialista” a livello centrale e periferico.

In questa fase solo attaccando il “partito della guerra imperialista” il PM può trasformare i rapporti di forza nel sociale. Solo attaccando le determinazioni di questo “partito” a livello centrale e periferico il PM può avere un peso politico reale in questa società.

Il PM non deve avere un generico “potere sociale” ma proprio per i contenuti sociali della necessità/possibilità della transizione al comunismo deve conquistare ciò che la borghesia vuole negargli: il potere politico che per il PM è esclusivamente potere politico rivoluzionario per il comunismo. La politica rivoluzionaria non […] il politico ed il militare sin da ora, ma il politico, il militare e il sociale vive nella società soltanto nella misura in cui esiste progettualità rivoluzionaria. Progettualità rivoluzionaria è sapere condensato per la transizione al comunismo, è memoria storica della possibilità/necessità dell’arricchimento maturo del marxismo leninismo nella metropoli imperialista: è progettualità basata sul metodo del materialismo storico e dialettico; è lotta contro l’ideologismo e il soggettivismo, la metafisica. Comunismo non è un ideale, è una comunità reale, cioè una società senza classi da costruire non mediante una “metafisica rivoluzionaria permanente totale” di trotskiana memoria, ma attraverso la rivoluzione realizzata per tappe storicamente determinate. La guerra di classe non è un concetto dell’avanguardia comunista combattente per meglio definire le molteplicità dei compiti presenti nel processo rivoluzionario e per definire particolarmente la sua attività. L’avanguardia comunista combattente del PM non è solo soggetto portatore di teoria rivoluzionaria, ma è parte e direzione della guerra di classe per trasformala in una guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo. La LAxC non è più soltanto come nella fase della propaganda armata la strategia che l’avanguardia politica pratica o propaganda tra le masse, ma sempre nelle lotte che si proiettano verso il comunismo; la strategia della LAxC è sempre più l’unica e reale politica rivoluzionaria e proletaria.

La possibilità/necessità della trasformazione della guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo è un movimento, un rapporto dialettico con i processi di crisi/ristrutturazione per la guerra imperialista che fanno del nostro paese un anello debole proprio quando cerca di saldarsi meglio alla catena imperialista ed in primo luogo agli usa. L’attività dispiegata dall’antagonismo del PM maturato da profonde cause oggettive non si ricompone “oggettivamente” né tanto meno questa attività può essere ricomposta a livello superiore un [….] operato dell’avanguardia comunista combattente (che in questo caso viene relegata al ruolo di retroguardia).

L’attività generale del PM determinata dalla contraddizione principale (BI/PM) […] e non vivendo allo stesso livello dei rapporti di forza si trasforma e riduce la società con la modificazione dei rapporti di forza generali.

In questo processo il Partito in costruzione all’interno del SPPA in costruzione ha un’importanza fondamentale. Il Partito non deve “riassumere” tutto ciò che dalle masse si sviluppa. Non tutti i contenuti dell’antagonismo alludono al comunismo, molti bisogni immediati alludono ad un comunismo povero!!!

Il movimento di attività generale che le masse proletarie svolgono è un movimento complesso perché differenziato al suo interno dalla scomposizione operata dalla BI: compito del Partito è ricomporlo al livello più alto dentro la strategia della LaxC. L’attività generale delle masse va colta per intero in tutta la sua “scomposizione”, in tutti i suoi diversi livelli di antagonismo e contemporaneamente il Partito deve individuare i livelli più significativi che nella fase tendono alla ricomposizione della classe in classe per sé.

Dentro l’attività generale delle masse si colloca l’iniziativa molteplice dell’avanguardia comunista combattente per dirigere il processo di costruzione del SPPA; le attività, i contenuti, gli obiettivi più significativi espressi dall’antagonismo proletario vanno ricomposti-unificati dal Partito mediante il Programma Politico Generale (PPG) che in questa fase è necessario per la disarticolazione proletaria dei processi in atto sviluppati dalla BI per la costruzione di nuovi rapporti di forza. Il rapporto di forza esistente tra BI e PM, tra guerra imperialista in atto e rivoluzione proletaria si può ribaltare soltanto trasformando i rapporti di forza generali, solo con la conquista del potere politico. La trasformazione dei rapporti di forza generali mediante la conquista proletaria del potere politico, quindi con l’abbattimento dello Stato e la disarticolazione del MPC è tappa preliminare rispetto alla possibilità necessità della dittatura rivoluzionaria per il comunismo. Solo con la conquista proletaria del potere politico, solo con il raggiungimento di questa tappa preliminare è possibile trasformare quello che è l’aspetto dominante della contraddizione principale in questa fase e cioè il processo di guerra imperialista in atto, in aspetto secondario, e la rivoluzione proletaria da tendenza principale in concreto aspetto dominante della contraddizione principale. CONTRADDIZIONE CHE PUO’ MORIRE SOLO CON IL COMUNISMO, SOLO CON LA SOCIETA’ SENZA CLASSI.

 

MOVIMENTO PROLETARIO ANTAGONISTA, COSTRUZIONE DEL SPPA INTORNO AD UN PROGRAMMA POLITICO GENERALE.

 

Con la crisi il capitale non riesce a procedere ulteriormente alla propria valorizzazione complessiva, la lotta di classe, stante il dominio del capitale monopolistico multinazionale, si accentua a livello mondiale. Possiamo affermare che oggettivamente in ogni diversa FES, sia in quella in cui il capitale “domina realmente” come nelle metropoli, sia in quella in cui domina (in)formalmente come nella periferia imperialista, la lotta di classe ha in sé i contenuti latenti della possibilità/necessità della transizione al comunismo. Malgrado la lotta di classe si esprima in modi diversi a livello quantitativo e qualitativo, malgrado la diversità dei processi rivoluzionari, malgrado le diverse tappe dei processi rivoluzionari nelle periferie rispetto a quelle dei processi rivoluzionari nelle metropoli, possiamo affermare che la possibilità/necessità della transizione al comunismo viva latentemente a livello mondiale […] in un nuovo internazionalismo proletario.

