Allegato all’udienza del 3/12/2009 presso il Tribunale di Lecce – Proc. N° 713/06 – 346/07
Nel ricordare la compagna Diana Blefari morta il 31 ottobre scorso e nel tributarle tutto il nostro amore rivoluzionario, vogliamo anzitutto renderle onore sottolineando il suo apporto di militante rivoluzionaria dato nel contribuire allo sviluppo del processo rivoluzionario. Un lavoro svolto in un processo avverso, segnato dal dispiegamento del processo controrivoluzionario e della difensiva di classe, caratterizzato da quel percorso aggregativo della soggettività rivoluzionaria di classe che ha agito a partire dagli anni ’90, e che, attraverso la dinamica attacco-costruzione-attacco, ha reintrodotto lo scontro di potere nelle relazioni tra le classi. Una qualità questa, di valenza politico-strategica così forte da costituire il piano di avanzamento della proposta rivoluzionaria delle BR-PCC, ineludibile per quelle avanguardie rivoluzionarie che intendono misurarsi sul terreno di sviluppo della guerra di classe. Un esempio di lavoro rivoluzionario che resterà appannaggio del campo proletario e stimolo per tutte quelle avanguardie coscienti di dover fare la propria parte nel lavorare all’emancipazione politica della classe a cui appartengono, da Diana sempre svolto con lo slancio, la spontaneità e la caparbietà di chi sa di aver fatto la scelta giusta. Un apporto umano e politico che, se per noi resterà un motivo di orgoglio e ricordo indelebile, per lo Stato e la borghesia rimarrà sempre uno spettro che disturberà i loro sonni. La morte della compagna non è affatto ascrivibile al decorso inevitabile della malattia di cui soffriva, cioè di quel che viene chiamato “mal di vivere”, una patologia ampiamente documentata sia nei sintomi clinici che nel tunnel di sofferenze che provoca alla persona colpita. Quindi facilmente riconoscibile ma che in Diana hanno fatto finta di non vedere, non per incuria, superficialità o indifferenza, e nemmeno per quel razzismo sociale, alimentato a piene mani, funzionale alla stabilizzazione controrivoluzionaria nelle relazioni sociali, che nelle galere e anche fuori di esse distribuisce tanti lutti e sofferenze. A Diana non è stata riconosciuta la malattia semplicemente per volontà politica, come diretta conseguenza di quell’indirizzo controrivoluzionario che a fronte del ritorno dell’iniziativa rivoluzionaria segnato dalle BR-PCC si è articolato per contenerne e confinarne la valenza e il peso politico assunti nell’ambito dell’opposizione e dei processi di organizzazione della resistenza di classe. Un dato di contrasto alla soggettività rivoluzionaria integratosi nell’assetto statuale della controrivoluzione preventiva e posto in riferimento al punto più alto del processo rivoluzionario, cioè rapportato al contrasto statuale alla riproducibilità della proposta rivoluzionaria delle BR-PCC e del conseguente scontro di potere. Un dato da cui si dipanano, congiuntamente diversificate, le politiche controrivoluzionarie e antiproletarie che affiancano, con modalità d’intervento volutamente perseguite per rimarcare in termini complessivi la totale subordinazione del proletariato come classe, la rimodellazione neocorporativa degli istituti della mediazione politica tra le classi, per così incardinare il rapporto tra proletariato e borghesia sul terreno di quella “coesione sociale” a cui la soggettività della borghesia affida il governo delle contraddizioni suscitate dalla rimodellazione delle relazioni economiche e politiche volte a riorganizzare l’intera vita sociale. Da qui l’apparente mancanza di misura politica (e anche di misura e basta) nell’affrontare persino il dissenso politico di stampo proletario. L’articolazione sui prigionieri dell’indirizzo controrivoluzionario così connotato, che ha comportato una ridefinizione della politica degli ostaggi, si è subito resa evidente in particolar modo nei confronti di quei militanti espressione del rilancio dell’attività rivoluzionaria e della sua prospettiva di potere. Diana era per l’appunto espressione di quel percorso, e con decisione presa a