Nella nostra FES la lotta di classe ha raggiunto un alto livello di maturità e si esprime in termini di rapporto di guerra; in questa fase i processi in atto di ristrutturazione per la guerra imperialista, pur dentro rapporti di forza sfavorevoli congiunturalmente al PM, costituiscono condizioni oggettivamente favorevoli per la rivoluzione proletaria in quanto costituiscono la causa della contraddizione Stato/PM. Sono nel [….] della lotta di classe in termini di scontro di potere, di guerra di classe. Quando la lotta proletaria ai sviluppa e tende a generalizzarsi e ramificarsi non è recuperabile in alcun modo dalla BI e non può essere finalizzata ad un ulteriore sviluppo del capitale, cosa che poteva avvenire in una fase di crisi ciclica del MPC.

La guerra di classe è dunque il risultato dell’approfondimento della contraddizione FP/RP nella crisi a partire dai punti focali dove più forte e maturo è l’antagonismo: la grande fabbrica metropolitana. I processi di crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista fanno aumentare lo sfruttamento capitalistico della classe operaia che essendo DENTRO i rapporti di produzione capitalistica e crescentemente CONTRO questi stessi rapporti possiede le maggiori potenzialità dell’antagonismo assoluto e complessivo del modo di produzione borghese: fanno peggiorare le condizioni di vita e di lavoro del proletariato marginale; fanno aumentare le quote di proletariato emarginato a cui appartiene il proletariato extralegale inteso in senso stretto (perché le attività extralegali tendono a coinvolgere tutti i diversi settori del PM) ed il proletariato prigioniero in senso stretto (cioè aumentano i PP “stabili” relativamente al PP “instabile”). Il proletariato emarginato possiede la forza lavoro che il capitale non può più impiegare né esportare e quando si nega come forza lavoro […] il proletariato extralegale; ciò non vuol dire che i proletari emarginati ed in particolare i proletari extralegali siano di per sé antagonisti assoluti e complessivi del MPC. Da questo punto di vista è sbagliato parlare di una enorme massa di capitale variabile vagante che il capitalismo stesso non può più impiegare né esportare e che a sua volta si nega come forza lavoro, affermando se stessa come antagonista assoluto e complessivo del MPC (crisi, guerra internazionalismo proletario. PG, Palmi) Infatti all’MPC e allo Stato si contrappone un movimento proletario antagonista caratterizzato dalla resistenza attiva a partire a dalla lotta DENTRO e CONTRO i rapporti di produzione capitalistici, FUORI e CONTRO lo Stato.

A differenza della resistenza passiva della disobbedienza civile “LA RESISTENZA ATTIVA È RESISTENZA OFFENSIVA” in quanto il movimento proletario antagonista oltre a resistere contro i processi di ristrutturazione per la guerra imperialista è offensivo per 1’allusione della transizione al comunismo esistente nel vivo della lotta al MPC e allo SIM. Le lotte proletarie che tendono a generalizzarsi con difficoltà relative stante una controrivoluzione preventiva scatenata, non sono le lotte economico politiche, ma le lotte proletarie contro lo Stato! Il no operaio al tetto antinflazione sugli aumenti salariali imposti dal governo Spadolini; il no! operaio all’attacco della confindustria della scala mobile; il no! operaio alla politica economica dello Stato basata sul taglio delle spese sociali e sull’aumento delle spese militari e dei fondi destinati alle imprese multinazionali in testa; il no! proletario alla NATO e ai blocchi militari in generale e complessivamente alla guerra imperialista. Queste lotte hanno contenuti molto avanzati e fanno parte del movimento proletario antagonista, la base sociale in cui è possibile e necessario costruire le basi sociali rivoluzionarie e cioè il SPPA con le tre determinazioni: il Partito, gli OMR, i MMR.

Il SPPA si costruisce a partire dalla lotta proletaria e si estende DENTRO e CONTRO i rapporti sociali di produzione capitalistici, FUORI e CONTRO lo Stato. Se invece si credesse possibile costruire tale sistema esclusivamente fuori e contro i rapporti di produzione capitalistici, non solo mancherebbe la centralità operaia, ma addirittura si arriverebbe a riproporre un programma immediato unico per tutto il PM basato sull’esproprio proletario, si privilegerebbe la lotta alla distribuzione capitalistica dei redditi e delle merci. Nella contraddizione valore d’uso valore di scambio si privilegerebbe l’aspetto esistente nella distribuzione senza capire che i rapporti di distribuzione e di scambio sono determinati in ultima analisi dai rapporti di produzione. Inoltre con il concepire la costruzione del SPPA separatamente dai rapporti di produzione capitalistici è frutto di un’analisi del MPC in cui le forze produttive ed i rapporti di produzione non vengono evidenziati come un’unità di opposti anche quando raggiungono il massimo livello di tendenza divaricante, ma esclusivamente come rapporto tra elementi separati.

Così come gli elementi più avanzati di lotta del PM si sviluppano dentro e contro i rapporti di produzione capitalistici, fuori e contro lo Stato, nelle metropoli imperialiste ed in particolare in questa fase costruire il SPPA non vuol dire costruire le “basi rosse”, le “zone rosse in cui esercitare il potere rosso, perché non ci sono zone liberate, territori da difendere e non esistono, come è stato in Cina, territori da difendere e masse armate: basi sociali rivoluzionarie non significa neanche “basi rosse invisibili” perché l’ambiguità del concetto di invisibilità ha pontato e porta il SPPA in costruzione a diventare invisibile alla classe, la clandestinità in riferimento agli OMR in costruzione, non deve significare invisibilità al movimento rivoluzionario e al movimento antagonista, ma esclusivamente clandestinità rispetto allo Stato.

I1 SPPA non si costruisce per linee esterne al movimento antagonista, si può costruire solamente per linee interne al movimento antagonista e a partire dall’alto, cioè dai livelli di lotta più alti in termini di contenuti e forma che debbono essere “condensati” dalla guerriglia mediante un Programma Politico Generale (PPG) per dirigere, mobilitare organizzare la lotta ed il combattimento proletario contro lo Stato della ristrutturazione per la guerra imperialista. (Le campagne non sono “campagne d’O” bensì campagne per organizzare l’offensiva proletaria nelle nuove condizioni di controrivoluzione preventiva scatenata.)

Nella dialettica masse Partito-masse si dà possibilità concreta di costruzione della linea di massa rivoluzionaria per attaccare il cuore dello Stato partendo dai contenuti più avanzati presenti nelle lotte del PM. Il rapporto masse/Partito/masse è storicamente determinato e attualmente si esprime come rapporto: movimento proletario antagonista/Partito in costruzione. Movimento proletario antagonista in cui è possibile e necessario costruire il SPPA e trasformare le scontro di potere in scontro per il potere.

A proposito del SPPA vanno fatte alcune doverose precisazioni. Se con la DS 80 si superava l’idealismo presente in certe tesi sviluppate nel ’79, come quella in base alla quale “gli OMR sono sorti e sorgono in conseguenza del divenire oggettivo della crisi” (2° delle 20 tesi finali pubblicate nell’Ape e il comunista), perché in realtà gli OMR non nascono spontaneamente come ci dimostrano questi ultimi anni di pratica sociale, oggi è fondamentale battere sempre nel vivo della pratica sociale tutte le concezioni soggettivistiche del SPPA alla cui base c’è sempre l’idealismo. L’esistenza di un SPPA in costruzione. non deve, ad esempio, far considerare la costruzione del PCC come già realizzata, l’esistenza del movimento di massa rivoluzionario come già DATA, come se fosse qualcosa di statico e non invece unito/distinto dal movimento proletario antagonista, e gli OMR in costruzione come “anello permanentemente mancante”, o meglio “permanentemente mancante” anche quando esistono migliaia di OMR […] allora a SPPA costruito e considerato le tre determinazioni (PCC – OMR – MMR) essendo in continuo mutamento nel loro reciproco e nel rapporto con il movimento antagonista, da un lato, e nel rapporto con lo Stato e con il MPC, dall’altro lato sarebbero permanentemente mancanti! Costruzione del PCC e OMR sono processi distinti ma in stretta unità dialettica, tanto che non si dà PCC senza la costruzione direzione e conquista degli OMR; così come non si dà costruzione degli OMR senza una loro direzione del movimento di massa antagonista in movimento di massa rivoluzionario.

In questa fase: trasformare lo scontro di potere in scontro per il potere, trasformare la guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista vuol dire costruzione del SPPA intorno ad un programma generale che, congiuntura dopo congiuntura, disarticolando lo Stato della ristrutturazione per la guerra imperialista e della controrivoluzione scatenata, si costruisce in dialettica con i contenuti più avanzati delle lotte del PM (contro la guerra, la cassa integrazione, la nuova organizzazione del lavoro, contro la ristrutturazione del mercato del lavoro, contro lo Stato del terrore e della tortura) che alludono, in continuità con le lotte degli anni ’70, ad un programma generale di transizione al comunismo.

Il Programma Politico Generale vive all’interno dei diversi settori di classe del PM mediante il Programma Politico Immediato, e in questa fase di transizione dalla propaganda armata alla guerra civile dispiegata ha come obiettivo la CONQUISTA DEL POTERE POLITICO. Conquistare il potere politico vuol dire costruire rapporti di forza generali favorevoli al PM; vuol dire distruzione abbattimento dello Stato e disarticolazione del MPC; conquistare il potere politico come tappa preliminare per la possibilità necessità del suo movimento rafforzamento ATTRAVERSO LA DITTATURA RIVOLUZIONARIA DEL PM nella prospettiva dell’abolizione insieme alla classe di ogni potere dell’uomo sull’uomo.

Nelle metropoli imperialiste la dittatura rivoluzionaria del PM può e deve darsi soltanto sul terreno politico mediante la POLITICA RIVOLUZIONARIA, può e deve materializzarsi in ogni rapporto sociale caratterizzandosi come dittatura rivoluzionaria integrale (a livello economico culturale, ecc) per la CONTINUA DISTRUZIONE del MPC e quindi per la costruzione della società senza classi. La dittatura rivoluzionaria del PM, periodo storico ineliminabile per la transizione dal capitalismo al comunismo, considerando sempre che il comunismo o è per tutti o non è comunismo, non può esistere senza eliminazione globale dell’intero sistema imperialistico mondiale. (Da questo punto di vista internazionalismo proletario, che per altro non concede spazio ad alleanze tattiche con nessuna forza imperialistica specie per il proletariato delle metropoli dell’est e dell’ovest, è elemento centrale e decisivo del programma rivoluzionario.)

 

 

SULLA CENTRALITÀ DELLA PRODUZIONE DI MERCI

 

La legge del valore lavoro, legge fondamentale del MPC, dimostra da un lato l’origine dello sfruttamento nell’estrazione capitalistica di plusvalore (grazie all’uso capitalistico della forza lavoro) e, dall’altro, dentro una tendenza verso zero del valore, la necessità capitalista dell’aumento tendenziale del saggio di plusvalore (o saggio di sfruttamento pv/v); comunque la produzione di valore e plusvalore trova un limite nella riproduzione capitalistica allargata, nella accumulazione capitalistica in cui vive la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto (pv/c+v) grazie al continuo aumento della composizione organica del capitale (c/v).

L’aumento tendenziale del saggio di plusvalore e la caduta tendenziale del saggio di profitto costituiscono la causa oggettiva in ultima istanza della necessità e sviluppo del dominio reale del capitale (basato sulla produzione di plusvalore relativo) e del suo attuale stadio superiore dettato dal CAPITALE MONOPOLISTICO MULTINAZIONALE e dal suo processo MULTI PRODUTTIVO.