livello di controguerriglia, avallata in sede politica, non vi è stato rispetto per il suo stato di salute compromesso dalla malattia, quindi non solo non è stata curata, ma hanno avuto l’attenzione sistematica di non mettere mai la compagna in una condizione umanamente accettabile per poter, se non altro, provare ad affrontare il “mal di vivere”. È in relazione all’attuale contesto, – reso critico dalle conseguenze sociali della crisi, dalla delegittimazione ed instabilità del quadro politico-istituzionale, dall’espandersi di forme di resistenza operaie e proletarie e di reazione agli effetti delle politiche di “sicurezza” e coercitive impiegate in modo sempre più ossessivo e su larga scala – che fa risaltare il pericolo per lo Stato di avvitarsi sui problemi che insorgono senza riuscire a perseguire l’assestamento controrivoluzionario nelle relazioni di classe, che prende forma l’esigenza tutta politica di rincorrere, senza soluzione di continuità, successi polizieschi da sbandierare, siano essi anche solo presunti. Ed è da questa esigenza politica e in relazione alla vigente contraddizione (posta in essere dal “rilancio”) caratterizzato dal fatto che anche un lungo periodo di assenza dell’iniziativa rivoluzionaria non garantisce della non riproducibilità della proposta rivoluzionaria e dello scontro di potere, che la struttura di antiguerriglia degli inquirenti architetta la “bella pensata” di concedere a Diana i colloqui con il suo ex ragazzo (un importante rapporto affettivo ed esile filo di speranza e sostegno per chi come lei soffre del “mal di vivere”) per poi brutalmente reciderlo con l’arresto di lui, un già visto la pratica di colpire gli affetti più cari. La compagna, minata dalla terribile malattia, chiarisce agli inquirenti la totale estraneità del suo ex ragazzo alla propria esperienza politico-organizzativa e poi, si toglie la vita. La gestione statuale sulla morte della compagna non stupisce, già era stata vista all’opera intorno alla salma del compagno Mario Galesi. Denigrazione, fumisterie e anche vigliaccheria, sono modalità costanti, ben rodate, di una gestione che volutamente prescinde dalla realtà dei fatti, incanalata e guidata solo dal desiderio di infangare la storia militante di Diana in quanto figura pubblica della Rivoluzione, del campo proletario, denigrandola con le solite bieche e trite rappresentazioni, più degne per un fumettone, e con la propaganda sulla sua morte rappresentata come fosse un cedimento politico derivato dalla “legittima potenza dello stato”, con lo scopo di fomentare deterrenza e desolidarizzazione negli ambiti di classe, non riuscendo però a nascondere, se non la paura, la preoccupazione dell’ineliminabile peso che la figura di Diana, il suo spessore umano e politico, e l’impegno militante, rappresenta per il processo di emancipazione politica del proletariato. Una gestione inoltre tutta improntata sul binario “informativo” precipuo a questo momento politico, che svolge il compito generale di accompagnare le peggiori barbarie di cui si rende responsabile una borghesia in crisi, col fine di dare al regresso politico culturale di cui essa è portatrice, un retroterra sociale di massa, come se tale regresso fosse il naturale divenire nelle relazioni sociali. Una nuova modernità dove anche i bambini vengono definiti stranieri, paradigma dell’abisso di abbrutimento nel quale vogliono trascinare le relazioni sociali con la costituenda “democrazia governante”. Nel rendere memoria alla compagna Diana onorando la sua figura di militante rivoluzionaria, riaffermiamo infine tutta la valenza e l’attualità delle ragioni che l’hanno immessa nel percorso rivoluzionario storicamente segnato dalla proposta strategica delle BR-PCC di sviluppo della guerra di classe in una prospettiva di potere.
Con amore rivoluzionario
Onore alla compagna Diana Blefari
Onore a tutti i combattenti rivoluzionari ed antimperialisti caduti
Proletari di tutto il mondo uniamoci!
I Militanti delle BR-PCC
Maria Cappello
Franco Grilli
Rossella Lupo
Fabio Ravalli
La Militante Rivoluzionaria
Vincenza Vaccaro