Infatti è questa la pausa dello sviluppo a fianco e dentro le due branche della produzione (produzione di mezzi di produzione e produzione di beni di consumo di massa in cui sono compresi anche i beni di lusso), della produzione di “modelli di consumo” e di “sistemi ideologici”. Questa produzione non è una nuova branca di produzione finalizzata esclusivamente alla “realizzazione riproduzione del plusvalore relativo, del rapporto sociale dominante”. La produzione delle forme della coscienza si divide in due: infatti lavoro produttivo di plusvalore e lavoro improduttivo di plusvalore necessario alla sua realizzazione riproduzione, vivono ora nella produzione delle forme della coscienza e quest’ultima si sviluppa a fianco e dentro le due branche della produzione. Ciò è dimostrato, per esempio, dal rapporto multinazionali mezzi di comunicazione di massa (vedasi i diversi testi di Mattelart).

La produzione di sistemi ideologici e di sistemi di consumo non solo è finalizzata alla realizzazione riproduzione del plusvalore relativo, ma anche alla produzione diretta di plusvalore, stante una crescente mercificazione della produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo.

La produzione di merci non è esclusivamente produzione di merci salari ma anche – ad esempio di merci lezioni, come diceva Marx già un secolo orsono. La produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo non è esclusivamente produzione di nuovi bisogni e creazione di nuovi valori d’uso, ma anche produzione di merci, aventi come tutte le merci un valore d’uso ed un valore di scambio, originato dal valore incorporato.

Nelle metropoli l’estensione del lavoro improduttivo di plusvalore, necessario alla realizzazione riproduzione di plusvalore (a cui per esempio corrisponde l’estensione del proletariato dei servizi) si sviluppa grazie al gigantesco aumento di produttività di plusvalore del capitale monopolistico multinazionale).

I1 lavoro produttivo di plusvalore non si riduce però alla sola produzione di merci salari, ma si diversifica nel continuo processo multiproduttivo del capitale monopolistico multinazionale fino a coinvolgere la stessa produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo grazie ai processi intestini di mercificazione dettati dal crescente dominio reale del capitale.

Nel dominio reale del capitale non esiste una branca produttiva di merci ed una produttiva di nuovi bisogni e di nuovi valori d’uso, proprio perché non solo la produzione di merci è egemone e centrale, ma anche perché la produzione di merci si estende e diversifica coinvolgendo la stessa produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo.

In caso contrario la tendenza oggettivamente divaricantesi valore d’uso – valore di scambio verrebbe considerata metafisicamente come tendenza realizzata stante l’esistenza di una vera e propria branca produttiva di nuovi valori d’uso […] come sembra credere chi, cercando di “forzare l’orizzonte” non fa che rispolverare le vecchie tesi marcusiane della “società dei consumi” e dell’uomo ad una dimensione, questa volta è chiamato uomo merce.

Nella fase del capitale monopolistico multinazionale, essendo ormai creato il mercato mondiale, non solo si deve sviluppare una nuova qualità del rapporto produzione/consumo, per continuare l’espansione economica, ma si devono avviare processi di mercificazione della stessa produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo. Questa mercificazione è il riflesso storico della divisione interna alla produzione di merci, del lavoro in lavoro manuale e intellettuale, della generale divisione sociale del lavoro. Col dominio reale del capitale sul lavoro, sulle forze produttive, non solo il lavoro intellettuale domina e controlla il lavoro manuale ed il lavoro morto domina sul lavoro vivo, ma si mercifica la produzione di sistemi ideologici e di modelli di consumo in cui il lavoro si divide, anche qui, in lavoro manuale ed intellettuale, Quindi, dominio reale del capitale, dominio del lavoro intellettuale sul lavoro manuale e del lavoro morto sul lavoro vivo significa anche e crescentemente mercificazione imposizione di sistemi ideologici e di modelli di consumo.

Per questo la contraddizione valore d’uso valore di scambio anche nella fase del dominio reale del capitale, anche nel suo stadio di ulteriore sviluppo dominato dal capitale monopolistico multinazionale, deve essere analizzata a partire dalla produzione di merci, produzione che possiamo anche definire produzione multinazionale e multiproduttiva di merci.

 

SULLE CAUSE OGGETTIVE DELLA CRISI DI SOVRAPPRODUZIONE ASSOLUTA DI CAPITALE

 

La contraddizione fondamentale del MPC è la contraddizione valore d’uso valore di scambio (forma fenomenica del valore) insita nel duplice carattere della merce, tendenza all’illimitato sviluppo del valore d’uso e tendenza verso zero della produzione di valore. Tale dinamica divaricante trasferita al capitale sociale rimanda ad un’altra contraddizione, cioè la contraddizione tra il contenuto materiale della produzione in rapporto a tutta la società e le forme in cui si distribuisce il prodotto che ne risulta.

A partire dalla produzione capitalistica la contraddizione valore d’uso-valore di scambio si esprime come contraddizione nella diversa dinamica tra le determinazioni nella concreta esistenza delle singole categorie del capitale (composizione tecnica del capitale) e loro composizione in valore, cioè tra mezzi di produzione, forza lavoro e plusprodotto da un lato e capitale costante, capitale variabile e plusvalore, dall’altro; quindi anche nelle contraddizioni: mezzi di produzione/capitale costante, forza lavoro/capitale variabile, plusprodotto/plusvalore. Ma nella dinamica dello sviluppo capitalistico si manifesta una contraddizione anche nelle diverse dinamiche delle singole categorie tra loro.

“In altre parole mentre il capitale costante si riproduce su scala allargata, con una dinamica di sviluppo tendente verso l’alto, il capitale variabile, relativamente a quello costante, tende a decrescere. Già questo fatto ci impone di considerare la composizione organica del capitale sia dal punto di vista della sua composizione in valore, che da quello della sua composizione tecnica. E’ importante richiamare la duplice determinazione della composizione organica di capitali perché è da questi rapporti che scaturisce il plusvalore e, data la diversa dinamica con cui questi elementi si riproducono, ne risulta che il capitale non è da parte sua riproducibile all’infinito, ma è limitato nella riproduzione di tali rapporti. Se è vero che il plusvalore si realizza nell’ambito della circolazione è pur vero che esso ha alla sua base un plusprodotto che risulta dal processo di produzione […] Nel modo di produzione capitalistico il tempo di lavoro necessario tende verso zero, ne deriva che il plusvalore aumenta in rapporto inversamente proporzionale. Da qui sorge un’altra barriera: poiché il plusvalore è la base di un diverso rapporto, ossia è la base su cui si fonda il profitto, ne consegue che, mentre il saggio di plusvalore in quanto saggio di sfruttamento tende ad aumentare, nella sua metamorfosi, nella sua proiezione, il saggio di profitto tende verso la caduta. È proprio qui la diversa dinamica del rendimento del valore, unica determinazione del profitto, motore principale dello sviluppo capitalistico, sta la ragione ultima, oggettiva della crisi di sovrapproduzione assoluta di capitali”. (da Corrispondenza Internazionale: la FES in Lenin pag. 241)

Nella fase dominata dal capitale monopolistico multinazionale (nelle due varianti: multinazionali occidentali e società miste internazionali a polo dominante russo) la produzione, a partire dalle metropoli diventa essenzialmente produzione di PLUSVALORE RELATIVO, anche se permane la produzione di plusvalore assoluto, essenzialmente nella periferia del sistema imperialista mondiale. Il capitale monopolistico multinazionale è capitale il cui livello sociale risiede nelle metropoli, vive e si realizza nelle metropoli a livello intermetropolitano e nell’intreccio metropoli periferia del sistema imperialista mondiale. Pertanto le metropoli non possono essere definite “fabbrica totale” perché oltre a non produrre e realizzare esclusivamente plusvalore relativo, non esauriscono in sé i rapporti di produzione, distribuzione e scambio capitalistici multinazionali: in caso contrario si arriverebbe a credere, con schemi tardo luxemburghiani, all’esistenza di “aree capitalistiche” e di “aree non capitalistiche”. In eguale misura, le metropoli non sono “fabbriche diffuse” perché altrimenti non si distinguerebbe più il lavoro produttivo di valore da quello improduttivo; inoltre le metropoli non sono basate sul “decentramento produttivo” perché altrimenti si scambierebbero alcune controtendenze alla caduta del saggio di profitto, quali l’estensione del lavoro salariato produttivo di tipo nero e/o precario, per controtendenze principali e quindi si arriverebbe ad affermare più o meno indirettamente che nelle metropoli la produzione di plusvalore e principalmente produzione di plusvalore assoluto grazie al massimo prolungamento della giornata lavorativa, ed ai salari bassissimi, caratteristica peculiare delle fasce produttive di proletariato marginale.

Fatte queste dovute precisazioni possiamo riaffermare che, a partire dalle metropoli, la produzione capitalistica diventa essenzialmente produzione di plusvalore relativo, diventa produzione di […] centralità della classe operaia e delle grandi concentrazioni industriali all’interno del PM, il quale è la forma principale del movimento antagonista e rivoluzionario.

La diminuzione del tempo di lavoro necessario avviene mentre aumenta il tempo di lavoro superfluo, il tempo di lavoro che origina il plusvalore: il tendenziale aumento del saggio dì plusvalore avviene nell’ambito di una crescente diminuzione del tempo e il lavoro astratto socialmente necessario cristallizzato nelle merci e cioè nell’ambito di una tendenza verso zero del valore.

Poiché la forza lavoro è l’unica fonte del valore e del plusvalore, nel processo di accumulazione capitalistica, con l’aumento della composizione organica del capitale, il plusvalore prodotto è troppo piccolo relativamente al valore del capitale complessivo accumulato, cioè non riesce a valorizzare l’intero capitale e non riesce a fargli compiere il necessario salto di composizione organica. Pertanto si ha una caduta tendenziale del saggio di profitto.

L’aumento tendenziale del saggio di plusvalore e la caduta tendenziale del saggio di profitto, nella fase in cui, principalmente a partire dalla metropoli, domina realmente il capitale sul lavoro, sulle forze produttive sociali, nella fase dominata dal capitale monopolistico internazionale, portano con sé contraddizioni esplosive. Per questo la tendenza oggettivamente divaricantesi tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto è in ultima analisi, la causa oggettiva della possibilità necessità della CRISI DI SOVRAPPRODUZIONE DI CAPITALE (sopra tutto in termini di capitale costante e variabile ed in misura del tutto secondaria come sovrapproduzione di merci) […] così come era stata 1a causa oggettiva della nascita, sviluppo e dominio del capitale monopolistico multinazionale.

 

CRISI DEL RAPPORTO FORZE PRODUTTIVE CAPITALISTICHE/RAPPORTI DI PRODUZIONE CAPITALISTICI

 

La crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale tende a portare al limite la contraddizione valore d’uso valore di scambio, lavoro necessario pluslavoro, lavoro vivo lavoro morto, lavoro concreto lavoro astratto, lavoro manuale lavoro intellettuale, sapere sociale generale espropriazione culturale del lavoro salariato, lavoro alienato mezzi di produzione e merci, cervello: sociale braccio manuale […] e più in generale la contraddizione forze produttive rapporti di produzione (FP/RP) si sviluppa ad un livello superiore all’interno del dominio dei rapporti di produzione capitalistici, non solo sulle FP (con il rapporto di proprietà privata dei mezzi di produzione), ma soprattutto e crescentemente, dentro le FP stesse.

È il passaggio dalla produzione di plusvalore assoluto a quella di plusvalore relativo, è il dominio del lavoro morto sul lavoro vivo, è il passaggio storico dall’operaio professionale dei tempi di Gramsci allo operaio massa attuale, elemento centrale del proletariato metropolitano, in quanto figura centrale della classe operaia. Nella contraddizione FP/RP capitalistici, i rapporti di produzione capitalistici non sono stati mai esterni alle FP (anche nella fase del dominio formale del capitale sul lavoro) e, quindi le FP non sono mai state neutrali o progressive (così come credevano i revisionisti Kautsky e Bukharin).

Come già diceva Marx un secolo fa: “il capitale produce essenzialmente altro capitale; e lo fa nella misura in cui produce plusvalore. Analizzando il plusvalore relativo così come la conversione del plusvalore in profitto, abbiamo visto come questo principio sia alla base del modo di produzione proprio dell’era capitalistica; forma particolare dello SVILUPPO DELLE FORZE PRODUTTIVE SOCIALI DEL LAVORO, ma in quanto FORZE AUTONOME DEL CAPITALE, CONTRO L’OPERAIO ed in opposizione diretta con il suo sviluppo proprio” (dal Capitale, libro III°). Nello stesso capitolo leggiamo che: “….. la tendenza a ridurre i costi di produzione al loro minimo diventa il mezzo più potente per soffocare la forza produttiva sociale del lavoro; ma questa crescita risulta essere la crescita delle forze produttive del capitale.

La separazione che il capitalismo opera tra lavoro e mezzi di produzione costituisce la possibilità del rapporto di produzione capitalistico. Quindi la forza lavoro è la prima ed essenziale forza produttiva in qualità di rapporto di produzione capitalistico, forma salariata del lavoro sociale.

Per una concezione metafisica della realtà una forza produttiva non può al contempo essere anche rapporto di produzione e viceversa. Per una concezione metafisica della realtà le forze produttive sono viste come separate dai rapporti di produzione. Con la crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale, il rapporto FP/RP è sempre più contraddittorio pur rimanendo una contraddizione interna al MPC in quanto la loro dinamica divaricante può essere realizzata soltanto dalla vittoria rivoluzionaria del PM sul capitale. Tra la contraddizione FP/RP e la lotta di classe esiste un legame dialettico e non meccanico determinista come vedono i soggettivisti metafisici. Pertanto è sbagliato richiamarsi esclusivamente al Manifesto del 1848 “la forza motrice della storia è la lotta di classe”, o esclusivamente alla prefazione di “Per la critica dell’economia politica” dove si afferma che “….. ad un certo grado di sviluppo le FP entrano in contraddizione crescente con i RP ed allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”. La lotta di classe è il reale motore della storia e la sua base è la contraddizione FP/RP.

Nella fase del dominio reale del capitale sul lavoro, sulle FP essendo il capitale un rapporto sociale di produzione: il rapporto di produzione capitalistico, le FP sono sempre plasmate dai rapporti capitalistici grazie alla divisione del lavoro imposta dall’organizzazione capitalistica in forma scientifica del lavoro (è bene ricordarlo a tutti gli operaisti soggettivisti e a tutti i neosoggettivisti “schizometropolitani” ).

Per questo la contraddizione FP/RP non deve essere analizzata in maniera meccanicista determinista, ma dialettica (logica dialettica, quindi metodo dell’astrazione con analisi della tendenza o del limite) e questa dialettica deve planare verso il concreto, dall’astratto bisogno arrivare al concreto, al concreto storico.

 

“Le tendenze oggettive che emergono dalla dinamica contraddittoria fra le FP/RP possono REALIZZARSI solo grazie alla lotta di classe, all’interno della classe rivoluzionaria. In tal modo il marxismo perde qualsiasi carattere evoluzionistico fatalistico e dimostra non solamente una SPIEGAZIONE (materialistica) della storia, ma uno strumento con cui FARE la storia.

Al contrario se le teorie che privilegiano unicamente la contraddizione oggettiva fra FP/RP finiscono con l’attribuire alla rivoluzione un carattere di INEVITABILITA’ OBIETTIVA ed alla sociologia un’impronta meccanicista, l’accentuazione soggettiva o volontaristica del ruolo della lotta di classe, oltre a rimandare ad una concezione del comunismo “ideale” o a comportare una perdita di scientificità della analisi storica, si prelude ogni capacità di incidere completamente sulla situazione storico sociale.

Infatti qui il carattere arbitrario dell’intervento soggettivo affonda le sue radici in un modello teorico conoscitivo che, ignorando e sottovalutando la struttura fondante MATERIALISTICA della sociologia marxista finisce per ricadere nell’idealismo”.

(da C.I. pag.7 “La fes in Lenin”)

Attribuire alla rivoluzione un carattere di inevitabilità obiettiva vuol dire essere metafisici così come si è metafisici parlando di “rivoluzione permanente” (da Trotskij ai neosoggettivisti invece di RIVOLUZIONE ININTERROTTA PER TAPPE. È invece possibile battere una concezione metafisica, idealistica della rivoluzione; è possibile e necessario attribuire alla rivoluzione un carattere STORICAMENTE DETERMINATO se dall’astratto, dalle tendenze al limite, si arriva al concreto, al concreto storico mediante l’analisi delle controtendenze di quegli anelli di congiunzione tra astratto e concreto che sono i processi in atto, mediante la leninista analisi concreta di cose concrete.

 

CRISI, TENDENZA AL LIMITE E CONTROTENDENZA

 

Con la crisi il capitale tende al limite alla distruzione delle forze produttive pur di mantenere dominanti i rapporti di produzione capitalistici. Con la crisi diventa più chiaro che “il limite del capitale è il capitale stesso”, che l’imperialismo delle multinazionali è superputrescente; la crisi dimostra che 1’imperialismo delle multinazionali è tendenzialmente sulla difensiva pur non perdendo la capacità di attaccare e offendere il proletariato internazionale; l’imperialismo delle multinazionali è una tigre di carta ma con i denti (bombe) al neutrone, perché è […] guerra al proletariato.

Poiché la contraddizione FP/RP materializzandosi storicamente conduce alla lotta di classe reale motore della storia e determina la base materiale da cui, in ultima analisi la lotta di classe si emana, quando con la crisi il capitale tende al limite della distruzione delle forze produttive, nella lotta di classe la BI tende al limite all’annientamento del proletariato internazionale […] e così tende al limite alla propria distruzione, perché senza proletariato internazionale […] niente BI! Il capitale monopolistico multinazionale, quindi, tende al limite al crollo, ma ciò non significa, e non deve significare terrorizzare la crisi-crollo come fanno al di là delle buone intenzioni i soggettivisti di ogni specie presenti nel movimento rivoluzionario. “Mentre per i soggettivisti il concetto di TENDENZA è pura proiezione in avanti della realtà fenomenica, per Marx è RIFLESSO ANTICIPANTE DELLA REALTA’ EMPIRICA. Marx, in altri termini, spinge la simulazione concettuale del MPC al PUNTO LIMITE in cui le contraddizioni giungono alla loro piena maturità, si mette nella condizione migliore per fissare, a partire dalla previsione dì una situazione futura, i criteri adeguati alla prassi rivoluzionaria. Il modello della tendenza al limite pone le condizioni dell’agire cosciente che costruisce il proprio scopo senza abbandonarsi al fatalismo deterministico, senza abbandonarsi all’ubriacatura irrazionale dell’utopia” (Ape e il comunista, pag.59).

Tra la tendenza al limite del modello teorico e la realtà storica ci sono scarti da colmare. Dall’astratto al concreto ci sono degli anelli di congiunzione che chiamiamo controtendenze o processi in atto controtendenziali. Tendenza al limite in base al materialismo dialettico (logica dialettica) non vuol dire immediatamente materialità storica perché esistono di fatto le controtendenze. Le controtendenze sono gli unici anelli di congiunzione che ci consentono l’ascesa dal piano della teoria a quello della storia. Le controtendenze non devono servire per negare l’oggettiva tendenza al limite, al crollo del MPC, ostacolando momentaneamente la fine del MPC, ma nello stesso tempo confermano e rafforzano la validità della legge valore lavoro e la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. Analizzare le tendenze a1 limite senza analizzare le controtendenze, significa passare dall’astratto al concreto in modo soggettivista, antimarxista, anche se lo si nega formalmente è proprio il metodo soggettivista di analisi delle contraddizioni capitalistiche a condurre sostanzialmente a teorie della crisi come crisi crollo. L’analisi delle tendenze al limite dell’MPC nella fase del dominio del capitale monopolistico multinazionale non porta, e non deve portare, a fatalistiche teorie della possibilità necessità della rivoluzione proletaria per il comunismo: il comunismo è possibile e necessario!

Perciò, ricapitolando possiamo affermare che la causa della crisi strutturale dell’MPC va individuata a partire dalle tendenze oggettivamente divaricantesi fra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto. Ogni teoria della crisi che separa, più o meno evidentemente, produzione capitalistica e accumulazione capitalistica, legge del valore lavoro e legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, porta ad analisi soggettiviste: da qui il soggettivismo inizia ad essere nudo, pazzo e nelle migliori delle ipotesi “schizometropolitano”. Privilegiare, più o meno rozzamente, nell’analisi della crisi la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto (come si fa nelle tesi di fondazione del PG) porta inevitabilmente al di là delle buone intenzioni ad analisi soggettiviste, porta necessariamente a teorie della crisi come crisi crollo: in ogni caso la tendenza al limite al crollo del capitale, diventa meccanicisticamente tendenza realizzata. Dobbiamo ricordare a chi se ne fosse dimenticato quanto segue: “il fascino dell’estrapolazione logico dialettica di Marx ha scatenato molte fantasie, non ultima quella degli operaisti soggettivisti che hanno pensato dì individuare nella realtà fenomenica dei nostri giorni elementi di conferma empirica del modello: la tendenzialità. ” (Ape e comunista, pag. 59).

La crisi è necessitata di fatto da una caduta reale del saggio di profitto, ma questa caduta reale del saggio del profitto stimola la rigenerazione ad un livello superiore della sua stessa causa, e cioè la dinamica oggettivamente divaricantesi tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto. Inoltre nel dispiegarsi della crisi si accorciano i cicli, si fanno più ravvicinate le diverse ed ulteriori cadute reali del saggio di profitto sempre dentro la dinamica divaricante tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto.

La crisi, nel favorire il dispiegarsi di controtendenze non porta ad una caduta reale lineare, una caduta crollo del saggio di profitto ma a processi di ristrutturazione per la guerra imperialista per riplasmare rimodellare le forze produttive, distruggendo forze produttive sovrapprodotte sovraccumulate; distruggere forze produttive sovrapprodotte sovraccumulate riplasmando e rimodellando forze produttive […] per creare e alimentare il saggio di profitto. II MPC distrugge par produrre e produce per distruggere, per cercare di aumentare i saggio di profitto.

I1 MPC spinge, per cercare di uscire dalla crisi, al dispiegarsi scatenarsi della guerra imperialista in atto (dentro cui si nascondono in primo luogo le due superpotenze). Il carattere di crisi generale si è evidenziato con molta chiarezza con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro con l’oro (agosto 1971), che fino a quel momento fungeva da moneta equivalente generale. Comunque le controtendenze economico finanziarie che da allora si sono materializzate non hanno portato al superamento della crisi stessa; in ultima analisi hanno favorito una più violenta concentrazione centralizzazione capitalistica nelle multinazionali più forti e competitive, ma anche in questo caso, il plusvalore prodotto ha valorizzato soltanto una parte del capitale complessivo accumulato.

Pertanto la guerra imperialista è l’unico sbocco capitalistico alla crisi. La tendenza alla guerra mondiale imperialista non è una semplice tendenza perché la guerra imperialista è già in atto, sia pure in nodo ancora non dispiegato. La guerra delle Falkland tra Argentina e Gran Bretagna è una guerra dietro cui hanno manovrato le due superpotenze, non solo per interessi “politici”, ma soprattutto economici in riferimento al continente Antartico.

La guerra in Libano tra israeliani e libanesi falangisti da un lato, e palestinesi e siriani, dall’altro, è anch’essa manovrata dalle due superpotenze per una nuova divisione del medioriente in zone d’influenza. L’appoggio della Siria ai palestinesi è formale: alla Siria non interessa realmente la causa della rivoluzione palestinese, per cui il genocidio del popolo palestinese e il ridimensionamento di questo focolaio di “terrorismo”, come 1o definisce il presidente degli USA, non è in contraddizione con la formalità dell’appoggio siriano. Dietro 1a Siria si nasconde 1’URSS, che, minacciando Israele, in realtà intende difendere esclusivamente i propri interessi di superpotenza nell’area mediorientale.

I processi di guerra imperialista in atto mettono a nudo il revisionismo (ad esempio la direzione dell’OLP) e fanno sviluppare la tendenza rivoluzionaria. Così nella metropoli i processi di crisi ristrutturazione per la guerra imperialista, generano la tendenza opposta: crisi rivoluzione antimperialista di lunga durata per il comunismo.

Altri compagni affermano quanto segue: “l’evolvere del processo della crisi assume forme diverse per ogni ordine dì contraddizione e configura nella sua manifestazione fenomenica una chiara tendenza a tramutarsi in guerra mondiale imperialista. Occorre tuttavia ricordare che all’interno di questa tendenza generale alla guerra, la contraddizione principale è quella fra proletariato e borghesia imperialista e, allo interno di quest’ultima è la tendenza rivoluzionaria ad avere una posizione dominante” (crisi, guerra e internazionalismo proletario, Brigata Palmi PG).

Poiché la guerra mondiale imperialistica non è una semplice tendenza, ma un processo in atto, è sbagliato affermare che la tendenza rivoluzionaria ha una posizione dominante, mentre è giusto sostenere che la tendenza principale è la rivoluzione e la contraddizione principale è quella tra il proletariato e la BI, e 1o sviluppo della rivoluzione in qualità di tendenza principale, è dovuto ad un livello “più basso” cioè alla contraddizione FP/RP che nella crisi porta i rapporti di produzione capitalistici a distruggere le forze produttive sovrapprodotte come unico sbocco capitalistico alla crisi di sovrapproduzione assoluta di capitali e cioè ai processi dì crisi ristrutturazione per la guerra imperialista.

La contraddizione fondamentale FP/RP si manifesta nella crisi mediante processi di ristrutturazione per la guerra imperialista: e questa contraddizione fondamentale acutizza la contraddizione principale tra proletariato e borghesia imperialista. La guerra si sviluppa all’interno stesso della BI, la quale sì fa sempre la guerra per interposta persona, attraverso i proletari, contemporaneamente si estende contro tutto il proletariato mondiale per piegarlo alle necessità dell’MPC. Questi due aspetti che hanno forme e sviluppi diversi, non coincidono materialmente, ma ugualmente interagiscono a partire dalle metropoli in un unico processo, quello di ristrutturazione per la guerra imperialista. La crisi genera infatti processi di ristrutturazione per la guerra imperialista nell’illusione capitalista di risolvere la causa della crisi e superare la tendenza oggettivamente divaricantesi tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio di profitto nell’illusione di aumentare le ragioni sociali della tendenza principale presente nel mondo, da essa stessa accelerata: la rivoluzione proletaria per il comunismo.

Con la crisi il capitale monopolistico multinazionale “tende al limite” alla distruzione delle forze produttive ed al contempo favorisce la materializzazione concreta di “controtendenze”. Per non distruggere complessivamente le forze produttive il capitale monopolistico multinazionale determina la materializzazione di controtendenze che, nel concreto, distruggono forza produttiva sovrapprodotta sovraccumulata. Da un lato, la tendenza al limite della distruzione delle forze produttive non deve essere intesa come pura precisazione in avanti della realtà fenomenica, delle controtendenze: per questo è sbagliato parlare di crisi ristrutturazione distruzione delle forze produttive. D’altro canto, le contraddizioni contrastando in maniera relativa la tendenza al limite non fanno che confermare la validità, le controtendenze […,] relativa ad un livello chiaramente contraddittorio di materializzazione dialettica e non meccanico della tendenza al limite e ciò è evidente in un periodo di crisi assoluta del MPC.

Le controtendenze alla tendenza limite al crollo del capitale, sono i processi in atto operati dalla BI e cioè i processi di ristrutturazione per la guerra imperialista. Infatti ristrutturazione e guerra imperialista vivono concretamente una strettissima unità dialettica in quanto i processi di ristrutturazione si sviluppano in funzione della guerra imperialista: non c’è una guerra interimperialista, è una guerra esterna poi, perché non esista separazione tra guerra esterna e guerra interna.

Sicuramente il nostro paese è ben lontano dall’essere pacificato sul fronte della lotta di classe nel polo tra BI e PM, comunque ciò non ha impedito ad esempio che il governo mandasse una task force nel Sinai a far rispettare l’accordo antipalestinese di Camp David tra Egitto e Israele, così come avevano deciso organi sovrannazionali.

La guerra non essendo esterna rispetto alla contraddizione fondamentale del MPC (FP/RP), produce due movimenti opposti che accentuano la contraddizione principale, cioè la contraddizione BI/PM. La guerra imperialista è guerra per stabilire il ciclo della valorizzazione ed accumulazione del capitale distruggendo notevoli quote di forza lavoro e mezzi di produzione eccedenti, stabilendo una diversa divisione del mondo in sfere di influenza (conquistando nuovi mercati ed accaparrandosi materie prime), ed una diversa divisione internazionale del lavoro; è guerra per difendere l’imperialismo in crisi e poter mantenere i putrescenti rapporti di produzione capitalistici; è guerra per il mantenimento del potere della BI sul proletariato internazionale.

I processi di ristrutturazione per la guerra imperialista fanno della lotta dì classe tra BI e PM una guerra di classe, uno scontro per il potere.

Nella guerra di classe, il PM tende a sviluppare la guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo. La guerra rivoluzionaria del PM col suo sviluppo accelera l’agonia del MPC; la guerra rivoluzionaria, all’opposto della guerra imperialista, nasce e si dispiega per distruggere definitivamente la guerra stessa abolendo la causa che in questa epoca storica genera 1a guerra e, cioè, il MPC.

Mentre la sostanza della guerra imperialista è distruggere per mantenere in vita il MPC, cioè per tornare nuovamente a distruggere, la sostanza della guerra rivoluzionaria sta nel distruggere il MPC, cioè per tornane nuovamente a distruggere, la sostanza della guerra rivoluzionaria sta nel distruggere il MPC, e costruire un nuovo e diverso ordinamento sociale: LA COMUNITà REALE, LA SOCIETA’ SENZA CLASSI.

 

Fonte: Atti del processo Ruffilli

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